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T. A. R. Emilia – Romagna, sez. staccata di Parma, 10 maggio 2002, n. 268, in materia di contributi ai Consorzi di bonifica R E P U B B L I C A I T A L I A N A
contro - Consorzio di Bonifica Bacini Tidone - Trebbia, in persona del Commissario Regionale in carica, rappresentato e difeso dall’Avv.Gian Paolo NASCETTI e dall’Avv. Guido MASCIOLI ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. A. VIGNALI, in Parma via Mistrali n.4. - Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Franco MASTRAGOSTINO e dall’Avv. Maria Chiara LISTA ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Giorgio CUGURRA, in Parma, via Mistrali n.4; - Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t., non costituita in giudizio; - Regione Liguria, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t., non costituita in giudizio e nei confronti del sig. Giovanni SARTORI, non costituito in giudizio; per l’annullamento a) - delle deliberazioni del Commissario Regionale del Consorzio Bacini Tidone Trebbia n. 37 del 18/2/1998 e n.244 del 2/12/1997, aventi ad oggetto il nuovo piano di classifica per il riparto delle contribuzioni; b) – della deliberazione del Presidente della Giunta Regionale n.425 del 10/12/1997; c) del provvedimento regionale, di estremi ignoti, di nomina del Commissario; d) della deliberazione della Giunta Regionale della Regione Emilia Romagna n.2233 del 26/5/1992, recante i criteri per la formulazione dei piani di classifica; e) – del conseguente atto dell’Assessore n.20796 del 13/7/1992; f) della deliberazione del Consiglio Regionale della Regione Emilia Romagna n.3097 del 14/3/1990, di approvazione dello statuto del Consorzio Bacini Tidone e Trebbia; g) – delle conseguenti deliberazioni del Consiglio Regionale e del Presidente della Regione Emilia Romagna n.1241/87 e n.1658/87; h) – di ogni altro atto ai suddetti connesso, anteriore e conseguente. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio Bacini Tidone Trebbia e della Regione Emilia Romagna, entrambi intimati; Viste le memorie presentate dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 2/4/2002, il dr. Umberto GIOVANNINI; uditi, altresì, l’Avv. MARCHESI per i ricorrenti, l’Avv. NASCETTI per il Consorzio di Bonifica intimato e l’Avv. CARPANI, in delegata sostituzione dell’Avv. MASTRAGOSTINO per l’Amministrazione Regionale dell’Emilia Romagna; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO Con il ricorso n. 255 del 1998, notificato il 27 e 28 aprile 1998 e depositato il 25 maggio 1998, i ricorrenti chiedono l’annullamento : a) - delle deliberazioni del Commissario Regionale del Consorzio Bacini Tidone Trebbia n. 37 del 18/2/1998 e n.244 del 2/12/1997, aventi ad oggetto il nuovo piano di classifica per il riparto delle contribuzioni; b) – della deliberazione del Presidente della Giunta Regionale n.425 del 10/12/1997; c) del provvedimento regionale, di estremi ignoti, di nomina del Commissario; d) della deliberazione della Giunta Regionale della Regione Emilia Romagna n.2233 del 26/5/1992, recante i criteri per la formulazione dei piani di classifica; e) – del conseguente atto dell’Assessore n.20796 del 13/7/1992; f) della deliberazione del Consiglio Regionale della Regione Emilia Romagna n.3097 del 14/3/1990, di approvazione dello statuto del Consorzio Bacini Tidone e Trebbia; g) – delle conseguenti deliberazioni del Consiglio Regionale e del Presidente della Regione Emilia Romagna n.1241/87 e n.1658/87; h) – di ogni altro atto ai suddetti connesso, anteriore e conseguente. Dopo avere illustrato le principali circostanze di fatto afferenti la controversia in esame, parte ricorrente deduce, a sostegno dell’impugnativa, i seguenti motivi in diritto. Violazione degli artt. 1, 2, 11, 17, 54, 59 del R.D. n.215 del 1933; degli artt. 14 e 27 n. 3 della L. n.36 del 1994; dell’art. 20 L.R. n.42 del 1984; Eccesso di potere per difetto d’istruttoria, errore nei presupposti di fatto, contrasto con precedenti determinazioni, violazione dei principi fondamentali relativi all’attività della P.A. e per la scelta dei contraenti; sviamento e straripamento di poteri; Violazione dell’art. 81 Cost; Illegittimità Costituzionale delle leggi regionali dell’Emilia Romagna n.42 del 1984 e n.16 del 1987, per violazione degli artt. 47, 23, 53 e 3 Cost. e contrasto con i principi fondamentali desumibili dagli artt. 857 cod. civ. e dal R.D. n.215 del 1933;- 1) -La legge fondamentale che regola la materia è il R.D. 13/2/1933 n.215che, all’art. 1 elenca opere di bonifica che attengono tutte ad aree agricole, per cui il piano di classifica per il riparto degli oneri consortili è illegittimo, in quanto pretende di ricomprendere nel comprensorio ed assoggettare a contributo l’intero territorio urbanizzato del Comune di Piacenza e di altri Comuni. La Corte di Cassazione, con le sentenze n.8957 e 8960 del 1996 ha chiarito che ai fini dell’imposizione, da parte dei Consorzi, dei contributi, non è sufficiente qualsiasi tipo di vantaggio, ma è necessario un vantaggio di tipo fondiario, cioè strettamente incidente sull’immobile soggetto a contribuzione e che il beneficio derivante dalla bonifica non è provato dalla pura e semplice inclusione del bene nel comprensorio. I presupposti dell’imposizione, richiesti dalla norma, mancano del tutto nel caso di specie, dove le opere di bonifica che giustificherebbero il contributo (canale diversivo ovest, canale settentrionale e canale rifiuto, nonché i costi di amministrazione), per stessa ammissione contenuta nel piano costituiscono “un efficiente sistema di difesa della città di Piacenza dalle acque che provengono da sud dai territori tra il Nure e il Trebbia”. Si tratta quindi di tipiche opere che rispondono ad un interesse pubblico generale e non recano un vantaggio particolare e fondiario ai proprietari di immobili urbani. Quanto ai costi di amministrazione, il Consorzio li addebita ai proprietari ex art. 59 del R.D. n.215 del 1933, disposizione che pone a carico dei proprietari consorziati il pagamento di contributi per l’adempimento da parte dei Consorzi dei loro fini istituzionali, ma tale articolo va letto in collegamento con l’art. 54 del decreto, secondo il quale i proprietari vincolati a far parte dei consorzi sono solo quelli che possiedono immobili che “traggono beneficio dalla bonifica”. 2) – Il piano impugnato è sospetto di inesistenza in quanto esso si propone di fronteggiare la spesa consortile con un mezzo vietato dalla legge, cioè caricando l’onere su soggetti e beni che non vi sono tenuti. La spesa da ripartire, secondo il Consorzio è quella derivante dall’attività programmata, ma sono i fini che devono adeguarsi ai mezzi e non viceversa. Nel caso dei consorzi di Bonifica, i mezzi conseguibili dai privati proprietari sono esclusivamente quelli che si contengono entro il vantaggio che ciascun proprietario concretamente riceva, vantaggio che va quantificato e dimostrato in concreto. Il Consorzio, di conseguenza, deve prima provare, edificio per edificio, il vantaggio che esso riceverebbe dall’esecuzione delle opere, deve quantificare in concreto tale beneficio e solo nei limiti della sua esistenza effettiva può pretendere il contributo. Nessun contributo è esigibile ai sensi degli artt. 11, 17 e 59 R.D. n.215 del 1933. 3) – Il Piano è illegittimo in quanto esso basa il riparto su due indici: la superficie e la rendita censuaria. Il primo non ha alcun rapporto logico con il beneficio concretamente realizzabile, mentre il secondo, essendo espressione del valore attuale del bene, risulta concettualmente opposto all’arricchimento che secondo l’art. 11 deve costituire il parametro per l’assoggettamento a contributo. 4) – Il piano è inoltre viziato per straripamento di potere dato che tali indici non rivelano l’arricchimento del proprietario per effetto delle opere realizzate dal Consorzio, bensì misurano il valore attuale del capitale investito dal proprietario, con conseguente trasformazione del contributo consortile in un tributo di carattere patrimoniale, diretto a colpire il valore del bene. Il Consorzio si è assegnato un potere autonomo di imposizione tributaria in assenza di qualsiasi legge giustificativa. 5) – Gli atti impugnati sono illegittimi perché la maggior parte dei soggetti, che essa individua come destinatari dell’obbligo di contribuzione, non potrebbe esservi assoggettata. Al di là dei possibili ampliamenti delle sfere di attribuzioni dei Consorzi di Bonifica, l’onere contributivo sussiste solo nei riguardi delle opere specificamente contemplate dal R.D. n. 215 del 1933 nell’art. 11 e per le finalità di cui all’art. 2, sempre che arrechino vantaggi specifici, di carattere fondiario, concretamente dimostrabili. I limiti dell’imposizione a carico dei proprietari sono tuttora quelli inderogabilmente fissati dagli artt. 11, 17 e 59 del R.D. n.215 del 1933. 6) – Le leggi e gli atti regionali devono essere interpretati in coerenza con le leggi statali, che costituiscono la fonte sovraordinata. Se diversa fosse l’interpretazione da dare alla L.R. n.42 del 1984 e successive modificazioni ed integrazioni, quest’ultima normativa sarebbe incostituzionale, nella parte in cui farebbe discendere un obbligo di contribuzione dei proprietari per il solo fatto dell’inclusione nel perimetro del comprensorio. 7) – Il piano è inoltre affetto da numerosi vizi di carattere particolare. Il canale diversivo di Ovest raccoglie le acque meteoriche provenienti da un ampio bacino extra urbano a sud della città e le dirotta nel fiume Trebbia. Questa è una funzione tipica di tutela di un interesse generale di protezione della città che, come tale, non giustifica per definizione, la imposizione di contributi consortili. Il canale diversivo è utilizzato anche per recapito di scarichi fognari misti. Il Collettore settentrionale e il Collettore rifiuto sono compresi all’interno del contesto urbano e svolgono una funzione fognaria. L’impianto di pompaggio terminale della Finarda riversa nel Po l’acqua addotta dai due collettori, nonché acque provenienti dai canali di bonifica. E’ quindi falsa l’affermazione contenuta nel piano che l’obbligo di contribuzione deriverebbe dal contenimento delle acque meteoriche, dato che a Piacenza esiste un’unica rete fognaria che convoglia le acque nere e le acque meteoriche . Per tale servizio i proprietari sono tenuti a corrispondere al Comune una tariffa soggetta a specifica disciplina. La circostanza che la rete fognante del Comune scarichi in canali o condotti consortili è del tutto irrilevante per i proprietari. Sarà il Comune, se ed in quanto la sua rete fognaria scarichi nei condotti consortili a dovere contribuire alle spese consortili in proporzione al beneficio ottenuto ai sensi dell’art. 27 n.3 L. n.36 del 1994. 8) – Nel punto 11.2 il Piano individua una serie di aree distinte il cui beneficio deriverebbe dalle opere suddette, che sono differenziate a seconda della loro posizione e a seconda del fatto che alcune di esse sono a quote inferiori o superiori della massima piena del fiume Po. L’area A4 A3 e A5 non hanno alcuna connessione con la rete consortile. L’aree classificate 5N sono assoggettate a contributo in funzione di studi idraulici ed idrogeologici da effettuare, senza la dimostrazione di alcun beneficio conseguente né conseguibile. 9) – Il riparto del Piano è basato su un indice di urbanizzazione errato. 10) – La formula adottata per il riparto è basata sulla superficie e sulla rendita catastale, sennonché il piano non si basa sulle superfici reali ma estrapola le superfici dal numero dei vani, dalle cubature o persino da medie. 11) – Per distinguere le varie aree, il piano attribuisce rilievo alla circostanza che l’area si trovi ad una quota superiore od inferiore alla massima piena del Po. Da secoli le piene del Po non hanno interessato la generalità degli immobili urbani della città di Piacenza, con conseguente mancanza di presupposto per imposizione di contributi ai proprietari di immobili urbani, fatti salvi i casi in cui il Consorzio dimostrasse che l’immobile abbia conseguito un vantaggio specifico di carattere fondiario per effetto delle opere di bonifica. 12) – La formazione del Piano di riparto è un compito primario del Consorzio, che deve provvedervi coi propri uffici, mentre nel caso in esame il piano di riparto è stato redatto da una società di Ingegneria. 13) – Il Commissario Regionale non poteva approvare il Piano in quanto non sussisteva alcuna delle cause che ai sensi dell’art. 20 giustificano la nomina del Commissario. Illegittima è poi la deliberazione da parte del Commissario, del piano di riparto, posto che l’originaria deliberazione di Giunta n.4908 del 1987 prevedeva che il Piano avrebbe dovuto essere deliberato dagli organi di amministrazione ordinaria. 14) – Lo Statuto del Consorzio è illegittimo perché amplia la sfera dei fini dell’Ente rispetto alla previsione della legge regionale. Lo Statuto è altresì illegittimo perché non delimita zone omogenee sotto il profilo idrogeologico, alle quali avrebbero dovuto collegarsi i meccanismi elettivi diretti ad assicurare una diretta rappresentatività dei proprietari interessati. 15) – La delibera di Giunta n.2333/92 e la nota connessa dell’Assessore, che hanno fissato i criteri per la formulazione dei piani di classifica ai fini del riparto delle spese consortili, sono in contrasto con la L.R. n.42 del 1984 e con il r.d n. 215 del 1933 poiché abilitano i consorzi a chiedere i contributi indipendentemente dai benefici specifici di carattere fondiario conseguiti o conseguibili dalle loro proprietà. 16) Le leggi regionali n.42 del 1984 e n.16 del 1987 sono sospette d’incostituzionalità laddove estendono la funzione della bonifica finalizzandola non solo alla difesa del suolo, ma anche all’equilibrato sviluppo del territorio e alla valorizzazione dei beni naturali. Il Consorzio, nella legislazione regionale, assume tendenzialmente la configurazione di un ente territoriale ai fini generali, in contrasto con l’ordinamento statale. Inoltre sarebbe da considerarsi incostituzionale l’art. 14 L. n.42 del 1984, in correlazione con l’art. 2 L. n.10 del 1987, qualora fosse da interpretarsi nel senso che i costi per l’adempimento dei fini istituzionali possano essere imposti ai proprietari solo per la loro appartenenza al comprensorio consortile. - Con memoria depositata in data 22/3/2002 i ricorrenti, oltre a ribadire le suesposte argomentazioni, replicano alle difese e alle eccezioni delle controparti, insistendo per l’accoglimento del ricorso, vinte le spese § § § Il Consorzio di Bonifica bacini Tidone e Trebbia, costituitosi in giudizio, eccepisce l’inammissibilità “in parte qua” del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito, laddove si nega in radice il potere del Consorzio di assoggettare a contributo gli immobili urbani, l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva dell’Associazione Proprietari Case di Piacenza e l’inammissibilità dl ricorso per difetto d’interesse dei singoli proprietari ricorrenti. Riguardo ad altre censure, poi, il ricorso sarebbe irricevibile per mancata impugnazione nei termini degli atti presupposti fatti oggetto di doglianza. Nel merito, il Consorzio, ritenendo infondato il ricorso, ne chiede la reiezione, vinte le spese. § § § La Regione Emilia Romagna, costituitasi anch’essa in giudizio, svolge identiche eccezioni in via pregiudiziale e, nel merito, chiede la reiezione del ricorso, siccome infondato. § § § Alla pubblica udienza del 2/4/2002, la causa è stata chiamata ed è stata trattenuta per la decisione, come da verbale. DIRITTO Con il presente ricorso, l’Associazione Proprietari Casa di Piacenza ed alcuni cittadini residenti nel Comune di Piacenza impugnano gli atti con i quali il Commissario Regionale del Consorzio di Bonifica Bacini Tidone e Trebbia ha approvato il piano di classifica per il riparto dei contributi consortili. In via preliminare, il Collegio deve darsi carico di esaminare l’eccezione di inammissibilità “in parte qua” del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata sia dal Consorzio sia dall’Amministrazione Regionale dell’Emilia Romagna, con specifico riferimento alle censure che negano in radice il potere del Consorzio di assoggettare a contributo gli immobili urbani ricadenti nel proprio comprensorio. L’eccezione risulta fondata. Una parte delle doglianze svolte dai ricorrenti (in particolare parte della prima, la seconda, la quarta e la quinta censura di cui in narrativa) sono rivolte, infatti, a sindacare non tanto la legittimità dell’esercizio del potere impositivo del Consorzio, estrinsecatosi nelle deliberazioni commissariali impugnate, quanto l’esistenza stessa di tale potere nei confronti dei proprietari di immobili urbani o comunque extragricoli, non assoggettabili al contributo solo e semplicemente in ragione della loro ubicazione nel comprensorio di bonifica ed in mancanza di un concreto vantaggio fondiario tratto dalle opere consortili. Tale prospettazione è quindi diretta a negare in radice l’esistenza stessa del potere esercitato nei confronti dei proprietari extragricoli e, in questi limiti, trascende la giurisdizione del giudice adito per rientrare in quella dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria, secondo il noto criterio dirimente del cattivo esercizio o della carenza del potere (v. per precedente analogo: T.A.R. Emilia Romagna –PR- 1/6/1999 n.350). Parimenti da accogliere è l’eccezione – sollevata, anche in questo caso, da entrambe le pubbliche amministrazioni resistenti - di inammissibilità “in parte qua” del ricorso per difetto di legittimazione attiva dell’Associazione Proprietari Casa di Piacenza, in quanto tale organismo non è, innanzitutto, titolare di immobili ubicati nel territorio comprensoriale ed in quanto, ulteriormente, difetta, tra gli associati, la necessaria unitarietà ed omogeneità delle posizioni dei propri associati. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa in materia, l’interesse fatto valere da un’associazione deve necessariamente rappresentare posizioni giuridiche degli associati omogenee tra loro (v. C.d.S., sez. V, 14/6/1994 n.669). Nella fattispecie in esame , invece, il gravato piano di classifica per il riparto delle spese consortili è destinato a trovare applicazione differenziata anche all’interno della categoria dei proprietari di immobili urbani. Infatti, a seguito dell’ampliamento della platea contributiva, dell’assoggettamento ex novo a contributo di alcuni proprietari e della diversa entità di contribuzione stabilita dal piano anche sulla base alla ubicazione degli immobili rispetto alle opere consortili e alla quota di massima piena del fiume Po, mentre alcuni proprietari subiranno un incremento del contributo consortile, altri se lo vedranno invece ridotto (v. T.A.R. Emilia Romagna –PR- 1/6/1999 n.350 cit.). Deve invece essere respinta, in quanto infondata, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso riferita alla posizione degli altri ricorrenti, trattandosi di soggetti di cui non è contestata la qualità di proprietari di immobili siti all’interno del comprensorio di bonifica gestito dal resistente Consorzio e, quindi, di soggetti assoggettabili a contribuire ex art. 17, 1° comma R.D. 13/2/1933 n.215 e ricorrendone i presupposti, al sostenimento degli oneri consortili. Ciò premesso, il Collegio ritiene che, prima di scendere nel merito della controversia, vagliando le diverse censure rassegnate con l’atto introduttivo del presente giudizio, si renda necessario un breve “excursus” storico - normativo riguardo alle opere di bonifica e all’evoluzione delle funzioni e dei compiti via via assunti o dismessi dai relativi consorzi. Il testo fondamentale in materia di opere e consorzi di bonifica è ancora oggi il R.D. 13 febbraio 1933 n. 215. E’ solamente con il citato Testo Unico che la materia viene sistematicamente ordinata e che la “bonifica”, da sostantivo che individuava esclusivamente un sistema di opere per il risanamento di zone paludose e malsane, perviene ad una connotazione più ampia, comprendente anche, in via generale, il riassetto dei territori per qualunque causa dissestati, la difesa del territorio dalle acque e il miglioramento fondiario attraverso l’utilizzo a fini irrigui delle opere idrauliche (art. 1 R.D. n.215 del 1933). In tale ampio quadro funzionale, pertanto, rientrano, tra le opere di bonifica, oltre a quelle relative al prosciugamento e al risanamento di laghi, stagni, paludi e terre paludose, anche le opere di rimboschimento e ricostituzione di boschi deteriorati, di sistemazione idraulico agraria e di rinsaldamento delle pendici montane, di correzione dei tronchi montani dei corsi d’acqua, nonché le opere di difesa dalle acque, di provvista e utilizzazione agricola di esse e, ancora, le opere stradali, edilizie o di altra natura, che siano d’interesse comune del comprensorio o di una parte notevole di esso (art. 2 R.D. n. 215 del 1933 cit.). Per l’esecuzione delle opere di bonifica, o, nei casi in cui l’esecuzione sia riservata allo Stato o ad altro ente, per la manutenzione e l’esercizio delle suddette opere, possono essere costituiti consorzi che, per l’adempimento dei loro fini istituzionali e per il riparto degli oneri relativi, hanno il potere d’imporre contributi alle proprietà consorziate (art. 18, 54 e 59 R.D. cit.). Alcuni dei principi enucleabili dalla citata normativa sono stati poi riprodotti nel codice civile agli artt. da 857 a 865. Con l’avvento della Repubblica e l’entrata in vigore della Costituzione, l’attività di bonifica assurge ad interesse pubblico di rilievo costituzionale (art. 44 Cost.). Successivamente, con l’entrata in vigore del D.P.R. n.11 del 1972 e, soprattutto, del D.P.R. n.616 del 1977, viene data attuazione all’art. 117 della Costituzione, che prevedeva, tra l’altro, il passaggio delle funzioni in materia di agricoltura e foreste e, quindi, anche del settore relativo alla bonifica, dall’Amministrazione Statale alle Regioni a statuto ordinario, con potestà normativa concorrente, da parte di questi ultimi Enti, “in subiecta materia”. Con Legge 18/5/1989 n.183, concernente la difesa del suolo, il risanamento delle acque e la fruizione e la gestione del patrimonio idrico, veniva stabilito che, oltre ad altri enti, anche i consorzi di bonifica “…partecipano all’esercizio di funzioni regionali in materia di difesa del suolo nei modi e nelle forme stabilite dalle regioni singolarmente o d’intesa tra loro, nell’ambito delle competenze del sistema delle autonomie locali (v. artt. 1 e 35, 1° comma L. n.183 del 1989). Da ultimo, con L. 5/1/1994 n.36, - legge quadro sulle risorse idriche – il legislatore statale, oltre ad avere precisato le attribuzioni dei consorzi di bonifica riguardo all’utilizzazione della rete di canali ed impianti per uso irriguo, ha affidato a tali enti ulteriori attribuzioni in materia di utilizzo della suddetta rete “per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia elettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive” (v. art. 27, 1° comma). Nell’ambito della Regione Emilia Romagna, la materia “de qua” è disciplinata dalle leggi regionali n. 42 del 1984 e n.16 del 1987 (integrativa della prima), che, nel solco già tracciato dal Testo Unico n. 215 del 1933, assegnano all’attività di bonifica la “funzione essenzialmente pubblica ai fini della difesa del suolo e di un equilibrato sviluppo del proprio territorio, della tutela e della valorizzazione della produzione agricola e dei beni naturali con particolare riferimento alle risorse idriche” (art. 1 L.R. n.42 del 1984). Scendendo nel merito della controversia, il Collegio ritiene che debbano essere affrontate per prime le censure con le quali le ricorrenti dubitano della legittimità costituzionale delle suddetti leggi regionali, sia sotto il profilo della asserita imposizione di un obbligo di contribuzione da parte dei proprietari inclusi nel perimetro del comprensorio di bonifica indipendentemente da un concreto vantaggio da essi conseguito per effetto delle opere di bonifica (sesta censura), sia sotto il profilo dell’allargamento della funzione della bonifica fino a comprendere in essa, oltre alla difesa del suolo, anche l’equilibrato sviluppo del territorio e la valorizzazione dei beni naturali (sedicesima censura). Il Collegio ritiene che le eccezioni di incostituzionalità delle suddette leggi regionali siano manifestamente infondate. Sulla base del percorso storico normativo sopra delineato può ben dirsi che già la normativa statale fondamentale del 1933 conteneva “in nuce” un concetto di “bonifica”, non limitato esclusivamente al risanamento, ai fini sanitari, di zone malsane, ma, al contrario, proteso ad identificare un’attività di recupero e di sviluppo produttivo, soprattutto ai fini agricoli, dei territori bonificati, non disgiunta da una non secondaria attività finalizzata alla difesa e al generale riassetto del territorio mediante la realizzazione, la gestione e l’utilizzo delle opere idrauliche e di bonifica. Per quanto attiene, più specificamente, al sospetto di incostituzionalità dell’art. 14 L.R. n.42 del 1984, in correlazione con l’art. 2 della L. n.16 del 1987, nell’eventualità che queste disposizioni dovessero essere interpretate nel senso che i costi per l’adempimento dei fini istituzionali possono essere imposti ai proprietari solo per la loro appartenenza al comprensorio consortile, la censura risulta infondata, atteso che l’obbligo di contribuire a tali costi relativi all’attività istituzionale discende direttamente dall’art. 59 del R.D. n.215 del 1933 e che l’art. 13 della L.R. n.42 del 1984 vincola chiaramente l’imposizione relativa sia alle spese di esercizio che alla manutenzione delle opere di bonifica, “in ragione del beneficio conseguito o conseguibile sulla base del piano di riparto di contribuenza”. Non si ravvisa, pertanto, alcuno sconfinamento della normativa regionale in parola dai principi generali in materia dettati dalla normativa statale e, conseguentemente, risulta rispettato l’ambito normativo assegnato alle Regioni dall’art.117 Cost. Né tantomeno le leggi regionali in questione possono ritenersi in contrasto con gli artt. 47, 23 e 53 della Carta Costituzionale, in quanto, anche a prescindere dall’estrema genericità delle argomentazioni dei ricorrenti, non è dato ravvisare alcun “vulnus” rispetto a parametri costituzionali che tutelano il risparmio (art. 47), o che dispongono una riserva di legge riguardo alle prestazioni patrimoniali imposte (i contributi consortili sono infatti previsti dal R.D. del 1933) (art23) o che, infine, stabiliscono che il sistema tributario (e non, quindi, ogni singolo tributo) è informato a criteri di progressività (art.53). Con il primo e il quindicesimo motivo di ricorso (quest’ultimo diretto contro gli atti regionali che hanno fissato i criteri per la formulazione dei piani di classifica per il riparto delle spese consortili) si afferma sostanzialmente che il piano di riparto degli oneri consortili sarebbe illegittimo in quanto, con esso, non si assoggettano a contributo solo ed esclusivamente quegli immobili che traggono un vantaggio fondiario diretto dalle opere di bonifica, come è previsto dalla legge fondamentale in materia di bonifica: R.D. 13/2/1933 n.215, ma anche quelli, siti in territorio urbanizzato, interessati da opere che non sono funzionali alla bonifica e, quindi, ad attività rilevante esclusivamente per le aree agricole, ma che costituiscono, secondo quanto affermato nello stesso atto pianificatorio “un efficiente sistema di difesa della città di Piacenza”. Il Tribunale ritiene che le suesposte argomentazioni non possano essere condivise in quanto, come si è visto, già nella normativa di cui al T.U. n.215 del 1933, le funzioni dei Consorzi di Bonifica comprendevano anche la difesa del territorio dalle acque. La necessità e il dovere di assolvere tali ulteriori funzioni, inoltre, unitamente all’espansione dei centri urbani a scapito della campagna, spiegano le ragioni dell’assoggettamento a contributo consortile anche della proprietà urbana o comunque extra agricola, in funzione del vantaggio ricevuto da opere di bonifica ed idrauliche consortili che contribuiscono a preservare il territorio del Comune di Piacenza dal pericolo di esondazione dei fiumi Po, Trebbia e Nure. L’assoggettamento a contribuzione consortile anche della proprietà urbana del Comune di Piacenza, pertanto, risulta conforme anche rispetto a quanto chiarito dalle sentenze della Corte di Cassazione n. 8957 e n.8960/96, ambedue citate in ricorso, dal momento che “il vantaggio fondiario, strettamente incidente sull’immobile soggetto a contribuzione”, necessario, secondo la Suprema Corte, ai sensi dell’art. 11 R.D. n.215 del 1933, per giustificare il potere impositivo dei Consorzi di Bonifica consiste, quanto meno riguardo alla peculiarità del territorio piacentino, non tanto in un vantaggio di tipo agricolo fondiario, ma in un beneficio derivante dalla difesa che le opere consortili realizzano in riferimento a possibili esondazioni fluviali. Il Piano assoggetta a contributo anche la proprietà extragricola del Comune di Piacenza, in base al beneficio di cui si è detto, che si realizza tramite le opere consortili costituite: a) dal Canale diversivo di ovest; b) dai canali di adduzione Settentrionale e Rifiuto, quest’ultimo con relativo impianto idrovoro. Sono gli stessi ricorrenti che, nel riportare quanto affermato nel piano relativamente alla funzione “di difesa della città di Piacenza dalle acque che provengono da Sud dai territori tra il Nure ed il Trebbia” avallano e confermano l’effettività di tale funzione, errando però poi nel ritenere che la difesa del territorio dalle acque risponda esclusivamente ad un interesse pubblico generale e non, come invece si è dimostrato, anche ad una specifica funzione assegnata dalla normativa statale agli enti consortili. Con il terzo e con il decimo motivo, i ricorrenti ritengono che il Piano di riparto sia illegittimo sia perché esso basa la suddivisione degli oneri su due indici: la superficie e la rendita censuaria, che sarebbero inidonei – sempre secondo i ricorrenti – ad individuare l’arricchimento tratto dalla proprietà immobiliare ex art. 11 R.D. n.215 del 1933 dalle opere consortili, sia perché detti indici non rappresentano misure reali, ma presunte. Le suesposte argomentazioni non sono condivisibili, in quanto esse traggono origine da un presupposto errato e cioè che il vantaggio conseguito o conseguibile dalla proprietà debba necessariamente concernere la proprietà fondiaria e consistere in un arricchimento del fondo. L’inerenza e la congruenza dei suddetti parametri, invece, sussiste pienamente, in quanto essi devono essere posti in relazione con il tipo di beneficio (difesa dalle acque) sopra precisato. In tale contesto, infatti, non pare irrazionale commisurare la contribuzione dell’immobile, oltre che sulla base di indici tecnico – idraulici, peraltro nemmeno menzionati dai ricorrenti, anche in riferimento ai suddetti parametri, indicanti la superficie e il valore dell’immobile, dato che, in caso di esondazione di corsi d’acqua, il danno procurato da tale evento agli immobili urbani sarebbe direttamente proporzionale al valore di questi ultimi, cosicché sembra razionale che al vantaggio conseguito dalla proprietà per la preservazione di quest’ultima dal suddetto evento, essa debba contribuire in misura corrispondente. Per quanto riguarda l’approssimazione dei dati riguardanti le superfici, si ritiene che – stante l’oggettiva difficoltà di procedere a misurazioni immobile per immobile - essa costituisca comunque – in quanto calcolata presuntivamente sul numero dei vani, dato sufficientemente affidabile per determinare le dimensioni dell’immobile. Risultano infondate, inoltre, tutte le censure raggruppate nel settimo mezzo d’impugnazione di cui in narrativa, in quanto il fatto che le opere consortili più sopra indicate servano non solo da raccolta delle acque meteoriche ma anche da recapito degli scarichi fognari, non sposta i termini della questione come sopra precisata. Da un lato, infatti, la raccolta e il deflusso delle acque meteoriche sono attività comunque finalizzate alla difesa del territorio dalle acque, per cui risulta legittima l’imposizione consortile per gli immobili che conseguano beneficio da tale funzione e dall’altro lato, l’ulteriore finalità realizzata dal canale di bonifica non ne fa venire meno la precipua funzione di difesa. Parimenti infondate sono l’ottava e l’undicesima censura di cui in narrativa, con le quali i ricorrenti si dolgono del fatto che, riguardo ad alcune aree, l’entità della contribuzione sia posta in relazione alla posizione degli immobili, con riferimento alla quota di massima piena del fiume Po. Il Collegio deve osservare, innanzitutto, come siffatta argomentazione smentisca, nei fatti, la precedente censura, con la quale si riteneva che l’imposizione fosse fondata su due soli indici e inoltre che, attese le più volte ricordate funzioni di difesa svolte dalle opere consortili, risulti pienamente conforme ai principi di logica l’avere dato rilevanza alla posizione degli immobili rispetto al livello massimo del corso d’acqua per il quale si profilano come più probabili e dannose eventuali esondazioni. E’ legittimo, inoltre, l’assoggettamento a contribuzione di aree in cui debbano eseguirsi studi idraulici ed idrogeologici, rientrando tali compiti nelle attribuzioni istituzionali dei Consorzi di Bonifica, soggette a contribuzione, come si è visto, ai sensi dell’art. 54 del T.U. n.215 del 1933 e dell’art. 13, 1° e 3° comma L.R. n.42 del 1984. Risulta infondata anche la nona censura, dato che, come dimostrato dal resistente Consorzio, a cui, sul punto, parte ricorrente non ha replicato (v. memoria depositata il 22/3/2002), l’indice di urbanizzazione utilizzato nel piano di riparto non è errato (v. pag. 39 memoria depositata il 5/6/1998). La censura rubricate sub 12) e sub 13) in narrativa sono inconferenti, stante che il Commissario Regionale, quale assuntore di tutti i poteri conferiti agli organi amministrativi consortili, non poteva esimersi, avendone la piena competenza, dall’adottare un atto - il piano di riparto della contribuenza – essenziale per la stessa attività istituzionale del Consorzio. Risulta inoltre palesemente irrilevante, a fronte di una deliberazione con cui l’Ente Consortile ha approvato il piano e con la quale, quindi, ha fatto proprio il contenuto di tale atto, quale sia stato l’organo tecnico – esterno o consortile - che abbia proceduto alla sua materiale preparazione, elaborazione e stesura. Palesemente inconferente è, infine, la quattordicesima censura, atteso che lo Statuto del Consorzio non ha – nella sostanza - ampliato la sfera dei fini dell’Ente rispetto alla previsione della normativa regionale e che, comunque, come si è più volte detto, il fine di difesa del territorio dalle acque in funzione del quale sono stati assoggettati a contribuzione consortile gli immobili urbani del Comune di Piacenza, già presente nel Testo Unico del 1933, risulta previsto anche nelle più volte citate leggi regionali. Per i motivi suesposti, il ricorso in parte deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, in parte deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva della ricorrente Associazione Proprietari Casa di Piacenza ed in parte deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza ed esse sono liquidate come indicato in dispositivo; Condanna parte ricorrente, in quanto soccombente nel presente giudizio, al pagamento delle spese processuali e degli onorari legali che liquida per l’importo complessivo di Euro 6.000,00 (seimila/00), oltre I.V.A. e C.P.A., di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) in favore del Consorzio di Bonifica Tidone – Trebbia e 3.000,00 (tremila/00) in favore della Regione Emilia Romagna. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Parma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2002. f.to Gaetano Cicciò Presidente f.to Umberto Giovannini Consigliere Rel.Est. Depositata in Segreteria ai sensi dell’art.55 L.18/4/82, n.186. Parma, lì 10 maggio 2002 Il Segretario f.to Raffaele Lanza
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