Giurisprudenza - Varia

Tar Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, sent. n. 102 del 12 marzo 2001, sulla necessità di un atto di riconoscimento del carattere di interesse storico, archeologico e artistico di un immobile anche se di proprietà del Comune

R E P U B B L I C A    I T A L I A N A 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L'EMILIA-ROMAGNA
SEZIONE DI PARMA
composto dai Signori:
Dott. Gaetano Cicciò Presidente       
Dott. Ugo Di Benedetto Consigliere  
Dott. Umberto Giovannini Primo Referendario Rel.est
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 377 del 1997, proposto da Comune di Collecchio, rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo RUTIGLIANO ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo, in  Parma, borgo S. Brigida n.1   
contro
Ministero per i Beni e per le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, presso i cui Uffici, in via Guido Reni n.4 è domiciliato ex lege.
e nei confronti
- dell’Associazione Parmense Edili s.c.r.l. con sede in Parma, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
- della Congregazione Suore della Provvidenza per l’Infanzia Abbandonata, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
e con l’intervento, “ad opponendum”
della sig. ra Silvia BERGAMASCHI, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe FOGLIA ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo, in Parma, strada Farini n.37
per l’annullamento
del decreto, in data 17/2/1997, con il quale il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici ha riconosciuto l’interesse particolarmente importante dell’immobile denominato “Collegio e Oratorio del Sacro Cuore e pertinenze” sito in Collecchio, nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso.   
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione Statale intimata.
Visto l’atto d’intervento “ad opponendum” della sig.ra Silvia BERGAMASCHI, notificato il 10/1/2001 e 11/1/2001 e depositato il 19/1/200;. 
Viste le memorie presentate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 6/2/2001, il dr. Umberto GIOVANNINI; uditi, altresì,  l’Avv. Massimo RUTIGLIANO per il ricorrente e l’Avv. Giuseppe FOGLIA per la sig.ra Silvia BERGAMASCHI, intervenuta “ad opponendum”;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso n. 377 del 1997, notificato il 7, 9 e 10 giugno 1997 e depositato il 30 giugno 1997, il Comune ricorrente chiede l’annullamento del decreto, in data 17/2/1997, con il quale il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici ha riconosciuto l’interesse particolarmente importante dell’immobile denominato “Collegio e Oratorio del Sacro Cuore e pertinenze” sito in Collecchio, nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso. 
Il Comune di Collecchio, in data 18/3/1986, a seguito di regolare autorizzazione prefettizia, acquistava dalla Congregazione delle Suore della Divina Provvidenza per l’Infanzia Abbandonata, il complesso immobiliare denominato “Collegio e Oratorio del Sacro Cuore”.
Con atto notarile in data 22/12/1992, lo stesso Comune, dopo avere vanamente tentato di alienare il predetto complesso mediante pubblico incanto, lo vendeva a trattativa privata alla società cooperativa “Associazione Parmense degli Edili – A.P.E. -.
Con due lettere del 17/1/1995 e del 19/7/1995 la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici chiedeva al Comune di Collecchio informazioni in merito all’immobile in questione.
Con ulteriore lettera del 1/8/1995 la Soprintendenza comunicava al Comune di ritenere nullo il contratto di compravendita stipulato con l’A.P.E. in quanto l’immobile oggetto di alienazione sarebbe stato da considerare sottoposto “ope legis” alla disciplina vincolistica di cui alla L. n.1089 del 1939 e ha contestualmente ordinato di disporre la sospensione dei lavori cui l’acquirente aveva nel frattempo posto mano.
Con nota del 2/2/1996, la Soprintendenza ribadiva il proprio convincimento riguardo al valore storico artistico del bene e della nullità dell’atto di compravendita stipulato con A.P.E..
Quest’ultimo provvedeva a citare in giudizio per danni il Comune di Collecchio, suo dante causa e a richiedere inoltre al giudice ordinario sentenza  dichiarativa di nullità del contratto di compravendita o, in subordine la sua risoluzione per inadempimento del venditore.
In data 10/4/1997, veniva notificato al Comune di Collecchio il provvedimento indicato in epigrafe, da quest’ultimo ritenuto illegittimo per i seguenti motivi.
1) – Violazione e falsa applicazione degli artt. da 1 a 4 della L. 1/6/1939 n. 1089; Eccesso di potere per difetto d’istruttoria e travisamento dei presupposti;
L’atto impugnato è stato adottato sul presupposto che il complesso immobiliare oggetto di notifica di vincolo sia tuttora di proprietà comunale per effetto di quanto disposto dall’art. 4 della L. n.1089 del 1939, ma esso risulta alienato fin dal dicembre del 1992 all’A.P.E.
Ne discende che il decreto avrebbe dovuto essere indirizzato a quest’ultima società,  attuale proprietaria del complesso.
2) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 822, comma 2 e dell’art. 824 del codice civile; Eccesso di potere per difetto d’istruttoria e travisamento dei presupposti;
Il Ministero, invero, pare aver ritenuto di poter prescindere dall’avvenuto trasferimento di proprietà del complesso immobiliare, sul presupposto della nullità del contratto di compravendita intervenuto a suo tempo tra il Comune di Collecchio e A.P.E., in quanto avente ad oggetto un bene per sua natura incommerciabile.
Infatti, la legge n.1089 del 1939 stabiliva, all’art. 4, che relativamente ai beni di proprietà di enti pubblici di cui alla lettera a) dell’art.1, la soggezione alla disciplina tutoria derivava direttamente dalla previsione legislativa, senza alcuna necessità di notificazione all’ente proprietario di provvedimento di riconoscimento dell’interesse adottato dall’autorità competente.
L’art. 822, comma 2, stabilisce però che fanno parte del demanio e sono quindi indisponibili “gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia”.
Il codice, pertanto, ha da un lato individuato i beni del demanio artistico impiegando una dizione combaciante con quella di cui all’art.1 della L. n. 1089 del 1939 definiva i beni da ritenersi ex se vincolati e, dall’altro ha previsto anche per tali beni la necessità di un atto di riconoscimento, analogo a quello contemplato dall’art. 2 della citata legge n. 1089, quale condizione per l’insorgenza del regime di inalienabilità.
Il codice civile quindi, coerentemente con la logica di incentivazione degli scambi e della circolazione dei beni e con l’esigenza di eliminare le possibili incertezze in cui si veniva inevitabilmente a trovare l’Ente pubblico proprietario di un immobile che intendesse alienare, nell’impossibilità di conoscere in anticipo l’alienabilità del bene medesimo.
Un’esplicita conferma della ricostruzione prospettata proviene ora dall’art. 12 della L. n.127 del 1997, che ha eliminato il vincolo di incommerciabilità che grava sugli immobili di interesse storico e artistico dello Stato, delle Province e dei Comuni, consentendone l’alienazione previa autorizzazione da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
Tale riforma risulta applicabile anche alle alienazioni “aventi ad oggetto beni immobili ricompresi nella tutela disposta con gli art. 1 e 2 della L. n.1089 del 1939, deliberate prima del 31/12/1996, con l’avvertenza, però, che l’autorizzazione ministeriale è necessaria solo se anteriormente alla deliberazione di alienazione sia stato notificato e trascritto il provvedimento di riconoscimento del valore artistico del bene: altrimenti la vendita è del tutto libera, ferma la sola osservanza delle procedure di evidenza pubblica.
L’alienazione da parte del Comune del complesso di cui è causa, rientra pertanto nella disciplina della legge, posto che l’atto di compravendita risale al 1992 e che, all’epoca, non era ancora intervenuta alcuna determinazione ricognitiva del valore artistico del bene, con conseguente appartenenza del complesso immobiliare al patrimonio disponibile del Comune e perciò liberamente alienabile dall’Ente.
3) – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della L. n.1089 del 1939, dell’art.822, comma 2 e dell’art. 824 c.c.; Eccesso di potere per difetto d’istruttoria e travisamento dei presupposti;
 Il provvedimento impugnato è viziato anche da irragionevolezza, perché assume essere già gravato da vincolo “ope legis” l’immobile, in virtù dell’appartenenza al Comune, mentre tale vincolo avrebbe potuto sorgere solo a seguito della notifica di apposita dichiarazione d’interesse anteriormente al trasferimento a terzi della proprietà del complesso immobiliare.
4) – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della L. n.1089 del 1939, dell’art.822 comma 2 e dell’art. 824 c.c.; Eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza di motivazione e contraddittorietà;
Il requisito essenziale e imprescindibile per assoggettare un bene alla disciplina dettata dalla L. n.1089 del 1939 è che questo rivesta un apprezzabile interesse dal punto di vista storico e/o artistico.
Non è il caso del complessi edilizio in questione dato che la chiesa rappresenta una volgare imitazione dello stile romanico risalente alla fine del secolo scorso e all’inizio di questo e alcuni edifici, quali la casa del custode e la palazzina adibita ad autorimessa, non hanno nessuna rilevanza architettonica.
La relazione, inoltre, si limita ad una descrizione sintetica delle caratteristiche stilistiche ed architettoniche degli immobili, senza indicare la ragione per cui essi rivestirebbero la particolare importanza attribuita.
- Con memoria depositata in data 28/10/2000, il Comune ricorrente, dopo avere ribadito le considerazioni esposte con l’atto introduttivo del giudizio, conclude con richiesta di accoglimento del ricorso, vinte le spese.     
§ § §
L’Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali resistente, con controricorso e successiva analitica memoria, ritenendo infondato il ricorso, ne chiede la reiezione, vinte le spese.
E’ intervenuta nel presente giudizio, con adesione alle ragioni dell’Amministrazione Statale, la sig.ra Silvia BERGAMASCHI, proprietaria di immobile confinante con il complesso edilizio in questione, chiedendo, in primis, che il giudizio sia estinto per mancata riassunzione del ricorso derivante dall’interruzione dello stesso dovuta alla sopravvenuta dichiarazione di fallimento  della  società cooperativa A.P.E. e, nel merito, la reiezione del ricorso per infondatezza.
Con memoria del 26/1/2001, la stessa ribadisce le argomentazioni già esposte con l’atto d’intervento.
§ § §
Alla pubblica udienza del  6/2/2001 la causa è stata chiamata e, su richiesta delle parti, è stata trattenuta per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
Con il ricorso in esame, il Comune di Collecchio  ha impugnato il decreto in data 17/2/1997, con il quale il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (ora Ministero per i Beni e le Attività Culturali) ha riconosciuto l’interesse particolarmente importante del complesso edilizio denominato “Collegio e Oratorio del Sacro Cuore e pertinenze”.
In via preliminare, il Tribunale ritiene di non dovere prendere in considerazione l’eccezione con la quale l’interveniente “ad opponendum”, segnala  l’asserita estinzione del giudizio per effetto di mancata riassunzione dello stesso a seguito di interruzione dovuta a dichiarazione di fallimento della controinteressata Associazione Parmense Edili società cooperativa a responsabilità limitata.
Invero, anche a voler prescindere dal fatto che la controinteressata società, di cui si afferma essere venuta meno la capacità processuale, non si è costituita nel presente giudizio, con conseguente inapplicabilità dell’istituto dell’interruzione a tale soggetto (v. C.d.S. sez. IV, 25/1/1980 n. 27, T.A.R. Trentino Alto Adige – BZ – 25/1/1999 n. 29; T.A.R. Puglia –BA- 10/7/1990 n.591), occorre sottolineare che, nel giudizio amministrativo, il campo d’azione processuale consentito all’intervento adesivo deve necessariamente seguire e ricalcare la traccia delle difese della parte cui accede (nel caso in esame: l’Amministrazione dei Beni e delle Attività Culturali), per cui, nel silenzio di quest’ultima riguardo alla suddetta eccezione,  non può trovare ingresso la doglianza dell’interveniente.
Scendendo ad esaminare il merito della controversia, il Tribunale deve premettere, in fatto, che l’immobile di cui trattasi, acquistato dall’Ente nel 1988, è stato da questi successivamente alienato a terzi nel 1992 e che l’impugnato atto ministeriale è stato notificato all’Amministrazione Comunale di Collecchio nel 1997, sul presupposto che l’Ente ne fosse ancora il proprietario, attesa la ritenuta nullità ex art. 4 della L. n.1089 del 1939 ed art. 822, 823 e 824 c.c. delle alienazioni degli immobili di proprietà di Enti Pubblici di cui all’art. 1 della L. n.1089 del 1939, secondo cui “Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico…”.
Il punto nodale da risolvere, quindi, concerne la questione se i beni immobili che possano ritenersi ricompresi tra quelli indicati nella suddetta disposizione, qualora appartengano ad Enti Pubblici, siano sottoposti ex lege a tutela artistica – storica e a vincolo d’inalienabilità o se, invece, come ritiene il Comune ricorrente, in particolare con il secondo mezzo d’impugnazione, tale regime sia applicabile unicamente dal momento in cui l’Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali abbia espressamente riconosciuto l’interesse particolarmente importante del bene, chiunque sia il soggetto – pubblico o privato – che ne è proprietario. 
L’art. 4 della L. 1/6/1939 n. 1089 dispone che “I rappresentanti delle Province, dei Comuni, degli enti e degli istituti legalmente riconosciuti devono presentare l’elenco descrittivo delle cose indicate nell’art. 1 di spettanza degli enti o istituti che essi rappresentano.
I rappresentanti anzidetti hanno altresì l’obbligo di denunziare le cose non comprese nella prima elencazione e quelle che in seguito vengono ad aggiungersi per qualsiasi titolo al patrimonio dell’ente o istituto.
Le cose indicate nell’art. 1 restano sottoposte alle disposizioni della presente legge, anche se non risultino comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni di cui al presente articolo.”.
 Da tale disposizione si evince, innanzitutto, che l’inserzione dei beni negli elenchi di cui al 1° comma e la denunzia di cui al 2° comma  non hanno efficacia costitutiva  del vincolo di cui alla L. n.1089 del 1939 e che, quindi, se è vero che l’inclusione in tali elenchi non comporta “ex se” il riconoscimento dell’interesse particolarmente importante del bene, è altrettanto indubitabile che l’omessa compilazione degli elenchi e/o il loro mancato aggiornamento, pur comportando, per i rappresentanti degli Enti pubblici, la possibilità che il loro comportamento omissivo sia sanzionato ex art. 58 della L. n.1089 del 1939, non abbiano alcuna rilevanza relativamente all’individuazione del momento in cui ha effetto il riconoscimento dell’interesse artistico storico dei beni non inclusi nei suddetti elenchi.
Il Collegio ritiene inoltre che, stante la generica definizione dei beni soggetti a vincolo c.d. “intrinseco” tratteggiata dall’art. 1 della Legge n.1089 del 1939 e il tutt’altro che esaustivo elenco posto a chiusura della stessa disposizione, possa ingenerarsi negli Enti Pubblici proprietari di tali beni, specialmente riguardo alla categoria dei beni immobili, obbiettiva incertezza - stante anche la mancanza di competenza specifica del personale dei suddetti Enti - riguardo all’individuazione degli stessi e alla loro qualificazione quali beni soggetti al regime di cui all’art. 1 della L. n.1089 del 1939.
D’altra parte, è la stessa legge fondamentale che individua il Ministero per i Beni e le Attività Culturali quale organo tecnicamente qualificato ed istituzionalmente deputato all’accertamento del valore artistico – storico di un bene, per cui non pare conforme all’impianto normativo disegnato dalla L. n.1089 del 1939, privare, nel caso di beni appartenenti ad Enti Pubblici – il Ministero di tali attribuzioni, in favore di organi degli Enti Pubblici sprovvisti, come si è detto, della necessaria specifica competenza tecnica. 
Deve inoltre aggiungersi che, perlomeno in tempi recenti, l’Amministrazione Statale risulta avere indirizzato gli Enti Locali a reperire parte delle risorse finanziarie necessarie al loro funzionamento, mediante auto finanziamento, da esperirsi anche tramite dismissione di parte del loro patrimonio immobiliare, allo scopo di attenuare il fenomeno all’indebitamento di tali Enti nei confronti degli istituti di credito.
In quest’ottica evidentemente si è posto anche il legislatore che, con l’art. 12 della L. n.127 del 1997, ha dettato precise disposizioni in materia di alienazione degli immobili di proprietà pubblica, prevedendo anche la possibilità, al 3° comma che, previa autorizzazione, possano essere alienati anche i beni di cui agli artt. 1 e 2 della L. n.1089 e, al 4° comma che, in particolari casi di cui si dirà più oltre, gli stessi beni possano essere alienati, anche senza l’autorizzazione di cui all’art. 24 della citata L. n.1089 del 1939.
E’ ben vero che il 3° e 4° comma dell’art. 12 della L. n. 127 del 1997 sono stati abrogati dall’art.2, comma 24 della L. n.191 del 1998, ma quel che preme puntualizzare, al momento, al Collegio, è l’evidente contrasto  sussistente tra un’interpretazione rigida delle disposizioni di cui all’art. 4 della L. n.1089 del 1939 e agli artt. 822, 823 e 824 c.c., fondata sulla sussistenza di un vincolo artistico – storico ex lege per i beni di proprietà di Enti Pubblici e, da un lato, la mancanza di specifica competenza tecnica, da parte del personale di tali Enti, alla individuazione e qualificazione dei beni soggetti a vincolo intrinseco ex lege n.1089 del 1939 e, dall’altro, l’evoluzione in termini di maggior presenza e dinamicità sul mercato immobiliare richiesta agli amministratori degli Enti Territoriali.
Il Collegio non ignora, peraltro, che il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, perlomeno fino al 1998, era nel senso  che i beni d’interesse storico artistico di cui all’art. 1 della L. n.1089 del 1939 di proprietà degli enti pubblici dovevano essere considerati di per se stessi e senza la necessità di alcun accertamento costitutivo del loro valore, assoggettati al regime proprio dei beni demaniali e alla disciplina di cui alla suddetta legge.
Sistema del tutto contrario, pertanto, a quanto è prescritto dalla legge per gli stessi beni di proprietà di privati, per i quali, l’assoggettamento a vincolo ex lege n. 1089 del 1939, avviene unicamente mediante notificazione di apposito provvedimento che ne accerti il particolare interesse storico artistico (C.d.S., sez. VI, 25/10/1996 n. 1400; 22/3/1993 n.255; T.A.R. Campania – SA – 8/1/1997 n. 619; T.A.R. Puglia – BA -  1^ sez., 16/6/1992 n.451).
La sesta sezione del Consiglio di Stato, però, dapprima con la sentenza 2/11/1998 n. 1479 e, successivamente, con la sentenza 8/2/2000 n. 678, ha operato una decisa inversione di rotta, interpretando le disposizioni precedentemente menzionate della L. n. 1089 del 1939 e del codice civile in un senso che, ritiene il Collegio, pur essendo comunque rispettoso dei principi di cui all’art.9, 2° comma Cost., pare potere risolvere le incertezze sulla qualificazione del bene di proprietà degli Enti Pubblici, responsabilizzando maggiormente i competenti organi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – che, come si è detto, risultano, in effetti, gli unici a garantire la competenza  tecnica necessaria  a riconoscere l’interesse artistico storico particolarmente rilevante di un bene  - e, in ultima analisi, consentendo agli enti pubblici e ai loro aventi causa, di poter disporre con certezza giuridica di quella parte di patrimonio immobiliare che, in quanto non espressamente riconosciuta rilevante ai fini della tutela artistico storica, può essere liberamente alienata a terzi. 
Le considerazioni svolte dalla sesta sezione del Consiglio di Stato, che il Collegio condivide, sono incentrate su una diversa interpretazione dell’art. 4 della L. n.1089 del 1939 e dell’art. 822 del Codice Civile ed esse sono state riprese, pur con diverse sfumature e senza citare le suddette fonti giurisprudenziali, dalla difesa del Comune di Collecchio con il secondo mezzo d’impugnazione.
Sostiene la sesta Sezione, con la sentenza 678/2000, che l’art. 4 della L. n.1089 del 1939, “pur riconoscendo l’autonomia della tutela vincolistica dall’inclusione dei beni in elenchi e dichiarazioni, con ciò sancendo la funzione puramente dichiarativa assolta da detti elenchi, non reca analoga statuizione al fine di escludere la necessità di un provvedimento costitutivo volto alla verifica del carattere pregiato del bene pubblico ed alla conseguente imposizione del regime protettivo”.
Anzi, l’ultimo comma della norma, laddove si prevede che “le cose indicate nell’art.1 restano sottoposte alle disposizioni della presente legge, anche se non risultano comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni di cui al presente articolo”, conferma l’esigenza di un atto costitutivo dell’Amministrazione Statale, atteso che tra le disposizioni suddette rientrano anche quelle che, all’art. 3, prevedono espressamente la necessità di un provvedimento di vincolo.
D’altra parte, non assume rilievo, secondo la Sezione “in senso contrario la circostanza che, secondo l’interpretazione prevalente , la legge n. 1089, ex art.3, imporrebbe la notifica soltanto per i beni di proprietà privata, in quanto detta esclusione riguarda il solo momento, pur costitutivo, della comunicazione in un torno temporale successivo all’accertamento del carattere del bene, mentre non vi è traccia alcuna di una distinzione tra beni pubblici e privati per quanto afferisce al momento prodromico dell’accertamento circa l’interesse da tutelare, esplicazione di discrezionalità tecnica di pertinenza dell’Amministrazione dei Beni Culturali”.
La conferma della necessità di un atto costitutivo di vincolo da parte dell’Amministrazione dei Beni e delle Attività Culturali anche per i beni di proprietà di Enti Pubblici, perviene poi dal dato letterale dell’art. 822 c.c., laddove tale disposizione afferma l’inclusione, tra i beni demaniali, degli immobili di proprietà dello Stato, Comuni, Province, “riconosciuti” d’interesse storico, artistico ed archeologico.
Secondo il Collegio, infine, ulteriore conferma alle conclusioni cui perviene tale condiviso orientamento giurisprudenziale  giunge da quanto disposto dal 4° comma dell’art. 12 della L. n.127 del 1997, laddove tale norma prevede la non necessità dell’autorizzazione di cui all’art. 24 della L. n.1089 del 1939 relativamente alle alienazioni di immobili deliberate prima del 31 dicembre 1996, da parte di enti ed istituti pubblici, aventi ad oggetto beni immobili ricompresi nella tutela disposta con gli articoli 1 e 2 della predetta legge n.1089 del 1939, per i quali non siano intervenute, prima della deliberazione di alienazione, la notifica e la trascrizione ai sensi dell’art. 2 della predetta legge.”
La citata disposizione, pertanto, anche qualora si aderisse alla tesi, sostenuta dall’Avvocatura erariale, secondo la quale essa non potrebbe essere interpretata nel senso dell’introduzione nel sistema di una sanatoria per le alienazioni di immobili da parte di enti pubblici perfezionatesi anteriormente al 31/12/1996 (la norma, peraltro, è stata vigente nell’ordinamento fino al momento di entrata in vigore della legge che l’ha abrogata), nondimeno essa, nel richiedere un atto espresso di vincolo anche per i beni immobili degli enti pubblici, implicitamente afferma che tale vincolo non si era costituito ex lege per la sola appartenenza dell’immobile ai predetti enti.
Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, è annullato il decreto impugnato.
La natura assorbente della censura accolta, esime il Collegio dall’esaminare gli ulteriori mezzi d’impugnazione rassegnati.       
Sussistono, tuttavia, soprattutto in riferimento al fatto che l’indirizzo giurisprudenziale condiviso dal Collegio si è affermato solo di recente, giusti motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese del presente giudizio. 
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione di Parma, definitivamente pronunziando sul ricorso n. 377 del 1997 di cui in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella camera di consiglio del  6 febbraio 2001.
f.to Gaetano Cicciò    Presidente 
f.to Umberto Giovannini   Primo Referendario Rel.Est.
Depositata in Segreteria ai sensi dell’art.55 L.18/4/82, n.186.
Parma, lì 12 marzo 2001
     Il Segretario
           f.to Eleonora Raffaele 
 
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