Aggiornamento - Civile

 

 

Cass. Civ., sez. III, 12 luglio 2006 n. 15760 in materia di risarcimento dei danni morali da morte di un congiunto e sui criteri di individuazione e di sussistenza di tale forma di danno anche con riferimento; sulla eventuale estensione degli effetti risarcitori derivanti dalla morte di un congiunto anche ai c.d. parenti di fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 4 luglio 1989 il minore XXX, mentre si trovava a bordo di un pedalò, nelle acque della rada di Spisone, in Taormina, era investito, scaraventato in mare e travolto da un idrogetto Yamaha condotto dal minore XXX. In seguito all'urto il Lombardo decedeva all'ospedale di Messina.
Con citazione del maggio 1990 i genitori di XXX, ed il fratello convivente XXX, convenivano in giudizio il conducente del mezzo e per esso i genitori, i proprietari del mezzo investitore (Costantino Giovanni e Vinciguerra Maurizio) e l'impresa assicuratrice SARA assicurazioni Spa e ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni morali, conseguenti alla morte del congiunto, nonché alla rifusione dei danni patrimoniali, incluse le spese di costituzione nel giudizio penale, concluso per effetto della sopravvenuta amnistia. Si costituivano tutti i convenuti, contestando l'an debeatur, e l'impresa eccepiva l'inoperatività della polizza, avendo l'idrogetto una potenza superiore ai 25 cavalli ed esigendo, per la guida, la patente nautica.
Il Tribunale di Messina, con sentenza del 22 aprile 1998, accertava che la colpa esclusiva dell'incidente era da ascriversi al conducente dell'idrogetto e che vi era responsabilità per culpa in vigilando ed in educando dei genitori, che l'assicurazione copriva il mezzo e che vi era responsabilità solidale dei proprietari del mezzo che era stato locato ai frequentatori del luogo.
Il Tribunale liquidava i danni patrimoniali ed i danni morali, contenendoli in cinquanta milioni di lire per ciascun genitore ed in 25 milioni per il fratello (ai valori del 1998).
Contro la decisione veniva proposto appello principale dagli aventi causa dal defunto in relazione alla ridotta liquidazione dei danni morali, e ciò sia in relazione alla gravità del danno, sia in relazione ai parametri tabellati dal Tribunale di Milano, quale sede del maggior contenzioso italiano in materia di danni da circolazione.
Veniva proposto appello incidentale dai genitori del giovane conducente e dall'impresa assicuratrice in relazione all'inoperatività della garanzia.
La Corte di appello di Messina, con sentenza del 21 settembre 2001 così decideva: in accoglimento dell'appello principale aumenta la somma relativa al danno morale da corrispondere nella misura di 100 milioni in favore dei genitori e di 40 milioni in favore del fratello convivente, con rivalutazioni ed interessi decorrenti dal marzo 1990, condannando in solido gli appellati a corrispondere le maggiori somme; rigetta gli appelli incidentali e condanna gli appellati, in solido, alla rifusione delle spese del giudizio in favore degli appellanti principali, compensandole tra gli appellati.
Contro la decisione hanno proposto ricorso, in punto di liquidazione del danno morale, gli aventi causa dal defunto XXX, deducendo unico motivo di ricorso e hanno depositato memoria; hanno resistito con controricorso i genitori del conducente minore autore dell'incidente; hanno proposto ricorso incidentale i proprietari responsabili solidali, in punto di an e quantum debeatur.
Per la Sara è stata svolta discussione orale. E' stata depositata memoria dai ricorrenti principali.
I ricorsi sono stati previamente riuniti (art. 335 c.p.c.).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale merita accoglimento, dev'essere invece rigettato il ricorso incidentale.
Secondo l'ordine logico della questioni dev'essere esaminato per primo il ricorso incidentale di Vinciguerra Maurizio e Costantino Giovanni, responsabili civili in quanto proprietari del mezzo investitore.
A. Esame del ricorso incidentale (32971/02).
Il ricorso si articola in due motivi: nel primo motivo si deduce l'omessa e contraddittoria motivazione della sentenza di appello sia sull'an che sul quantum debeatur. Sotto il primo profilo la tesi è che il giudice di appello ha fondato l'accertamento della responsabilità del minore utilizzando atti e testimonianze rese nel processo penale e la perizia tecnica ivi contenuta. La Corte nella sua motivazione non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni della utilizzazione di tali atti e non avrebbe analizzato le deposizioni testimoniali.
Sotto il secondo profilo ? la tesi è che la Corte avrebbe aumentato la valutazione del danno morale, indicando gli elementi di valutazione personalizzanti, ma disapplicando la limitazione fatta dai tribunali, inclusi quelli milanesi, che lo delimitano ad un terzo circa della valutazione del danno biologico.
Nel secondo motivo si chiede la conferma della statuizione della responsabilità solidale dell'impresa, sul rilievo che la perizia tecnica sulla potenza del natante conferma che la potenza effettiva era inferiore ai 25 cavalli e che pertanto il mezzo non esigeva la guida con patente nautica.
In relazione al primo motivo si osserva che il medesimo è inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza, in relazione alla critica dello accertamento della responsabilità, che invece risulta ampiamente ed analiticamente motivato dai giudici del riesame (v.ff da 7 a 9 della motivazione).
La produzione della documentazione del processo penale è avvenuta sull'accordo e nel contraddittorio delle parti e dunque gli elementi di prova ben potevano essere esaminati e considerati nel contesto probatorio del processo civile.
Quanto al secondo profilo del prima motivo, la infondatezza deriva dalla sua non decisività, in relazione alla natura equitativa della valutazione del danno morale secondo criteri di gravità e di personalizzazione del danno, avendo un valore meramente orientativo le tabelle dei tribunali che collegano la valutazione del danno morale a quella del danno biologico ma sui principi informatori e sulle regole generali per la tutela del danno morale da morte, si dirà più ampliamente nella considerazione della fondatezza del ricorso principale.
Quanto al secondo motivo si osserva che la Sara non ha ulteriormente impugnato la statuizione che la vede responsabile solidale, onde sul punto si è formata re giudicata interna. I ricorrenti non possono dunque dolersi della statuizione che giova alla propria posizione di solidali.
B. Esame del ricorso principale (31147/02) degli aventi causa dal defunto XXX.
Lamentano i ricorrenti “la omessa o quanto meno insufficiente motivazione in ordine ai criteri di liquidazione del danno morale, in relazione agli artt. 2043 e 2059 c.c.”. Interpretando la censura, come argomentata nella sua esposizione, essa involge non solo il vizio della motivazione, ma contestualmente l'error in iudicando per la errata applicazione dei criteri di risarcimento del danno morale come danno ingiusto, che viene richiesto iure proprio, come danno consequenziale alla morte del congiunto.
Lamentano in vero i ricorrenti la iniquità della decisione dei giudici di appello, e la contraddittorietà della motivazione che pur corregge in parte la liquidazione a livelli minimali del danno da morte. Infatti i giudici messinesi, nella sintetica ed apodittica motivazione, dopo aver sostenuto dì dover tener conto di parametri “intermedi” (quali “la età della giovane vittima, la drammaticità e la violenza dell'evento della morte in una situazione che doveva, invece essere di svago e di divertimento, il conseguente dolore dei genitori”), per la valutazione della gravità rilevante dell'evento, (tale da modificare radicalmente la qualità della vita dei genitori e del fratello convivente), provvedono ad una correzione parziale dei danni senza tener conto della natura di debito di valore e dei parametri tabellari posti in essere dai maggiori tribunali italiani, proprio per assicurare una parità od omogeneità di trattamento. Si aggiunge che la discrezionalità del giudice deve essere rivolta alla conformazione della equità valutativa alla funzione sociale di deflazione delle controversie soprattutto quando il contraddittorio si instaura nei confronti delle imprese assicuratrici che contestano la ragionevolezza della discrezionalità assoluta dei giudici.
Il motivo merita accoglimento con alcune puntualizzazioni, onde enunciare i principi di diritto cui dovranno attenersi i giudici cui la lite è rimessa per la rivalutazione del danno morale da morte.
Una prima puntualizzazione attiene alla definizione del danno ingiusto da morte, nell'ambito dell'illecito civile, che includa anche lo illecito da circolazione di natanti (cfr art. 2 legge 990/69) come è nel caso in esame. La struttura dell'illecito, è identica a quella descritta dallo art. 2043 c.c., come clausola generale del neminem laedere, ovvero come principio regolatore della materia della responsabilità aquiliana (cfr Cassazione Su 500/99).
Orbene ritiene questa Corte, dopo aver constatato la infondatezza del ricorso incidentale, che i parenti del defunto, vittima primaria, abbiano dato la prova del fatto storico dell'illecito civile con danno ingiusto da morte, e di avere subito, a propria volta, un danno parentale non patrimoniale, meritevole di tutela ai sensi dell'art. 2059 c.c.. Sulla legittimazione dei parenti per la tutela del proprio danno del resto non si discuteva neppure nella fase del merito, e comunque il ricorso incidentale che dubitava dell'an debeatur è stato respinto ed il dubbio concerneva genericamente la ricostruzione fattuale.
Il danno parentale è stato chiesto e liquidato come danno subito iure proprio, direttamente dai familiari stretti, per la perdita del congiunto, come danno morale derivante dal reato di omicidio colposo costituente illecito civile.
Poiché questa Corte è vincolata dal motivo del ricorso principale, che insiste nella richiesta del solo danno morale iure proprio, non possono venire in esame, se non come obiter sistematico (descrittivo dell'intera tutela oggi esperibile), il danno morale del defunto, trasmissibile iure hereditatis (cfr.Cassazione 11601/04), ovvero il danno biologico del defunto, in relazione alla morte non immediata, ormai riconosciuto da consolidata giurisprudenza, come trasmissibile iure hereditatis, sia pure con orientamenti contrastanti circa i criteri di liquidazione, ovvero ancora il danno da morte come perdita della integrità e delle speranze di vita biologica, in relazione alla lesione del diritto inviolabile della vita, tutelato dall'art. 2 della Costituzione (vedi espressamente Corte Costituzionale sentenza 132/85) ed ora anche dall'art. II-62 della Costituzione europea, nel senso di diritto ad esistere, come chiaramente desumibile dalla lettera e dallo spirito della norma europea.
La dottrina italiana ed europea che riconoscono la tutela civile del diritto fondamentale della vita, premono per il riconoscimento della lesione come momento costitutivo di un diritto di credito che entra istantaneamente come corrispettivo del danno ingiusto al momento della lesione mortale, senza che rilevi la distinzione tra evento di morte mediata o immediata. La certezza della morte, secondo le leggi, nazionali ed europee è a prova scientifica, ed attiene alla distruzione delle cellule cerebrali e viene verificata attraverso tecniche raffinate che verificano la cessazione della attività elettrica di tali cellule. La morte cerebrale non è mai immediata, con due eccezioni: la decapitazione o lo spappolamento del cervello.
In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da illecito è trasferibile mortis causa, facendo parte del credito del defunto verso il danneggiante ed i suoi solidali.
Ma questa suggestiva problematica, che tiene conto della Costituzione europea e del principio di prevalenza della fonte costituzionale europee (art. 16) che integra e completa la fonte italiana sul diritto alla vita (art. 2 e 3 secondo comma della Costituzione tra di loro correlati, essendo la vita la condizione esistenziale della espansione della persona umana), non è interessata dal caso in esame, che riguarda invece il danno ingiusto parentale conseguente alla morte del congiunto, danno che è stato ormai stabilmente collocato dentro l'art. 2059 c.c., dal diritto vivente.
La seconda puntualizzazione, partendo dalla delimitazione del petitum e della causa petendi, attiene alla individuazione dei principi informatori (cfr.Corte Costituzionale, sentenza 206/04) ovvero dei principi regolatori della materia (cfr Cassazione, terza, Sezione civile, sentenza 382/05), ovvero dei criteri equitativi di valutazione del danno parentale da morte (cfr. art. 2059 c.c. correlato agli artt. 2056 e 1226 c.c.) che non risultano derogati o modificati dalle leggi speciali sull'assicurazione di veicoli e natanti (e neppure dal codice ormai vigente delle assicurazioni).
Tale puntualizzazione si rende doverosa in relazione al contenuto della censura dedotta in ricorso ed in vero la iniquità o la insufficienza del risarcimento del danno morale, già evidente dalla sommaria motivazione, deriva dalla mancata consapevolezza della efficacia dei principi informatori e regolatori della materia, sottovalutando la esistenza delle condizioni soggettive rilevanti che attengono ad interessi personali costituzionalmente protetti. Da ciò deriva poi la scelta di criteri di risarcimento non satisfattivi, affidati ad una equità valutativa che rasenta l'arbitrio e che pretende una insindacabilità, pur violando il principio fondamentale (informatore, a livello costituzionale, regolatore a livello codificato) che anche il danno morale, da chiunque subito, deve essere integralmente risarcito.
1. Principio informatore di rango costituzionale (anche europeo, cfr: art. II-62 e 63 Costituzione ratificata dall'Italia con legge 57/2005) è quello del diritto delle vittime al risarcimento totale dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla lesione di diritti umani fondamentali (cfr. Corte Costituzionale 132/85 e Corte Costituzionale sentenza 184/86).
Il danno da morte dei congiunti (cd danno parentale) come danno morale interessa la lesione (divenendo perdita non patrimoniale) di due beni della vita, inscindibilmente collegati: a) il bene della integrità familiare, con riferimento alla vita quotidiana della vittima con i suoi familiari, in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30, 31, 36 della Costituzione (cfr: puntuale il riferimento in Corte Costituzionale 132/85 cit.); b) il bene della solidarietà familiare, sia in relazione alla vita matrimoniale che in relazione al rapporto parentale tra genitori e figli e tra parenti prossimi conviventi, specie quando gli anziani genitori sono assistiti dai figli, e ciò in relazione agli artt. 2, 3 29 e 30 della Costituzione.
L'attuale movimento per la estensione della tutela civile ai PACS (patti civili di solidarietà ovvero stabili convivenze di fatto) conduce appunto alla estensione della solidarietà umana a situazioni di vita in comune, e dunque prima o poi anche i “nuovi parenti” vittime di rimbalzo lamenteranno la perdita del proprio caro. Nel caso di specie il danno parentale interessa una societas stabilizzata con vincolo matrimoniale e discendenza legittima, onde i referenti costituzionali sono certi.
Questa ricostruzione, costituzionalmente orientata e testata, consente di capire il principio informatore della tutela risarcitoria integrale di questa figura di danno morale, principio che informa regole e criteri sottostanti.
2. Un secondo principio, questa volta regolatore della materia (illecito da circolazione di veicoli e natanti) si desume dall'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., che la dottrina italiana auspicava, anche attraverso la comparazione del diritto italiano con quella europeo ed anglosassone che svincolano il danno morale come lesione della dignità o integrità morale della persona, dall'accertamento di un fatto reato.
La svolta sistematica giurisprudenziale, come è noto, si è verificata, come incipit, con la sentenza, compositiva di un contrasto, delle Su civili 2515/02, che ha affermato la piena autonomia del danno morale rispetto al danno biologico (in relazione ad un disastro ambientale), ed è seguita, sempre sul piano sistematico, ma con orientamento costituzionale dalle due note sentenze nn. 8827 e 8928 del 2003, confermate dalla meno nota sentenza 16176/03 che le precede nel tempo della deliberazione e contiene utili precisazioni concettuali.
Il principio regolatore della materia che si desume dall'art. 2059 c.c. costituzionalmente orientato, ed esteso, pur mantenendo la cd tipicità delle fattispecie (che esclude la inclusione della categoria generale del danno esistenziale, che solo il legislatore può fare, e non già la dottrina creativa del diritto) al danno parentale, in relazione a posizioni soggettive costituzionalmente protette di danno non patrimoniale, è dunque quella del risarcimento integrale del danno morale diretto, subito dai parenti, a prescindere dall'accertamento del reato (in sede di responsabilità civile) ed a maggior ragione in presenza di un fatto reato lesivo della persona anche a titolo di colpa (omicidio colposo,come è nella specie). Il fatto reato rileva come peso, come entità da valutare ai fini della complessa valutazione del danno parentale morale.
La consapevolezza di tale principio giova nella fase della liquidazione del danno.
La conclusione ermeneutica da trarre, considerando il principio informatore e quello regolatore, è che la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., ferma la tipicità della fattispecie in relazione al danno ingiusto ed alla lesione del diritto o dell'interesse della persona, include anche la qualificazione e la stima del danno morale da reato, e del danno parentale subito dalla vittima di un omicidio colposo.
3. I criteri informatori della valutazione del danno morale parentale, iure proprio, si desumono chiaramente dal combinato disposto tra gli artt. 2056,2059 e 1226 c.c., per la valutazione equitativa del danno morale, che per la sua stessa natura, non puó essere provato nel suo preciso ammontare, essendo un danno eminentemente rapportato alle qualità morali della persona ed alle sue condizioni, oggettive oltre che soggettive.
Non a caso la Costituzione europea colloca il danno morale sotto il valore universale della dignità umana (art. II-61) dotata di inviolabilità e di garanzia giurisdizionale e risarcitoria piena (art. II-107) e non a caso questa Corte ha collegato la tutela del danno morale alla integrità morale della persona (Cassazione Su 1338/04 e Cassazione 19057/03).
Il criterio della valutazione equitativa del danno morale, secondo le regole codificate del codice civile, non è stato toccato dalle leggi di riforma assicurative, e neppure dalle tabelle attualmente vigenti nei tribunali italiani, quando includono i criteri di valutazione di un danno morale strettamente consequenziale al danno biologico primario e per il medesimo soggetto. Il nuovo codice delle assicurazioni, vigente dal 1 gennaio 2006, giustamente non se ne occupa, ad evitare questioni di costituzionalità.
L'applicazione dei criteri di valutazione equitativa al danno ingiusto morale da illecito della circolazione dei natanti, non appartiene pertanto all'arbitrio del giudice, ma alla sua prudente discrezionalità, che è circostanziata, e che considera le condizioni della vittima e la natura permanente del danno, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti, e della integrità della famiglia naturale o legittima, ma solidale in senso etico prima che giuridico.
Non a caso il criterio generale dell'art. 1226 usa le parole “preciso ammontare”, per indicare la tendenza al rendere totale il ristoro satisfattivo, nella valutazione di prudente discrezionalità.
Le tre puntualizzazioni sistematiche in ordine ai principi informatori, regolatori ed ai criteri di valutazione equitativa, giovano dunque alla considerazione della fondatezza del ricorso, rendendo evidente la iniquità del risultato valutativo e dunque la violazione delle norme di diritto, segnatamente indicate nel ricorso con il solo riferimento ai principi generali ed ai criteri di valutazione.
Riproduciamo per chiarezza l'intero passo della sentenza (ff 11) che riguarda la rideterminazione del danno morale:
“Va detto a proposito che non possono prendersi in considerazione i parametri adottati dagli organi giudiziari di Milano perché essi non hanno carattere di generalità e di certezza. Tenendo conto però di altri parametri intermedi, della giovane età della vittima, la drammaticità e la violenza dell'evento della morte in una situazione, che doveva essere invece di svago e di divertimento, il conseguente intenso dolore dei congiunti, importa che il danno morale va valutato ad oggi (31 maggio 2001) in lire 100 milioni per ciascun genitore e lire 50 milioni per il fratello).
Il danno morale parentale, si è verificato, nella lettura costituzionalmente orientata, come danno diretto non patrimoniale, a partire dalla consumazione del fatto illecito, che è del 4 luglio 1989 (dodici anni prima della seconda decisione, che lo ridetermina ancora riduttivamente).
L'analisi dei due argomenti che sostengono la motivazione impugnata è colpita dalla censura dei ricorrenti: la prima affermazione è logicamente errata, dal punto di vista della valutazione equitativa, sempre per la violazione del principio informatore. Dal punto di vista del danno morale parentale, non conta che il figlio sia morto a Taormina, nella giurisdizione territoriale di Messina, od a Gallarate nella giurisdizione territoriale di Milano, od a Roma nel quartiere dei Parioli ovvero nella sua periferia. Conta la morte in sé, ed una valutazione equa del danno morale, che non discrimina la persona e le vittime primarie o secondarie, né per lo stato sociale, né per il luogo occasionale della morte.
Le tabelle milanesi sono quelle statisticamente testate, per il numero elevato dei casi giudiziari e delle transazioni extragiudiziarie italiane.
Esse dunque orientano, per i parametri, in modo statisticamente più equalitario, delle tabelle del tribunale di Messina, e dunque motivi di opportunità e di logica, rendono evidente che, dal punto di vista umano dell'esperienza, esse indicano un criterio generale di valutazione, che il giudice messinese poteva adottare, almeno al fine di valutare comparativamente se la propria valutazione conduceva ad un “ammontare preciso”, minore o maggiore del danno ingiusto parentale.
La seconda affermazione, quella che pone sulla bilancia della equità, il peso della gravità del danno utilizzando i parametri intermedi, è invece claudicante.
In vero non si tratta di parametri, ma di circostanze e di condizioni, indicate alla rinfusa, posto che in parte attengono al danno diretto della vittima (la età, la violenza dello evento della morte, la morte che viene durante una vacanza) in parte attengono al danno diretto dei parenti (inteso riduttivamente come dolore transeunte, senza alcuna considerazione delle perdite permanenti della integrità e della solidarietà familiare, che pure erano intrinseche alle circostanze dedotte dai ricorrenti). Sulla bilancia della gravità il peso del danno parentale doveva essere esattamente compiuto, posto che sull'altro piatto dell'equità il giudice poneva il peso del criterio della valutazione personalizzante, che deve avvicinarsi, il più possibile al preciso ammontare del danno.
Ma la scelta di questo secondo peso, perfettamente equilibratore è totalmente mancata. Un solo verbo : importa. C'é una assoluta contraddittorietà, manca la prudente discrezionalità, manca il criterio informatore della personalizzazione.
Se anche il legislatore del codice delle assicurazioni ha mantenuto il rispetto dei principi regolamentatori della materia del danno morale come danno non patrimoniale, aderendo alla giurisprudenza della Cassazione, peraltro condivisa dalla Corte Costituzionale (sentenza 233/03) non si vede come, nella motivazione, necessariamente analitica e circostanziata, del giudice del merito, non appaia un chiaro riferimento ad un parametro equitativo che consideri la entità del danno morale, accertato in misura lieve, grave, gravissima, e la traduca in un congruo equivalente economico, paragonato a tale entità.
Il sistema della congrua offerta, introdotto nelle leggi RCA e quindi consolidato come principio di esatto adempimento, negli artt. 148 e 149 del codice delle assicurazioni, evidenzia il principio generale che l'impresa solidale è tenuta a fare una offerta adeguata all'insieme dei danni, patrimoniali e non patrimoniali (incluso il danno biologico) pur nei limiti del massimale. Orbene il massimale prevede il ristoro del danno da morte, che si estende anche ai familiari, ed indica una cifra elevata (anche nel minimo tabellare di legge).
Il parametro di valutazione equitativa del danno morale parentale deve dunque partire dalla soglia della gravità e della permanenza degli effetti del danno ingiusto, nei termini come sopra precisati, e potrà utilizzare i parametri tabellari utilizzati attualmente dai Tribunali o dalle Corti, rispettando il principio della personalizzazione ed il criterio equitativo dell'approssimazione al preciso ammontare, così come potrà utilizzare, sempre orientativamente, le tabelle nazionali di prossima approvazione proprio nell'ambito delle lesioni gravi di cui all'art. 138 del codice delle assicurazioni.
Quello che il giudice di merito non può fare è la applicazione automatica delle tabelle, sia convenzionali che nazionali, le quali sono state concepite per la stima del danno biologico, il quale è per natura e per essenza, la lesione della integrità psicofisica, mentre il danno morale è per natura ed essenza la lesione della integrità morale, dove il termine “integrità” scelto dalla Costituzione europea per descrivere il valore universale e cristiano della dignità umana, esprime la centralità dell'uomo nell'ordine costituzionale della unione europea, di cui siamo Stato membro e fondatore.
Alla luce di queste considerazioni la censura dei ricorrenti merita accoglimento, e la sentenza di appello viene cassata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria che si atterrà ai principi di diritto come sopra formulati, per la corretta valutazione del danno parentale morale diretto, provvedendo anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale, cassa in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Roma 6 aprile 2006.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 12 LUGLIO 2006

 


 

 






 
 

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