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Tar Lombardia - Milano, sez. II, ordinanza 28 aprile 2000, n. 135, sollevata nuovamente la questione di costituzionalità delle valutazioni non motivate delle prove all'esame di Avvocato REPUBBLICA ITALIANA
Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 9.3.2000 il relatore dott. Francesco Mariuzzo; Uditi, altresì, i difensori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: Per ottenere l’annullamento di tale valutazione l’interessato ha adito questo Tribunale con il ricorso in epigrafe, deducendo vizi di violazione di legge e di eccesso di potere. Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, contestando le tesi sostenute nel ricorso e chiedendone la reiezione. In occasione della Camera di consiglio del 20.8.1998 il Tribunale accoglieva motivatamente l’istanza incidentale di sospensione del giudizio in questione, ammettendo l’istante, con riserva, a sostenere il colloquio. Con ordinanza 21.5.1999, n. 1188 la Sez. IV del Consiglio di Stato ha annullato l’indicata misura cautelare. All’udienza del 9.3.2000 la causa è passata in decisione. D I R I T T O 1 - L’illegittimità dell’impugnato giudizio negativo viene denunciata nel ricorso sia sotto il profilo dell’esiguità del tempo impiegato dalla Commissione esaminatrice per la correzione degli elaborati nella seduta del 21.4.1998 sia per difetto di motivazione; si sostiene che detto giudizio, espresso esclusivamente in forma numerica, attraverso voti, contrasta con il principio generale enunciato dall’art. 3, 1° comma della legge 7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale: “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”. Sulla questione dell’integrale applicabilità della norma citata ai giudizi relativi agli esami di abilitazione professionale (e segnatamente agli esami per accedere alla professione di avvocato) questa Sezione si è ripetutamente espressa in senso favorevole, da ultimo con le sentenze 3 giugno 1998, nn.1154 e 1157 e 30 giugno 1998, n.1521. Ad analoghe conclusioni sono recentemente pervenuti anche il T.A.R. Puglia – Sezione di Lecce, I Sezione, nelle sentenze 25 marzo 1997, n. 207, 10 agosto 1996, n. 617 e 27 marzo 1996, n.119; ed il T.A.R. Lombardia – Sezione di Brescia nella sentenza 19 ottobre 1996, n.990. Il Consiglio di Stato ha, invece, adottato un contrario orientamento che riconosce, nell’ambito che qui interessa, la piena legittimità del giudizio espresso esclusivamente mediante un voto, cioè attraverso un mero punteggio numerico; e tale posizione viene giustificata so-stenendo, da un lato, che il voto sintetizza in forma numerica il giudizio e contiene in sè la propria motivazione, dall’altro che l'art. 3 della legge sul procedimento amministrativo è applicabile alla sola attività propriamente provvedimentale e non anche all'attività di giudizio conseguente a valutazioni. Detto consolidato orientamento è stato seguito, tra le altre, nelle decisioni del Consiglio di Stato, VI Sez. 27 maggio 1996, n.747 e 15 ottobre 1993, n.727; V Sez. 19 settembre 1995, n.1323 (che ribadisce la validità dell'orien-tamento richiamato, pur riconoscendo la necessità di motivazione del punteg-gio negativo attribuito, in caso di unico candidato di un pubblico concorso); C.G.A.R.S. 29 dicembre 1997, n.583 e 29 luglio 1997, n.309 (che superano la precedente, isolata decisione di segno opposto n.228 del 31 maggio 1995); ed anche in sede consultiva il Consiglio di Stato si è espresso nel senso indicato allorchè, nel parere 9 novembre 1995, n.120 reso dall'Adunanza Generale, ha ritenuto opportuna la modifica dell'art. 12, 1° comma del D.P.R. 9 agosto 1994, n.487 in tema di accesso ai pubblici impieghi, nel senso che i criteri di valutazione nei concorsi devono essere stabiliti al fine di "assegnare" e non di "motivare" i punteggi attribuiti ai candidati, essendo la graduazione numerica un modo di differenziare le valutazioni. Detta modifica, che sembra avere espunto dall’ordinamento la sola norma, seppure di rango secondario, che si poneva in obiettivo contrasto con la menzionata, riduttiva lettura dell’art. 3 della legge n.241/1990, appare di tutto rilievo in relazione alla particolare autorevolezza dell’Organo da cui promana: l’Adunanza generale del Consiglio di Stato è, infatti, chiamata a rendere un’interpretazione potenzialmente vincolante per ogni successiva lettura della norma, deliberando essa con la partecipazione di tutti i componenti delle Sezioni consultive e di quelle giurisdizionali ex art. 17 del R.D. 26.6.1924, n. 1054. L’importanza di detto avviso emerge anche dal fatto che esso pare sottendere non solo l’inequivoco intento di difendere il previo indirizzo interpretativo, ma anche quello di dare coerente risposta all’avvertita preoccupazione per le difficoltà ricadenti sull’Amministrazione (e per essa sulle Commissioni giudicatrici) in dipendenza di un altrimenti non derogabile obbligo di motivazione dei giudizi negativi espressi in sede di pubblici concorsi ed esami. In proposito non si può non sottolineare, tuttavia, che i valori costituzionali che presiedono all’emissione del suddetto avviso dell’Adunanza generale sono quelli esclusivamente indicati dall’art. 100, 1° comma della Costituzione e che lo stesso è dunque diretta espressione della funzione primaria affidata da quest’ultima norma al Consiglio di Stato, che è quella di rendere allo Stato la consulenza giuridico-amministrativa e di garantire la tutela della giustizia all’interno della pubblica Amministrazione. 2 - Il diverso orientamento seguito da questa Sezione rispetto a quanto espresso dall'Adunanza generale e dalle decisioni delle Sezioni giurisdizionali rese antecedentemente e successivamente al ricordato parere, trova fondamento sul fatto: - che l’affermazione secondo cui il voto sarebbe espressione sintetica, ma completa del giudizio, recante in sè la sua motiva-zione, è tanto perento-ria quanto insoddisfacente; se significa che, ad esempio, un esame da “5” è un esame insufficiente, essa si risolve in una mera tautologia; in realtà il voto è un giudizio di cui sfugge la motivazione, perché le ragioni di una valutazione negativa (e la graduazione di questa) possono essere le più diverse: errori concettuali e/o ortografici, superficiale o confusa conoscenza della materia trattata, inadeguatezza dell’esposizione, mancata comprensione del tema proposto, incapacità di analisi e/o di sintesi, ed altre ancora; ed una specifica, ancorchè sintetica enunciazione delle ragioni di un giudizio non positivo corrisponde al generalissimo precetto di clare loqui, consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il contenuto della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che può alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede giurisdizionale ovvero all’accettazione del risultato, visto anche in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future; - che l’esigenza di conoscere il “perché” di un voto può esse-re soddisfatta solo quando esso è accompagnato da un giudizio sintetico o trova illustrazione nella simbologia utilizzata nelle correzioni apportate ad una eventuale prova scritta o, ancora, quando può essere spiegato attraverso il raffronto con criteri di valutazione predeterminati in modo puntuale e pressochè matema-tico; in mancanza di tali elementi di raffronto l’esigenza predetta resta insoddisfatta; - che il detto orientamento del Consiglio di Stato sembra anche in contraddizione con i criteri che presiedono ad analoghe valutazioni al termine del ciclo della scuola media inferiore e superiore, ove gli articolati giudizi emessi dai Consigli di classe o dalle Commissioni d’esame di Stato rendono palesi le ragioni dell’attribuzione dei voti e della pronunciata maturità o non maturità dei candidati; - che l’interpretazione dell’Adunanza generale pare così contrastare con l’esigenza di decifrabilità e dunque di trasparenza delle valutazioni negative formulate dalle Commissioni esaminatrici negli esami di abilitazione, come parrebbe dimostrato dalla loro totale insondabilità sul piano della giurisdizione generale di legittimità: il che sembra nella specie tanto più inaccettabile a fronte del dubbio avanzato nell’atto introduttivo che il tempo dedicato alla correzione degli elaborati non sia stato sufficiente a consentirne un equilibrato e maturo giudizio; - che la lettura dell’art. 3 della L. 241/1990 siffattamente emergente e confermata nel presente giudizio dall’ordinanza emessa dalla Sez. IV pare risolversi dunque in strumento diretto a perseguire l’interesse alla sollecita conclusione delle procedure di valutazione, epperò all’elevato costo di una sensibile compromissione del grado di tutela apprestato sul piano giurisdizionale dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, che fondano nel nostro ordinamento la stessa essenziale garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale sia per i diritti soggettivi sia per gli interessi legittimi (Corte cost. 18.6.1997, n. 183); - che il valore costituzionale espresso dall’art. 100, 1° comma della Costituzione, così come rettamente interpretato dal massimo Organo di consulenza giuridico-amministrativa dello Stato, sembra essersi, quindi, sovrapposto per la forza che deriva dal parere di un Organo costituito dalla totalità dei Consiglieri di Stato a quello ricavabile invece dai ridetti artt. 24 e 113, come di fatto emerge dall’orientamento conforme e da reputarsi ormai consolidato delle Sezioni giurisdizionali, registratosi dopo l’emissione del richiamato avviso dell’Adunanza generale; - che l’apprezzamento di tutti gli interessi pubblici coinvolti, già discrezionalmente ed insindacabilmente compiuto dal Legislatore nell’esercizio della massima espressione dell’indirizzo politico con l’approvazione di norme di principio, qual è sicuramente l’art. 3 della L. 241/1990, pare dunque essere stato reiterato nell’esercizio di una funzione ausiliaria dell’attività di Governo e per tale via surrettiziamente modificato da quest’ultimo tramite il concorso del richiamato avviso dell’Adunanza generale, come paleserebbe la sopravvenuta diversa riformulazione dell’art. 12 del D.P.R. 9.8.1994, n. 487. 3 - Con riguardo, invece, alla tesi secondo cui l'art. 3 della legge n. 241/1990, riferendosi ad "ogni provvedi-mento amministrativo" e ricollegando la motivazione "alle risultanze dell'istruttoria", farebbe esclusivo riferimento all'attività propriamente provvedimen-tale e non anche a quella di giudizio, conseguente a valutazione, essa appare egualmente confliggente con lo spirito della norma; in una legge di principi sul procedimento amministrativo, volta a garan-tire la trasparenza e l'imparzialità dell'attività amministrativa, il generale obbli-go di motivazione di "ogni" provvedimento può essere escluso solo nei casi espressamente previsti e cioè solo "per gli atti normativi e per quelli a conte-nuto generale", a cui puntualmente si riferisce il comma 2 della norma citata; e d’altra parte il 1° comma utilizza una terminologia varia, collegando l'obbligo di motiva-zione prima al "provvedimento amministrativo", poi alla "decisione dell'am-ministrazione": il che appare espressivo della volontà di attribuire alla disposizione la più ampia portata. Il Collegio ritiene tuttora valide le argomentazioni appena richiamate, che appaiono pertinenti al caso di specie, tenuto conto che il giudizio contestato è stato espresso in forma esclusivamente numerica, che gli elaborati del ricorrente non presentano alcuna correzione e che i criteri di correzione enunciati nella relativa seduta della Commissione risultano generali ed astratti. Tuttavia non può trascurare il fatto che anche le più recenti decisioni adottate dal Consiglio di Stato in sede di merito (cfr. Sez. IV 9 aprile 1999, n. 538, che ha annullato la sentenza di questa Sezione n. 1726 dell’8 ottobre 1997 pronunciata su un caso analogo a quello di cui qui si controverte) e cautelare sono conformi al suo consolidato orientamento, contrario a quello di questa Sezione. Si deve dunque riconoscere che, secondo il “diritto vivente” quale risulta dalle decisioni emesse in sede d’appello, l’art. 3 della legge n. 241/1990 (alla luce del quale vanno interpretate le disposizioni sull’esame da avvocato contenute nel R.D. 22 gennaio 1934, n.37 e, in particolare, quelle di cui agli artt. 17-bis e 23 che utilizzano il termine “punteggio”) esclude dall’obbligo di puntuale motivazione i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale. 4 - In tali condizioni questo Collegio ritiene di non poter definire il ricorso semplicemente insistendo nel riproporre le tesi della Sezione, senza farsi carico dell’evidente contrasto con il “diritto vivente” in materia, quale emerge dal pacifico orientamento del Consiglio di Stato, tenuto conto del rilievo che esso presenta sotto il profilo nomofilattico. L’indubbio vincolo costituito, di fatto, dal richiamato “diritto vivente” non appare tuttavia sufficiente ad imporre a questo giudice di adeguarsi all’indirizzo sinora avversato, atteso che l’interpretazione dell’art. 3 citato seguita sul punto dal Consiglio di Stato appare al Collegio sospettabile di illegittimità costituzionale. Non resta allora che prospettare tali dubbi alla Corte Costituzionale per averne una valutazione chiarificatrice. E che il giudice di merito, quando si trova di fronte ad indirizzi giurisprudenziali consolidati da lui non condivisi sul piano costituzionale, possa rivolgersi al Giudice delle leggi è stato ripetutamente riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale, da ultimo nelle sentenze 21 novembre 1997, n.350, 21 luglio 1995, n.345, 6 aprile 1995, n.110, 24 febbraio 1995, n.58. Nel caso in esame il Collegio dubita della conformità a determinate norme costituzionali dell’indirizzo interpretativo dell’art. 3 della legge n. 241/1990 uniformemente seguito dal Consiglio di Stato in rapporto alla formulazione e motivazione dei giudizi relativi ad esami di abilitazione professionale (con specifico riguardo agli esami per accedere alla professione di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano: a) in relazione all’art. 3 Cost. perché non appare ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo che, mentre consacra il generale principio dell’obbligo di motivazione, tra l’altro facendo specifico riferimento a “lo svolgimento dei pubblici concorsi”, ne esclude l’applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi sugli esami d’abilitazione) rispetto ai quali l’esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un’idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli altri atti amministrativi, se del caso egualmente esprimenti valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all’osservanza della norma; b) in relazione agli artt. 24 e 113 Cost., perché la non soggezione all’obbligo di motivazione dei giudizi d’esame di cui si discute, traducendosi nell’impossibilità per il singolo candidato bocciato di conoscere e controllare le ragioni poste a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela nella già assai limitata sede della giurisdizione di legittimità, in cui al giudice amministrativo è consentito il solo riscontro dell’iter logico delle valutazioni di merito compiute dalle commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche tale limitato sindacato viene precluso di fronte al mero dato numerico del voto, non illustrato, cioè spiegato da una almeno sintetica, ma concreta, motivazione, la tutela così consentita dall’ordinamento si riduce al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua composizione con una cospicua riduzione del tasso di effettività dei giudizi nella sede generale della legittimità; c) in relazione all’art. 97 Cost. perché la sottrazione di una categoria di atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia con il principio di buon andamento dell’amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico si traduce anche nella piena trasparenza dell’azione amministrativa; né le esigenze di snellezza e speditezza del procedimento, pure riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 Cost. e che sono pianamente percepibili nel già ricordato avviso dell’Adunanza generale, possono essere ritenute prevalenti rispetto all’inderogabile necessità di assicurare il più corretto rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica, essendo invece diversamente tutelabili attraverso un’applicazione del principio dell'obbligo di motivazione ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela. 5 - In subordine, ove si ritenga conforme al dato normativo l’interpretazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta dal “diritto vivente” formatosi sul punto che riguarda il presente giudizio, il Collegio prospetta l’illegittimità del medesimo art. 3, in rapporto ai parametri costituzionali più sopra richiamati e per le ragioni già illustrate. 6 - Le questioni prospettate appaiono al Collegio non manifestamente infondate e sono sicuramente rilevanti, perché dalla loro risoluzione dipende l’accoglimento o meno del ricorso sotto il denunciato profilo del difetto di motivazione. Dispone che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Così deciso in Milano nella Camera di Consiglio del 9.3.2000, con l'intervento dei signori: Francesco Mariuzzo - Presidente est. Carlo Testori - Giudice Carlo Deodato - Giudice |
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