Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, ordinanza
n. 681 del 14 maggio 2003, deferisce alla Corte di giustizia CEE la questione
dell’affidamento diretto e, cioè, senza l’indizione di una gara,
della gestione del servizio pubblico di distribuzione del gas
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata
di Brescia - ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 294 del 2000 proposto da
CONSORZIO AZIENDE METANO – CO.NA.ME. ,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dagli Avv.ti Giuseppe Di Giovine, Maurizio Zoppolato ed Angela Canta
ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Brescia, via
V. Emanuele II n. 85;
contro
il COMUNE di CINGIA DE’ BOTTI ,
in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio,
rappresentato e difeso dall’Avv. Guido Calatroni ed elettivamente domiciliato
presso la Segreteria della Sezione in Brescia, via Malta n. 12;
e nei confronti di
PADANIA ACQUE S.p.A.,
in persona del rappresentante legale pro tempore, costituitasi
in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Aldo Aschieri e Marzia
Soldani ed elettivamente domiciliata la Segreteria della Sezione in Brescia,
via Malta n. 12;
per l’ANNULLAMENTO
della delibera 21.12.1999 n. 54, con la quale il Consiglio Comunale
del Comune di Cingia de’Botti ha affidato a Padania Acque S.p.A. il servizio
di gestione, distribuzione e manutenzione degli impianti per l’erogazione
del gas metano per il periodo 1.1.2000-31.12.2005 ed ha approvato lo schema
di convenzione per regolare i rapporti con la medesima Società;
nonché per l’ACCERTAMENTO
dell’inadempimento del Comune alle obbligazioni derivanti dal contratto
stipulato con il Consorzio Aziende Metano-Co.Na.Me. in data 30.4.1999;
e per la CONDANNA
del Comune al risarcimento dei danni che il Consorzio Aziende Metano-Co.Na.Me.
assume di aver subito in conseguenza del dedotto inadempimento.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cingia de’Botti
e della Padania Acque S.p.A.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designata come relatore, alla pubblica udienza dell’8.10.2002, la dott.ssa
Rita Tricarico;
Uditi i difensori delle parti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il Consorzio ricorrente aveva stipulato con il Comune di Cingia de’Botti
il “contratto per l’affidamento del servizio di manutenzione, conduzione
e sorveglianza della rete gas metano”, con durata 1.1.1999-31.12.2000.
Con nota 30.12.1999 n. 4853, il citato Comune ha comunicato a Co.Na.Me.
che, con delibera 21.12.1999, n. 54, il Consiglio comunale aveva approvato
“la convenzione per la gestione della distribuzione e manutenzione dell’impianto
gas con la Padania Acque S.p.A.”.
Con la medesima deliberazione è stato, altresì, approvato
lo schema di convenzione da stipulare tra la Padania Acque S.p.A. ed il
Comune de quo.
La Società richiamata in ultimo risulta essere una Società
a prevalente capitale pubblico, nata dalla trasformazione dell’ex Consorzio
per l’acqua potabile ai Comuni della Provincia di Cremona, alla quale partecipano
quasi tutti i Comuni della vista provincia, tra cui il Comune di Cingia
de’Botti, il quale detiene lo 0,97% del capitale, nonché la Provincia
di Cremona.
In ragione delle caratteristiche di detta Società, il servizio
in questione è stato attribuito alla stessa con il sistema dell’affidamento
diretto.
Si precisa, altresì, che, come risulta dall’art. 6 della suddetta
convenzione sottoscritta dal Comune e dalla controinteressata, era prevista
la successione diretta ed automatica, allo scadere naturale del contratto
(31.12.2000), della Padania Acque S.p.A. al Consorzio ricorrente per la
parte del servizio in precedenza attribuita a quest’ultimo.
La sopra citata deliberazione è stata impugnata col ricorso
in epigrafe per i seguenti motivi di diritto:
1) violazione del principio di autotutela - violazione degli
artt. 3, 7 e 8 della L. 7.8.1990, n. 241 – eccesso di potere per contraddizione
con precedenti manifestazioni di volontà ed illogicità manifesta
– violazione dell’art. 1406 cod.civ.;
2) violazione dell’art. 267 del R.D. 14.9.1931, n. 1175 e dell’art.
87 del R.D. 3.3.1934, n. 383 - eccesso di potere per difetto di motivazione
e/o di istruttoria - violazione dell’art. 22 della L. 8.8.1990, n. 142
– violazione della Circolare ministeriale – illogicità manifesta;
3) violazione dell’art. 56 della L. 8.8.1990, n. 142;
4) in subordine: violazione dell’art. 47 della L. 8.8.1990, n. 142.
Contestualmente è stato richiesto di accertare l’inadempimento
contrattuale, ad opera del Comune resistente, nei confronti del Consorzio
ricorrente, nonché di condannare il primo al risarcimento dei danni
che quest’ultimo assume di aver subito in conseguenza di tale dedotto inadempimento,
mediante esecuzione in forma specifica.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Cingia de’Botti e la controinteressata
Padania Acque S.p.A., resistendo in rito e nel merito alla prodotta impugnativa.
Con ordinanza 28.4.2000 n. 264, questa Sezione ha dato atto della rinuncia
alla domanda incidentale cautelare.
Chiamato in discussione alla pubblica udienza del 18.5.2001, questo
Tribunale, con sentenza non definitiva n. 413, ha dichiarato il difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo sui motivi di gravame individuati
coi numeri 1) e 4) e riferiti alla convenzione in essere tra il ricorrente
e l’Amministrazione intimata, ed ha disposto, a fronte dell’eccepito difetto
di legittimazione attiva, il deposito di documentazione atta a dimostrare
la qualità di “operatore del settore” in capo al ricorrente al fine
di verificare la sussistenza dell’interesse a ricorrere.
Il ricorrente, in ossequio alla richiesta contenuta nella detta sentenza,
in data 29.6.2001 ha eseguito il deposito della richiesta documentazione.
Il Comune ha presentato istanza di rinvio dell’udienza di discussione,
avendo il ricorrente prodotto tali documenti dopo la scadenza del termine
per consentire all’Amministrazione di depositare, a sua volta, documenti
a controprova.
Infine il ricorso è stato introitato per la decisione alla pubblica
udienza dell’8.10.2002.
DIRITTO
1 – Con separata sentenza non definitiva depositata in pari data, il
Collegio ha respinto l’eccezione preliminare di difetto di interesse e
di legittimazione a ricorrere in capo al ricorrente, sollevata dal resistente
Comune di Cingia de’Botti, sospendendo il processo al fine di sollevare
in via pregiudiziale una questione di interpretazione delle norme del Trattato
in relazione all’affidamento diretto del servizio di distribuzione e manutenzione
dell’impianto del gas alla Padania Acque S.p.A., Società a capitale
prevalentemente pubblico partecipata anche dal Comune, affidamento disposto
senza previa indizione di una pubblica gara, con riferimento ai principi
di concorrenza e di par condicio di derivazione comunitaria stabiliti agli
artt. 43, 49 e 81 del Trattato dell’Unione europea, versione consolidata.
Le citate disposizioni del trattato UE tutelano rispettivamente la
libertà di stabilimento, nonché quella di prestazione di
servizi all’interno dell’Unione europea ed infine, in via diretta, la concorrenza
all’interno dell’Unione stessa attraverso il divieto di porre in essere
pratiche commerciali idonee a pregiudicarne il libero gioco.
Specificamente, l’art. 43 statuisce il divieto di “restrizioni alla
libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio
di un altro Stato membro”, dovendosi in tale libertà ricomprendere,
con ampia accezione, il libero “accesso alle attività non salariate
e al loro esercizio”.
Da ciò deriva, per quanto qui interessa, che a tutte le Società
appartenenti agli Stati membri deve essere consentito di esercitare dette
attività all’interno del mercato unico, senza che possano essere
loro opposti impedimenti o restrizioni di sorta, il che trova precipua
garanzia nell’accesso alle gare pubbliche, nel cui quadro esse operano
su un piano di assoluta parità rispetto alle imprese nazionali.
Con riguardo al settore dei servizi, nell’ambito del quale s’inquadra
la fattispecie in esame, l’art. 49 del Trattato UE pone un generale divieto
di restrizione “alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità
nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un Paese della
Comunità che non sia quello destinatario della prestazione”.
Per quanto concerne l’art. 81, collocato nel Capo I del Titolo VI del
Trattato, avente ad oggetto “le regole di concorrenza”, lo stesso dichiara
l’incompatibilità con il mercato comune, e ne stabilisce perciò
il divieto, di “tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le
pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati
membri” tese a conseguire o dalle quali, comunque, risultino, quali effetti,
lo “impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno
del mercato comune”, ed indica, a titolo esemplificativo, alcuni dei comportamenti
vietati.
Se la libera concorrenza costituisce dunque la regola generale, all’interno
del mercato unico qualsiasi intervento correttivo, nel senso della sua
esclusione o comunque di previsione di meccanismi di concorrenza amministrata,
rappresenta un’ipotesi del tutto eccezionale, come tale possibile solo
quando sia assolutamente necessaria a garantire il perseguimento dell’interesse
pubblico e sempre che ne risulti chiaramente la giustificazione, dovendosi
altrimenti concludere per la sussistenza di una violazione di un principio
cardine dell’ordinamento europeo.
D’altra parte, anche nell’ordinamento italiano il principio di libera
concorrenza riceve una sua precisa tutela, in virtù dell’art. 41
della Carta costituzionale, e soffre una limitazione solo nei casi tassativamente
indicati.
In materia di servizi, la Direttiva 92/50/CEE del 18.6.1992, all’art.
11, afferma che l’aggiudicazione dei relativi appalti debba avvenire mediante
il ricorso ad una delle procedure di cui all’art. 1, lett. d), e), f) della
stessa.
Normalmente deve utilizzarsi la procedura aperta, intendendosi per
tale quella procedura nazionale nella quale tutti i prestatori di servizi
interessati possono presentare offerte, o alternativamente ad essa
la procedura ristretta, in Italia chiamata “licitazione privata”, che è
quella in cui “possono presentare le offerte soltanto i prestatori di servizi
invitati dall’Amministrazione”.
Risulta evidente che nella procedura aperta è garantita la tutela
della massima partecipazione e della concorrenza, diversamente da quanto
previsto per le procedure ristrette, nelle quali le stazioni appaltanti
invitano le imprese in possesso di predeterminati requisiti.
La Direttiva in esame ammette anche il ricorso alle procedure negoziate,
le quali corrispondono a quelle “procedure nazionali nell’ambito delle
quali le Amministrazioni consultano i prestatori di servizi di loro scelta
e negoziano i termini del contratto con uno o più di essi”, peraltro
solo nei casi tassativamente indicati, senza possibilità di deroga,
proprio per il grado di discrezionalità riconosciuto all’Amministrazione
utilizzatrice del servizio, che connota tale tipologia di procedura, a
discapito della trasparenza e della concorrenza.
Con specifico riferimento ai settori dell’acqua potabile, dell’elettricità
e del gas o energia termica, applicabile nella vicenda all’esame, la Direttiva
93/38/CEE del 14.6.1993 ribadisce la piena applicabilità del suesposto
sistema relativamente alle modalità di affidamento dei servizi pubblici
(cfr. sentenza della Corte di Giustizia 17.9.2002 nella causa C-513/99
Concordia Bus Finland Oy Ab).
In ogni caso è da porre in evidenza che, secondo l’orientamento
della stessa Corte, il coordinamento a livello comunitario delle procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici è finalisticamente diretto
ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione di merci e servizi (cfr.
sentenza 18.10.2001 nella causa C/19/00 SIAC Construction).
Accanto all’affidamento a terzi, in base ad una delle tre procedure
sopra riportate, è ulteriormente ammessa la sola gestione “in house”,
che esclude la necessità che sia indetta una gara, qualora il pubblico
servizio sia affidato ad una Società, il cui capitale sia posseduto
dall’Ente locale, che eserciti il controllo su di essa e che sia conseguentemente
qualificabile quale sua longa manus.
2 – Premesso quanto sopra, si rammenta che il Comune resistente, anziché
indire una gara dopo la scadenza (31.12.2000) del servizio di distribuzione
del gas metano affidato al Co.Na.Me, ha optato per l’affidamento diretto
dello stesso ad una Società per azioni a prevalente capitale pubblico
locale.
L’Amministrazione ha fatto a tal fine ricorso ad uno dei moduli organizzatori
ammessi dalla normativa nazionale vigente al momento dell’affidamento del
servizio in questione, e specificamente a quello di cui all’art. 22, 3°
comma, lett. e) della L. 8.6.1990, n. 142, poi trasfuso nell’art. 113 del
D. Lgs. 18.8.2000, n. 267, il cui art. 274 ha abrogato la L. n. 142/1990,
prima della modifica successivamente introdotta dall’art. 35, 1° comma
della L. 28.12.2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002).
L’art. 113 del suddetto D.Lgs. n. 267/2000 espressamente contempla
diverse modalità di gestione dei servizi pubblici locali, la cui
scelta, conformemente alle caratteristiche del servizio, è rimessa
all’apprezzamento discrezionale dell’Ente locale che deve avvalersene.
In particolare, i servizi come quello qui considerato, al tempo in
cui lo stesso è stato affidato, potevano essere espletati alternativamente
mediante la gestione in economia, la concessione a terzi, il ricorso ad
azienda speciale ed infine “a mezzo di società per azioni o a responsabilità
limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate
dall’Ente titolare del pubblico servizio…”, di cui alla lett. e).
Con riferimento, in particolare, a quest’ultima ipotesi, la ratio della
disciplina derogatoria rispetto al principio di libera concorrenza è
stata rinvenuta dalla giurisprudenza nel rapporto di strumentalità
della Società di capitali rispetto ai bisogni dell’Ente locale (cfr.:decisioni
del Consiglio di Stato: sez. V- 19.2.1998, n. 192; sez. V- 6.4.1998, n.
435; sentenze: T.A.R. Piemonte- sez. II – 21.3.1996, n. 159; T.A.R. Piemonte-
sez. II – 14.10.1999, n. 529; T.A.R. Lombardia – Milano- 29.3.2001,
n. 2917), il che tuttavia presuppone necessariamente che l’Ente locale
in questione sia in grado di effettuare un efficace controllo sulla gestione
della medesima.
Un primo problema che si è posto in ordine all’applicazione
di quest’ultima norma è stato quello pertinente la possibilità
che il capitale sociale sia posseduto o meno interamente dall’Ente locale.
La soluzione data dalla giurisprudenza è stata che sia possibile
anche una partecipazione parziale al capitale sociale da parte dell’Ente
pubblico, atteso che l’uso della disgiuntiva tra i due termini “posseduta”
e “partecipata” utilizzata dall’art. 22, 3° comma, lett. e) della L.
n. 142/1990 (ora art. 113 del D.Lgs. n. 267/2000) ha fatto ritenere detto
requisito come minimo, senza che la partecipazione dovesse significare
prevalenza del capitale pubblico, ferma peraltro la persistenza di un effettivo
potere di controllo sulla gestione della società (cfr. sentenza
TA.R. Emilia Romagna- sez. I Bologna 13.7.1998, n. 271) .
Nel caso in cui la Società sia a capitale misto, vale a dire
tanto privato quanto pubblico, la giurisprudenza ha ritenuto che l’obbligo
di indire una gara per l’acquisizione del socio privato esonerasse successivamente
la stessa Società dall’indire una successiva per l’affidamento del
servizio, sicché è soltanto in detta fase che trova applicazione
il principio di libera concorrenza (cfr. decisioni del Consiglio di Stato:
sez. V- 19.9.2000, n. 4850; sez. V – 22.5.2001, n. 2835; sentenze: T.A.R.
Toscana 19.2.1999, n. 208; T.A.R. Toscana 12.9.2001, n. 1337; T.A.R. Umbria
10.8.2001, n. 428) .
Ulteriore questione di non agevole definizione è quella integrata
dalla possibilità che più Enti pubblici concorrano nel possedere
il capitale sociale.
Secondo l’indirizzo espresso dal Consiglio di Stato, rientrerebbe nell’ipotesi
contemplata al visto art. 22, 3° comma, lett. e) della L. n. 142/1990
(ora art. 113 del D.Lgs. n. 267/2000) il caso in cui una pluralità
di Enti locali detenga il capitale sociale, il che sarebbe in particolare
opportuno quando gli Enti locali interessati siano di dimensioni ridotte,
per cui il loro accorpamento renderebbe possibili efficaci sinergie atte
a garantire un servizio ottimale(cfr. decisioni del Consiglio di Stato:
sez. V – 30.4.2002, n. 229; sez. V – 25.6.2002, n. 3448).
Osserva, al riguardo, il Collegio che, sul piano di una lettura meramente
letterale, il richiamato art. 22, 3° comma, lett. e) fa propendere
per l’accoglimento della suddetta tesi, poiché il ricorso
alla Società di capitali sarebbe da prescegliere in ogni caso in
cui “ sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito territoriale
del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”.
3 - In relazione alla possibile interferenza che la suesposta conclusione
profili con riferimento ai richiamati generali principi di genesi comunitaria,
occorre ora esaminare anche il nuovo quadro normativo delineato per effetto
del citato art. 35, 1° comma della L. 28.12.2001, n. 448, che, seppure
nella sola ipotesi di una gestione delle reti, degli impianti e delle altre
dotazioni patrimoniali separata da quella di erogazione dei servizi, la
quale ricorre invece nel caso in esame, prevede in modo chiaro la possibilità
che per tale gestione “gli Enti locali, anche in forma associata, si avvalgano
di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali
con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati”.
Ancorché si tratti di un’ipotesi diversa da quella di cui alla
presente causa, ne appare indubbio il rilievo sul piano interpretativo,
rafforzando detta norma l’ipotesi sopra formulata che, in disparte
restando la sola acquisizione di un eventuale partner privato, qualsiasi
forma di partecipazione societaria da parte dell’Ente locale possa esonerare
la società di capitali dall’obbligo di indire una gara per l’esercizio
del servizio pubblico nel territorio di ciascun ente associato (cfr.citata
decisione del Consiglio di Stato- sez.V- 25.6.2002, n. 3448).
A parere del Collegio, tuttavia, la conseguenza che pare discendere
da una siffatta lettura dell’esaminata disposizione nazionale coincide,
senza riserve, con il potenziale venir meno di ogni possibilità
di effettivo controllo sulla gestione sociale, soprattutto quando la partecipazione
al capitale sia meramente nominale, come si verifica nella vicenda sub
judice e dunque con l’infigurabilità in tale ipotesi della gestione
“in house” del servizio.
In tal modo, infatti, sembra configurarsi il superamento della ratio
sottesa alla previsione contenuta nel visto art. 22, 3° comma, lett.
e) della L. n. 142/1990, posto che una partecipazione assai contenuta da
parte degli Enti locali al capitale sociale pare più correttamente
significativa di un mero investimento finanziario, senza che la società
di capitali possa fungere da mera espressione esterna dell’Ente pubblico.
Nel caso di specie, per conseguenza, possedendo il Comune di Cingia
De’ Botti unicamente lo 0,97% delle azioni della Società Padania
S.p.A., alla quale è stato affidato in via diretta il servizio di
manutenzione della rete e di distribuzione del gas, quest’ultima non pare
possa essere considerata un’articolazione esterna del Comune, separata
da questo in virtù della sua natura di società di capitali,
apparendo in realtà assimilabile a un qualsiasi operatore del mercato,
come è dimostrato dal fatto che, secondo quanto si legge nello Statuto,
essa può svolgere la propria attività imprenditoriale anche
al di fuori dell’ambito territoriale proprio degli Enti locali che detengono
il suo capitale: da tale ampia possibilità operativa consegue che
detta Società, per il solo fatto di essere partecipata da Enti locali,
per un verso ottiene l’affidamento diretto dei servizi pubblici locali,
con violazione del principio di libera concorrenza rispetto ad altre Società
attive nell’ambito territoriale di tali Enti locali, e, dall’altro, opera
al di fuori di detta area per l’eventuale aggiudicazione di ulteriori mediante
concorso con altre imprese: il che sembra concorrentemente integrare, a
parere del Collegio, una ingiustificata deroga al principio di concorrenza,
tenuto soprattutto conto che l’area territoriale nella quale detto generale
principio non opererebbe è potenzialmente illimitata, potendo essa
incrementarsi, dopo la costituzione di società di capitali con il
successivo ingresso nella compagine sociale di altri enti, il cui territorio
si sommerebbe conseguentemente al primo ai fini dell’affidamento diretto
del servizio alla stessa società.
L’attualità della suesposta questione interpretativa, che si
sottopone all’attenzione della Corte di Giustizia, è nella specie
dimostrata dal fatto che, quanto allo specifico settore della distribuzione
del gas naturale, il D. Lgs. 23.5.2000, n. 164, emanato in attuazione della
Direttiva 98/39/CEE, seppure preveda, al suo art. 14, che l’affidamento
del servizio avvenga esclusivamente mediante gara, dalla cui partecipazione
sono escluse quelle Società che gestiscano nel territorio italiano
o di altri Paesi dell’Unione europea servizi pubblici locali loro conferiti
al di fuori di una gara pubblica, ha tuttavia previsto, al successivo art.
15, un regime transitorio, fissato in un minimo di cinque anni a decorrere
dal 31.12.2000 e che può essere prorogato da uno a sei anni
qualora ricorrano le condizioni tassativamente indicate al comma 7°,
lett. a), b) e c) del detto articolo.
Inoltre, con riguardo agli affidamenti già in essere alla data
di entrata in vigore del decreto in esame, vale a dire alla data del 5.7.2000,
il 9° comma della stessa norma prevede che essi siano mantenuti “per
un periodo non superiore a dodici anni a partire dal 31 dicembre 2000”,
anche se non siano stati conferiti in esito ad una gara pubblica.
Di fronte ad un siffatto disegno legislativo, se appare ragionevole
convenire sull’opportunità che la liberalizzazione della distribuzione
del gas introdotta in attuazione della richiamata direttiva 98/397CEE sia
inserita in via graduale negli ordinamenti degli Stati membri, il problema
che si profila nell’ordinamento italiano appare, tuttavia, peculiarmente
connotato, da una parte, dalla generalizzata possibilità di affidamenti
diretti del servizio di distribuzione a società con partecipazione
pubblica assai modesta e conseguentemente in vaste aree di territorio e,
dall’altra, dall’eventualità che, come ricorre in concreto, l’affidamento
diretto, di per sé oggettivamente indice di una vulnerazione del
principio di concorrenza, possa trovare conferma, laddove non sia addirittura
prorogato oltre la data del 31.12.2005, in difetto peraltro di ogni giustificazione
di natura transitoria: il che pare complessivamente indubitare la retta
applicazione nell’ordinamento nazionale della Direttiva 93/38/CEE.
4 - Alla luce delle suesposte argomentazioni, è avviso del Collegio
che nel caso di specie non possa darsi applicazione alle disposizioni nazionali,
per le quali è stato sopra delineato il potenziale contrasto con
le norme del Trattato CEE, ma che la questione della loro interpretazione,
involgendo l’introduzione negli ordinamenti degli Stati membri di un regime
di liberalizzazione nella gestione dei servizi pubblici, presuppone una
meditata verifica da parte della Corte di giustizia di quanto sopra illustrato
al fine di chiarire se, in sede di applicazione dei generali principi di
cui agli artt. 43, 49 e 81 del Trattato CEE, questi ultimi possano e debbano
trovare applicazione con riferimento all’ipotesi in concreto ricorrente,
in cui sia intervenuto un affidamento diretto, al di fuori, cioè,
di una previa gara, a favore di società a capitale pubblico con
partecipazione allo stesso del tutto minoritaria in capo all’Ente locale
e, comunque, incapace di assicurare ai medesimi enti un controllo effettivo
sulla gestione.
In relazione alle suesposte considerazioni è dunque necessario
sospendere il presente giudizio e rinviare la definizione della questione
pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 (ex art. 177) del Trattato alla Corte
di Giustizia affinché si pronunci sulla conformità agli artt.
43 (ex art. 52), 49 (ex art. 59) e 81 (ex art.85) del Trattato del combinato
disposto dell’art. 22, 3° comma, lett. e) della L. 8.6.1990, n. 142,
dell’art. 113, 1° comma del D. Lgs. 18.8.2000, n. 267 e dell’art. 15
del D. Lgs. 23.5.2000, n. 164.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia- Sezione staccata
di Brescia – riservata ogni ulteriore pronuncia nel merito e sulle spese,
ORDINA
alla Segreteria della Sezione di trasmettere la presente ordinanza,
unitamente agli atti di causa ed a copia della sentenza non definitiva
depositata in pari data e delle norme giuridiche nazionali citate, alla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, perché, ai sensi
dell’art. 234 (ex 177) del Trattato, si pronunci pregiudizialmente sulla
seguente questione:
1)“Se gli artt. 43, 49 e 81 del Trattato, laddove vietano rispettivamente
le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno
Stato membro nel territorio di un altro Stato ed alla libera prestazione
dei servizi all’interno della Comunità nei confronti dei cittadini
degli Stati membri, nonché le pratiche commerciali e societarie
idonee ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nell’ambito
dell’Unione europea, ostino a che sia previsto l’affidamento diretto e,
cioè, senza l’indizione di una gara, della gestione del servizio
pubblico di distribuzione del gas a Società a partecipazione pubblica
comunale, ogni volta che detta partecipazione al capitale sociale sia tale
da non consentire alcun possibile controllo diretto sulla gestione stessa
e se debba conseguentemente affermarsi che, come ricorre nel caso di specie,
ove la partecipazione è pari allo 0,97%, non si configurino gli
estremi della gestione in house ”.
Così deciso, in Brescia, nelle camere di consiglio dell’8 ottobre
2002, 17 dicembre 2002 e 14 febbraio 2003, dal Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Francesco MARIUZZO - Presidente;
Sergio CONTI – Giudice;
Rita TRICARICO - Giudice estensore
ordinanza depositata il 14.5.2003 con il n. 681
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