Cass. Civ., sez. III, 12
luglio 2006 n. 15760 in materia di risarcimento dei danni morali da
morte di un congiunto e sui criteri di individuazione e di sussistenza
di tale forma di danno anche con riferimento; sulla eventuale
estensione degli effetti risarcitori derivanti dalla morte di un
congiunto anche ai c.d. parenti di fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 4 luglio 1989 il minore XXX, mentre si trovava a bordo di un
pedalò, nelle acque della rada di Spisone, in Taormina, era
investito, scaraventato in mare e travolto da un idrogetto Yamaha
condotto dal minore XXX. In seguito all'urto il Lombardo decedeva
all'ospedale di Messina.
Con citazione del maggio 1990 i genitori di XXX, ed il fratello
convivente XXX, convenivano in giudizio il conducente del mezzo e per
esso i genitori, i proprietari del mezzo investitore (Costantino
Giovanni e Vinciguerra Maurizio) e l'impresa assicuratrice SARA
assicurazioni Spa e ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni
morali, conseguenti alla morte del congiunto, nonché alla
rifusione dei danni patrimoniali, incluse le spese di costituzione nel
giudizio penale, concluso per effetto della sopravvenuta amnistia. Si
costituivano tutti i convenuti, contestando l'an debeatur, e l'impresa
eccepiva l'inoperatività della polizza, avendo l'idrogetto una
potenza superiore ai 25 cavalli ed esigendo, per la guida, la patente
nautica.
Il Tribunale di Messina, con sentenza del 22 aprile 1998, accertava che
la colpa esclusiva dell'incidente era da ascriversi al conducente
dell'idrogetto e che vi era responsabilità per culpa in
vigilando ed in educando dei genitori, che l'assicurazione copriva il
mezzo e che vi era responsabilità solidale dei proprietari del
mezzo che era stato locato ai frequentatori del luogo.
Il Tribunale liquidava i danni patrimoniali ed i danni morali,
contenendoli in cinquanta milioni di lire per ciascun genitore ed in 25
milioni per il fratello (ai valori del 1998).
Contro la decisione veniva proposto appello principale dagli aventi
causa dal defunto in relazione alla ridotta liquidazione dei danni
morali, e ciò sia in relazione alla gravità del danno,
sia in relazione ai parametri tabellati dal Tribunale di Milano, quale
sede del maggior contenzioso italiano in materia di danni da
circolazione.
Veniva proposto appello incidentale dai genitori del giovane conducente
e dall'impresa assicuratrice in relazione all'inoperatività
della garanzia.
La Corte di appello di Messina, con sentenza del 21 settembre 2001
così decideva: in accoglimento dell'appello principale aumenta
la somma relativa al danno morale da corrispondere nella misura di 100
milioni in favore dei genitori e di 40 milioni in favore del fratello
convivente, con rivalutazioni ed interessi decorrenti dal marzo 1990,
condannando in solido gli appellati a corrispondere le maggiori somme;
rigetta gli appelli incidentali e condanna gli appellati, in solido,
alla rifusione delle spese del giudizio in favore degli appellanti
principali, compensandole tra gli appellati.
Contro la decisione hanno proposto ricorso, in punto di liquidazione
del danno morale, gli aventi causa dal defunto XXX, deducendo unico
motivo di ricorso e hanno depositato memoria; hanno resistito con
controricorso i genitori del conducente minore autore dell'incidente;
hanno proposto ricorso incidentale i proprietari responsabili solidali,
in punto di an e quantum debeatur.
Per la Sara è stata svolta discussione orale. E' stata
depositata memoria dai ricorrenti principali.
I ricorsi sono stati previamente riuniti (art. 335 c.p.c.).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale merita accoglimento, dev'essere invece rigettato
il ricorso incidentale.
Secondo l'ordine logico della questioni dev'essere esaminato per primo
il ricorso incidentale di Vinciguerra Maurizio e Costantino Giovanni,
responsabili civili in quanto proprietari del mezzo investitore.
A. Esame del ricorso incidentale (32971/02).
Il ricorso si articola in due motivi: nel primo motivo si deduce
l'omessa e contraddittoria motivazione della sentenza di appello sia
sull'an che sul quantum debeatur. Sotto il primo profilo la tesi
è che il giudice di appello ha fondato l'accertamento della
responsabilità del minore utilizzando atti e testimonianze rese
nel processo penale e la perizia tecnica ivi contenuta. La Corte nella
sua motivazione non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni della
utilizzazione di tali atti e non avrebbe analizzato le deposizioni
testimoniali.
Sotto il secondo profilo ? la tesi è che la Corte avrebbe
aumentato la valutazione del danno morale, indicando gli elementi di
valutazione personalizzanti, ma disapplicando la limitazione fatta dai
tribunali, inclusi quelli milanesi, che lo delimitano ad un terzo circa
della valutazione del danno biologico.
Nel secondo motivo si chiede la conferma della statuizione della
responsabilità solidale dell'impresa, sul rilievo che la perizia
tecnica sulla potenza del natante conferma che la potenza effettiva era
inferiore ai 25 cavalli e che pertanto il mezzo non esigeva la guida
con patente nautica.
In relazione al primo motivo si osserva che il medesimo è
inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza,
in relazione alla critica dello accertamento della
responsabilità, che invece risulta ampiamente ed analiticamente
motivato dai giudici del riesame (v.ff da 7 a 9 della motivazione).
La produzione della documentazione del processo penale è
avvenuta sull'accordo e nel contraddittorio delle parti e dunque gli
elementi di prova ben potevano essere esaminati e considerati nel
contesto probatorio del processo civile.
Quanto al secondo profilo del prima motivo, la infondatezza deriva
dalla sua non decisività, in relazione alla natura equitativa
della valutazione del danno morale secondo criteri di gravità e
di personalizzazione del danno, avendo un valore meramente orientativo
le tabelle dei tribunali che collegano la valutazione del danno morale
a quella del danno biologico ma sui principi informatori e sulle regole
generali per la tutela del danno morale da morte, si dirà
più ampliamente nella considerazione della fondatezza del
ricorso principale.
Quanto al secondo motivo si osserva che la Sara non ha ulteriormente
impugnato la statuizione che la vede responsabile solidale, onde sul
punto si è formata re giudicata interna. I ricorrenti non
possono dunque dolersi della statuizione che giova alla propria
posizione di solidali.
B. Esame del ricorso principale (31147/02) degli aventi causa dal
defunto XXX.
Lamentano i ricorrenti “la omessa o quanto meno insufficiente
motivazione in ordine ai criteri di liquidazione del danno morale, in
relazione agli artt. 2043 e 2059 c.c.”. Interpretando la censura, come
argomentata nella sua esposizione, essa involge non solo il vizio della
motivazione, ma contestualmente l'error in iudicando per la errata
applicazione dei criteri di risarcimento del danno morale come danno
ingiusto, che viene richiesto iure proprio, come danno consequenziale
alla morte del congiunto.
Lamentano in vero i ricorrenti la iniquità della decisione dei
giudici di appello, e la contraddittorietà della motivazione che
pur corregge in parte la liquidazione a livelli minimali del danno da
morte. Infatti i giudici messinesi, nella sintetica ed apodittica
motivazione, dopo aver sostenuto dì dover tener conto di
parametri “intermedi” (quali “la età della giovane vittima, la
drammaticità e la violenza dell'evento della morte in una
situazione che doveva, invece essere di svago e di divertimento, il
conseguente dolore dei genitori”), per la valutazione della
gravità rilevante dell'evento, (tale da modificare radicalmente
la qualità della vita dei genitori e del fratello convivente),
provvedono ad una correzione parziale dei danni senza tener conto della
natura di debito di valore e dei parametri tabellari posti in essere
dai maggiori tribunali italiani, proprio per assicurare una
parità od omogeneità di trattamento. Si aggiunge che la
discrezionalità del giudice deve essere rivolta alla
conformazione della equità valutativa alla funzione sociale di
deflazione delle controversie soprattutto quando il contraddittorio si
instaura nei confronti delle imprese assicuratrici che contestano la
ragionevolezza della discrezionalità assoluta dei giudici.
Il motivo merita accoglimento con alcune puntualizzazioni, onde
enunciare i principi di diritto cui dovranno attenersi i giudici cui la
lite è rimessa per la rivalutazione del danno morale da morte.
Una prima puntualizzazione attiene alla definizione del danno ingiusto
da morte, nell'ambito dell'illecito civile, che includa anche lo
illecito da circolazione di natanti (cfr art. 2 legge 990/69) come
è nel caso in esame. La struttura dell'illecito, è
identica a quella descritta dallo art. 2043 c.c., come clausola
generale del neminem laedere, ovvero come principio regolatore della
materia della responsabilità aquiliana (cfr Cassazione Su
500/99).
Orbene ritiene questa Corte, dopo aver constatato la infondatezza del
ricorso incidentale, che i parenti del defunto, vittima primaria,
abbiano dato la prova del fatto storico dell'illecito civile con danno
ingiusto da morte, e di avere subito, a propria volta, un danno
parentale non patrimoniale, meritevole di tutela ai sensi dell'art.
2059 c.c.. Sulla legittimazione dei parenti per la tutela del proprio
danno del resto non si discuteva neppure nella fase del merito, e
comunque il ricorso incidentale che dubitava dell'an debeatur è
stato respinto ed il dubbio concerneva genericamente la ricostruzione
fattuale.
Il danno parentale è stato chiesto e liquidato come danno subito
iure proprio, direttamente dai familiari stretti, per la perdita del
congiunto, come danno morale derivante dal reato di omicidio colposo
costituente illecito civile.
Poiché questa Corte è vincolata dal motivo del ricorso
principale, che insiste nella richiesta del solo danno morale iure
proprio, non possono venire in esame, se non come obiter sistematico
(descrittivo dell'intera tutela oggi esperibile), il danno morale del
defunto, trasmissibile iure hereditatis (cfr.Cassazione 11601/04),
ovvero il danno biologico del defunto, in relazione alla morte non
immediata, ormai riconosciuto da consolidata giurisprudenza, come
trasmissibile iure hereditatis, sia pure con orientamenti contrastanti
circa i criteri di liquidazione, ovvero ancora il danno da morte come
perdita della integrità e delle speranze di vita biologica, in
relazione alla lesione del diritto inviolabile della vita, tutelato
dall'art. 2 della Costituzione (vedi espressamente Corte Costituzionale
sentenza 132/85) ed ora anche dall'art. II-62 della Costituzione
europea, nel senso di diritto ad esistere, come chiaramente desumibile
dalla lettera e dallo spirito della norma europea.
La dottrina italiana ed europea che riconoscono la tutela civile del
diritto fondamentale della vita, premono per il riconoscimento della
lesione come momento costitutivo di un diritto di credito che entra
istantaneamente come corrispettivo del danno ingiusto al momento della
lesione mortale, senza che rilevi la distinzione tra evento di morte
mediata o immediata. La certezza della morte, secondo le leggi,
nazionali ed europee è a prova scientifica, ed attiene alla
distruzione delle cellule cerebrali e viene verificata attraverso
tecniche raffinate che verificano la cessazione della attività
elettrica di tali cellule. La morte cerebrale non è mai
immediata, con due eccezioni: la decapitazione o lo spappolamento del
cervello.
In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da
illecito è trasferibile mortis causa, facendo parte del credito
del defunto verso il danneggiante ed i suoi solidali.
Ma questa suggestiva problematica, che tiene conto della Costituzione
europea e del principio di prevalenza della fonte costituzionale
europee (art. 16) che integra e completa la fonte italiana sul diritto
alla vita (art. 2 e 3 secondo comma della Costituzione tra di loro
correlati, essendo la vita la condizione esistenziale della espansione
della persona umana), non è interessata dal caso in esame, che
riguarda invece il danno ingiusto parentale conseguente alla morte del
congiunto, danno che è stato ormai stabilmente collocato dentro
l'art. 2059 c.c., dal diritto vivente.
La seconda puntualizzazione, partendo dalla delimitazione del petitum e
della causa petendi, attiene alla individuazione dei principi
informatori (cfr.Corte Costituzionale, sentenza 206/04) ovvero dei
principi regolatori della materia (cfr Cassazione, terza, Sezione
civile, sentenza 382/05), ovvero dei criteri equitativi di valutazione
del danno parentale da morte (cfr. art. 2059 c.c. correlato agli artt.
2056 e 1226 c.c.) che non risultano derogati o modificati dalle leggi
speciali sull'assicurazione di veicoli e natanti (e neppure dal codice
ormai vigente delle assicurazioni).
Tale puntualizzazione si rende doverosa in relazione al contenuto della
censura dedotta in ricorso ed in vero la iniquità o la
insufficienza del risarcimento del danno morale, già evidente
dalla sommaria motivazione, deriva dalla mancata consapevolezza della
efficacia dei principi informatori e regolatori della materia,
sottovalutando la esistenza delle condizioni soggettive rilevanti che
attengono ad interessi personali costituzionalmente protetti. Da
ciò deriva poi la scelta di criteri di risarcimento non
satisfattivi, affidati ad una equità valutativa che rasenta
l'arbitrio e che pretende una insindacabilità, pur violando il
principio fondamentale (informatore, a livello costituzionale,
regolatore a livello codificato) che anche il danno morale, da chiunque
subito, deve essere integralmente risarcito.
1. Principio informatore di rango costituzionale (anche europeo, cfr:
art. II-62 e 63 Costituzione ratificata dall'Italia con legge 57/2005)
è quello del diritto delle vittime al risarcimento totale dei
danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla lesione di
diritti umani fondamentali (cfr. Corte Costituzionale 132/85 e Corte
Costituzionale sentenza 184/86).
Il danno da morte dei congiunti (cd danno parentale) come danno morale
interessa la lesione (divenendo perdita non patrimoniale) di due beni
della vita, inscindibilmente collegati: a) il bene della
integrità familiare, con riferimento alla vita quotidiana della
vittima con i suoi familiari, in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30, 31,
36 della Costituzione (cfr: puntuale il riferimento in Corte
Costituzionale 132/85 cit.); b) il bene della solidarietà
familiare, sia in relazione alla vita matrimoniale che in relazione al
rapporto parentale tra genitori e figli e tra parenti prossimi
conviventi, specie quando gli anziani genitori sono assistiti dai
figli, e ciò in relazione agli artt. 2, 3 29 e 30 della
Costituzione.
L'attuale movimento per la estensione della tutela civile ai PACS
(patti civili di solidarietà ovvero stabili convivenze di fatto)
conduce appunto alla estensione della solidarietà umana a
situazioni di vita in comune, e dunque prima o poi anche i “nuovi
parenti” vittime di rimbalzo lamenteranno la perdita del proprio caro.
Nel caso di specie il danno parentale interessa una societas
stabilizzata con vincolo matrimoniale e discendenza legittima, onde i
referenti costituzionali sono certi.
Questa ricostruzione, costituzionalmente orientata e testata, consente
di capire il principio informatore della tutela risarcitoria integrale
di questa figura di danno morale, principio che informa regole e
criteri sottostanti.
2. Un secondo principio, questa volta regolatore della materia
(illecito da circolazione di veicoli e natanti) si desume
dall'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.,
che la dottrina italiana auspicava, anche attraverso la comparazione
del diritto italiano con quella europeo ed anglosassone che svincolano
il danno morale come lesione della dignità o integrità
morale della persona, dall'accertamento di un fatto reato.
La svolta sistematica giurisprudenziale, come è noto, si
è verificata, come incipit, con la sentenza, compositiva di un
contrasto, delle Su civili 2515/02, che ha affermato la piena autonomia
del danno morale rispetto al danno biologico (in relazione ad un
disastro ambientale), ed è seguita, sempre sul piano
sistematico, ma con orientamento costituzionale dalle due note sentenze
nn. 8827 e 8928 del 2003, confermate dalla meno nota sentenza 16176/03
che le precede nel tempo della deliberazione e contiene utili
precisazioni concettuali.
Il principio regolatore della materia che si desume dall'art. 2059 c.c.
costituzionalmente orientato, ed esteso, pur mantenendo la cd
tipicità delle fattispecie (che esclude la inclusione della
categoria generale del danno esistenziale, che solo il legislatore
può fare, e non già la dottrina creativa del diritto) al
danno parentale, in relazione a posizioni soggettive costituzionalmente
protette di danno non patrimoniale, è dunque quella del
risarcimento integrale del danno morale diretto, subito dai parenti, a
prescindere dall'accertamento del reato (in sede di
responsabilità civile) ed a maggior ragione in presenza di un
fatto reato lesivo della persona anche a titolo di colpa (omicidio
colposo,come è nella specie). Il fatto reato rileva come peso,
come entità da valutare ai fini della complessa valutazione del
danno parentale morale.
La consapevolezza di tale principio giova nella fase della liquidazione
del danno.
La conclusione ermeneutica da trarre, considerando il principio
informatore e quello regolatore, è che la lettura
costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., ferma la
tipicità della fattispecie in relazione al danno ingiusto ed
alla lesione del diritto o dell'interesse della persona, include anche
la qualificazione e la stima del danno morale da reato, e del danno
parentale subito dalla vittima di un omicidio colposo.
3. I criteri informatori della valutazione del danno morale parentale,
iure proprio, si desumono chiaramente dal combinato disposto tra gli
artt. 2056,2059 e 1226 c.c., per la valutazione equitativa del danno
morale, che per la sua stessa natura, non puó essere provato nel
suo preciso ammontare, essendo un danno eminentemente rapportato alle
qualità morali della persona ed alle sue condizioni, oggettive
oltre che soggettive.
Non a caso la Costituzione europea colloca il danno morale sotto il
valore universale della dignità umana (art. II-61) dotata di
inviolabilità e di garanzia giurisdizionale e risarcitoria piena
(art. II-107) e non a caso questa Corte ha collegato la tutela del
danno morale alla integrità morale della persona (Cassazione Su
1338/04 e Cassazione 19057/03).
Il criterio della valutazione equitativa del danno morale, secondo le
regole codificate del codice civile, non è stato toccato dalle
leggi di riforma assicurative, e neppure dalle tabelle attualmente
vigenti nei tribunali italiani, quando includono i criteri di
valutazione di un danno morale strettamente consequenziale al danno
biologico primario e per il medesimo soggetto. Il nuovo codice delle
assicurazioni, vigente dal 1 gennaio 2006, giustamente non se ne
occupa, ad evitare questioni di costituzionalità.
L'applicazione dei criteri di valutazione equitativa al danno ingiusto
morale da illecito della circolazione dei natanti, non appartiene
pertanto all'arbitrio del giudice, ma alla sua prudente
discrezionalità, che è circostanziata, e che considera le
condizioni della vittima e la natura permanente del danno, in relazione
alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti, e della
integrità della famiglia naturale o legittima, ma solidale in
senso etico prima che giuridico.
Non a caso il criterio generale dell'art. 1226 usa le parole “preciso
ammontare”, per indicare la tendenza al rendere totale il ristoro
satisfattivo, nella valutazione di prudente discrezionalità.
Le tre puntualizzazioni sistematiche in ordine ai principi informatori,
regolatori ed ai criteri di valutazione equitativa, giovano dunque alla
considerazione della fondatezza del ricorso, rendendo evidente la
iniquità del risultato valutativo e dunque la violazione delle
norme di diritto, segnatamente indicate nel ricorso con il solo
riferimento ai principi generali ed ai criteri di valutazione.
Riproduciamo per chiarezza l'intero passo della sentenza (ff 11) che
riguarda la rideterminazione del danno morale:
“Va detto a proposito che non possono prendersi in considerazione i
parametri adottati dagli organi giudiziari di Milano perché essi
non hanno carattere di generalità e di certezza. Tenendo conto
però di altri parametri intermedi, della giovane età
della vittima, la drammaticità e la violenza dell'evento della
morte in una situazione, che doveva essere invece di svago e di
divertimento, il conseguente intenso dolore dei congiunti, importa che
il danno morale va valutato ad oggi (31 maggio 2001) in lire 100
milioni per ciascun genitore e lire 50 milioni per il fratello).
Il danno morale parentale, si è verificato, nella lettura
costituzionalmente orientata, come danno diretto non patrimoniale, a
partire dalla consumazione del fatto illecito, che è del 4
luglio 1989 (dodici anni prima della seconda decisione, che lo
ridetermina ancora riduttivamente).
L'analisi dei due argomenti che sostengono la motivazione impugnata
è colpita dalla censura dei ricorrenti: la prima affermazione
è logicamente errata, dal punto di vista della valutazione
equitativa, sempre per la violazione del principio informatore. Dal
punto di vista del danno morale parentale, non conta che il figlio sia
morto a Taormina, nella giurisdizione territoriale di Messina, od a
Gallarate nella giurisdizione territoriale di Milano, od a Roma nel
quartiere dei Parioli ovvero nella sua periferia. Conta la morte in
sé, ed una valutazione equa del danno morale, che non discrimina
la persona e le vittime primarie o secondarie, né per lo stato
sociale, né per il luogo occasionale della morte.
Le tabelle milanesi sono quelle statisticamente testate, per il numero
elevato dei casi giudiziari e delle transazioni extragiudiziarie
italiane.
Esse dunque orientano, per i parametri, in modo statisticamente
più equalitario, delle tabelle del tribunale di Messina, e
dunque motivi di opportunità e di logica, rendono evidente che,
dal punto di vista umano dell'esperienza, esse indicano un criterio
generale di valutazione, che il giudice messinese poteva adottare,
almeno al fine di valutare comparativamente se la propria valutazione
conduceva ad un “ammontare preciso”, minore o maggiore del danno
ingiusto parentale.
La seconda affermazione, quella che pone sulla bilancia della
equità, il peso della gravità del danno utilizzando i
parametri intermedi, è invece claudicante.
In vero non si tratta di parametri, ma di circostanze e di condizioni,
indicate alla rinfusa, posto che in parte attengono al danno diretto
della vittima (la età, la violenza dello evento della morte, la
morte che viene durante una vacanza) in parte attengono al danno
diretto dei parenti (inteso riduttivamente come dolore transeunte,
senza alcuna considerazione delle perdite permanenti della
integrità e della solidarietà familiare, che pure erano
intrinseche alle circostanze dedotte dai ricorrenti). Sulla bilancia
della gravità il peso del danno parentale doveva essere
esattamente compiuto, posto che sull'altro piatto dell'equità il
giudice poneva il peso del criterio della valutazione personalizzante,
che deve avvicinarsi, il più possibile al preciso ammontare del
danno.
Ma la scelta di questo secondo peso, perfettamente equilibratore
è totalmente mancata. Un solo verbo : importa. C'é una
assoluta contraddittorietà, manca la prudente
discrezionalità, manca il criterio informatore della
personalizzazione.
Se anche il legislatore del codice delle assicurazioni ha mantenuto il
rispetto dei principi regolamentatori della materia del danno morale
come danno non patrimoniale, aderendo alla giurisprudenza della
Cassazione, peraltro condivisa dalla Corte Costituzionale (sentenza
233/03) non si vede come, nella motivazione, necessariamente analitica
e circostanziata, del giudice del merito, non appaia un chiaro
riferimento ad un parametro equitativo che consideri la entità
del danno morale, accertato in misura lieve, grave, gravissima, e la
traduca in un congruo equivalente economico, paragonato a tale
entità.
Il sistema della congrua offerta, introdotto nelle leggi RCA e quindi
consolidato come principio di esatto adempimento, negli artt. 148 e 149
del codice delle assicurazioni, evidenzia il principio generale che
l'impresa solidale è tenuta a fare una offerta adeguata
all'insieme dei danni, patrimoniali e non patrimoniali (incluso il
danno biologico) pur nei limiti del massimale. Orbene il massimale
prevede il ristoro del danno da morte, che si estende anche ai
familiari, ed indica una cifra elevata (anche nel minimo tabellare di
legge).
Il parametro di valutazione equitativa del danno morale parentale deve
dunque partire dalla soglia della gravità e della permanenza
degli effetti del danno ingiusto, nei termini come sopra precisati, e
potrà utilizzare i parametri tabellari utilizzati attualmente
dai Tribunali o dalle Corti, rispettando il principio della
personalizzazione ed il criterio equitativo dell'approssimazione al
preciso ammontare, così come potrà utilizzare, sempre
orientativamente, le tabelle nazionali di prossima approvazione proprio
nell'ambito delle lesioni gravi di cui all'art. 138 del codice delle
assicurazioni.
Quello che il giudice di merito non può fare è la
applicazione automatica delle tabelle, sia convenzionali che nazionali,
le quali sono state concepite per la stima del danno biologico, il
quale è per natura e per essenza, la lesione della
integrità psicofisica, mentre il danno morale è per
natura ed essenza la lesione della integrità morale, dove il
termine “integrità” scelto dalla Costituzione europea per
descrivere il valore universale e cristiano della dignità umana,
esprime la centralità dell'uomo nell'ordine costituzionale della
unione europea, di cui siamo Stato membro e fondatore.
Alla luce di queste considerazioni la censura dei ricorrenti merita
accoglimento, e la sentenza di appello viene cassata con rinvio alla
Corte di appello di Reggio Calabria che si atterrà ai principi
di diritto come sopra formulati, per la corretta valutazione del danno
parentale morale diretto, provvedendo anche in ordine alle spese di
questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta quello
incidentale, cassa in relazione e rinvia anche per le spese di questo
giudizio di cassazione alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Roma 6 aprile 2006.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 12 LUGLIO 2006
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