T.A.R. Umbria - Sentenza 28 ottobre 2003 n.832, in materia
di risarcimento danni da mancata assegnazione di una borsa di studio, e
da mancato incremento di curriculum professionale, con nota di Avv. Ottavio
Carpanelli
O la “borsa” o (il bene del) la vita
(Sul risarcimento del danno da mancata assegnazione di una borsa di
studio, e da mancato incremento di curriculum professionale)
Il fatto.
La ricorrente partecipava ad una selezione pubblica indetta dall’Istituto
zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche, per l’assegnazione
di una borsa di studio di 35.000.000 delle vecchie lire, ai fini dello
svolgimento di attività di ricerca scientifica, finanziata dal Ministero
della Sanità.
Espletata la procedura selettiva, l’istante si collocava utilmente in
graduatoria, classificandosi al secondo posto.
Sennonché, il predetto Istituto, nonostante il regolare
espletamento del concorso, e nonostante la rinuncia al beneficio
economico di sostentamento da parte della prima classificata,
negava all’istante l’assegnazione della borsa di studio mediante lo scorrimento
e/o l’utilizzazione della graduatoria; a base di detta opzione l’ente
erogatore poneva il motivo secondo cui aveva stabilito di effettuare
la medesima attività di ricerca, avvalendosi delle risorse costituite
dal proprio personale interno.
Avverso tale determinazione dell’ente la ricorrente interponeva un primo
gravame; quest’ultimo aveva successo, e, pertanto, in sede giurisdizionale,
veniva pronunciato l’annullamento degli atti impugnati (diniego di assegnazione
della borsa di studio).
A seguito della menzionata sentenza, l’Istituto sperimentale espletava
attività amministrativa rinnovatoria, e, in asserita esecuzione
del giudicato, confermava la precedente decisione di non assegnare
la borsa di studio; poneva a presidio di tale avviso, da un lato,
la legittima possibilità di non procedere all’assegnazione alla
stregua della presenza nel bando di selezione della clausola secondo cui
l’ente si riservava, a suo insindacabile giudizio, di revocare il concorso
in qualsiasi momento, e dall’altro, l’urgenza di dare avvio all’attività
di ricerca scientifica, più agevolmente assicurata mediante
il ricorso all’attività del personale interno.
Anche avverso tale attività provvedimentale rinnovatoria l’istante
proponeva impugnazione, e con il ricorso giurisdizionale, proponeva,
unitamente alla domanda di annullamento del nuovo diniego di assegnazione
della borsa di studio, anche istanza per ottenere il risarcimento del danno
subito.
Precisava i termini della richiesta di ristoro, con il riferimento al
mancato guadagno, in conseguenza, sia del diniego di assegnazione
della borsa di studio, sia della mancata possibilità di utilizzare
nei pubblici concorsi e, in ogni caso, in ambito professionale, il titolo
conseguente all’attribuzione della borsa di studio, e lo svolgimento
della correlata attività di ricerca scientifica.
La decisione del T.A.R. Umbria.
Il Collegio, nell’affermare la responsabilità della P.A. ha seguito
lo schema classico della responsabilità aquiliana.
In vero, i Giudici perugini, in progressione logica, hanno chiarito
di aver riscontrato, nella fattispecie sottoposta alla loro attenzione,
tutti gli elementi della responsabilità della P.A. ex art.2043 c.c.:
- l’evento dannoso, ovverosia il fatto illecito, rilevato nel fatto
che l’istituto aveva immotivatamente, ovvero con motivazione inadeguata,
optato per la soluzione di non utilizzare la graduatoria approvata
al termine della prova selettiva; il che aveva comportato la mancata fruizione
da parte della ricorrente della borsa di studio;
- l’ingiustizia del danno coincidente con la lesione dell’interesse
legittimo pretensivo della ricorrente all’assegnazione del premio; interesse
ulteriormente qualificatosi e/o consolidatosi a seguito della collocazione
utile in graduatoria dell’istante;
- il nesso di causalità, ritenuto pacificamente sussistente tra
comportamento omissivo (diniego assegnazione beneficio economico) dell’ente
procedente e il suddetto evento dannoso;
- la colpa dell’istituto – profilo più interessante, ad avviso
di chi scrive, della motivazione della sentenza – additata dal Collegio
in una sorta di inadeguata e/o insufficiente attività istruttoria
posta in essere dall’istituto procedente, riferita non soltanto al fatto
della scarsa considerazione avuta verso la posizione e le rimostranze della
candidata, ma anche e soprattutto, al fatto di aver omesso una disamina
approfondita e completa dell’intera vicenda, anche dopo la pronuncia della
sentenza definitiva del primo gravame, così incorrendo anche in
una forma di elusione del giudicato.
Brevi conclusioni.
La decisione che si annota appare sostanzialmente condivisibile, sia
sotto il profilo formale, sia dal punto di vista sostanziale.
Appare innanzitutto utile premettere e ricordare che, come noto, la
fruizione di una borsa di studio, secondo un regolamento negoziale
qualificabile come contratto atipico di addestramento professionale,
risponde, ex artt.9 e 34 Cost., da un lato, al precipuo scopo di sostentamento
materiale in favore del beneficiario della stessa, e, dall’altro, a quello
dell'apprendimento da parte del borsista, nonché infine, all’utilizzazione,
da parte dell’ente erogatore, dei risultati dell'attivita' didattico-addestrativa
svolta dal borsista medesimo.
E’ altrettanto noto che la fruizione di borse di studio finalizzate
ad attività di ricerca, spesso forma oggetto di specifica
e rilevante valutazione, in sede di partecipazione a procedure concorsuali.
Per costante e nota giurisprudenza, inoltre, l'attività
espletata da un soggetto che abbia conseguito una borsa
di studio, concessagli da un istituto
di ricerca, non può mai configurare
alcun elemento riconducibile al rapporto
d'impiego pubblico, in quanto non solo lo specifico collegamento
dell'attività del borsista con gli obiettivi di ricerca dell'istituto
erogatore ne circoscrive i compiti assegnandoli
un ruolo indiretto rispetto al perseguimento delle finalità
istituzionali di quest'ultimo, ma soprattutto la
borsa di studio, pur essendo pagata in ratei continui e periodici, viene
attribuita all'interessato non come sinallagmatico corrispettivo di
un servizio da costui svolto nell'interesse
dell'istituto, bensì all'esclusivo e dichiarato
scopo di aiutare economicamente il beneficiario durante lo svolgimento
di un'attività di studio e di ricerca scientifica.
*^*^*
Ciò premesso, e venendo alla decisione in rassegna, si osserva
che il T.A.R. perugino, evidentemente, ha pregiudizialmente ritenuto sussistere
la propria giurisdizione, alla stregua del pacifico orientamento secondo
cui, in materia di assegnazione di borse di studio va distinto il profilo
dell’ammissione alla borsa di studio, connotato da una posizione di interesse
legittimo, dalla presenza di una procedura selettiva e da un atto di ammissione
o concessione del beneficio, dal profilo del successivo riconoscimento
del diritto alla remunerazione adeguata o del diritto all’assegno, che,
essendo prestabilito dalla legge e fissato in base a parametri predeterminati
che escludono valutazioni discrezionali della Pubblica Amministrazione,
si configura come un vero e proprio diritto soggettivo dello studente (così
per tutte e da ultimo Cons. St., VI, 23 settembre 2002, n. 4824) (1)
Ha, inoltre, ritenuto che, nella specie, era configurabile, la
lesione del suddetto interesse legittimo, perché l’ente erogatore
del beneficio economico aveva omesso di valutare ponderatamente la situazione
giuridico-soggettiva consolidatasi in capo all’istante – ritenuta capace
e meritevole (art.34 Cost.) in sede di selezione - a seguito della
procedura concorsuale, non prendendo in considerazione il dato oggettivo
della sua collocazione utile in graduatoria.
Ha aggiunto che detta lesione scaturiva anche dal comportamento dell’Istituto
che aveva omesso di motivare adeguatamente l’opzione da ultimo seguita
di espletare l’attività di ricerca a mezzo del personale interno,
dopo aver bandito e portato a conclusione regolarmente una selezione pubblica,
ingenerando nei concorrenti l’affidamento nella convinzione dell’istituto
medesimo di poter ottenere migliori risultati nella ricerca scientifica
a mezzo di un borsista appositamente selezionato, e non a mezzo
dell’attività del personale interno.
*^*^*
Il nesso eziologico e/ di causalità è stato ritenuto
dal Collegio pacificamente sussistente, e, sul punto, pur non avendo i
Giudici fornito una particolare motivazione, non sembra che possa
seriamente revocarsi in dubbio che, nella specie, vi fosse una connessione
causale e/o una coincidenza fenomenologica, tra bene della vita giuridicamente
protetto (interesse all’assegnazione della borsa di studio), utilità
dello stesso (di cui l’istante ha preteso il risarcimento) e lesione di
tale bene derivata dal comportamento dell’istituto erogante il beneficio,
non avendo detto ente, nonostante la regolare conclusione del concorso,
supportato la scelta di non procedere all’assegnazione del premio economico
mediante utilizzo della graduatoria, e di attivare, invece, la ricerca
con personale interno, con un’idonea ed esternata motivazione (art.3, l.n.241/1990).
In sostanza, nella specie, alla luce dello svolgimento dei fatti come
rappresentati in sentenza, non sembra possa dubitarsi che, al di là
di ogni considerazione, nel comportamento del resistente sia ravvisabile
un’inadeguata ponderazione delle aspettative della candidata, e, quindi,
l’inosservanza di quelle norme di buona amministrazione che sottendono
anche all’espletamento di un pubblico concorso, e, quindi, ancora,
del più generale principio del neminem laedere, ex art.2043
c.c.
*^*^*
Di particolare interesse, nella decisione, è l’interpretazione
fornita da Collegio in ordine alla clausola inserita nel bando di
selezione, secondo cui l’Istituto offerente si riservava la possibilità
di revocare, modificare o sospendere in qualsiasi momento il concorso,
a proprio insindacabile giudizio”.
Sul punto l’Organo giurisdizionale, svolgendo mirata attività
ermeneutica, ha osservato che, in ossequio ai principi costituzionali
di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, e,
verosimilmente, di conservazione degli atti giuridici ed amministrativi,
detta clausola non poteva essere intesa se non nel senso che la facoltà
discrezionale dell’istituto di porre nel nulla la selezione, era circoscritta
alle sole fasi precedenti alla conclusione del concorso, atteso che,di
contro, la lex specialis prevedeva che la borsa di studio venisse
in ogni caso assegnata anche a mezzo di scorrimento della graduatoria,
per l’ipotesi di rinuncia del vincitore.
*^*^*
In merito alla quantificazione del danno i Giudici amministrativi
hanno dato preventivamente atto che non era più possibile provvedere
al riconoscimento in forma specifica, stante, da un lato, l’espletamento
già avvenuto dell’attività di ricerca scientifica e, dall’altro,
l’impiego e, quindi, la mancanza di disponibilità dei fondi ministeriali.
Hanno quindi chiarito che la pretesa di ristoro poteva essere riconosciuta
esclusivamente per equivalente monetario.
Hanno, pertanto, condannato l’istituto resistente:
- al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento
del danno per mancato guadagno, di una somma pari al valore della
borsa di studio, avendo provato l’istante – a mezzo di autocertificazione
- di non aver percepito nel periodo di interesse, alcun reddito da attività
lavorativa.
- al pagamento di altra somma, liquidata – alla stregua dell’assenza
di parametri di riferimento - in via equitativa, a titolo di ristoro per
l’impossibilità di utilizzare nei pubblici concorsi o, comunque,
in ambito professionale, il titolo derivante dall’attribuzione della borsa
di studio e dallo svolgimento della relativa attività di ricerca.
In merito, si osserva che, anche sotto tale specifico profilo della
quantificazione del danno, la decisione appare condivisibile, se si considera
che, in giurisprudenza, sia pure non recentissima, è stata sottolineata
la c.d. funzione alimentare dell’istituto della borsa di studio (2).
*^*^*
In conclusione, si osserva, quanto appresso.
Il richiamo, nel titolo della presente nota, in termini di metafora,
del noto ordine perentorio dato, con grande e momentanea tensione, dai
rapinatori a mano armata protagonisti del film western di altri tempi,
vuole dare contezza del fatto che la sentenza in commento, riconoscendo
alla ricorrente il bene della vita (sub specie di equivalente monetario),
e accordando alla medesima il risarcimento del danno nella misura,
per un verso, dell’importo integrale pari alla borsa di studio messa
concorso, e, per altro verso, di un importo equitativo per l’impossibilità
di utilizzare in ambito professionale lo svolgimento dell’attività
di ricerca negata, ha confermato e ribadito la necessità di considerare
particolarmente rilevanti, nel nostro ordinamento, il diritto allo studio
e la promozione della ricerca scientifica, valori, come noto,
posti al vertice della gerarchia di quelli costituzionalmente protetti
e garantiti (artt.9 e 34 Cost.), realizzabili, tuttavia, sul presupposto
dell’effettiva disponibilità di idonei mezzi materiali.
NOTE:
1) Cons. Stato (Sez. V), 1 aprile 1996, n. 336; in Foro Amm., 1996,
1196; e in Cons. Stato, 1996, I, 578;
2) Sussiste il requisito dell'irreparabilità
del danno allorché venga ritardata la corresponsione di una borsa
di studio stante la funzione alimentare della medesima (Pret. Roma, 3 maggio
1989; in Temi Rom., 1989, 377).
Avv.Ottavio CARPARELLI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Umbria ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 204/2001, proposto da Claudia ZADRA, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Fabio Buchicchio e Stefano Salciarini, il primo anche
domiciliatario in Perugia, alla Via Bartolo n. 40;
CONTRO
l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche,in
persona del direttore generale pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv.
Mario Rampini, anche domiciliatario in Perugia, al Viale Indipendenza n.
49;
per l'annullamento
della determinazione del direttore generale in data 21 dicembre 2000,
comunicata con nota prot. 1442 in data 7 febbraio 2001; nonché di
ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o collegato,
ivi comprese la nota predetta e, ove occorra, la clausola del bando di
concorso in data 24 agosto 1994, secondo cui l’Istituto potrebbe revocare
la selezione a proprio insindacabile giudizio;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione dell’Istituto intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del giorno 24 settembre 2003 la
relazione del Dott. Pierfrancesco Ungari e udite le parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto:
FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza n. 770/2000, questo Tribunale ha annullato:
- la nota del presidente dell’Istituto zooprofilattico sperimentale
dell’Umbria e delle Marche in data 23 ottobre 1995, con cui era stata negata
alla ricorrente l’assegnazione di una borsa di studio (di 35 milioni di
lire) nell’ambito di una ricerca finanziata dal Ministero della sanità,
previa utilizzazione della graduatoria del relativo concorso (nella quale
era utilmente collocata al secondo posto, avendo la prima classificata
rinunciato);
- gli atti successivi con i quali l’Ente aveva stabilito di espletare
la ricerca mediante proprio personale interno.
In asserita esecuzione della predetta sentenza, con deliberazione del
direttore generale n. 392 in data 21 dicembre 2000, l’Istituto zooprofilattico
ha deliberato di non procedere all’assegnazione della borsa di studio in
questione.
2. La ricorrente impugna ora detta delibera (unitamente, ove occorra,
alla clausola del bando che prevedeva la facoltà dell’Istituto di
revocare il concorso a proprio insindacabile giudizio) e chiede il risarcimento
dei danni derivanti dalla lesione del suo interesse pretensivo alla borsa
di studio.
Deduce a tal fine articolate censure di difetto di motivazione, eccesso
di potere per travisamento di fatto, per contraddittorietà, violazione
del giudicato, sviamento, violazione dell’art. 7 della legge 241/1990 (nei
confronti della delibera n. 392/2000); di violazione dell’art. 113 Cost.,
dei principi di imparzialità e buon andamento della p.a. di cui
all’art. 97 Cost., di difetto di motivazione (nei confronti della clausola
del bando di concorso).
3. L’Istituto Zooprofilattico si è costituito in giudizio, controdeducendo
puntualmente.
4. Il ricorso è fondato e dev’essere accolto.
4.1. La sentenza n. 770/2000 ha annullato i precedenti atti relativi
all’assegnazione della borsa di studio sulla base del rilievo che la decisione
di non assegnare la borsa di studio “… che veniva a sacrificare le legittime
aspettative della ricorrente, fondate sull’esito di un concorso formalmente
effettuato, è stata presa in una sede non competente, e, a quanto
pare, senza che l’autorità (quale che fosse) che ha preso la decisione
abbia adeguatamente soppesato ed esternato le doverose motivazioni”.
Detta sentenza, quindi, non ha ritenuto di per sé necessariamente
illegittima la non utilizzazione della graduatoria, ma ha ritenuto che
tale decisione non competesse al presidente e non fosse adeguatamente motivata.
Va sottolineato che il bando prevedeva espressamente la facoltà
di “revocare, modificare o sospendere in qualsiasi momento il concorso,
a proprio insindacabile giudizio”.
4.2. Con il provvedimento impugnato, l’Istituto motiva la (rinnovazione
della decisione di) non assegnazione della borsa di studio con il richiamo
della predetta clausola del bando, unitamente a quello della circostanza
che motivi di urgenza richiedevano la pronta attivazione della ricerca,
poi effettivamente espletata con personale interno e conclusa nel 1996.
Così facendo, l’Istituto non è incorso nuovamente nel
vizio di incompetenza.
Tuttavia, il provvedimento non ha eliminato i profili di illegittimità
connessi al difetto di motivazione.
Infatti, le considerazioni (invero, assai scarne) contenute nel provvedimento,
non integrano la motivazione che sarebbe stata necessaria nella situazione
specifica, poiché:
- quanto all’urgenza dell’avvio della ricerca, questa, nel provvedimento,
è (esclusivamente) supportata dal mero richiamo ad una nota del
direttore in data 19 aprile 1995; ma detta nota non indica affatto una
simile esigenza, limitandosi a raccomandare talune cautele di dettaglio
“in attesa di ulteriori determinazioni”. Peraltro, appare logico supporre
che il modo più celere di avviare la ricerca fosse proprio quello
di affidarla alla seconda classificata, a ciò prontamente disponibile.
- quanto alla facoltà di revocare il concorso, appare evidente
che, in base ai principi di imparzialità e buon andamento dell’azione
amministrativa, l’ambito di esercizio di detta facoltà doveva ritenersi
circoscritto alle fasi del concorso precedenti alla sua conclusione. Viceversa,
una volta approvata la graduatoria, il bando prevedeva che la borsa di
studio venisse attribuita anche mediante scorrimento della graduatoria,
in caso di rinuncia del vincitore.
In conclusione sul punto, ha ragione la ricorrente a sostenere
che le motivazioni addotte a posteriori appaiono insufficienti e travisate,
laddove invece “… ci si doveva dar carico, da un lato, delle aspettative
legittimamente maturate da chi aveva partecipato al concorso; e, dall’altro,
della preesistenza di una formale determinazione con la quale si era scelto
di affidare la ricerca ad un borsista appositamente selezionato, nell’implicito
convincimento che per tale via si potessero ottenere risultati migliori
che ricorrendo al personale interno” (sent. cit.).
Il provvedimento merita dunque di essere annullato.
4.3. Così accertata la mancanza di provvedimenti legittimi atti
a giustificare l’operato (la condotta omissiva, riguardo all’utilizzazione
della graduatoria a beneficio della ricorrente) dell’Istituto, va aggiunto
che sono riscontrabili tutti gli altri elementi costitutivi della responsabilità
della p.a.:
- quanto all’evento dannoso, è evidente che la mancata utilizzazione
della graduatoria non ha consentito alla ricorrente di fruire della borsa
di studio e, conseguentemente, di ottenere la somma di lire 35 milioni
ad essa connessa.
- l’ingiustizia del danno deriva dalla circostanza che incide su una
situazione di interesse legittimo pretensivo della ricorrente, come tale
consolidato a seguito dell’utile collocazione in graduatoria in esito a
formale concorso.
- è pacifico il nesso di causalità tra l’evento dannoso
e la condotta omissiva dell’Istituto.
- in ordine alla colpa, può sottolinearsi che l’Istituto non
ha preso in considerazione la posizione e le istanze della ricorrente,
né ha mai riesaminato funditus la questione, ed ha proceduto a formalizzare
una decisione negativa soltanto a distanza di anni ed in seguito alla sentenza
di questo Tribunale, per di più non seguendo le indicazioni (sulla
valutazione da compiere e sugli aspetti che la relativa motivazione avrebbe
dovuto considerare) ivi contenute. In questo, non giustificata da alcuna
particolare complessità della questione, sotto il profilo giuridico,
tale da poter ipotizzare un errore scusabile.
Pertanto, deve essere accolta la domanda risarcitoria.
4.4. Il Collegio osserva che la pretesa risarcitoria può essere
soddisfatta soltanto per equivalente monetario, risultando impraticabile
il risarcimento in forma specifica stante l’impossibilità pratica
di attribuire ormai la borsa di studio in questione, attinente ad una ricerca
già espletata e per la quale, secondo quanto desumibile dagli atti
acquisiti al giudizio, i relativi fondi ministeriali sono stati impiegati
o non sono più disponibili.
Ciò premesso, il danno risarcibile comprende:
- l’importo pari alla borsa di studio (Euro 18.175,99 equivalenti a
35 milioni di lire), a titolo di mancato guadagno, non risultando che la
ricorrente abbia percepito, nel periodo in questione, alcun reddito derivante
da attività lavorative (come è confermato anche dalla autocertificazione
sulla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per il 1995,
a fronte del non raggiungimento del minimo imponibile, e dalla circostanza
che risulta aver iniziato un corso di dottorato retribuito soltanto nel
1997);
- un ulteriore importo, per la mancata possibilità di utilizzare
nei pubblici concorsi o, comunque, in ambito professionale, il titolo derivante
dall’attribuzione della borsa di studio e dallo svolgimento della ricerca
relativa. Tale importo, liquidabile in via equitativa, può essere
quantificato in Euro 2.500.
Non può essere invece riconosciuto l’importo di lire 4.520.000,
pure richiesto a titolo di danno emergente, e pari alla differenza tra
le spese legali corrisposte per i precedenti giudizi (come risultanti dalle
fatture versate in atti) e quelle liquidate da parte dell’Istituto in esito
alla sentenza n. 770/2000. Ogni valutazione in ordine alla spettanza ed
entità delle spese del precedente giudizio è stata
compiuta (attraverso la condanna alle spese) con la sentenza n. 770/2000,
e non può essere riesaminata in questa sede.
5. In conclusione, in accoglimento del ricorso devono essere annullati
gli atti impugnati e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria
e delle Marche deve essere condannato al pagamento dei danni, nella misura
indicata al punto precedente, oltre alla rivalutazione ed agli interessi
legali sulla somma equivalente alla borsa di studio (a far data dal 23
ottobre 1995, momento in cui l’Istituto ha per la prima volta esternato
una decisione in ordine alla borsa di studio in questione, denegandone
l’attivazione anziché attribuirla alla ricorrente) e sulla somma
riconosciuta per il mancato incremento del curriculum professionale (a
decorrere dalla data in cui, secondo le previsioni del bando, la ricerca
avrebbe dovuto essere consegnata), nonché delle spese di giudizio,
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo dell'Umbria, definitivamente pronunciando
sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto:
- annulla i provvedimenti impugnati;
- condanna l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle
Marche al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento
danni, delle somme di Euro 18.175,99 e di Euro 2.500,00, maggiorate della
rivalutazione e degli interessi legali fino al momento dell’effettivo soddisfo,
con le decorrenze rispettivamente indicate in parte motiva;
- condanna il predetto Istituto al pagamento in favore della ricorrente
della somma di Euro 2.500,00, per spese ed onorari del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’autorità
amministrativa.
Così deciso in Perugia, nella camera di consiglio del giorno
24 settembre 2003, con l'intervento dei magistrati:
Avv. Pier Giorgio Lignani Presidente
Avv. Annibale Ferrari Consigliere
Dott. Pierfrancesco Ungari Consigliere, estensore.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Pierfrancesco Ungari
F.to Pier Giorgio Lignani
IL SEGRETARIO
F.to Francesca Bianconi
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