Giurisprudenza - Varia | ||||||||||||||||||||||||
N. 00546/2008
REG.SEN. N. 01377/2005
REG.RIC. Tribunale
Amministrativo Regionale per il
Piemonte, sent. 546 del 7 aprile 2008, giurisdizone del giudice
amministrativo
in materia di cittadinanza REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il
Piemonte (Sezione
Prima) ha pronunciato la
presente SENTENZA Sul ricorso numero di
registro generale 1377 del 2005,
proposto da: contro Ministero Interno, in
persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per
legge in
Torino, corso Stati Uniti, 45; per l'annullamento o
la revoca del decreto
...................
con il quale è stata rigettata la
istanza ex art. 5 legge 5.2.1992 n. 91 diretta ad ottenere la
cittadinanza
italiana. Visto il ricorso con i
relativi allegati; Visto l'atto di
costituzione in giudizio di Ministero
Interno; Viste le memorie
difensive; Visti tutti gli atti
della causa; Relatore nell'Udienza
Pubblica del giorno 20/02/2008 il
Referendario Avv. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori
come
specificato nel verbale; Ritenuto e considerato
in fatto e diritto quanto segue: FATTO Il sig.
B...............,
di nazionalità ..............................,
regolarmente soggiornante e residente in Italia, coniugato con
cittadina
italiana,presentava istanza per ottenere la cittadinanza italiana. Il
Ministero
degli Interni, con Decreto del ................ del Sottosegretario di
Stato,
respingeva la domanda, poiché risultava che il
B.................... versava
nelle condizioni
di cui all’art. 6, lett.b) della l. 5.2.1992, n. 91, per essere stato
condannato, a pena patteggiata, per un reato per il quale la legge
stabilisce
la pena editale non inferiore nel massimo ad anni tre. Ed in effetti il
Tribunale di ...................., con sentenza del ..............
applicava al deducente, ex art. 444 c.p.p., la pena
di mesi
Quattro di reclusione e L. 950.00 di multa , ritenuta l’ipotesi d cui
all’art.
75, coma 3 del d.P.R. n. 309/1990 per spaccio di stupefacenti. Dalla ricostruzione in
fatto riportata in detta sentenza
risulta infatti che in data ............... il B......... veniva tratto
in
arresto dai
Carabinieri di ......................, per essere stato trovato in
possesso di Insorgeva il
B.................
avverso tale Decreto, con ricorso
notificato il 21.10.2005 e depositato il successivo 18.11.2005,
deducendo con
un unico mezzo,violazione ed erronea applicazione dgli artt. 444 – 447
c.p.p. e
6 della l. 5.2.1992, n. 91, assumendo che tale ultima norma sarebbe
stata
erroneamente applicata in quanto la stessa presupporrebbe una sentenza
penale di
condanna, là dove il ricorrente non avrebbe subito condanna
alcuna, avendo
invece, a seguito della richiesta ex art. 444 c.p.p., ottenuto un
provvedimento
applicativo di pena che non avrebbe, stando anche a talune sentenze
della
Cassazione, natura di sentenza di condanna e non sarebbe “catalogabile
secondo
gli schemi tradizionali”, essendo una “pronuncia giurisdizionale sui
genersi”.
Difetterebbe pertanto ogni presupposto per l’applicazione dell’art. 6
della
l.n. 91/19992, derivandone l’illegittimità del diniego. Si costituiva in
giudizio l’amministrazione centrale, con
memoria formale, richiamando integralmente una relazione denominata
rapporto
informativo in data ....................del Dipartimento delle
libertà
civili del
Ministero degli interni, il quale, eccependo l’incompetenza
territoriale di
questo Tribunale, chiedeva il rigetto nel merito dell’interposto
gravame. All’Udienza Pubblica
del 20.2.2008, sulla Relazione del
Referendario Avv. Alfonso Graziano, la causa veniva introitata per la
definitiva decisione. DIRITTO Il ricorso è
radicalmente infondato. Deve peraltro,
preliminarmente, il Collegio darsi carico di scrutinare la questione di
giurisdizione, che si ritiene di sollevare d’ufficio, stante
l’esistenza di due
pronunce della Corte regolatrice e di due precedenti del Giudice
Amministrativo, anche in grado d’appello, affermativi della
giurisdizione del
giudice ordinario. Le Sezioni Unite hanno
statuito, sul punto, che
sussisterebbe la giurisdizione di questo Giudice solo nell’ipotesi
contemplata
dalla lett.c) dell’art. 6 della legge 5.2.1992, n, 91, vale a dire
allorché il
diniego di cittadinanza si basi su motivi ostativi attinenti alla
sicurezza
della Repubblica, stante, in tal caso, l’esercizio di attività
amministrativa
discrezionale e la correlativa posizione di interesse in capo
all’istante.
Viceversa, ove il diniego fondi sulle altre ipotesi previste dalla
norma citata
e quindi l’aspirante contesti “la ricorrenza degli altri presupposti
tassativamente indicati dalla legge, sussiste il diritto soggettivo
all’emanazione dello stesso (decreto di acquisto della cittadinanza,
n.d.s.)
per il richiedente, che può adire il giudice ordinario per far
dichiarare,
previa verifica dei requisiti di legge, che egli è cittadino”
(Corte di Cass.,
Sez. Un., 27.1.1995, n. 1000; Cass. Sez. Un, 7.7.1993, n. 7441). Anche
il
giudice amministrativo, in qualche isolato precedente ha statuito che
“delle
cause che precludono l’acquisto della cittadinanza italiana “iure
communicationis” da parte del coniuge (…) è demandata alla
valutazione
discrezionale dell’amministrazione solo quella prevista dall’art. 6,
comma 1,
lett.c), l. 5 febbraio 1992, n, 91 (…)nei cui confronti il diritto del
richiedente si affievolisce ad interesse legittimo, mentre tale
valutazione non
ha ragion d’essere per quanto attiene alle altre cause preclusive
dell’acquisto
della cittadinanza; ne consegue che in caso di diniego basato
sull’esistenza di
una condanna della richiedente, sussiste la giurisdizione del giudice
ordinario” (Consiglio di Stato, sez. IV, 15.12.2000, n. 6707). Anche
altro
Collegio di prime cure, proprio con riguardo al diniego per sentenza a
pena
patteggiata ha declinato la propria giurisdizione, sul rilievo che la
situazione giuridica dell’istante assumerebbe consistenza di diritto
soggettivo
(T.A.R. Veneto, sez. III, 16.12.2002, n. 6563). Ritiene il Collegio di
dover dissentire dalla delineata
ricostruzione della posizione giuridica del richiedente la concessione
della
cittadinanza italiana (concessione costitutiva) a fronte
dell’attività dell’amministrazione.
Anzitutto la riportata elaborazione è errata là dove
afferma che l’attività
della P.A. sarebbe non discrezionale nell’ipotesi di diniego opposto
per la
sussistenza di una condanna penale. Se ciò può
probabilmente affermarsi infatti
nella maggior parte dei casi, va soggiunto che non sempre può
predicarsi
siffatta evenienza e la fattispecie per cui è causa ne è
una prova evidente.
Non sempre, cioè, l’attività dell’Amministrazione si
risolve in un meccanico
raffronto tra la fattispecie normativamente disegnata dal legislatore e
la
realtà dei fatti, alla stregua di un sillogismo aristotelico.
Può ben darsi,
infatti,il caso che Ma anche là
dove Nelle ipotesi del
primo tipo, invece, in cui il vincolo è
posto in funzione del pubblico interesse, pur versandosi in abiti di
attività
amministrativa vincolata, la situazione soggettiva del privato è
ancora di
interesse legittimo, la cui tutela seguita ad essere demandata al
giudice
amministrativo. Sulla scorta di
siffatta ricostruzione, non può
escludersi che nell’ipotesi disegnata dall’art. 6, lett.b) della l.n.
91/1992,
anche a voler opinare che l’attività amministrativa sia di tipo
vincolato, la
natura e la funzione di detto vincolo sono quelle di un vincolo
predisposto in
vista del perseguimento dell’interesse pubblico a che la cittadinanza
venga
concessa solo a soggetti immuni da condanne penali per reati di una
certa
gravità, puniti con pena editale considerevole perché non
inferiore nel massimo
a tre anni. Conseguendone pacificamente che la posizione soggettiva
dello
straniero istante assume la consistenza di interesse legittimo, e il
correlativo radicamento della giurisdizione in capo a questo Giudice. Va ora affrontata
l’eccezione di incompetenza
territoriale di questo Tribunale, sollevata in limine litis dalla
memoria
dell’Amministrazione centrale, secondo la quale il Decreto reiettivo
della
cittadinanza non avrebbe efficacia limitata territorialmente,
discendendone la
competenza del T.A.R. del Lazio. L’eccezione non ha
fondamento. Se fosse vero che il
decreto in questione avesse efficacia su tutto il territorio nazionale,
infatti,
dovrebbe attribuirsi a tale provvedimento, attitudine a coinvolgere la
sfera
giuridica di soggetti residenti in ogni comune della Repubblica,
dovrebbe cioè
riconoscersi al decreto impugnato la natura di atto amministrativo
generale,
contro ogni evidenza fattuale prima ancora che giuridica. E’ invece
evidente
che il decreto esplica efficacia solo limitatamente al territorio del
Comune
ove risiede il ricorrente, giacché vulnera solo la di lui sfera
giuridica.
Altrimenti, seguendo lo stesso assunto da cui muove l’Amministrazione
resistente, dovrebbe affermarsi che anche un provvedimento di
un’amministrazione centrale, quale una cartolina precetto di chiamata
alle armi
(quando la leva era obbligatoria) ha efficacia su tutto il territorio
nazionale, con la conseguenza che tale atto singolare dovrebbe
impugnarsi
innanzi al T.A.R Lazio, contro la prassi e la giurisprudenza costante
per
decenni. L’efficacia di un
provvedimento amministrativo, che
delinea e delimita la competenza territoriale, va invece riguardata
avendo
sempre di mira il destinatario del provvedimento stesso. Ogni
provvedimento che
ha per destinatario un soggetto determinato, salve tassative ipotesi di
competenza funzionale, è devoluto alla cognizione del T.A.R.
competente nella
circoscrizione in cui è ricompreso il Comune ove il destinatario
è residente. Può passarsi
ora all’esame del merito del ricorso. Deduce
il ...........................violazione ed erronea applicazione degli
artt. 444 – 447
c.p.p. e 6
della l. 5.2.1992, n. 91, assumendo che tale ultima norma sarebbe stata
erroneamente applicata in quanto la stessa postula l’esistenza di una
sentenza
penale di condanna, là dove il ricorrente non ha subito condanna
alcuna, poiché
a seguito della richiesta ex art. 444 c.p.p., ha ottenuto un
provvedimento
applicativo di pena che non avrebbe, stando anche a talune sentenze
della
Cassazione, natura di sentenza di condanna e non sarebbe “catalogabile
secondo
gli schemi tradizionali”. La sentenza a pena patteggiata sarebbe,
infatti, una
“pronuncia giurisdizionale sui generis”e difetterebbe quindi ogni
presupposto
per l’applicazione dell’art. 6 della l.n. 91/19992, derivandone
l’illegittimità
del diniego. La censura è
destituita di ogni fondamento. Dispone
l’art. 6 della l. 5.2.1992, n. 91 che preclude all’acquisto della
cittadinanza
“la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge prevede
una pena
edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione”. Il
ricorrente ha
avuto una sentenza di applicazione a pena patteggiata per l’art. 75,
comma 3
del T.U. di cui al D.P.R. n. 309/1990 in materia di stupefacenti, che
commina
una pena rientrante nella previsione della norma sulla cittadinanza.
Assume il
ricorrente che la sentenza di patteggiamento non sarebbe una sentenza
di
condanna e non produrrebbe, di conseguenza, alcun effetto preclusivo
all’acquisto della cittadinanza italiana. Due errori giuridici
viziano la prospettazione del
ricorrente. In primo luogo, se è vero che la sentenza di
applicazione della
pena su richiesta delle parti non è propriamente una sentenza di
condanna quoad
substantiam, lo è quoad effectum posto che la successiva norma
del codice di
rito – che il ricorrente omette di considerare – dispone che “salvo
diverse
disposizioni di legge, la sentenza è equiparata ad una pronuncia
di condanna”(Art.
445 c.p.p.). Del resto lo stesso
Consiglio di Stato, in sede di parere
su un ricorso straordinario avverso un provvedimento di diniego di
cittadinanza
determinato da una sentenza ex art. 444 c.p.p. per un reato punito con
pena
edittale fino ad otto anni di reclusione, ha ritenuto che il Ministero
avesse
fatto corretto uso ad esso conferito dalla legge denegando la
cittadinanza
italiana ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. b) della l. n. 91/1992
(Consiglio
di Stato, Sez. I, parere n. 426/2000). Altro errore che
inficia la tesi del ricorrente è il
sostenere che la sentenza di patteggiamento non contenga, nemmeno
implicitamente, alcuna affermazione in ordine alla
responsabilità penale
dell’imputato. Per contro, valga osservare che lo stesso codice di rito
fissa
una condizione negativa all’emissione di una sentenza ex art. 444,
là dove
dispone che il giudice applichi la pena concordata, se “non deve essere
pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’art. Sulla scorta delle
delineate premesse
processualpenalistiche questa Sezione ha già avuto occasione di
precisare che
“la condanna a pena patteggiata presuppone pur sempre l’implicito
riconoscimento della responsabilità dei fatti” (T.A.R. Piemonte,
sez. I, 16
gennaio 2002, n, 67). Anche altro Tribunale di primo grado, in abito
disciplinare,
ha coerentemente concluso che “la sentenza di c.d. patteggiamento (…)
non
prescinde dall’accertamento della responsabilità penale
dell’imputato, in
quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti non
può
emettere la pronuncia di patteggiamento se ricorrono le condizioni per
il
proscioglimento perché il fatto non sussiste, perché
l’imputato non lo ha
commesso, perché il fatto non costituisce reato” (T.A.R. Veneto,
sez. I,
4513/2002, con richiamo anche a Cons. di Stato, sez. VI, 16.10.1995, n.
1149). Dalla delineata
ricostruzione in punto agli effetti della
sentenza di patteggiamento e all’implicito riconoscimento, sia pure
sommario,
della responsabilità dell’imputato, discende che il Ministero
degli Interni ha
correttamente ritenuto sussistente la causa preclusiva alla concessione
della
cittadinanza, contemplata dall’art. 6, comma 1, lett. B) della L. n.
91/1992,
conseguendone la piena legittimità dell’impugnato decreto
ministeriale. Probabilmente, ad
avviso del Collegio, l’equivoco di
fondo che permea il ricorso, origina anche da una cattiva lettura
dell’art.
445, comma 1, secondo periodo c.p.p., in forza del quale la sentenza a
pena
patteggiata non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Tale
disposizione rinviene la sua ratio nel principio di autonomia che
informa il
sistema processuale italiano nel suo complesso, nonché nella
doverosa
considerazione della sommarietà dell’accertamento sotteso a una
pronuncia
applicativa di una pena concordata, e in omaggio al quale le
statuizioni di cui
a quella pronuncia non possono condizionare eventuali successivi
giudici civili
o amministrativi. Ma l’ambito di tale
ininfluenza è tassativamente limitato
alle fasi processuali, civili o amministrative, non estendendosi alle
fasi e
alla vicende procedimentali amministrative. In un procedimento
amministrativo
ben può infatti, rilevare una sentenza di applicazione della
pena su richiesta,
non operando la delineata preclusione di efficacia. Per altro verso, la
correttezza dell’operato dell’Amministrazione
centrale risulta avvalorata dalla lettura di un passo saliente della
sentenza
del Tribunale di Saluzzo n. ....................., dove il Giudice
afferma che “il
non
indifferente quantitativo di sostanza stupefacente e la sua
predisposizione in
barrette sono elementi tali da fare ritenere altamente verosimile la
destinazione quanto meno parziale allo spaccio”. Dal che emerge che
alla base
della pronuncia del giudice penale vi è stata una verifica della
responsabilità
penale dell’imputato, il cui contegno, in un’ottica di penetrazione del
fatto
storico retrostante la vicenda amministrativa, appare altamente
riprovevole e
non meritevole della concessione della cittadinanza italiana. Da tutte le
considerazioni che precedono emerge la
radicale infondatezza del ricorso, che va respinto. Sussistono, peraltro,
giusti motivi per disporre la
compensazione delle spese di lite, stante anche la sostanziale non
costituzione
dell’Amministrazione. P.Q.M. Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Piemonte -
prima Sezione – definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe
indicato
lo Respinge. Spese compensate. Ordina che la presente
Sentenza sia eseguita
dall'Autorità amministrativa. Così deciso in
Torino nella Camera di Consiglio del
giorno 20/02/2008 con l'intervento dei Magistrati: Franco Bianchi,
Presidente Paolo Giovanni Nicolo'
Lotti, Primo Referendario Alfonso Graziano,
Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN
SEGRETERIA Il 07/04/2008 (Art. IL SEGRETARIO |
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