Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche Sent.n.87/99 Ruolo c.c.,
in tema di cancellazione della causa dal ruolo in caso di inattività
delle parti
SOMMARIETTO : Procedimento giurisdizionale - Tribunale Superiore delle
Acque Pubbliche - Estinzione del giudizio - Art. 307 e 159 C.P.C. - Applicabilità
- Contrasto con artt. 3, 24, 103, 113 Cost. - Manifesta infondatezza.
MASSIMA : E' manifestamente infondata la questione di illegittimità
costituzionale degli artt. 307 c.p.c. e 159 T.U. n. 1775 del 1933, sollevata
in relazione agli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost., per la parte in cui le
norme in questione trovano applicazione nel giudizio di legittimità
davanti al Tribunale Superiore delle acque pubbliche, nell'ipotesi di inerzia
successiva alla riassunzione, mentre in sede di giudizio davanti
al Consiglio di Stato, successive cancellazioni della causa dal ruolo non
producono di per sé effetti decadenziali, salva la perenzione biennale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
Sent.n.87/99 Ruolo c.c.
riunito in Camera di Consiglio, composto dagli Ill.mi Sigg.ri:
1) S.E. PIERI dr.Silvio
Presidente
2) DE JULIO dr. Rosario
3) CELLERINO dr. Giuseppe
4) MILLEMAGGI COGLIANI avv. Chiarenza
Relatore
5) FALCONE avv. Pietro
6) FERA dr. Aldo
7) BRACCHI dr. ing. Alberto
il 1° e il 2° Consiglieri di Cassazione; il 4°, il 5°
ed il 6° Consiglieri di Stato; il 7° componente effettivo del Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici
- GIUDICI -
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nel procedimento in Camera di Consiglio iscritto nel Ruolo Generale
dell'anno 1999 al n. 2
promosso a norma del combinato disposto degli artt. 208 R.D. 11 dicembre
1933 n. 1775, 308, comma 1 e 178 commi 3,4, e 5 del codice di procedura
civile,
dalla Soc. Bacicalupi & Parma S.p.A., in persona del legale rappresentante
in carica, Sig. Luciano Bacicalupi, rappresentata e difesa dagli Avv.ti
Prof. Giuseppe Guarino e Carlo Barbanente ed elettivamente domiciliata
nello studio del primo, in Roma, Piazza Borghese n. 3,
nella causa iscritta al Ruolo generale dell’anno 1997, al n. 151
vertita
T R A
l’anzidetta Soc. Bacicalupi & Parma S.p.A., come sopra rappresentata,
difesa e domiciliata
C O N T R O
la Provincia di La Spezia, in persona del legale rappresentante in
carica, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Picci, elettivamente
domiciliata in Roma, via F. Civinini n. 69, presso lo studio degli Avv.ti
Bruno Cucchi e Jacopo Ferri
nonché
il Comune di Arcole, in persona del Sindaco in carica, costituito nel
giudizio principale con l’Avv. Alberto Arpeselle del Foro di La Spezia,
unitamente all’Avv. Claudio Sadurny di Roma, presso il quale é eletto
domicilio, in Roma, viale Mazzini n. 134
FATTO
1.1 La reclamante insorge avverso l’ordinanza con la quale il
Giudice Delegato nel giudizio di legittimità instaurato dalla stessa
davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in sede di giurisdizione
diretta, ha dichiarato l’estinzione del giudizio a seguito della mancata
presenza di alcuna delle parti all’udienza istruttoria del 26 aprile 1999
del processo, tempestivamente riassunto dopo la cancellazione dal ruolo,
all’udienza del 7 dicembre 1998, a norma dell’art. 159, ultimo comma, R.D.
11 dicembre 1923 n. 1775, per mancata comparizione delle parti.
1.2. Deduce:
a) in via principale, l’inapplicabilità alla fattispecie, della
disposizione contenuta nell’art. 307, comma 2, del vigente codice di procedura
civile: al procedimento davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche,
in sede di giurisdizione diretta, sarebbero applicabili, in assenza di
norme procedurali contenute nel testo unico n. 1775 del 1933,soltanto le
norme che governano il giudizio davanti al Consiglio di Stato, cui é
sconosciuto l’istituto della estinzione del giudizio per inattività
delle parti, essendo tale ipotesi inquadrabile nel differente istituto
della perenzione (art. 40 T.U. 26 giugno 1924 n. 1054);
b) subordinatamente, l’applicabilità dell’art. 181, comma 1,
del codice di procedura civile, in relazione a quanto disposto dall’art.
309 dello stesso codice;
c) in via ulteriormente gradata, il sospetto di illegittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 307 cod. proc. civ. e
159 T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775, per violazione degli artt. 3, 24, 103
e 113 della Costituzione, in considerazione dell’aggravamento procedurale
che deriva, dal complesso normativo, al giudizio di legittimità
davanti al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, rispetto tanto al
procedimento davanti al giudice civile, quanto al procedimento davanti
al Consiglio di Stato.
2. La Provincia di La Spezia, cui è stato concesso termine per
rispondere, resiste al reclamo eccependo, in rito, l’inammissibilità
dello strumento impugnatorio adoperato dall’interessata, in luogo dell’atto
di citazione ad udienza fissa, notificata alle parti, nel domicilio eletto
o dichiarato a norma dell’art. 158, secondo quanto prescritto dall’art.
162, comma 3, del T.U. n. 1775 del 1933; nel merito, sarebbe stata fatta
corretta applicazione degli artt.159 ultimo comma T.U. n. 1775 del 1933
cit. e 307 Cod. proc. civ., in forza del rinvio disposto dall’art. 208
del citato testo unico.
3. Successivamente, ribadite la Società istante le proprie ragioni
difensive con memoria di replica autorizzata, la questione é stata
portata al Collegio, nella Camera di Consiglio del 31 maggio 1999 nella
quale sono stati sentiti i difensori dell’istante e della resistente Amministrazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Pregiudizialmente deve essere respinta l’eccezione della resistente
in ordine all’inammissibilità del reclamo proposto nei modi previsti
dall’art. 178, commi terzo, quarto e quinto, del codice di procedura civile,
in applicazione dell’art. 308 dello stesso codice.
Non é condivisibile la tesi secondo cui, nel procedimento
davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il reclamo avverso
le ordinanze del Giudice delegato che dichiara l’estinzione del processo
andrebbe proposto “con citazione ad udienza fissa dinnanzi al collegio,
notificato alla parte nel domicilio eletto o dichiarato a norma dell’art.
158”, secondo quanto disposto dall’art. 162, comma 3, T. U. n. 1775 del
1933.
Nel testo unico in questione é contenuta, non già una
disciplina generale del controllo del collegio sui provvedimenti del giudice
delegato, ma, al contrario, la previsione di ipotesi tipiche, concernenti
il controllo sull’esercizio del potere istruttorio in senso stretto, ossia
relativo alla ammissione dei mezzi di prova (art. 162) e sulla soluzione
di incedenti processuali insorti in corso di causa, quali, specificamente,
le controversie concernenti l’intervento in causa o la chiamata in garanzia
o altre questioni simili (art. 175).
Trova invece collocazione nel codice procedura civile la declaratoria
di estinzione del giudizio per inattività delle parti, unitamente
alle norme che disciplinano, in via generale il controllo del collegio
sulla generalità degli atti posti in essere dal giudice incaricato
del procedimento istruttorio, nel cui ambito é inserita la disciplina
del reclamo avverso l’ordinanza che dichiara l’estinzione del processo
e le forme per la sua proposizione.
Di contro, il procedimento giurisdizionale davanti al Consiglio
di Stato non prevede l’adozione di provvedimenti giurisdizionali da parte
di organi differenti dal Presidente e dal Collegio giudicante e, conseguentemente,
non contiene norme procedurali di controllo, da parte del collegio, adattabili
alla fattispecie.
Quale che sia dunque l’interpretazione da darsi all’art. 208 del T.U.
del 1933, devono rinvenirsi nelle norme di diritto processuale civile (che
costituisce il nucleo di norme alle quali deve farsi riferimento in mancanza
di norme specifiche, anche nei giudizi proposti davanti al Consiglio di
Stato) i principi di carattere generale che attribuiscono al collegio il
controllo sui poteri esercitati dal giudice investito dell’itruttoria (allorché
non operi in funzione di giudice unico) e nella disposizione contenuta
nell’art. 178 c.p.c. (espressamente richiamato dall’art. 308), la norma
applicabile nel caso di impugnazione della ordinanza che dichiara l’estinzione
del processo.
2. Chiarito tale aspetto della questione, deve , al contrario, essere
condivisa l’affermazione secondo cui il procedimento, in tema di giudizi
di legittimità attribuiti alla cognizione diretta del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, é modellato sulla base del giudizio
di legittimità davanti al Consiglio di Stato.
Occorre, anzi, precisare la natura dinamica del rinvio operato dall’art.
208 del T.U. n. 1775 del 1933 al Titolo III capo II del T.U. 26 giugno
1924 n. 1054 delle leggi sul Consiglio di Stato, in più di una occasione
affermato dalla Corte costituzionale e dalla SS.UU. della Suprema Corte
di cassazione, parimenti a quanto affermato con riguardo al rinvio alla
norme del codice di procedura civile, contenuto nella stessa disposizione.
E’ anche pacificamente ammesso che l’attribuzione ad un giudice specializzato
- quale è il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, nella sua
peculiare composizione - del sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi
concernenti la materia delle acque pubbliche, trova la sua giustificazione
nella specialità della disciplina, ma non giustifica invece una
tutela giurisdizionale differenziata, quanto alle modalità ed ai
contenuti, in presenza di situazioni soggettive di identica natura (Corte
costituzionale, n. 190 del 1985).
Ciò premesso, tuttavia, deve essere rilevato che é anche
fuori discussione che, nell'esercizio della giurisdizione amministrativa,
in mancanza di norme processuali specifiche, quali quelle previste dalla
legge sui Tribunali amministrativi regionali o quelle che regolano il procedimento
innanzi al Consiglio di Stato cui la legge stessa fa rinvio, sono applicabili
analogicamente le norme del Codice di procedura civile.
Non é, pertanto, sostenibile che dall’art. 208 del T.U. n. 1775
del 1933 debba ricavarsi il principio che, per quanto non previsto nel
citato corpo normativo, nel giudizio di legittimità davanti al Tribunale
Superiore delle Acque pubbliche, debbano osservarsi “soltanto” le norme
contenute nel Titolo III, Capo II del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 delle
leggi sul Consiglio di Stato (con esclusione, delle disposizioni contenute
nel codice di procedura civile).
L’interpretazione letterale dell’articolo citato é nel senso
che, nei ricorsi previsti dall’art. 143 del testo unico sulle acque (oltre
alle disposizioni contenute nel codice di procedura civile, in quanto applicabili)
si osservano “anche” le disposizioni relative al procedimento giurisdizionale
davanti al Consiglio di Stato, come può desumersi, dal significato
letterale dell’espressione “nonché”, la quale esprime un valore
aggiuntivo, equivalente a quello delle locuzioni “oltre che”, “come pure”.
Tuttavia, ove anche voglia dubitarsi del significato letterale delle
espressioni adoperate, occorre rilevare come, nel complesso delle disposizioni
contenute nel Capo II del Titolo IV del Testo Unico sulle acque pubbliche
- oltre a rinvenirsi un gruppo di norme espressamente volto a regolare
il procedimento nei giudizi promossi a norma dell’art. 143 (artt. 192 e
segg.), ed altro gruppo esclusivamente dedicato ai giudizi attribuiti in
primo grado ai Tribunali Regionali - si rinvengono regole di procedura
comuni che imprimono al procedimento davanti al Tribunale Superiore delle
Acque Pubbliche connotazioni caratteristiche, tanto che tale giudice sia
chiamato a decidere in secondo grado, tanto che eserciti la giurisdizione
in via diretta.
Fra queste, deve essere segnalata l’adozione del modulo procedimentale
che disegna la chiamata in giudizio con connotazioni civilistiche, configurando
un ricorso che ha tutte le caratteristiche dell’atto di citazione ad udienza
fissa; il deposito del ricorso entro un termine che assume come limite
di riferimento la data dell’udienza nello stesso fissata; l’assegnazione
della causa da parte, del Presidente, ad un giudice delegato che fa parte
del collegio giudicante, il quale ne cura l’istruttoria; la cancellazione
della causa dal ruolo per la ipotesi di mancata trattazione o differimento
(ossia per inattività delle parti) (art.159); l’assegnazione di
un termine di decadenza riferito agli eventi connotanti una situazione
di inerzia nel processo (sei mesi) (art. 186), che delinea una ipotesi
di perenzione affatto diversa dall’istituto omonimo previsto dal T.U. delle
leggi sul Consiglio di Stato e con lo stesso incompatibile.
La mancanza di un istituto, quale é quello della istanza per
la fissazione dell’udienza, dopo la cancellazione della causa dal ruolo,
impone all’interprete di ricercare le norme applicabili in una sede diversa
dalle norme che disciplinano il procedimento davanti al Consiglio di Stato.
Tale sede non può che essere rappresentata dal codice di procedura
civile, anch’esso espressamente richiamato, in quanto applicabile, dall’art.
208 del T.U. del 1933, ed al quale lo stesso Consiglio di Stato é
tenuto ad attingere, allorchè manchi la norma specifica.
Ne consegue che, nel giudizio di legittimità davanti al Tribunale
Superiore delle acque pubbliche, ove si verifichi l’inerzia successiva
alla riassunzione, trovano applicazione le disposizioni che disciplinano
l’estinzione del giudizio (art. 307, 2° comma c.p.c.), con le particolarità
connesse alla operatività, in tale procedimento, dell’art. 159 del
testo unico (in luogo della più favorevole previsione scaturente
dal combinato disposto degli artt. 307, primo comma e 181 c.p.c.).
3. Ciò non avvalora il sospetto di illegittimità costituzionale
sollevato dalla parte istante.
Le differenze procedurali sopra evidenziate non incidono sulla tutela
delle posizioni sostanziali e non agravvano la posizione processuale e
i diritti di difesa dell’amministrato.
Esse sono connaturate alle differenze dei meccanismi di impulso del
giudizio davanti al Tribunale Superiore delle acque, di cui costituiscono
aspetti salienti la citazione ad udienza fissata in ricorso dallo stesso
ricorrente e l’impossibilità, per il giudice, di procedere alla
fissazione di una nuova udienza, sulla base di autonoma istanza, in assenza
di riassunzione della causa.
L’istituto della perenzione, nel giudizio davanti al Consiglio di Stato
é, al contrario, collegabile alla circostanza che la fissazione
dell’udienza appartiene al dominio del Presidente dell’organo collegiale,
ma é condizionato dalla proposizione di un’apposita istanza dell’interessato,
esterna al ricorso e vale ad assicurare, nel differente sistema, che la
pendenza del procedimento inteso ad apprestare tutela giurisdizionale alla
situazione giuridica della quale si lamenta la lesione non si protragga
indefinitamente, in presenza di un comportamento processuale inerte dell’interessato
protrattosi oltre un certo termine.
L’argomento secondo cui il complesso procedimentale fissato nel T.U.
del 1924 sarebbe volto, in qualche modo, ad assicurare all’amministrato
il vantaggio derivante dalla conseguita sospensione incidentale del provvedimento
impugnato, annette rilievo a patologie del sistema che al contrario, il
legislatore tende a scoraggiare con misure di varia natura (si pensi alla
esigenza che alla istanza di sospensione si accompagni quella di fissazione
dell’udienza e che, nelle cause in cui sia stata accordata la sospensiva,
la trattazione del merito sia fissata il più sollecitamente possibile).
Il sistema dunque tende a modellarsi in maniera da evitare che si determinino
proprio quegli effetti in questa sede invocati per sostenere la questione
di illegittimità costituzionale proposta in questa sede.
D'altra parte, la pretesa operatività dell'istituto della perenzione,
come disciplinato dal T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato nel procedimento
giurisdizionale di legittimità, ove fosse trasferito nel giudizio
diretto davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, finirebbe
con l'introdurre, in tale giudizio un modulo procedimentale del tutto incompatibile
con la citazione ad udienza fissa e con la previsione, nel T.U. del 1933,
di una differente ipotesi di perenzione, avente finalità e termini
diversi.
Tale considerazione appare di per sé idonea a fugare ogni dubbio
sulla coerenza del sistema, in relazione al complesso delle disposizioni
contenute nel T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato.
Rispetto poi alle norme applicabili al processo civile, la non applicabilità
dell'art. 181 c.p.c. trova piena giustificazione alle particolari esigenze
di maggiore celerità del sistema della giustizia amministrativa
nel suo complesso, in forza della incidenza della tutela delle posizioni
soggettive sul governo degli interessi pubblici cui si riferiscono gli
atti impugnati.
Nessuno, del resto, dubita della legittimità di procedimenti
che - all'interno degli stessi meccanismi di tutela nei confronti delle
pubbliche amministrazioni - contengono norme proprie ed eccezionali intese
ad imprimere una spinta acceleratoria all definizione delle controversie
che investono specifici settori della cosa pubblica.
In conclusione, deve essere ritenuta manifestamente infondata la questione
di illegittimità costituzionale degli artt. 307 c.p.c. e 159 T.U.
n. 1775 del 1933, sollevata in relazione agli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost.
4. Non può essere accordato il beneficio dell'errore scusabile,
non sussistendone i presupposti.
La parte istante, infatti ha mostrato di conoscere a quale complesso
di norme dovesse farsi riferimento nella ipotesi di cancellazione della
causa dal ruolo prevista e disciplinata dall'art. 159 del T.U. n.1775 del
1993, non essendo sfiorato dal dubbio di dover ricorrere all'istituto della
istanza di fissazione dell'udienza, ma facendo, al contrario ricorso allo
strumento della citazione ad udienza fissa in riassunzione, sconosciuto
al sistema delle norme davanti al Consiglio di Stato.
Non vi sono dunque elementi per ritenere che abbia erroneamente fatto
affidamento sulla applicabilità dell'istituto della perenzione biennale,
nella ipotesi di successiva inerzia per mancata comparizione all'udienza
fissata a seguito di riassunzione.
5. Possono invece essere interamente compensate fra le parti le spese
del presente procedimento.
P.Q.M.
il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche respinge il reclamo in
epigrafe;
Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio;
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì , dal Tribunale Superiore delle
Acque pubbliche, in Camera di consiglio, con l'intervento dei Magistrati
nominati in epigrafe.
IL PRESIDENTE
IL CONSIGLIERE RELATORE
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