Cass. civ., Sez. III,
Sentenza n. 16031 del 2007, in materia
di errore e dolo nella compravendita di azioni
Va premesso
che in
materia di compravendita delle azioni di una società, che si
assuma stipulata ad un prezzo non
corrispondente al loro
effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna
garanzia in ordine alla situazione
patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di
cui
all'art. 1429 cod. civ., n. 2, relativo all'errore essenziale.
Pertanto, non è configurabile
un'azione di annullamento della compravendita basata su una
pretesa revisione del prezzo tramite la
revisione di atti contabili per dimostrare quello che non
è altro che un errore di valutazione da
parte dell'acquirente, anche quando il bilancio della società
pubblicato prima della vendita sia
falso e nasconda una situazione, in forza della quale debbono
applicarsi le norme in materia di
riduzione e perdita del capitale sociale.
Quanto, poi,
al tema
del dolo - i cui elementi nell'ambito negoziale non divergono da quelli
che concorrono a concretizzare, sotto il
profilo
soggettivo, il reato di truffa, - il cui mancato
esame
da parte della Corte di merito censura
la ricorrente - deve rilevarsi che il dolo
costitutivo
del delitto di truffa non è
ontologicamente, nè sotto il profilo intensivo, diverso da
quello
che vizia il consenso negoziale,
entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati
dall'agente
e diretti ad indurre in errore
l'altra parte e così a viziarne il consenso (Cass.
10.12.1986
n. 7322). Inoltre, le false od
omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è
indispensabile
alla controparte per una
corretta formazione della sua volontà contrattuale possono comportare l'annullamento del contratto per
dolo, nel caso in cui la controparte, qualora fosse stata
a conoscenza delle circostanze
maliziosamente taciute, non avrebbe concluso il contratto, o possono comportare l'obbligo per il contraente
mendace o reticente di risarcire il danno, ove la controparte
si sarebbe comunque determinata a
concludere l'affare ma a condizioni diverse, salvo che
il contraente mendace non provi che la
controparte era comunque a conoscenza dei fatti da lui maliziosamente
occultati o che avrebbe potuto
conoscerli, usando la normale diligenza.
SVOLGIMENTO
DEL
PROCESSO
Con
atto di citazione
notificato il 3-10 febbraio 1993 la srl Ircoss conveniva, davanti al
tribunale
di Roma, la
spa Iritech esponendo che:
a)
il 24 maggio 1991
aveva acquistato dalla Iritech 6.028 azioni della partecipata
Tecno.s.san al
prezzo
di L. 15.000
ciascuna (in luogo di quello nominale di L. 10.000), per un totale di L.
90.420.000;
b)
il successivo 31
maggio 1991 aveva acquistato ulteriori 17.972 azioni, al prezzo
unitario di L.
15.000,
per un importo
di L. 269.580.000;
c)
il pagamento di
tale secondo acquisto era stato differito al 31 maggio 1992, gravato
degli
interessi
del 15% e
garantito da due distinte fideiussioni accese dalla stessa Ircoss
presso la
Banca
di Roma il 28
maggio 1991, per L. 150.000.000 e per L. 119.580.000, oltre interessi ed
accessori;
d)
la Iritech aveva
assicurato un rapido ripianamento delle perdite, esposte in bilancio
per L.
566.620.000,
mediante
il pronto impiego di macchine di cui aveva la disponibilità in
forza di
contratti
di leasing;
e)
alla chiusura del
bilancio dell'esercizio 1991, invece, era stato appurato che le perdite
ammontavano
a L.
1.135.000.000;
f)
le macchine, che
costituivano i mezzi strumentali per l'attività della
Tecno.s.san, non
potevano
essere
usate, a seguito della decisione del Tar Lazio del 16.6.1990.
Sulla
base di tali
premesse la società attrice denunciava che la indicata condotta,
tenuta dagli
amministratori,
concretizzava gli estremi della culpa in contrahendo, nonché del
reato di truffa,
per
il quale si
riservava di agire in separata sede.
Chiedeva,
quindi,
che, accertata l'esistenza di uno scorretto comportamento della
controparte, il
tribunale
dichiarasse
tenuta e condannasse la Iritech al risarcimento di tutti i danni
subiti, in
misura
da accertare
in corso di causa; inoltre che fosse accertato il suo legittimo rifiuto
di non
corrispondere
il
saldo del prezzo convenuto.
Con
successivo atto
di citazione, poi, la stessa Ircoss conveniva, sia la Iritech, sia la
Banca di
Roma
affinché, sulla
base delle stesse premesse in fatto, fosse accertato e dichiarato il
vizio
del
proprio consenso
al momento della conclusione del contratto di acquisto delle azioni e,
conseguentemente,
fossero annullati i due contratti, con la condanna della Iritech alla
restituzione
della
somma ricevuta in conto prezzo, ed al risarcimento dei conseguenti
danni.
Chiedeva,
inoltre,
che fossero dichiarati l'annullamento e l'inefficacia, ex artt. 1462 e
1941
c.c.,
della
condizione prevista nei contratti di fideiussione, in base alla quale,
al fine
di
sospenderne
l'efficacia, alla garante Banca di Roma non poteva essere opposta
alcuna
eccezione,
relativa
alla
validità del contratto di compravendita.
Chiedeva,
ancora, che
fosse dichiarata anche la nullità delle clausole dei due
contratti
fideiussori
che
stabilivano, l'una, l'obbligo dell'Istituto di credito fideiussore di
rimborsare
al
creditore
garantito Iritech le somme che fossero state incassate e che dovessero
essere
restituite,
a seguito
dell'annullamento o della revoca dei pagamenti stessi; l'altra,
l'obbligo
del
medesimo
fideiussore di pagare alla Iritech la somma garantita a semplice
richiesta
scritta,
anche
in caso di
opposizione, conservando la garanzia anche in deroga all'art. 1939 c.c..
Da
ciò l'attrice
desumeva l'inesistenza di qualunque obbligo per la Banca di Roma, di
adempiere
a
richieste
di
attivazione della garanzia fideiussoria che le fossero rivolte dalla
garantita
Iritech,
chiedendo,
in via subordinata, la declaratoria dell'inesistenza di un diritto di
regresso
nei
suoi confronti.
Si
costituivano la
Iritech e la Banca di Roma in entrambi i giudizi, poi riuniti,
contestando il
fondamento
delle
domande proposte, delle quali chiedevano il rigetto.
Nelle
more di tale
giudizio, la Iritech, con ricorso del 5- 11.10.1993, chiedeva ed
otteneva
decreto
ingiuntivo
nei confronti della Banca di Roma, per il saldo prezzo.
Avverso
il decreto
ingiuntivo la Banca di Roma proponeva opposizione convenendo, oltre la
Iritech anche, per manleva, il debitore
principale
Ircoss.
In
corso di causa era
dichiarata la provvisoria esecuzione del decreto opposto, e la Banca di
Roma
corrispondeva
alla
Iritech, con salvezza dell'esito del giudizio di opposizione, la
relativa
somma.
Con
riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il
tribunale, con
sentenza
n.
21649/99 del
5.11.1999 - ritenuta la validità delle garanzie fideiussorie e
dei contratti di
compravendita
-
confermava il decreto ingiuntivo e condannava la Ircoss a pagare alla
Banca di
Roma
le somme da
questa corrisposte alla Iritech in forza delle attivate garanzie.
Con
altra sentenza in
pari data (n. 21654-99), poi, lo stesso tribunale rigettava tutte le
domande
proposte
dalla Ircoss
con l'atto di citazione 3-10.2.1993.
Con
atto di appello
notificato il 21.2.2000, la Ircoss impugnava la sentenza n. 21649/99,
avverso
la
quale la Banca di
Roma proponeva appello incidentale condizionato.
La
Corte d'Appello,
con sentenza n. 3570/2002 del 15.10,2002, rigettava la impugnazione
proposta
dalla
Ircoss.
Contemporaneamente,
con atto di appello notificato lo stesso 21.2.2000, la Ircoss impugnava
anche
la
sentenza n.
21654/99 chiedendone la riforma.
Si
costituivano la
Iritech e la Banca di Roma che, viceversa, ne chiedevano la conferma.
La
Corte d'Appello,
con sentenza n. 3569/02 del 15.10.2002, rigettava la proposta
impugnazione.
Osservava
la Corte di
merito che:
a)
la compravendita
aveva avuto ad oggetto un pacchetto azionario, e non il patrimonio della
società,
ne' il
risultato della sua attività imprenditoriale. L'acquirente di
tale pacchetto,
pertanto,
non poteva
dolersi, ne' del fatto che il patrimonio della società non
rispondesse alle
sue
aspettative, ne'
che la società, della quale aveva acquistato azioni, non
producesse utili;
b)
dell'insita
aleatorietà dell'affare, l'acquirente delle azioni non poteva
non essere
consapevole,
sia
perché la società le cui azioni erano state
compravendute, era stata costituita
da
appena un anno per
svolgere un'attività innovativa ad alto contenuto tecnologico,
sia perché
l'amministratore
unico dell'acquirente Ircoss aveva più di un'occasione per
accertare i fatti
ritenuti
fondanti il
dolo della cedente nella conclusione della vendita;
c)
in ipotesi di
vendita di azioni, il difetto di qualità della cosa venduta deve
attenere
unicamente
alle
"qualità" dei diritti e degli obblighi che in concreto la
partecipazione azionaria
è
idonea ad
attribuire, e non il patrimonio sociale o la redditività
dell'impresa. Nella
specie,
mentre,
da un lato,
la venditrice Iritech non aveva prestato alcuna garanzia al riguardo,
dall'altro,
l'acquirente Ircoss, visti i fatti che avevano preceduto la conclusione
della
compravendita
delle
azioni, non poteva invocare l'esistenza di un dolo del venditore in
termini di
violazione
dei doveri
di informativa relativi alla reale consistenza patrimoniale della
Tecno.s.san;
In
particolare,
sempre nell'ottica della culpa in contrahendo, non aveva alcun rilievo
la
circostanza
che la
Iritech non avesse informato l'acquirente del sequestro cui era stato
sottoposto
l'unico
macchinario installato e l'esito delle analisi sul suo funzionamento.
Infatti,
per
un verso
l'attività della Tecnossan si poneva in termini di
sperimentazione di una
tecnologia
altamente
innovativa,
ed in fase di messa a punto; per altro verso, poi, l'amministratore
della
Ircoss
era uno dei
maggiori esperti italiani del settore della sterilizzazione dei rifiuti
ospedalieri;
d)
in ogni caso, il
legale rappresentante della Ircoss aveva avuto modo di esaminare i libri
contabili
della
Tecno.s.san ed il bilancio del primo esercizio sociale;
e)
la piena
legittimità delle fideiussioni prestate dal Banco di Roma; ed in
particolare
della
clausola
cd. " a
prima richiesta". Avverso la sentenza n. 3569/2002 ha proposto ricorso
per
Cassazione
la Ircoss
srl affidato a due motivi illustrati da memoria. Resistono con
controricorso
la
spa Iritech e
Capitalia spa (già Banca di Roma spa).
Anche
avverso la
sentenza n. 3570/2002 la Ircoss srl ha proposto ricorso per cassazione
affidato
a
due
motivi.
Resistono
con
controricorso, in entrambi i giudizi, la Iritech spa e Capitalia spa
(già Banca
di
Roma
spa) che - nel
giudizio di R.G. n. 6419/03 - ha anche proposto ricorso incidentale
condizionato.
La
ricorrente ha, inoltre, chiesto la riunione del giudizio di R.G.
6419/03 +
7809/03
a quello di
R.G. 6415/03, considerato che le motivazioni delle due decisioni
impugnate,
sono
coincidenti e
trattano identici argomenti.
MOTIVI
DELLA
DECISIONE
Preliminarmente
va disposta
la riunione del giudizio di R.G. n. 6419- 03 + 7809 - 03 a quello di
R.G.
n. 6415/03,
riguardando cause connesse per l'oggetto e per i soggetti.
Infatti,
l'istituto
della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto
dall'art.
274
cod. proc. civ.,
in quanto volto a garantire l'economia ed il minor costo dei giudizi,
oltre
alla
certezza del
diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in
relazione a
ricorsi
proposti
contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al
precetto
costituzionale
della
ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione
semplificatoria
ed
acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta
finale
sulla
domanda di
giustizia, ed in conformità al ruolo istituzionale della Corte
di Cassazione,
che,
quale organo
supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l'esatta
osservanza e
l'uniforme
interpretazione della legge, nonché l'unità del diritto
oggettivo nazionale
(Cass.
19.1.2007
n. 1237).
Nel
merito.
Con
il primo motivo
di entrambi i ricorsi la società ricorrente denuncia la
violazione dell'art.
112
cod. proc. civ. e
degli artt. 1337, 1391 e 1439 cod. civ. - omessa, insufficiente e
contraddittoria
motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalla
parte in
relazione
ai nn. 3 e
5 cod. proc. civ..
Tale
motivo investe i
punti della sentenza relativi all'esame ed alla decisione sulle domande
proposte
dalla
società Ircoss, finalizzate alla dichiarazione di
invalidità ed inefficacia dei
contratti
di
compravendita delle azioni Tecno.s.san., dalla stessa conclusi con la
Iritech,
nonché
alla
restituzione del
prezzo pagato ed al risarcimento dei danni.
La
ricorrente
contesta alla Corte di merito il mancato esame di risultanze
probatorie; in
sostanza,
lamenta la
mancata pronuncia sul capo della domanda relativo all'accertamento della
truffa,
quale
presupposto della domanda di annullamento dei contratti di
compravendita delle
azioni
Tecno.s.san..
Inoltre,
- sostiene -
la Corte ha motivato il mancato esame dei fatti dedotti e provati con
procedimento
logico
errato e motivazione contraddittoria; è, cioè, incorsa in
errore, allorquando,
considerando
che il
valore della azioni non fosse motivo idoneo all'annullamento dei
contratti, ha
ritenuto
irrilevanti
gli artifici posti in essere al fine di attribuire alle azioni un valore
superiore.
Inoltre,
ha commesso
errori nella ricostruzione dei fatti di causa, in ordine ai quali ha
motivato
in
maniera
insufficiente così da trarre "motivo di esclusione del dolo da
ciò che,
invece ne
rappresenta
la
prova."
Il
motivo non è
fondato.
Va
premesso che in materia di compravendita
delle azioni di una società, che si assuma stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro
effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna
garanzia in ordine alla situazione
patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di
cui
all'art. 1429 cod. civ., n. 2, relativo all'errore essenziale.
Pertanto, non è configurabile
un'azione di annullamento della compravendita basata su una
pretesa revisione del prezzo tramite la
revisione di atti contabili per dimostrare quello che non
è altro che un errore di valutazione da
parte dell'acquirente, anche quando il bilancio della società
pubblicato prima della vendita sia
falso e nasconda una situazione, in forza della quale debbono
applicarsi le norme in materia di
riduzione e perdita del capitale sociale (Cass. 29.8.1995
n. 9067).
Occorre
a tal fine
tenere presente, sia l'oggetto della causa, vale a dire la
compravendita delle
azioni
di una
società, che si assume stipulata ad un prezzo che non
corrispondeva al loro
effettivo
valore -non
interessa, in questa ottica, se ciò sia dipeso da false
informazioni sociali
-,
nell'ipotesi in
cui il venditore non abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla
situazione
patrimoniale
della
società.
La
soluzione del
problema si sposta, quindi, dal piano societario a quello dell'esame del
contratto
di compravendita
- che pure abbia ad oggetto azioni di una società - secondo i
comuni
principi
inerenti
alla vendita, nella quale non sia prestata alcuna garanzia particolare
da parte
del
venditore.
I
principi dettati in
materia non mutano, per il solo fatto che si tratta della vendita di
azioni
di
società.
Sotto
il profilo
dell'errore, la circostanza che il bilancio della società
pubblicato prima
della
vendita
sia falso e
nasconda quella situazione in forza della quale si deve applicare la
disciplina
in materia
di riduzione e perdita del capitale sociale non implica il riferimento
ad
una
qualità delle
azioni nel senso di cui all'art. 1429 c.c., n. 2.
Tale norma fa riferimento a due elementi: il comune
apprezzamento o il
riferimento alle
circostanze.
Il
primo profilo
tiene conto della tipica destinazione economica della cosa, e
cioè la sua
destinazione
oggettiva a realizzare il tipico scopo del contratto prescelto.
Deve,
pertanto, trattarsi di caratteristiche
inerenti alla cosa, che non consentono margini di
opinabilità,
in quanto non dipendono da una
valutazione estimativa, e cioè da un criterio di
apprezzamento
del bene, alla stregua della
pura e semplice "convenienza" dell'affare,
nell'economia
di una delle parti.
Diversamente
opinando, si fornirebbe tutela ad un'errata applicazione dell'autonomia
contrattuale,
e
cioè ai motivi che
inducono a contrattare, nonché alle personali valutazioni, di
cui ciascun
contraente
deve
assumersi il rischio.
Infatti,
se per
comune apprezzamento dovesse intendersi il prezzo che l'insieme degli
operatori, e
cioè
il mercato di
quel tipo di cose, attribuisce alle cose stesse, con riguardo alla
vendita,
l'art.
1474 c.c.
anziché applicarsi alle sole ipotesi dalla norma indicate,
sarebbe di
applicazione
generalizzata, perché il difetto di coincidenza fra il prezzo di
mercato od il
giusto
prezzo
ed il prezzo
contrattuale consentirebbe sempre la possibilità di annullare il
contratto.
L'impossibilità
di tutelare i meri errori di
valutazione, che influiscono soltanto sul prezzo,
dipende
dalla stesso sistema dell'autonomia
contrattuale che riserva alla sfera dei motivi
individuali,
ed irrilevanti, l'apprezzamento
in ordine all'utilità dell'affare.
Con
riguardo alle
azioni di società, le qualità delle stesse che, secondo
il comune
apprezzamento,
devono
ritenersi
determinanti del consenso, debbono, pertanto, limitarsi a quelle che
attengono
alla
funzione tipica
delle azioni predette, e cioè all'insieme delle facoltà e
dei diritti che
esse
conferiscono al
loro titolare, nella struttura della società, senza alcun
riguardo al valore
di
mercato di esse,
quale può risultare dal bilancio, dallo stato patrimoniale della
società e da
tutti
gli altri
elementi che influiscono sul loro valore (Cass. 21.6.2006 n. 5773; Cass.
13.12.2006
n. 26690).
Proprio la varietà di detti elementi interni ed esterni - quali
ad es. la
possibilità
di
sviluppo dell'attività economica, la congiuntura di mercato,
l'appartenenza
della
società
ad un gruppo
piuttosto che ad un altro - impedisce di inserire il valore economico
dell'azione
nell'ambito delle sue qualità nel senso di cui all'art. 1429
c.c..
Il
contraente che
compra (o vende) le azioni, infatti, non può essere esposto al
rischio di veder
annullato
il negozio
che ha concluso ad un prezzo concordato, mediante un'azione di
annullamento
che
pretenda di
basarsi su di una revisione del prezzo, tramite la revisione degli atti
contabili,
per
dimostrare quello
che non è altro che un errore di valutazione.
Nè,
in tale ambito,
si può distinguere fra le oscillazioni di valore che rientrano
nell'ambito
degli
elementi
discrezionalmente valutabili e quelle che dipendono dall'esistenza di
circostanze
tali
da portare ad
una modifica della funzionalità della società, quale
è la perdita del capitale
che
impone la sua
messa in liquidazione. Si tratta, infatti, di una differenza di
"misura" che non
incide
sul contenuto
giuridico delle azioni, quale titolo della partecipazione alla
società.
Si
possono, infatti,
ritenere rilevanti le caratteristiche che identificano le diverse
categorie
di
azioni fornite di
diritti diversi, ma non le utilità economiche - e cioè le
aspettative di
profitto
- che
l'acquirente di azioni si prefigge nella sua decisione di acquisto.
L'art.
1429 c.c., n.
2 fa, inoltre, riferimento alle circostanze, e cioè non alle
valutazioni
soggettive
del
singolo contraente, ma alle caratteristiche concrete del contratto, nel
quale
possono
rientrare
dati di fatto e/o criteri di stima influenti sul valore della cosa
venduta.
Ora,
non può dubitarsi
che una cosa è la vendita di azioni, un'altra la vendita di beni
della
società
-contratti
del tutto autonomi e distinti -, posto che diverso è il bene
oggetto della
compravendita.
In
questa ottica,
emerge, in maniera netta, la differenza tra vendita dell'azione - cui
consegue
l'acquisto
della
status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio
nella
s.p.a.
- e la vendita
dell'intero patrimonio o di singoli beni della società. Infatti,
solo in
quest'ultimo
caso,
oggetto della vendita sono i beni della società; e, quindi, non
possono non
trovare
applicazione
le garanzie dovuta dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale.
Nella
vendita di
azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all'oggetto immediato
e, cioè
all'azione
oggetto
del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei
beni
costituenti
il
patrimonio, a meno che l'acquirente, per conseguire tale risultato, non
abbia
fatto
ricorso
ad
un'espressa clausola di garanzia, frutto dell'autonomia contrattuale,
che
consente alle
parti
di rafforzare,
diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da
ricollegare
esplicitamente
il
valore dell'azione al valore dichiarato del patrimonio sociale.
Non
esiste alcuna
norma, infatti, che preveda, in ipotesi di vendita di azioni, il
riferimento al
dato
dell'esattezza e
della veridicità del bilancio, quale necessario parametro del
valore reale
delle
azioni.
La
conseguenza è che,
anche nella compravendita delle azioni, in mancanza di specifiche
garanzie,
assunte
dal
venditore, la determinazione del prezzo delle azioni è rimessa
alla libera
volontà
delle
parti, con
conseguente irrilevanza dell'errore in ordine al valore reale
dell'azione.
Con riferimento, poi, al dolo, che può comportare -
secondo la
giurisprudenza di legittimità
l'annullamento
del contratto in relazione ad
ogni tipo di errore determinante del consenso (Cass. 21.6.1996
n. 5773; Cass. 5.2.2007 n. 2479),
deve precisarsi che non si nega in astratto la
possibilità
che la compravendita di azioni
possa essere affetta dal vizio costituito dal dolo
determinante,
ma si precisa che il semplice
mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della
società non sono da sole sufficienti. In
sostanza, ricorre il dolus malus solo se, tenuto conto
delle circostanze di fatto e delle
qualità e condizioni dell'altra parte, il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie volte a
realizzare l'inganno voluto ed idonee in concreto a sorprendere
una persona di normale diligenza.
Ciò
vuoi dire che il
dolo è rilevante, e la parte ingannata riceve protezione,
soltanto se la
buona
fede non sia
costituita da negligenza o da ignoranza.
Passando
all'esame
della fattispecie concreta, deve, in via preliminare, rilevarsi che la
ricorrente
indulge,
nell'esposizione del motivo, ad una "rivisitazione" nella
ricostruzione dei
fatti
di causa che
appartiene al giudice di merito e non è consentita in questa
sede, se la
motivazione
è esente
da vizi logici e giuridici. Infatti, il motivo di ricorso per
cassazione, con
il
quale la sentenza
impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può
essere inteso
a
far valere la
rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del
merito al
diverso
convincimento
soggettivo della parte.
In
particolare, non
si può proporre - con tale motivo - un preteso, migliore e
più appagante
coordinamento
dei
molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni
all'ambito
della
discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e
dell'apprezzamento dei
fatti,
attengono al
libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter
formativo
di
tale
convincimento, rilevanti ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma
1, n.
5).
In
caso contrario,
infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile
istanza di
revisione
delle
valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una
nuova
pronuncia
sul fatto,
sicuramente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio
di Cassazione
(Cass.
22.2.2006 n.
3881).
Per
la soluzione del
problema si deve partire da un dato incontroverso, e cioè che il
venditore -
nella
specie - non
aveva prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale
della
società.
Ne
consegue che, applicando
i principi esposti in materia di compravendita di azioni e le
conclusioni
cui si è
pervenuti, nessun rilievo può essere mosso al venditore, anche
per
l'eventuale
falsità
dei dati esposti in bilancio.
Quanto,
poi, al tema del dolo - i cui elementi
nell'ambito negoziale non divergono da quelli che concorrono
a concretizzare, sotto il profilo
soggettivo, il reato di truffa, - il cui mancato
esame
da parte della Corte di merito censura
la ricorrente - deve rilevarsi che il dolo
costitutivo
del delitto di truffa non è
ontologicamente, nè sotto il profilo intensivo, diverso da
quello
che vizia il consenso negoziale,
entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati
dall'agente
e diretti ad indurre in errore
l'altra parte e così a viziarne il consenso (Cass.
10.12.1986
n. 7322). Inoltre, le false od
omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è
indispensabile
alla controparte per una
corretta formazione della sua volontà contrattuale possono comportare l'annullamento del contratto per
dolo, nel caso in cui la controparte, qualora fosse stata
a conoscenza delle circostanze
maliziosamente taciute, non avrebbe concluso il contratto, o possono comportare l'obbligo per il contraente
mendace o reticente di risarcire il danno, ove la controparte
si sarebbe comunque determinata a
concludere l'affare ma a condizioni diverse, salvo che
il contraente mendace non provi che la
controparte era comunque a conoscenza dei fatti da lui maliziosamente
occultati o che avrebbe potuto
conoscerli, usando la normale diligenza.
L'accertamento
se si
versi in una ipotesi di dolo determinante o incidente costituisce
valutazione
di
merito, non
sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata
(Cass. 5.2.2007
n.
2479).
Nella specie,
non è contestabile al giudice di merito il mancato esame della
truffa, come
evocato
dalla
ricorrente, posto che lo stesso, nella valutazione dei fatti
costituenti il
dolo
ipotizzato
(in
particolare autopromozione della società e proiezione dei ricavi
futuri), ha
implicitamente
considerato gli stessi anche sotto il profilo della truffa.
Come
già detto,
infatti, il dolo costitutivo del delitto di truffa non è
ontologicamente, ne'
sotto
il profilo
intensivo, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi
risolvendosi
in
artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore
l'altra
parte
e così a
viziarne il consenso.
La
Corte di merito,
infatti, esaminando il caso concreto, è partita dal principio,
pacifico, che
il
contratto di
vendita di quote di società a responsabilità limitata o
di azioni di società
per
azioni,
ha come
oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto
mediato la
quota
parte
del patrimonio
sociale che la partecipazione rappresenta, con la conseguenza che il
difetto
di
qualità della cosa
venduta, ai fini dell'annullamento del contratto per errore o della
risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1497 cod. civ.,
deve
attenere unicamente alla
"qualità"
dei diritti ed obblighi
che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad
attribuire,
mentre non può riguardare il suo
valore economico, in quanto questo non attiene
all'oggetto
del contratto, ma alla sfera delle
valutazioni motivazionali delle parti, e quindi può
assumere
rilievo giuridico solo ove siano
state previste esplicite garanzie contrattuali circa la
consistenza
economica della partecipazione,
ovvero nel caso di dolo di un contraente, che rende annullabile
il contratto in relazione ad ogni
tipo di errore determinante del consenso".
Ha,
quindi, escluso
la rilevanza, nel caso concreto, della prestazione di esplicite garanzie
contrattuali,
mentre,
con riferimento alla ipotizzata sussistenza del dolo ha rilevato che
"L'appellante
identifica il dolo (e quindi la culpa in contrahendo) nella violazione
dei
doveri di
informazione
- cd.
doveri di protezione - attinenti alla vera consistenza patrimoniale
della
TECNO.S.SAN,
ed
all'impossibilità di portare avanti l'unica attività
imprenditoriale della
stessa
società
per difetto
originario dei presupposti tecnici".
Ha
poi aggiunto
"Nello specifico la IRCOSS lamenta che l'omesso esame delle risultanze
istruttorie
avrebbe
impedito al
tribunale di valutare la falsa rappresentazione di un rapido sviluppo
della
TECNO.S.SAN."
concludendo sul punto specifico che "per quanto sopra osservato appare
evidente
l'assoluta
irrilevanza dell'attività di autopromozione della società
in questione (cfr
materiale
pubblicitario
allegato al fasc. di primo grado IRCOSS) e le proiezioni di futuri
ricavi".
Inoltre,
sempre
nell'ottica della culpa in contrahendo, relativamente all'addebito di
avere
taciuto
alla futura
contraente le ulteriori circostanze circa l'esito negativo delle
analisi della
campionatura
sottoposta a sterilizzazione, già conosciute da Ircoss il 15
maggio 1991,
nonché il
sequestro,
presso
Prato, dell'unico camion in circolazione addetto al servizio, ha
rilevato che
"appare
evidente
che tali circostanze non possono considerarsi incidenti stalla
determinazione
dell'acquisto
di una
partecipazione azionaria atteso che, come messo in evidenza dal
Tribunale, il
legale
rappresentante
della IRCOSS, che era anche uno dei massimi esperti in campo nazionale
del
settore
della
sterilizzazione dei rifiuti ospedalieri, aveva avuto ogni
opportunità di
valutare la
realtà
economica e
gestionale dell'azienda, che necessariamente lo doveva avere indotto
anche a
considerare
che
l'attività della IRCOSS si poneva in fase di sperimentazione di
una tecnologia
(sia
pure coperta da
brevetto mondiale) elaborata da altri, di tal che il camion sequestrato
a
Prato
era appunto
dato in gestione alla USL in virtù di sperimentazione. È
da aggiungere che
l'esito
negativo
delle analisi della campionatura sottoposta a sterilizzazione era
parziale e
che
lo
stesso consulente
della IRCOSS si era riservato la facoltà di fare effettuare
ulteriori
analisi".
Ed
ha concluso
"Dunque all'epoca della stipula della cessione la situazione era del
tutto
fluida
(basti
pensare alla
riforma da parte del Consiglio di Stato (s. 28 novembre 1992 n. 951)
della
sentenza
del TAR
LAZIO (s. 16 giugno 1990 n. 1215) che, all'epoca venne citata dalla
IRCOSS come
ulteriore elemento
di valutazione della
condotta della IRITECH)".
In
conclusione, tale
accertamento, condotto dalla Corte d'Appello, costituisce valutazione di
merito,
adeguatamente
motivata, come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass.
5.2.2007 n.
2479).
Con il secondo
motivo di entrambi i ricorsi la società ricorrente denuncia la
violazione
degli
artt. 112 cod.
proc. civ., artt. 1322, 1323, 1344, 1462, 1939, 1941, 1945 cod. civ. -
omesso
esame
- insufficiente
motivazione su punti decisori della controversia prospettati dalla
parte in
relazione
all'art.
360 cod. proc. civ., ai punti nn. 3 e 5.
Censura
la sentenza
impugnata per avere ritenuto che, per effetto dell'obbligo
contrattualmente
assunto
di pagare a
semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione giudiziale o
stragiudiziale
del
debitore, la Banca aveva stipulato un vero e proprio contratto autonomo
di
garanzia
e non
un'ordinaria fideiussione con clausola "solve et repete", la quale
avrebbe fatto
salva,
una volta che
il fidejubente avesse pagato, la possibilità - esclusa dalla
Corte di merito
-
per il debitore
principale di far valere, verso il creditore garantito, le eccezioni
derivanti
dal
rapporto con
questo intercorso. La censura non è fondata.
Anche
a tal fine,
deve premettersi che la ricorrente, con la censura mossa, in
realtà tende ad un
riesame
in ordine
all'interpretazione del contratto di garanzia, che, concretandosi in
un'indagine
di
fatto in ordine
all'intento comune perseguito dalle parti contraenti, è
riservata al giudice
del
merito e, quindi,
può essere censurata in sede di legittimità solo per
inadeguatezza della
motivazione
o per
violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che deve essere
ritenuta
inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà
negoziale operata
dal
giudice
di merito che
si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli
stessi
elementi
di fatto
vagliati dal giudice di merito (Cass. 20.2.2007 n. 3934;
Cass.
29.11.2001 n.
15185).
Ora,
il contratto autonomo di garanzia
(performance bond), definito anche garanzia a prima
domanda,
si configura come una combinazione di
rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il
destinatario
della prestazione, il garante, il
controgarante e il debitore della prestazione.
Caratteristica
fondamentale di tale contratto,
che vale a distinguerlo da quello di fideiussione,
è
la carenza dell'elemento dell'accessorietà:
il garante si impegna a pagare al beneficiario,
senza
opporre eccezioni, ne' in ordine alla
validità, ne' all'efficacia del rapporto di base.
Detti
elementi, che caratterizzano il
contratto autonomo di garanzia e lo differenziano dalla
fideiussione
devono necessariamente essere
esplicitati nel contratto con l'impiego di specifiche
clausole,
quali quella "a semplice
richiesta" o quella "a prima domanda", o altre analoghe, idonee ad indicare la esclusione della facoltà
del
garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al
debitore principale, ivi compresa
l'estinzione del rapporto (Cass. 23.6.2000 n. 8540; Cass. 3.10.2005 n. 19300; nello stesso senso Cass.
20.4.2004 n. 7502; Cass. 9.11.2006 n. 23900).
La
Corte di merito ha rigettato le domande sul
punto proposte dalla Ircoss ritenendo che la
previsione
contrattuale di "pagare
all'IRITECH s.p.a. a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione giudiziale o stragiudiziale del
debitore "non concretizza l'inserimento di una clausola
che prevede una semplice anteriorità
dell'adempimento della garanzia rispetto alla possibilità
di far valere le eccezioni, bensì
la stipula di una vera e propria obbligazione
autonoma
di garanzia, la cui cittadinanza nel
nostro sistema giuridico è da tempo stata
riconosciuta
dalla giurisprudenza di
legittimità e dalla dottrina come valida espressione di
autonomia
contrattuale".
Trattasi
di
motivazione che, seppure succinta, non presenta vizi logici o
giuridici, in
ordine
alla
quale la
ricorrente - alla quale incombeva l'onere - non ha specificato gli
elementi
oggettivi
sui quali
la diversa configurazione prospettata (fideiussione) si sarebbe
fondata; ne'
ha
chiarito quali
sarebbero state le violazioni delle regole di ermeneutica in cui
sarebbe
incorso
il
giudice di merito
nell'interpretazione del contratto, fornendo, piuttosto, una diversa e
più
favorevole
- per la
stessa - interpretazione.
Conclusivamente,
i
ricorsi principali riuniti vanno rigettati e, conseguentemente, va
dichiarato
assorbito
quello
incidentale condizionato proposto da Capitalia s.p.a..
Le
spese del giudizio
di Cassazione, liquidate come in dispositivo, in virtù della
soccombenza,
vanno
poste a carico
della ricorrente. P.Q.M.
La
Corte riunisce i
ricorsi e li rigetta. Dichiara assorbito il ricorso incidentale
condizionato.
Condanna
la
ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore di ciascuna
parte
resistente,
in
complessivi Euro 6.100,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre
spese
generali
ed
accessori di
legge.
Così
deciso in Roma,
nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di
Cassazione,
il 14
giugno 2007.
Depositato
in
Cancelleria il 19 luglio 2007
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