T.A.R. Milano, 17 giugno 2009, n. 4052, in materia di Robin Tax
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso principale numero di registro generale 2329 del 2008
e sul ricorso per motivi aggiunti proposti da:
Autogas Nord S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto
Marconi e Maurizio Saladino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo
in Milano, viale Regina Margherita, n. 43;
contro
Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura
Distrettuale di Milano, domiciliata per legge in Milano, via Freguglia,
n. 1;
nei confronti di
- Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente
in carica;
- Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro
in carica;
- Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro in
carica;
- Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, in
persona del Ministro in carica;
tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale
di Milano, domiciliati per legge in Milano via Freguglia, n. 1;
e con l'intervento di
ad opponendum:
- Movimento per la Difesa del Cittadino MDC, in persona del legale
rappresentante pro tempore;
- Federconsumatori – Federazione nazionale consumatori e utenti,
in persona del legale rappresentante pro tempore;
- Adiconsum, Associazione difesa consumatori e ambiente, in persona
del legale rappresentante pro tempore;
tutti rappresentati e difesi dall'avv. Luca Leone, con domicilio
eletto presso lo studio dell’avv. Ennio Magrì in Milano, via Camperio
n. 9;
- Gestore dei Servizi Elettrici - G.S.E. Spa, in persona del legale
rappresentante pro tempore;
rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Anaclerio, Stefano
Fiorentini, Carlo Malinconico, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.
Francesco Anaclerio in Milano, viale Caldara n. 20;
- Acquirente Unico Spa, in persona del legale rappresentante pro
tempore;
rappresentato e difeso dagli avv.ti Luca Leone, Ennio Magrì,
Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ennio
Magrì in Milano, via Camperio n. 9;
Aventi ad oggetto
1) ricorso principale:
l'annullamento:
- della delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed
il Gas n. ARG/com 91/08 del 4 luglio 2008 avente ad oggetto: “Disposizioni
urgenti in materia di vigilanza sul rispetto del divieto di traslazione
della maggiorazione d’imposta di cui all’art. 81, comma 18, del decreto
legge 25 giugno 2008, n. 112”;
- della determina dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed
il Gas n. 47/08 del 1° agosto 2008 avente ad oggetto: “Istituzione
di un gruppo di lavoro e di un nucleo operativo per lo svolgimento delle
funzioni di vigilanza di cui alla deliberazione dell’Autorità per
l’energia elettrica ed il gas 4 luglio 2008 ARG/com 91/08”;
- del documento di consultazione predisposto dell’Autorità
per l’Energia Elettrica ed il Gas il 25 settembre 2008 avente ad oggetto:
“Criteri per l’impostazione della vigilanza dell’Autorità per l’energia
elettrica ed il gas sul divieto di traslazione nei prezzi al consumo della
maggiorazione d’imposta di cui all’art. 81 del d.l. 112/2008, commi da
16 a 18”;
nonché l’accertamento:
della non applicabilità ad Autogas Nord s.p.a. sia dell’addizionale
I.R.E.S., introdotta dall’art. 81, comma 16, del d.l. n. 112/2008, sia
della delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ARG/com
91/08
2) ricorso per motivi aggiunti
l'annullamento:
- della delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed
il Gas n. VIS 109 /08 datata 11 dicembre 2008 avente ad oggetto: “Criteri
e modalità di verifica del rispetto del divieto di traslazione della
maggiorazione d’imposta di cui all’art. 81, comma 18, del decreto legge
25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni il legge 6 agosto
2008, n. 133”;
Visti il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti con
i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Per
L'Energia Elettrica e il Gas;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del
Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero per la Pubblica Amministrazione
e l’Innovazione;
Visti gli atti di intervento ad opponendum di : Movimento per la
Difesa del Cittadino MDC; Federconsumatori – Federazione nazionale consumatori
e utenti; Adiconsum, Associazione difesa consumatori e ambiente; Gestore
dei Servizi Elettrici - G.S.E. Spa; Acquirente Unico Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 07/05/2009 il dott. Fabrizio
Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
L’art. 81, comma 16, del d.l. 2008 n. 112 - convertito con modificazioni
dalla legge 2008 n. 133 - ha stabilito, in considerazione “dell’andamento
dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe
del settore energetico”, che l’aliquota dell’imposta sul reddito delle
società (I.R.E.S.), di cui all’articolo 75 del d.p.r. 1986, n. 917,
sia applicata con un’addizionale di 5,5 punti percentuali per i soggetti
che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi
superiore a 25 milioni di euro e che operino nei settori della ricerca
e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, della raffinazione del
petrolio, della produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli
per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto
e gas naturale, nonché della produzione o commercializzazione di
energia elettrica.
La legge di conversione ha poi precisato che nei confronti di soggetti
operanti anche in settori diversi da quelli suindicati l’addizionale si
applica qualora i ricavi relativi ad attività riconducibili ai predetti
settori siano prevalenti rispetto all’ammontare complessivo dei ricavi
conseguiti, mentre la medesima addizionale non si applica ai soggetti che
producono energia elettrica mediante l’impiego prevalente di biomasse e
di fonte solare-fotovoltaica o eolica.
Il comma 17 dell’art. 81 del d.l. 2008 n. 112 - come modificato
dalla legge di conversione 2008 n. 133 - dispone che in deroga all’articolo
3 della legge 2000 n. 212 (c.d. statuto del contribuente) l’addizionale
I.R.E.S. si applichi a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello
in corso al 31 dicembre 2007, mentre il successivo comma 18 introduce il
divieto di traslazione dell’addizionale, prevedendo che “è fatto
divieto agli operatori economici cui si applica l’ulteriore aliquota di
traslare l'onere della maggiorazione d'imposta sui prezzi al consumo”.
Inoltre, quest’ultima disposizione stabilisce che “l’Autorità
per l'energia elettrica e il gas vigila sulla puntuale osservanza della
disposizione di cui al precedente periodo. L’Autorità per l’energia
elettrica e il gas presenta, entro il 31 dicembre 2008, una relazione al
Parlamento relativa agli effetti delle disposizioni di cui al comma 16”
.
In applicazione della disciplina ora ricordata l’Autorità
per l’energia elettrica ed il gas ha adottato, in un primo tempo, la delibera
n. 91 del 4 luglio 2008 avente ad oggetto “disposizioni urgenti in materia
di vigilanza sul rispetto del divieto di traslazione della maggiore imposta
di cui all’art. 81 comma 18 del D.L. 112/08”.
Con tale atto l’amministrazione ha stabilito che, per assicurare
che gli operatori economici assoggettati alla maggiorazione di imposta
non traslino il predetto onere sui prezzi al consumo, è necessario
che essi non aumentino i propri margini operativi lordi unitari con riferimento
ai prodotti relativi ai settori individuati dall’art. 81, comma 16, del
d.l. 2008 n. 112, “salvo i casi in cui tali aumenti siano giustificati
da variazioni nella struttura dei costi o da situazioni particolari adeguatamente
motivate”
Al fine di verificare le variazioni dei margini operativi lordi
unitari e di esercitare una vigilanza efficace sulla puntuale osservanza
del divieto di traslazione della maggiorazione d'imposta l’A.E.E.G. ha
disposto che, ai sensi dell’art. 2, comma 20 lett. a), della l. 1995 n.
481, le imprese assoggettate all’addizionale debbano trasmettere all’Autorità
medesima entro il 31 luglio 2008 l’ultimo bilancio di esercizio disponibile,
nonché, se disponibili, le relazioni trimestrali e semestrali del
primo semestre 2008 e i documenti di budget relativi al 2008; le imprese
in questione devono trasmettere anche una dichiarazione contenente i valori
dei margini operativi lordi unitari relativi a ciascun prodotto dei settori
di cui all’art. 81, comma 16, del d.l. 2008 n. 112 riferiti all’anno 2007
e al primo semestre 2008.
L’Autorità si è riservata di delineare con successivi
provvedimenti una disciplina organica delle informazioni e dei documenti
che le imprese cui si applica l’addizionale dovranno inviarle con cadenza
regolare, nonché eventuali ulteriori adempimenti necessari per verificare
il rispetto del divieto di traslazione, incaricando il Direttore Generale
di istituire un gruppo di lavoro composto da adeguate competenze professionali
e di proporre un programma di lavoro e strumenti organizzativi atti ad
assicurare l’efficace esercizio della funzione di vigilanza attribuitale
dalla legge sulla materia.
Con ricorso ritualmente notificato e depositato la società
Autogas Nord s.p.a. ha impugnato sia la delibera dell’A.E.E.G. n. 91/08
del 04.07.2008, sia la determinazione dell’A.E.E.G. n. 47/08 del 01.08.2008,
avente ad oggetto la istituzione di un gruppo di lavoro e di un nucleo
operativo per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza di cui alla delibera
n. 91/08, sia il documento di consultazione predisposto dall’Autorità
in data 25.09.2008.
Con il medesimo ricorso la società ricorrente ha chiesto
l’accertamento della non applicabilità nei suoi confronti dell’addizionale
I.R.E.S. e della delibera dell’A.E.E.G. n. 91/08.
In particolare la ricorrente deduce i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del d.l. 2008 n.
112 e degli artt. 2 e 3 della legge 1995 n. 481; eccesso di potere per
differenti profili.
In particolare, la ricorrente ritiene che la deliberazione n. 91/08
esorbiti il potere di vigilanza attribuito all’A.E.E.G. dall’art. 81, comma
18, del d.l. 2008 n. 112 evidenziando come tale potere non potrebbe comunque
estrinsecarsi nelle prerogative attribuite all’Autorità dalla legge
1995 n. 481, perché non richiamata dal d.l. 2008 n. 112.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del d.l. 2008 n.
112 e degli artt. 2 e 3 della legge 1995 n. 481; eccesso di potere per
differenti profili.
La ricorrente ribadisce che la deliberazione n. 91/08 impone adempimenti
non riconducibili alla funzione di vigilanza attribuita all’Autorità
e, comunque, diretti ad incidere sulla regolazione della struttura dei
prezzi.
3) Violazione di legge in relazione all’art. 81, comma 17, del d.l.
2008 n. 112.
In particolare, la ricorrente censura l’attivazione dei poteri di
vigilanza in epoca anteriore al periodo di imposta in cui verrà
corrisposta l’addizionale I.R.E.S..
4) Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale
dell’art. 81, commi 16, 17, e 18 del d.l. 2008 n. 112 per contrasto con
gli artt. 3, 23, 41, 53, 77 e 97 Cost..
La ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art.
81 del d.l. 2008 n. 112 per irragionevolezza, anche in relazione al carattere
strutturale conferito all’addizionale I.R.E.S., nonché per violazione
del principio di capacità contributiva, sia rispetto all’individuazione
dei soggetti passivi della maggiorazione di imposta, sia in relazione alla
correlazione dell’addizionale ad una determinata misura di ricavi a prescindere
dal reddito. Inoltre, si lamenta la violazione dell’art. 3 Cost. per disparità
di trattamento rispetto ad imprese che, pur operando nei settori interessati
dall’addizionale, non realizzano in essi la parte prevalente del fatturato.
Sotto altro profilo, le ricorrenti censurano l’irrazionalità del
divieto di traslazione del maggiore tributo, nonché l’illegittima
utilizzazione dello strumento del decreto legge, anche in relazione all’art.
4 della legge 2000 n. 212.
5) Illegittimità derivata dalla illegittimità che
affligge l’art. 81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112, per violazione degli
artt. 3, 10, e 81 del Trattato C.E..
La ricorrente deduce la contrarietà dell’art. 81, comma 18,
del d.l. 2008 n. 112 e della delibera n. 91/08 con i principi di tutela
della concorrenza dettati dal Trattato C.E., in quanto il divieto legale
di traslazione di imposta e il criterio di valutazione dell’osservanza
di tale divieto fondato sull’utilizzo del margine operativo lordo unitario
limitano le iniziative concorrenziali delle imprese interessate e sono
dirette alla cristallizzazione dei prezzi. A fronte di simili deduzioni
la parte ricorrente chiede la remissione alla Corte di Giustizia, ai sensi
dell’art. 234 del Trattato, della questione della compatibilità
comunitaria dell’art. 81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112.
A seguito del procedimento di consultazione attivato con apposito
documento del 25.09.2008, l’A.E.E.G. ha adottato la delibera n. 109, datata
11.12.2008, con la quale ha inteso affinare e semplificare i criteri di
svolgimento delle sue funzioni di vigilanza, prevedendo: a) un’autoassunzione
di responsabilità da parte degli organi amministrativi e di controllo
delle imprese assoggettate a vigilanza in ordine al rispetto del divieto
di traslazione della maggiorazione I.R.E.S.; b) l’adozione di un sistema
di verifica basato su più livelli di approfondimento mediante l’individuazione
di un indicatore di primo livello che consenta di poter poi concentrare
l’analisi solo su alcuni dei soggetti interessati secondo criteri più
specifici che essa si è riservata di stabilire in un successivo
momento; c) la semplificazione delle modalità di raccolta dei dati
contabili richiesti alle imprese al fine di poter operare la valutazione
di primo livello attraverso la predisposizione di tabelle di semplice compilazione
dalle quali emergano i costi ed i ricavi per prodotto o famiglia di prodotti
necessari alla determinazione del margine di contribuzione diretto, oppure
i prezzi al consumo relativi ai prodotti per i quali è già
in essere il monitoraggio per le altre amministrazioni.
Con la medesima delibera l’Autorità ha quindi ordinato agli
operatori assoggettati al potere di vigilanza di cui all’art. 81 del d.l.
2008 n. 112 di:
- inviare all’Autorità medesima entro il 15 marzo 2009 una
dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale e dagli organi societari
di controllo in cui si attesti di aver adottato ed attuato decisioni e
disposizioni gestionali dirette ad escludere la possibilità di traslazione
sui prezzi al consumo della maggiorazione di imposta di cui all’art. 81,
comma 16, del d.l. 2008 n. 112, che le stesse sono state portate a conoscenza
del personale funzionalmente interessato e che non sono stati accertati
casi di violazione delle medesime da parte del suddetto personale;
- inviare entro 30 giorni dalla sua approvazione il bilancio di
esercizio unitamente all’eventuale bilancio consolidato, indicando l’importo
corrispondente all’addizionale di cui all’art. 81, comma 16, del d.l. 2008
n. 112;
- compilare con cadenza semestrale le tabelle di cui all’allegato
A della delibera medesima provvedendo alla relativa trasmissione entro
60 giorni dalla scadenza di ciascun semestre, con la precisazione che i
dati riferiti a costi e ricavi devono essere coerenti con il conto economico
di riferimento;
- motivare le eventuali variazioni positive del margine di contribuzione
semestrale quale risultante dalle tabelle compilate rispetto al semestre
precedente l’entrata in vigore del d.l. 2008 n. 112.
La delibera ha poi previsto che, in alternativa alla trasmissione
delle tabelle afferenti i margini di contribuzione per prodotto o famiglia
di prodotti, le compagnie petrolifere e le società commerciali rientranti
nel campione statistico “Prezzo Italia”, di cui alla rilevazione del Ministro
per lo Sviluppo Economico, possono trasmettere, con periodicità
trimestrale, gli stessi dati sui prezzi di vendita inviati al suddetto
Ministero, suddivisi in prezzi al netto delle imposte e prezzi finali.
In tale ipotesi, è previsto l’obbligo di motivazione in caso di
variazione positiva dello “stacco” del singolo operatore rispetto allo
“stacco UE”, relativo ai corrispondenti trimestri precedenti l’entrata
in vigore del d.l. 2008 n. 112.
Con ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato e depositato,
la società Autogas Nord s.p.a. ha impugnato la delibera n. 109 datata
11.12.2008, chiedendone l’annullamento sulla base dei seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del d.l. 2008 n.
112 e degli artt. 2 e 3 della legge 1995 n. 481; eccesso di potere per
differenti profili.
In particolare, la ricorrente ritiene che la deliberazione n. 109/08
esorbiti sia il potere di vigilanza attribuito all’A.E.E.G. dall’art. 81,
comma 18, del d.l. 2008 n. 112, sia le prerogative attribuite all’Autorità
dalla legge 1995 n. 481. Inoltre, la ricorrente lamenta che con la delibera
impugnata l’amministrazione ha introdotto un meccanismo presuntivo tale
da invertire illegittimamente l’onere della prova della traslazione dell’addizionale
I.R.E.S..
2) Violazione di legge in relazione all’art. 81, comma 17, del d.l.
2008 n. 112. Violazione dell’art. 11 delle preleggi. Eccesso di potere
per sviamento.
In particolare, la ricorrente censura l’attivazione dei poteri di
vigilanza in epoca anteriore al periodo di imposta in cui verrà
corrisposta l’addizionale I.R.E.S..
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del d.l. 2008 n.
112. Eccesso di potere per differenti profili.
La ricorrente ribadisce la illegittimità della prescrizione
con la quale l’atto impugnato impone agli operatori di attestare l’adozione
e l’attuazione di disposizioni gestionali dirette ad escludere la traslazione
della maggiorazione di imposta sui prezzi al consumo. Inoltre, si censura
la brevità del termine assegnato con la delibera n. 109/2008 per
la trasmissione dei dati e delle informazioni richiesti.
4) Con il quarto motivo la ricorrente ripropone in termini di illegittimità
derivata le censure articolate con il ricorso principale.
In tale senso, la ricorrente deduce nuovamente anche l’illegittimità
costituzionale dell’art. 81 del d.l. 2008 n. 112 per irragionevolezza,
anche in relazione al carattere strutturale conferito all’addizionale I.R.E.S.,
nonché per violazione del principio di capacità contributiva,
sia rispetto all’individuazione dei soggetti passivi della maggiorazione
di imposta, sia in relazione alla correlazione dell’addizionale ad una
determinata misura di ricavi a prescindere dal reddito. Inoltre, si lamenta
la violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento rispetto
ad imprese che, pur operando nei settori interessati dall’addizionale,
non realizzano in essi la parte prevalente del fatturato. Sotto altro profilo,
si censura l’irrazionalità del divieto di traslazione del maggiore
tributo, nonché l’illegittima utilizzazione dello strumento del
decreto legge, anche in relazione all’art. 4 della legge 2000 n. 212.
Parimenti, la ricorrente ribadisce la contrarietà dell’art.
81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112 con i principi di tutela della concorrenza
dettati dal Trattato C.E., in quanto il divieto legale di traslazione d’imposta
limita le iniziative concorrenziali delle imprese interessate e prelude
alla cristallizzazione dei prezzi.
Si è costituita in giudizio l’Autorità per l’Energia
Elettrica ed il Gas, eccependo l’infondatezza del ricorso medesimo e chiedendone
il rigetto.
Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dello Sviluppo
Economico e il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione,
eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.
Nel corso del giudizio sono intervenuti ad opponendum, con separati
atti di intervento, l’Acquirente Unico s.p.a., il Gestore dei Servizi Elettrici
– GSE s.p.a., il Movimento per la difesa del cittadino (MDC), la Federconsumatori
– federazione nazionale consumatori e utenti, nonché Adiconsum –
associazione difesa consumatori e ambiente.
Tutti gli intervenienti hanno eccepito: 1) il difetto di giurisdizione
del giudice amministrativo; 2) l’improcedibilità del ricorso principale
per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione della delibera 2008
n. 91; 3) l’inammissibilità per carenza di interesse in ordine all’impugnazione
proposta avverso la deliberazione 2008 n. 109;
Le parti hanno presentato memorie e documenti.
All’udienza del 07 maggio 2009 la causa è stata trattenuta
in decisione.
DIRITTO
1) Devono essere esaminate preliminarmente le eccezioni di rito
sollevate dalle parti intervenute ad opponendum e dall’amministrazione
resistente, trattando con precedenza l’eccezione di difetto di giurisdizione.
1.1) Con la prima eccezione sollevata, gli intervenienti deducono
il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la controversia,
introdotta mediante l’impugnazione degli atti indicati in epigrafe, avrebbe
natura tributaria e, quindi, rientrerebbe nella giurisdizione delle Commissioni
Tributarie, ai sensi degli artt. 2 e 7 del d.l.vo 1992 n. 546.
In particolare, si ritiene che i provvedimenti gravati abbiano natura
e funzione accessoria rispetto alla corretta applicazione dell’addizionale
I.R.E.S., introdotta dall’art. 81 del d.l. 2008 n. 112 – convertito con
modificazioni dalla legge 2008 n. 133 – sicché la questione atterrebbe
proprio all’imposizione di un’addizionale di natura tributaria, la cui
cognizione è riservata ex lege al giudice tributario.
In definitiva, secondo la prospettazione degli intervenienti la
controversia concerne l’obbligazione tributaria correlata all’introduzione
dell’addizionale I.R.E.S., nonché gli atti amministrativi connessi
alla corretta applicazione dell’imposta e, pertanto, non può che
essere demandata alla cognizione esclusiva del giudice tributario.
L’eccezione è infondata.
In relazione all’ambito della giurisdizione delle Commissioni Tributarie,
l’art. 2 del d.l.vo 1992 n. 546 – come sostituito dall’art. 12, comma 2,
del d.l.vo 2001 n. 448 e poi modificato dall’art. 3 bis, comma 1, del d.l.
2005 n. 203, convertito con legge 2005 n. 248 – stabilisce che “1. Appartengono
alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i
tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali,
provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale,
nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative,
comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio.
Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie
riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla
notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui
all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del
medesimo decreto del Presidente della Repubblica 2. Appartengono altresì
alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori
concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione,
il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori
a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché
le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole
unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale.
Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative
alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto
dall'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive
modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque
reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie
attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto
sulle pubbliche affissioni. 3. Il giudice tributario risolve in via incidentale
ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti
nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia
di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa
dalla capacità di stare in giudizio”.
Il successivo art. 7 – disciplinante i poteri delle Commissioni
Tributarie – stabilisce, al comma 5, che “le commissioni tributarie, se
ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini
della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in
giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente”.
Il quadro normativo di riferimento esclude che rientrino nella giurisdizione
tributaria le controversie relative ad atti amministrativi che, pur correlati
all’esistenza di un’imposta o di una tassa – compresi interessi sovraimposte,
addizionali o altri accessori - non afferiscano ad uno specifico rapporto
tributario, ossia alla determinazione dell’an e del quantum debeatur e
non riguardino i soggetti del rapporto fiscale.
Sul punto vale evidenziare, in primo luogo, che la Corte Costituzionale
- nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma
2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 nella
parte in cui stabiliva che “appartengono alla giurisdizione tributaria
anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione
di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del decreto legislativo
15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni”, nonché del
medesimo art. 2, comma 1, nella parte in cui attribuiva alla giurisdizione
tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da
uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni
non aventi natura tributaria - ha evidenziato che la giurisdizione del
giudice tributario deve “ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura
tributaria del rapporto” controverso (cfr. Corte Cost., 14 marzo 2008,
n. 64 e Corte Cost., 14 maggio 2008, n. 130).
In coerenza con tale impostazione, va ribadito che la giurisdizione
delle Commissioni Tributarie sussiste solo quando si controverte di uno
specifico rapporto tributario, ossia qualora la controversia abbia ad oggetto
la contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa avanzata
dall’amministrazione finanziaria o dei relativi accessori normativamente
individuati, essendo in contestazione, come già evidenziato, l’an
o il quantum di un particolare tributo (cfr. Cass., SS.UU., 10 agosto 2005,
n. 16776; Cass., sez. trib., 26 maggio 2008, n. 13509; Cass., SS.UU., 15
maggio 2007, n. 11077).
Ecco allora che attribuendo alle Commissioni Tributarie "tutte le
controversie" in materia d’imposte e tasse, la lettera della legge dimostra
chiaramente che quella loro riservata è una giurisdizione non circoscritta
ad alcuni aspetti soltanto del tributo, ma di portata generale, nell’ambito,
però, delle questioni relative all’an o al quantum del tributo (cfr.
Cass., SS.UU., 15 maggio 2007, n. 11081).
Ne deriva che le controversie appartenenti al giudice tributario
sono quelle che hanno ad oggetto la contestazione degli atti con i quali
l’amministrazione stabilisce come deve essere regolato un determinato rapporto
tributario (cfr. Cass., SS.UU., 10 agosto 2005, n. 16776; Cass, SS.UU.,
14 maggio 2001, n. 208).
Sicuramente, le Commissioni tributarie possono conoscere anche dell’impugnazione
di atti discrezionali, correlati ad interessi legittimi, purché
si tratti di atti incidenti sul rapporto fiscale, ossia attinenti ai presupposti
dell’obbligazione d’imposta (cfr. in tale senso va osservato che la sentenza
della Cass., SS.UU., 27 marzo 2007, n 7388 – ampiamente citata dagli intervenienti
– ha riconosciuto la giurisdizione del giudice tributario in relazione
all’impugnazione del diniego di annullamento in autotutela dell'avviso
di liquidazione e della cartella di pagamento emessa dal concessionario
della riscossione, ossia rispetto ad atti direttamente incidenti sul rapporto
obbligatorio d’imposta, perché afferenti al debito tributario, alla
sua quantificazione e alle modalità del relativo adempimento. In
tale senso: C.d.S., sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2399).
Nel caso di specie l’impugnazione ha ad oggetto gli atti con i quali
l’A.E.E.G ha dettato disposizioni in materia di vigilanza sul rispetto
del divieto di traslazione della maggiore imposta di cui all’art. 81 del
d.l. 2008 n. 112, nonché stabilito criteri e modalità di
verifica del rispetto di tale divieto.
La contestazione concerne, quindi, le modalità con le quali
l’amministrazione ha esercitato il potere di vigilanza attribuitole dalla
norma ora indicata, in relazione al divieto di traslazione d’imposta introdotto
nei confronti dei soggetti passivi dell’addizionale I.R.E.S..
A ben vedere, gli atti gravati rimangono estranei al rapporto tributario
correlato all’addizionale I.R.E.S., in quanto non esprimono il potere –
spettante all’amministrazione finanziaria e non all’A.E.E.G. – di determinare,
nei limiti stabiliti dalla disciplina legislativa di riferimento, l’an
e il quantum debeatur, ossia il concreto contenuto della pretesa fiscale.
Invero, i poteri in esame sono funzionali al controllo dell’osservanza
di un divieto che non incide sull’esistenza dell’obbligazione tributaria,
né sul suo ammontare, restando così avulsi dalla pretesa
fiscale.
Del resto, il divieto di traslazione di imposta, sul quale l’Autorità
è chiamata a vigilare, non riguarda direttamente le parti del rapporto
tributario, ossia l’amministrazione finanziaria e i soggetti passivi dell’addizionale,
i quali sono comunque obbligati a versare il tributo all’erario secondo
la disciplina dell’I.R.E.S., ma le parti di un diverso rapporto, di natura
privatistica, intercorrente tra i soggetti passivi dell’addizionale e i
consumatori finali; in particolare, il divieto in esame esclude che il
prezzo sopportato da questi ultimi possa essere accresciuto per effetto
della traslazione dell’addizionale medesima (in ordine alla distinzione
tra rapporto tributario, intercorrente tra soggetto passivo del tributo
ed amministrazione finanziaria e rapporto privatistico intercorrente tra
il soggetto passivo del tributo e il soggetto che subisce la traslazione
d’imposta, si veda Cass, SS.UU., 14 maggio 2001, n. 208).
Ecco allora che il potere di vigilanza sul divieto di traslazione
di imposta, attribuito ad un’Autorità indipendente e non all’amministrazione
finanziaria, si correla ad un divieto stabilito dalla legge, ma estraneo
al contenuto del rapporto tributario, essendo correlato al diverso rapporto
che intercorre tra i soggetti passivi dell’addizionale e gli acquirenti
di determinati prodotti sui quali grava il prezzo al consumo.
Sotto altro profilo va osservato che la delibera 2008 n. 91 e la
delibera 2008 n. 109, espressive di un potere amministrativo di vigilanza,
non si rivolgono a soggetti specificamente individuati, ma ad una pluralità
di destinatari, appartenenti alle categorie individuate dall’art. 81 del
d.l. 2008 n. 112, non determinati a priori, ma determinabili a posteriori,
sicché presentano natura di atti amministrativi generali, visto
che rientrano in tale categoria proprio i provvedimenti che in esercizio
di potere amministrativo tendono alla cura concreta di interessi pubblici,
con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari
non determinati a priori nel provvedimento, ma determinabili in un momento
successivo alla loro adozione (cfr. in argomento: Cass., SS. UU., 28 novembre
1994, n. 10124; Cass., sez. III, 05 luglio 1999, n. 6933).
Ne deriva che, in base al suindicato art. 7 del d.l.vo 1992 n. 546,
il giudice tributario potrebbe conoscere di tali atti generali solo incidenter
tantum, ai fini della loro disapplicazione, qualora illegittimi e rilevanti
ai fini della definizione di una controversia avente ad oggetto un determinato
rapporto tributario, essendo comunque precluso alle Commissioni il potere
di annullamento di simili atti.
In proposito, va precisato che è assolutamente pacifico che,
ai sensi del citato art. 7 del d.l.vo n. 546, rientra nella competenza
del giudice tributario la valutazione dell’illegittimità degli atti
amministrativi generali, ma al limitato fine di decidere la controversia
relativa ad uno specifico rapporto tributario e, comunque, senza poter
procedere all’annullamento dell’atto generale (cfr. Cass., SS.UU., 24 luglio
2007, n. 16293; Cass. SS.UU., 22 marzo 2006, n. 6265).
Pertanto, qualora il ricorso abbia ad oggetto, come nel caso di
specie, proprio l’annullamento di atti amministrativi generali, è
a priori esclusa la cognizione delle Commissioni Tributarie, che non sono
investite del potere di caducare provvedimenti di contenuto generale, sicché
le relative controversie rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo,
investito del potere di sindacare in via principale la legittimità
anche degli atti amministrativi generali, in ipotesi incidenti su posizioni
di interesse legittimo.
In definitiva, il ricorso principale e quello per motivi aggiunti
attengono a provvedimenti di contenuto generale non incidenti sul rapporto
tributario sotteso all’addizionale I.R.E.S., in quanto non esprimono la
pretesa fiscale dell’amministrazione e restano estranei alla definizione
dell’an e del quantum debeatur.
Quindi, l’impugnazione di tali provvedimenti è sottratta
alla cognizione del giudice tributario e rientra nella giurisdizione del
giudice amministrativo, con conseguente infondatezza dell’eccezione in
esame.
1.2) Viceversa, deve essere rilevato d’ufficio il difetto di giurisdizione
in ordine all’autonoma domanda formulata nel ricorso principale, in aggiunta
a quella di annullamento della delibera 2008 n. 91, con la quale la ricorrente
chiede l’accertamento della non applicabilità nei suoi confronti
dell’addizionale I.R.E.S. introdotta con il d.l. 2008 n. 112.
Invero, la domanda in questione attiene alla debenza del maggior
tributo introdotto dal d.l. n. 112, pertanto – richiamate sul punto le
considerazioni svolte al punto 1.1 della motivazione – va ricondotta alla
giurisdizione del giudice tributario, fermo restando che, alla luce degli
artt. 2 e 19 del d.l.vo 1992 n. 546, si può ragionevolmente dubitare
della proponibilità davanti al giudice tributario di una domanda
di mero accertamento della non debenza del tributo, non correlata all’impugnazione
di taluno degli atti elencati nel citato art. 19.
1.3) Ai fini di una compiuta delibazione delle eccezioni di improcedibilità
e di inammissibilità sollevate dagli intervenienti, nonché
dei motivi di ricorso formulati dalle società ricorrenti, il Collegio
ritiene opportuno ricostruire il quadro giuridico in cui si inscrive la
nuova funzione di vigilanza attribuita all’Autorità per l’Energia
Elettrica ed il Gas dall’art. 81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112.
Come è stato messo in luce dalle difese delle parti, il Governo,
sul presupposto che gli sbalzi verso l’alto del prezzo del petrolio verificatisi
fra il 2007 ed il 2008 abbiano determinato ingentissimi profitti a vantaggio
delle imprese operanti nei settori energetici che in qualche misura sfruttano
tale materia prima, ha deciso di istituire un’addizionale d’imposta I.R.E.S.
del 5,5% a carico delle società del settore che nel periodo d’imposta
precedente al d.l. 2008 n. 112 abbiano conseguito un volume di ricavi superiore
alla soglia dei 25 milioni di Euro.
Attraverso tale addizionale si è inteso perseguire una politica
ridistributiva destinando a vantaggio dell’intera collettività parte
di quei profitti (presunti o reali che siano, qui non importa stabilirlo)
conseguiti dalle imprese che hanno beneficiato della congiuntura internazionale
dei prezzi petroliferi.
Proprio per non vanificare la finalità ridistributiva dell’operazione
il legislatore ha inteso assicurarsi che la maggiorazione d’imposta non
si risolvesse in un ulteriore aumento dei costi del carburante, andando
a gravare sulle categorie economiche che avevano già pesantemente
risentito dell’aumento del prezzo del greggio nei mesi precedenti.
La misura fiscale è stata, quindi, accompagnata dalla previsione
del divieto di traslare la neo istituita addizionale I.R.E.S. sui prezzi
al consumo.
La vigilanza sul rispetto della prescrizione è stata attribuita
all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas attraverso un sistema
di controllo “referente”, che ha come misura finale la presentazione di
una relazione annuale al Parlamento in ordine agli effetti economici della
maggiorazione I.R.E.S. sui prezzi al consumo e sui profitti delle imprese
che ne sono soggette.
Ai fini dell’esatto inquadramento della natura di tale potere di
vigilanza attribuito all’A.E.E.G. occorre tenere conto delle notevoli difficoltà
che comporta l’accertamento in concreto della c.d. traslazione di imposta.
Si tratta, infatti, di un fenomeno il cui verificarsi costituisce
un dato generalmente riconosciuto a livello generale (data la tendenza
delle imprese a scaricare sui consumatori o sui fornitori i maggiori costi
aziendali di cui quelli fiscali sono una componente di non trascurabile
rilievo), ma che si rivela di non facile accertamento nei singoli casi
concreti, atteso che il prezzo finale di vendita o di acquisto di determinati
prodotti è influenzato dalle più disparate variabili fra
le quali non è semplice isolare il maggior costo derivante dall’imposizione
di un nuovo tributo o dall’inasprimento di uno già esistente.
A ciò va aggiunto che la stessa possibilità economica
di caricare sul prezzo del prodotto l’onere derivante dall’imposizione
fiscale è condizionata dalle mutevoli caratteristiche del mercato
di riferimento (quanto più il mercato è aperto alla concorrenza
tanto meno si rivela praticabile la traslazione, anche se nei mercati relativi
a beni essenziali la tendenziale rigidità della domanda favorisce
tale fenomeno, anche ove sia intervenuta la liberalizzazione).
Proprio per queste ragioni, in passato, quando il fenomeno della
traslazione d’imposta ha assunto rilevanza giuridica, il legislatore ha
cercato di risolvere le difficoltà derivanti dal suo accertamento
in concreto attraverso il ricorso a presunzioni legali.
Costituisce emblematico esempio di tale tendenza l’art. 19 del d.l.
n. 688/82 il quale prevedeva che coloro che avessero corrisposto indebitamente
una serie di tributi indiretti potessero conseguirne il rimborso soltanto
attraverso una dimostrazione documentale che il relativo onere non fosse
stato trasferito su altri soggetti.
Tale norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima
proprio perché, attraverso una presunzione legale del verificarsi
della traslazione, faceva irragionevolmente gravare sul solvens, anziché
sull’amministrazione finanziaria, la difficile prova negativa di tale evento.
Il decreto legge n. 112/08, onde evitare che la difficoltà
della prova in giudizio della traslazione dell’addizionale d’imposta desse
luogo alle medesime problematiche, ha seguito una strada completamente
diversa.
Non si è scelto, infatti, di reprimere l’eventuale violazione
del divieto di traslazione con sanzioni amministrative o penali, ma di
sottoporre gli operatori economici assoggettati alla maggiorazione d’imposta
alla vigilanza di un’Autorità indipendente dotata di particolari
competenze tecniche in relazione alla formazione dei prezzi nel settore
energetico.
In tal modo:
a) l’accertamento del rispetto del divieto di traslazione non è
stato trasferito (almeno in prima battuta) in una sede processuale, che
sarebbe stata del tutto inadeguata rispetto alla complessità dei
dati da selezionare ed acquisire e delle valutazioni tecnico-economiche
da compiere, ma forma oggetto di un procedimento valutativo complesso che
costituisce tipica espressione dei poteri conoscitivi delle Autorities;
b) il giudizio dell’Autorità non si traduce in misure preventive
o repressive, ma comporta soltanto un referto al Parlamento che sarà
libero di assumere o meno conseguenti contromisure;
c) al contempo, tuttavia, il giudizio dell’A.E.E.G. assume anche
in sé una particolare “autorevolezza” e forza dissuasiva provenendo
da un soggetto dotato di alta competenza tecnica ed indipendente dagli
attori del mercato (imprese pubbliche, imprese private, consumatori) che
avrebbero a vario titolo interesse ad orientare in un senso o in un altro
i risultati dell’indagine.
Dovendo svolgersi entro le suddette coordinate il potere di vigilanza
dell’A.E.E.G. sul divieto di traslazione, diversamente da quanto accade
per l’espletamento degli altri compiti di tale Autorità, non ha
una portata regolatoria del mercato, ma meramente “conoscitiva”.
In altre parole, l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il
Gas, al fine di impedire il verificarsi del fenomeno traslativo, non può
in alcun modo condizionare direttamente le scelte di impresa bloccando
i prezzi o sanzionando in altro modo aumenti che essa ritenga ricollegabili
alla maggiorazione del carico fiscale.
L’Autorità può, invece, acquisire tutte le informazioni
aziendali necessarie a comprendere i fattori che influenzano in concreto
la formazione dei prezzi praticati da ciascuna società e valutarle
sulla base di criteri economicamente adeguati, al fine di verificare se
eventuali scostamenti siano giustificabili in base alle ordinarie dinamiche
del mercato (aumento dei costi, strategie aziendali etc.), oppure appaiano
riconducibili all’aggravio derivante dall’applicazione dell’addizionale
I.R.E.S. prevista dal d.l. n. 112/08.
Chiarito il senso e la portata del potere di vigilanza attribuito
all’A.E.E.G., si possono ora esaminare le eccezioni di improcedibilità
e di inammissibilità formulate dagli intervenienti in relazione,
rispettivamente, al ricorso principale e al ricorso per motivi aggiunti.
1.3.1) Tanto premesso, il Collegio ritiene che, per ragioni di precedenza
logica, debba essere esaminata con priorità l’eccezione di inammissibilità
del ricorso per motivi aggiunti, con il quale si censura la delibera n.
109/08, in quanto la fondatezza di tale eccezione renderebbe infondata
l’eccezione di improcedibilità articolata rispetto al ricorso principale
e basata sul complessivo superamento delle determinazioni contenute nella
delibera n. 91/08 per effetto della delibera n. 109/08.
In particolare, l’eventuale carenza di lesività di quest’ultimo
provvedimento escluderebbe logicamente la sua incidenza sull’attualità
dell’interesse ad impugnare la precedente delibera n. 91/08, in ordine
alla cui impugnazione – si ripete – non viene contestata la carenza ab
origine di interesse al ricorso, ma solo la sopravvenuta carenza, non essendone
così in discussione l’originaria attitudine lesiva.
La carenza di interesse ad impugnare la delibera n. 109/98 viene
dedotta in quanto essa non disporrebbe alcun misura sanzionatoria o in
qualche modo pregiudizievole per gli interessi delle imprese che ne sono
destinatarie atteso che:
a) si limiterebbe a chiedere elementi contabili di facile reperimento
in quanto coerenti con i sistemi in atto presso gli operatori, venendo
incontro alle doglianze da essi espresse nel procedimento di consultazione
avverso l’obbligo di trasmissione dei dati riguardanti il margine operativo
lordo;
b) richiederebbe un’attestazione concernente il semplice rispetto
del divieto di traslazione già previsto dall’art. 81, comma 18,
del D.L. 2008 n. 112;
c) non stabilirebbe compiutamente alcun criterio di valutazione
dei comportamenti delle imprese ai fini dell’esercizio della funzione di
vigilanza limitandosi a determinare un iniziale criterio di cernita degli
operatori da assoggettare ad un successivo livello di approfondimento la
cui definizione viene rinviata ad una successiva deliberazione.
L’eccezione è priva di pregio.
Invero, la funzione di vigilanza attribuita all’A.E.E.G. dall’art.
81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112, ancorché non comporti l’adozione
di specifiche misure sanzionatorie o conformative dirette a reprimere o
impedire la traslazione di imposta, intesta comunque alla predetta Autorità
poteri autoritativi, suscettibili di ledere gli interessi delle imprese
che ne sono assoggettate.
Tale lesione può verificarsi, in primo luogo, in relazione
all’esercizio dei “poteri istruttori” demandati all’Autorità i quali
si concretano nella emanazione di veri e propri “ordini” con cui le imprese
vengono obbligate a fornire informazioni commerciali che altrimenti non
sarebbero dovute.
In secondo luogo, la lesione degli interessi delle imprese può
verificarsi anche attraverso l’attività valutativa dell’Autorità,
ancorché da essa possa conseguire solo un referto parlamentare.
L’apparire in una sorta di “black list” dei soggetti che, in violazione
del divieto posto dalla legge, hanno attuato la traslazione dell’imposta
può, infatti, comportare per le imprese che vi figurino evidenti
pregiudizi non solo di ordine economico (si pensi alle eventuali azioni
di rivalsa intentate dai consumatori o dalle loro associazioni), ma anche
di ordine morale, potendo ciò comprometterne la reputazione commerciale.
Sempre sul punto il Collegio deve altresì ricordare come
l’interesse a ricorrere, al pari di quello ad agire previsto dall’art.
100 c.p.c., costituisca una condizione dell’azione che deve emergere dall’esame
della prospettazione di parte contenuta nella domanda a prescindere dalla
sua fondatezza nel merito (cfr. Cass., 09 maggio 2008, n. 11554).
Nel caso di specie la società ricorrente assume che i criteri
adottati dall’A.E.E.G. per accertare l’osservanza del divieto di traslazione
della maggiorazione dell’imposta sarebbero tali da condizionare negativamente
la libertà di ciascuna impresa di formare il prezzo dei prodotti,
in quanto ogni aumento dei margini unitari (prima operativi ed ora contributivi)
verrebbe presuntivamente considerato come sintomatico della violazione
della norma in questione.
A prescindere dalla fondatezza di tale asserzione, appare evidente
al Collegio che, alla stregua della menzionata “prospettazione di parte”,
sussiste un evidente interesse della ricorrente a chiedere l’annullamento
del provvedimento impugnato.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dell’eccezione in esame.
1.3.2) L’ eccezione di improcedibilità del ricorso principale
relativo, in primo luogo, alla delibera 2008 n. 91, si basa sulla considerazione
che l’annullamento di tale atto sarebbe del tutto inutile a seguito della
revisione dei criteri di svolgimento della funzione di vigilanza operata
dall’Autorità con la successiva delibera 2008 n. 109.
Su tale punto il Collegio deve convenire con la prospettazione degli
intervenienti, che trova conforto anche nella memoria della Avvocatura
distrettuale.
Invero, la delibera 2008 n. 109 sostituisce integralmente la precedente
delibera 2008 n. 91, sia con riguardo alla documentazione di cui l’Autorità
ritiene necessaria la trasmissione, che non ha più ad oggetto i
margini operativi lordi unitari ma la compilazione delle tabelle relative
ai margini di contribuzione basate sulla differenza fra ricavi e costi
della materie prime, sia con riguardo all’impostazione generale dei criteri
di valutazione.
Sotto quest’ultimo profilo la delibera n. 109/08 ha chiarito che
non esiste alcuna diretta correlazione fra divieto di traslazione dell’imposta
e aumento dei margini, poiché quest’ultimo dato costituisce solo
un indicatore di primo livello per selezionare le imprese sulle quali condurre
un’indagine più approfondita.
Occorre altresì osservare che nella delibera n. 109/08 l’Autorità
ha chiaramente manifestato la volontà che i nuovi dati contabili
ed i nuovi criteri di valutazione sostituiscano quelli precedenti in modo
“retroattivo”, poiché la compilazione delle tabelle ad essa allegate
deve avvenire con i dati riferiti sia al 2007, sia 2008, coprendo, pertanto,
l’indagine il medesimo arco temporale previsto dalla delibera n. 91/08.
Ne consegue che, non intendendo più l’Autorità utilizzare
i dati relativi ai margini operativi lordi e non risultando che tali dati
siano mai stati utilizzati ai fini dell’esercizio del potere di vigilanza,
viene meno ogni interesse all’annullamento della delibera n. 91/08 con
conseguente declaratoria di improcedibilità del ricorso contro di
essa proposto.
L’unico punto in relazione al quale la delibera n. 91/08 potrebbe
mantenere una propria autonomia attiene ai bilanci d’esercizio e consolidati
che tale atto sembrerebbe riferire anche all’esercizio 2007, mentre la
delibera n. 109/08 non specifica a quale periodo contabile si riferisca
la richiesta di trasmissione di tali documenti.
Tuttavia, si tratta di un punto non investito da specifiche censure,
la cui ipotetica permanenza in vita non influisce sulla dichiarazione di
improcedibilità del ricorso principale.
Del resto, non è configurabile un autonomo interesse ad impugnare
il documento di consultazione adottato dall’Autorità in data 25.09.2008
e la determinazione dell’Autorità n. 47/2008 del 01.08.2008, in
quanto si tratta di atti meramente istruttori, inidonei ad incidere pregiudizievolmente
sulla sfera giuridica della ricorrente e in relazione ai quali non sono
formulate specifiche censure.
Va, pertanto, ribadita l’improcedibilità del ricorso principale.
1.4) Viceversa, merita accoglimento l’eccezione con la quale l’Avvocatura
Distrettuale dello Stato deduce il difetto di legittimazione passiva della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle
Finanze, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero per la
Pubblica Amministrazione e l’Innovazione.
In primo luogo, va osservato che i provvedimenti impugnati sono
stati adottati dall’A.E.E.G. e non dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri
o da taluno degli altri Ministeri chiamati in giudizio, sicché tali
ulteriori soggetti non assumono la veste di amministrazioni resistenti.
Infine, la posizione di contraddittore necessario non è attribuibile
alla Presidenza del Consiglio neppure in relazione alla dedotte censure
di illegittimità costituzionale.
Difatti, l’art. 23 della legge 1957 n. 87 prevede che l’eventuale
ordinanza con la quale viene sollevata in via incidentale la questione
di legittimità costituzionale debba essere notificata alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, ma ciò non implica la necessaria partecipazione
della Presidenza medesima al giudizio pendente davanti al giudice a quo.
Va, pertanto, disposta l’estromissione dal giudizio della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero per la Pubblica
Amministrazione e l’Innovazione.
2) Sempre per ragioni di precedenza logico giuridica vanno ora esaminate
le questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso
per motivi aggiunti.
La ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art.
81 del d.l. 2008 n. 112 per : a) violazione dell’art. 3 Cost. in quanto
appare irragionevole il carattere strutturale conferito all’addizionale
I.R.E.S.; b) violazione degli artt. 3 e 53 Cost. per irragionevolezza e
contrarietà con il principio di capacità contributiva dei
criteri stabiliti per l’individuazione dei soggetti passivi della maggiorazione
di imposta, nonché in relazione alla correlazione dell’addizionale
ad una determinata misura di ricavi a prescindere dal reddito; c) violazione
dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento rispetto ad imprese
che pur operando nei settori interessati dall’addizionale non realizzano
in essi la parte prevalente del fatturato e vengono così sottratte
all’applicazione del maggior tributo; d) violazione degli artt. 3 e 41
Cost. per irragionevolezza e contrarietà con il principio di libertà
dell’iniziativa economica del divieto di traslazione sui prezzi al consumo
dell’addizionale I.R.E.S.. e) Violazione degli artt. 3, 23, 53, 77 e 97
Cost. in quanto la complessiva disciplina dell’addizionale I.R.E.S. è
stata dettata con decreto legge nonostante l’art. 4 della legge 2000 n.
212 stabilisca che l’istituzione di nuovi tributi o l’estensione dei medesimi
ad altre categorie non può essere disposta con decreto legge. In
ogni caso, si censura l’utilizzazione del decreto legge al di fuori dei
presupposti di necessità ed urgenza previsti dall’art. 77 Cost.
per la sua emanazione.
In relazione alle diverse questioni prospettate, il Tribunale ritiene
di dovere distinguere le censure sub a), b) e c) che coinvolgono la struttura
in senso stretto del tributo configurato come addizionale I.R.E.S., da
quelle formulate sub d) ed e) che coinvolgono il divieto di traslazione
dell’imposta, cui si correla il potere di vigilanza esercitato dall’Autorità
con gli atti impugnati.
Il Tribunale ritiene che le questioni di costituzionalità
riassunte sub a), b) e c) siano irrilevanti ai fini della decisione della
causa, con conseguente mancanza della prima delle condizioni indefettibili
per la sollevazione dell’incidente di costituzionalità, ai sensi
dell’art. 23, comma 2, della legge 1953 n. 87, ove si prevede che “l'autorità
giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale
o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata,
emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza
con cui fu sollevata la questione, dispone l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso”.
Sul punto va osservato che la questione di costituzionalità
di una norma è rilevante agli effetti della decisione della causa,
quando questa non può essere decisa senza la definizione dell'incidente
di costituzionalità, nel senso che la relativa eccezione deve avere
portata strumentale rispetto alla soluzione di una questione sostanziale
o processuale trattata nel giudizio; in altre parole, la questione prospettata
deve essere “determinante agli effetti della decisione della causa, nel
senso che questa non possa essere decisa senza la definizione dell'incidente
di costituzionalità” (cfr. Cass., SS.UU., 6 febbraio 2009, n. 2863;
Cass. SS.UU. 17 marzo 2008, n. 7063. Sul carattere strumentale della questione
di costituzionalità si vedano anche Corte Cost., 25 maggio 1957,
n. 59 e Cass. Civ., 06 novembre 1995, n. 11555).
Quindi, sussiste la rilevanza quando la norma della cui legittimità
costituzionale si dubita è applicabile nel giudizio a quo (cfr.
Corte Cost., 13 giugno 2006, n. 228; Corte Cost., 06 luglio 2006, n. 272;
Corte Cost., 25 marzo 2005, n. 123; Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 385),
nel senso che - come evidenziato da autorevole dottrina - si tratta della
norma di cui il giudice deve fare immediata applicazione per decidere la
controversia, tanto che la rilevanza “prima ancora che la questione proposta
riguarda proprio la norma investita dell’impugnativa”, fermo restando che
tale rilevanza deve essere effettiva e non “puramente ipotetica ed eventuale”
(cfr. Corte Cost., 02 dicembre 2004, n. 374).
Insomma, la questione di costituzionalità prospettata in
via incidentale è rilevante quando costituisce una vera e propria
questione pregiudiziale, ponendosi come un antecedente logico-giuridico
necessario per la decisione della causa pendente (cfr. in proposito Corte
Cost., 20 aprile 2000, n. 110; Corte Cost., 03 giugno 1983, n. 148; Cass,
sez. lav., 09 maggio 1984, n. 2832; Cass., sez. lav., 01 luglio 1983, n.
4446).
Nel caso di specie, l’oggetto del giudizio è dato essenzialmente
dalla legittimità delle deliberazioni con le quali l’A.E.E.G. ha
esercitato il potere di vigilanza attribuitole dall’art. 81, comma 18,
del d.l. 2008 n. 112, fissando alcuni criteri per verificare il rispetto
del divieto di traslazione e disponendo, a tal fine, l’acquisizione di
determinati documenti e dichiarazioni da parte dei soggetti cui si applica
l’addizionale I.R.E.S..
Di tali provvedimenti i ricorrenti contestano la legittimità
in relazione alle modalità con le quali l’A.E.E.G. ha ritenuto di
esercitare il potere di vigilanza attribuitole, lamentando la non riconducibilità
delle disposizioni impartite con gli atti impugnati ad una semplice funzione
di vigilanza.
A ben vedere, quindi, le norme di cui occorre fare applicazione
nel caso di specie, ai fini della decisione del ricorso, sono quelle che
disciplinano i poteri istruttori, di verifica e di indagine dell’A.E.E.G.,
in relazione alle finalità istituzionali ad essa attribuite, ivi
compresa la funzione di vigilanza che le è stata affidata in base
all’art. 81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112.
Ne deriva che le norme investite dalle questioni di illegittimità
costituzionale prospettate dalla ricorrente non sono suscettibili di diretta
applicazione nel giudizio de quo, essendo inerenti alla disciplina dei
presupposti soggettivi ed oggettivi dell’addizionale I.R.E.S. introdotta
con il d.l. 2008 n. 112 e, quindi, ai rapporti tributari ad essa correlati,
i quali però non sono oggetto del presente giudizio, in quanto gli
atti impugnati non afferiscono alla determinazione della pretesa fiscale
da parte dell’amministrazione finanziaria.
In definitiva, le questioni di costituzionalità in esame
non sono strumentali ai fini della decisione della causa, in quanto investono
norme di cui non deve essere fatta immediata applicazione nel giudizio
pendente, che, pertanto, può essere deciso a prescindere dalla definizione
dell’incidente di costituzionalità.
Viceversa, va rilevata la manifesta infondatezza delle censure di
incostituzionalità riassunte sub d) ed e), avanzate in ordine al
divieto di traslazione dell’addizionale I.R.E.S. previsto dal comma 18
dell’art. 81 del d.l. 2008 n. 112.
In primo luogo, il Tribunale osserva che il divieto in esame non
integra un’illegittima ingerenza nelle autonome scelte gestionali delle
imprese finalizzate all’individuazione del prezzo cui offrire i propri
prodotti e servizi sul mercato, in quanto la libertà di iniziativa
economica privata non assume una rilevanza assoluta nell’ordinamento, ma
si sviluppa entro i limiti segnati dalla tutela degli altri valori sanciti
dalla Carta Costituzionale.
In tale senso, l’art. 41 della Costituzione prevede espressamente
che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto, tra l’altro,
con l’utilità sociale e, comunque, può essere assoggettata
dalla legge agli opportuni programmi e controlli finalizzati ad indirizzarla
e coordinarla a fini sociali.
Il divieto di traslazione d’imposta riflette proprio una finalità
extrafiscale, riconducibile ad una logica ridistributiva, essendo diretto
a tutelare esigenze di matrice solidaristica correlate all’andamento dell’economia
e all’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore
energetico, come espressamente enunciato dall’art. 81, comma 16, del d.l.
2008 n. 112.
In definitiva, il legislatore ha voluto evitare che l’incremento
fiscale gravasse, attraverso la traslazione, su categorie di soggetti già
colpite dall’aumento dei prezzi e delle tariffe nel settore di riferimento.
Tale finalità, di matrice – come già evidenziato –
solidaristica e ridistributiva, è coerente con i limiti che l’art.
41 della Cost. pone all’iniziativa economica, con conseguente manifesta
infondatezza della censura di costituzionalità in esame.
Parimenti è manifestamente infondata la censura con la quale
si deduce l’incostituzionalità dell’utilizzo del decreto legge per
introdurre l’addizionale I.R.E.S. ed in particolare il divieto di traslazione
di imposta.
In relazione al primo dei profili dedotti, con il quale si lamenta
l’irragionevolezza del ricorso alla decretazione d’urgenza nonostante l’art.
4 della legge 2000 n. 212 (c.d. statuto del contribuente) stabilisca che
l’istituzione di nuovi tributi o l’estensione dei medesimi ad altre categorie
non può essere disposta con decreto legge, va rilevato che la disciplina
da ultimo citata è contenuta in un atto avente forza e valore di
legge, sicché, in applicazione dei principi generali in materia
di rapporti tra fonti del diritto di rango primario, un successivo atto
dotato della medesima forza e dello stesso valore può derogare alle
disposizioni contenute nello statuto medesimo.
In altre parole, l’art. 4 dello Statuto non è una norma di
rango costituzionale, pertanto non è idonea a precludere al Governo
l’utilizzo del decreto legge ai fini dell’introduzione di una maggiore
imposizione fiscale, nonché del divieto di traslazione di cui si
tratta.
Del resto, la giurisprudenza da tempo ha evidenziato che la natura
di norme di principio in materia tributaria, assegnata espressamente dall’art.
1 delle legge 2000 n. 212 alle disposizioni dello Statuto del contribuente,
è idonea ad orientare l’interprete nello svolgimento dell’attività
esegetica (cfr. tra le tante Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576),
ma ciò non incide sul rango legislativo delle disposizioni statutarie,
che, pertanto, non si sottraggono ai principi in materia di successione
delle leggi nel tempo.
In definitiva, siccome l’art. 77 della Cost. non esclude l’utilizzo
del decreto legge in materia fiscale, il principio posto dall’art. 4 della
legge 2000 n. 212 non preclude al legislatore di utilizzare la decretazione
d’urgenza in materia tributaria, in quanto anche il decreto legge ha forza
e valore di fonte primaria.
Parimenti, è manifestamente infondata la questione di costituzionalità
prospettata in relazione all’asserita utilizzazione del decreto legge al
di fuori dei presupposti di necessità ed urgenza posti dall’art.
77 Cost..
Invero, l’urgenza emergente dall’esplicito riferimento all’andamento
dell’economia e all’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe
del settore energetico – art. 81, comma 16, del d.l. 2008 n. 112 – rende
palese la necessità di un intervento normativo rapido, finalizzato
ad evitare il rischio che durante il tempo necessario per giungere all’approvazione
di una legge possano innescarsi dei meccanismi di determinazione dei prezzi
sostanzialmente traslativi dell’addizionale, tali da frustrare le esigenze
solidaristiche e ridistributive sottese al divieto de quo.
In definitiva, proprio l’esigenza di effettiva realizzazione delle
finalità correlate al divieto di traslazione rende giustificato,
alla luce della situazione fattuale posta a fondamento della disciplina
adottata, l’utilizzo del decreto legge, con conseguente manifesta infondatezza
della censura di cui si tratta.
Va, pertanto, ribadito che le censure di costituzionalità
prospettate dalla ricorrente sono in parte irrilevanti e in parte manifestamente
infondate, secondo quanto suindicato.
3) Nel quadro del quarto motivo, formulato nel ricorso per motivi
aggiunti, la società ricorrente prospetta - anche ai fini della
remissione della questione alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art.
234 del Trattato - l’incompatibilità tra disciplina introdotta con
l’art. 81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112 e le norme poste dagli artt.
3, 10, 81 del Trattato istitutivo delle Comunità Europee.
In particolare, la ricorrente deduce la contrarietà della
norma ora indicata con i principi di tutela della concorrenza dettati dal
Trattato C.E., in quanto il divieto legale di traslazione d’imposta limiterebbe
le iniziative concorrenziali delle imprese interessate e determinerebbe
la cristallizzazione dei prezzi.
Il Tribunale ritiene che non sussistano, ai fini della decisione
della controversia, i presupposti né per investire della questione
la Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato, né per
procedere alla disapplicazione delle normativa nazionale.
E’ noto che i giudici interni non sono tenuti a sottoporre alla
Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie se questa non
è pertinente (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa
in alcun modo influire sull’esito della lite), se la questione è
materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o se, comunque,
un precedente risolve il punto di diritto controverso, ovvero se la corretta
applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza
da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare
alla questione sollevata (cfr. Corte Giust. C.E., 06 ottobre 1982, C -
283/81; in argomento C.d.S., sez. VI, 28 marzo 2008, n. 1275).
Nel caso di specie, risulta infondata la questione di compatibilità
dell’art. 81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112 con le norme del trattato.
In generale, va osservato che l’esigenza di tutela della concorrenza,
cui tendono le norme del Trattato invocate dalle ricorrenti, è compatibile
con interventi statali che integrino misure di politica economica dirette
a sostenere l’equilibrio del sistema nel suo complesso, a fronte di esigenze
di carattere generale emerse a livello nazionale.
In particolare, la giurisprudenza comunitaria riconosce che la violazione
del trattato non può essere automaticamente dedotta dalla differenza
di trattamento che subiscono le imprese interessate, qualora detta differenza
di trattamento sia giustificata da ragioni attinenti alla logica del sistema
(cfr. Corte di Giust. C.E., sez. VI, 22 novembre 2001, n. C-53/2000. Più
in generale in ordine alla limitabilità delle libertà fondamentali
garantite dal diritto comunitario per “ragioni imperative di interesse
pubblico” si veda Corte di Giust. C.E., Grande Sezione, 28 aprile 2009,
n. C-518/06)
In altre parole, un intervento statale può concretamente
incidere su determinate categorie di imprese senza per ciò solo
assumere un carattere illegittimamente selettivo quando riflette una logica
di conservazione dell’equilibrio del sistema di riferimento; nel caso in
esame, il divieto di traslazione di imposta risponde alla finalità
di tutelare i consumatori nel settore energetico, sicché si correla
ad esigenze di solidarietà sociale e di ridistribuzione emerse in
modo repentino in conseguenza di un rapidissimo incremento del prezzo del
greggio sul mercato internazionale, che ha prodotto un “impatto sociale”
conseguente all’ “aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico”,
come esplicitato dal legislatore.
Insomma, il divieto di traslazione non integra una misura diretta
a colpire selettivamente determinate imprese al di fuori di una logica
giustificativa coerente con il diritto comunitario, ma uno strumento perequativo,
correlato ad una precisa scelta di politica fiscale e coerente con i principi
che informano il sistema tributario nazionale, essendo volto a realizzare
una forma di tutela dei consumatori nel settore energetico, a fronte del
particolare aumento dei prezzi e delle tariffe sopportato dai consumatori
stessi a seguito dell’aumento del prezzo del petrolio e finalizzato ad
evitare ulteriori, insostenibili, incrementi dei prezzi al consumo nel
settore di riferimento.
Tali considerazioni trovano conferma nella giurisprudenza comunitaria,
la quale evidenzia che non collidono con il diritto comunitario “i provvedimenti
statali che stabiliscono una differenziazione tra imprese e, pertanto,
selettivi a priori, qualora tale differenziazione risulti dalla natura
o dalla struttura del sistema fiscale in cui tali provvedimenti si inseriscono”
(cfr. Corte di Giust. C.E., sez. III, 22 dicembre 2008, n. C- 487/06) e
la logica ridistributiva e solidaristica del divieto di traslazione censurato
riflette proprio i principi ispiratori del sistema tributario nazionale.
In definitiva, il divieto di traslazione risponde ad una logica
compatibile con la disciplina comunitaria invocata dalle ricorrenti, con
conseguente infondatezza della questione proposta.
4) Con il primo e con il terzo dei motivi articolati nel ricorso
per motivi aggiunti – che possono essere trattati congiuntamente perché
strettamente connessi sul piano logico giuridico – la ricorrente deduce
i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, evidenziando che
la deliberazione n. 109/08 esorbita sia il potere di vigilanza attribuito
all’A.E.E.G. dall’art. 81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112, sia le prerogative
attribuite all’Autorità dalla legge 1995 n. 481. In particolare,
la ricorrente contesta la legittimità della prescrizione con la
quale si impone agli operatori di attestare l’adozione e l’attuazione di
disposizioni gestionali dirette ad escludere la traslazione della maggiorazione
di imposta sui prezzi al consumo. Inoltre, la ricorrente, da un lato, lamenta
che con la delibera impugnata l’amministrazione ha introdotto un meccanismo
presuntivo tale da invertire illegittimamente l’onere della prova dell’avvenuta
traslazione dell’addizionale I.R.E.S., dall’altro, contesta la brevità
del termine assegnato con la delibera n. 109 per la trasmissione dei dati
e delle informazioni richiesti.
Le censure sono solo parzialmente fondate.
In particolare, merita condivisione la censura sviluppata rispetto
all’art. 2 della delibera n. 109/2008, nella parte in cui prescrive a ciascun
operatore di inviare all’Autorità, entro il 15 marzo 2009, una dichiarazione
del rappresentante legale in cui si attesti di avere adottato ed attuato
decisioni e disposizioni gestionali dirette ad escludere la possibilità
di traslazione sui prezzi al consumo della maggiorazione di imposta di
cui all’art. 81, comma 16, del d.l. 2008 n. 112, con la precisazione che
tali disposizioni sono state portate a conoscenza del personale funzionalmente
interessato e che non sono stati accertati casi di violazioni delle medesime
da parte del suddetto personale.
La coerenza di questa prescrizione deve essere apprezzata in relazione
alla portata del potere di vigilanza che l’art. 81, comma 18, del d.l.
2008 n. 112 ha attribuito all’A.E.E.G..
Si è già chiarito - si veda il punto 1.3 della motivazione
- che la scelta legislativa di attribuire ad un’Autorità indipendente
il compito di vegliare sul divieto di traslazione di imposta riflette la
particolare complessità tecnica che presentano le indagini da effettuare
a tale fine; complessità che rende del tutto coerente l’attribuzione
della relativa funzione ad un organismo strutturalmente dotato di spiccate
competenze tecniche, normalmente non rinvenibili negli ordinari apparati
amministrativi e istituito per svolgere le proprie attribuzioni in posizione
di indipendenza dai soggetti, pubblici e privati, che operano nei settori
di riferimento.
Del resto, si è già evidenziato che il potere di vigilanza
non ha natura regolatoria del mercato, ma meramente “conoscitiva”, nel
senso che l’amministrazione può porre in essere un controllo finalizzato
all’acquisizione delle informazioni e dei dati necessari alla verifica
del rispetto del divieto di traslazione, compiendo le successive valutazioni
di ordine tecnico-economico, mentre rimangono estranei a tale funzione
interventi diretti a condizionare le scelte gestionali delle società
interessate al fine di garantire il rispetto del divieto di traslazione.
Insomma, il potere di vigilanza non consente all’Autorità
di imporre alle imprese interessate un facere specifico incidente sulle
strategie di impresa e sulle scelte gestionali dei singoli operatori economici.
Nel preambolo della delibera n. 109/08, l’A.E.E.G. afferma di considerare
doverosa da parte degli operatori l’adozione di “misure gestionali” preventive
volte ad escludere la possibilità di traslazione sui prezzi al consumo
della maggiorazione d’imposta.
Tale premessa si è tradotta nella imposizione dell’obbligo
di presentare la dichiarazione in esame, il cui inadempimento è
sanzionato in via amministrativa, ex art. 2, comma 20 lett. a), della legge
1995 n. 481.
Attraverso tale meccanismo l’Autorità ha inteso dunque rafforzare
l’operatività del precetto posto dall’art. 81, comma 18, del d.l.
2008 n. 112, imponendo l’adozione di specifiche misure organizzative tese
a prevenire la sua violazione.
Così facendo essa ha oltrepassato i confini del potere di
vigilanza attribuitole dalla norma in esame, che, come si è più
volte ribadito, introduce un potere di vigilanza di portata meramente conoscitiva
e funzionalizzato alla presentazione della relazione al Parlamento prevista
dal medesimo comma 18.
In definitiva, l’Autorità non può adottare misure
dirette a prevenire o reprimere fenomeni traslativi dell’imposta, ma solo
accertarli attraverso l’esercizio dei suoi poteri istruttori e tecnico-valutativi
al fine di riferirne all’organo di rappresentanza della collettività
nazionale.
Va, pertanto, ribadita la fondatezza della censura in esame, in
quanto la prescrizione con la quale si impone l’adozione di misure gestionali
preventive della traslazione dell’addizionale I.R.E.S. esorbita dai poteri
di vigilanza di cui l’Autorità è dotata nella materia de
qua.
Viceversa, non meritano condivisione le ulteriori censure articolate
con i motivi in esame.
In particolare, è priva di pregio l’affermazione secondo
la quale l’amministrazione avrebbe comunque ecceduto i poteri che le derivano
dalla legge 1995 n. 481.
L’art. 81 del d.l. 2008 n. 112 ha incrementato le competenze dell’Autorità,
conferendole la funzione di vigilare sul rispetto del divieto di traslazione
dell’addizionale I.R.E.S., in vista della successiva formulazione di una
relazione al Parlamento.
Affinché tale funzione di controllo non rimanga lettera morta
e in coerenza con la finalità di tutela dei consumatori cui tende
il divieto di traslazione dell’addizionale I.R.E.S., è del tutto
ragionevole ritenere che l’Autorità possa esercitare, anche ai fini
della funzione di vigilanza, i poteri istruttori e di indagine che le sono
conferiti dalla legge 1995 n. 481, la quale, del resto, ha portata generale,
giacché individua i poteri di cui l’Autorità dispone per
“lo svolgimento delle proprie funzioni” (così l’art. 2, comma 20,
della legge 1995 n. 481).
Ne deriva che, al di fuori dei casi in cui specifici poteri siano
correlati in via esclusiva a predeterminati ambiti di intervento dell’Autorità,
si deve ritenere, in coerenza con il quadro normativo di riferimento, che
l’Autorità medesima nell’esercizio delle sue funzioni, compresa
quella di vigilanza di cui si tratta, possa esercitare i poteri istruttori
e di indagine individuati dalla legge 1995 n. 481.
Ecco allora che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente,
le prescrizioni contenute nella delibera n. 109/2008 - ferma restando l’illegittimità
della richiesta di cui all’art. 2 della delibera secondo quanto già
precisato - non eccedono i poteri istruttori di cui l’A.E.E.G. dispone,
in quanto si sostanziano nella mera acquisizione di dati e documenti contabili,
da utilizzare ai fini della verifica dell’osservanza del divieto di traslazione.
Simili acquisizioni sono, infatti, coerenti con la previsione dell’art.
2, comma 20 lett. a), della legge 1995 n. 481, dove si prevede che l’Autorità
può richiedere informazioni e documenti.
Con altra censura le ricorrenti lamentano l’irragionevolezza della
delibera n. 109/2008 nella parte in cui è rivolta ad acquisire informazioni
sensibili, incidenti sulla riservatezza dell’organizzazione imprenditoriale.
La censura non merita condivisione.
Invero, l’amministrazione si è limitata a chiedere la trasmissione
dei bilanci e la compilazione di apposite tabelle predisposte concernenti
dati meramente contabili, come ricavi e rimanenze di prodotti finiti, articolati
per prodotti o famiglie di prodotti, nonché acquisti e rimanenze
di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci.
Si tratta di dati documentali, da un lato, oggettivamente non incidenti
sulle scelte gestionali delle singole imprese, in quanto la loro comunicazione
non implica l’adozione di specifiche misure organizzative influenti sulle
strategie industriali delle società, dall’altro, coerenti con il
potere di vigilanza dell’Autorità, che si estrinseca nella possibilità
di acquisire informazioni al fine di verificare l’osservanza del divieto
di traslazione della maggiorazione di imposta.
Insomma, con le prescrizioni contestate l’Autorità non si
è illegittimamente ingerita nelle scelte di gestione riservate alle
imprese, ma ha ragionevolmente esercitato i poteri di acquisizione di dati
e informazioni compresi nella funzione di vigilanza attribuitale dall’art.
81, comma 18, del d.l. 2008 n. 112.
Del resto, l’asserita riservatezza dei dati non configura una ragione
di illegittimità delle prescrizioni in esame, in quanto l’Autorità,
nell’esercizio delle funzioni istituzionali che le sono affidate, può
legittimamente procedere al trattamento di dati, secondo quanto previsto
dagli artt. 18 e seg. del d.l.vo 2003 n. 196; inoltre, i dati di cui si
tratta non sono oggettivamente riconducibili a quelli di natura sensibile
o giudiziaria per i quali anche il trattamento da parte dell’amministrazione,
in esercizio delle sue funzioni istituzionali, è sottoposto a garanzie
particolari.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censura in esame.
Parimenti non merita condivisione la censura secondo la quale l’A.E.E.G.
avrebbe introdotto un meccanismo presuntivo tale da invertire illegittimamente
l’onere della prova, ponendo a carico delle imprese interessate la dimostrazione
dell’osservanza del divieto di traslazione.
La contestazione investe le prescrizioni introdotte con gli artt.
4 e 5 della delibera n. 109/2008 nella parte in cui impongono la compilazione
delle tabelle di cui all’allegato A della delibera stessa, ovvero in alternativa
la trasmissione dei dati su prezzi e vendite già inviati al Ministero
dello Sviluppo Economico da parte delle società rientranti nel campione
statistico “prezzo Italia”, con la precisazione che in caso di variazione
positiva, rispettivamente, del margine di contribuzione semestrale desumibile
dai dati espressi nelle tabelle, ovvero, per le imprese del sistema “prezzo
Italia”, dello “stacco” del singolo operatore rispetto allo “stacco UE”
in relazione ai trimestri precedenti l’entrata in vigore del d.l. n. 112,
gli operatori economici interessati devono darne adeguata motivazione all’Autorità.
A detta della ricorrente tale meccanismo è illegittimo, in
quanto introduce una presunzione di violazione del divieto di traslazione
in caso di variazione positiva degli indicati differenziali, onerando gli
operatori economici della motivazione di simili scostamenti, così
ponendo a carico delle imprese la prova del rispetto del divieto di traslazione.
La prospettazione della ricorrente non merita condivisione.
Si è già evidenziato che la funzione di vigilanza
assegnata all’Autorità attiene all’osservanza da parte delle imprese
interessate del divieto di traslazione dell’addizionale I.R.E.S., ossia
ad un fenomeno estremamente complesso, la cui valutazione richiede l’analisi
di dati tecnici di natura economica.
Nell’individuare gli elementi da acquisire al fine di effettuare
tale valutazione l’A.E.E.G. ha ritenuto di concentrare la propria attenzione
sugli scostamenti dei margini di contribuzione, precisando (cfr. comunicato
dell’Autorità datato 30 gennaio 2009, presente in atti) sia che
il margine di contribuzione è dato dalla differenza tra la sommatoria
dei valori indicati in ciascuna tabella ricavi e la sommatoria dei valori
indicati in ciascuna tabella acquisti, sia che a fronte di variazioni positive
del margine gli operatori sono tenuti a fornire un’adeguata motivazione.
L’impiego di tali criteri appare del tutto ragionevole, in quanto
l’eventuale traslazione di imposta si traduce necessariamente in un incremento
delle voci di costo scaricate sul prezzo al consumo e, quindi, si presta
a provocare un incremento del margine di contribuzione, ma, d’altro canto,
non ogni incremento del margine di contribuzione è dovuto ad un
fenomeno traslativo, potendo dipendere dalla variazione di altri elementi
di costo, che si riflettono comunque sui prezzi al consumo.
Ecco allora che il criterio utilizzato integra un ragionevole parametro
di indagine, specie considerando che si tratta – secondo quanto emerge
dalla motivazione della delibera n. 109 – di un indicatore di primo livello,
diretto a consentire la concentrazione dell’analisi (da compiere nel quadro
di un secondo livello di indagine) solo su alcuni soggetti.
Del pari, è del tutto ragionevole prevedere che spetti agli
operatori fornire le motivazioni degli scostamenti del margine contributivo,
atteso che simili variazioni possono dipendere da molteplici fattori non
correlati necessariamente – come già evidenziato – alla traslazione
dell’addizionale I.R.E.S. , ma comunque compresi nel patrimonio conoscitivo
delle singole imprese.
La sintetica descrizione dei criteri posti dall’Autorità
a fondamento del primo livello di indagine, cui si correla un dovere motivazionale
da parte degli operatori, rende evidente che l’amministrazione non ha introdotto
alcun meccanismo presuntivo di traslazione, né ha posto a carico
delle imprese interessate l’onere di dimostrare di non avere trasferito
il maggior tributo sul prezzo al consumo.
Invero, l’eventuale variazione positiva del margine di contribuzione
– così come l’eventuale variazione positiva dello “stacco” del singolo
operatore rispetto allo “stacco UE”, per le società rientranti nel
campione statistico “prezzo Italia” – non integra nel sistema delineato
dalla delibera n. 109 una prova indiretta della traslazione di imposta,
ma costituisce un ragionevole criterio di selezione degli operatori da
sottoporre al secondo livello di analisi, al fine di verificare l’eventuale
traslazione del tributo.
Similmente, la motivazione richiesta agli operatori non afferisce
alla specifica dimostrazione di non avere traslato il tributo, ma si traduce
nella spiegazione delle ragioni sottese alla variazione del margine contributivo.
Insomma, sia gli elementi forniti con le tabelle, sia le spiegazioni
che gli operatori devono rendere in caso di variazione positiva del margine,
si sostanziano nella mera trasmissione di dati contabili, che l’Autorità
esamina al fine di selezionare i soggetti da sottoporre ad un secondo livello
di analisi, i cui caratteri allo stato non risultano ancora esplicitati.
Ne deriva che, per il profilo in esame, la delibera impugnata non
ha creato meccanismi presuntivi tesi a spostare sugli operatori la dimostrazione
dell’osservanza del divieto di traslazione, ma ha solo introdotto un articolato
criterio di analisi di primo livello, fondato su specifici dati contabili
e sulle delucidazioni che in ordine ad essi saranno fornite dalle imprese
interessate.
Pertanto, resta fermo che, in base al sistema delineato dalla delibera,
grava comunque sull’Autorità la dimostrazione, all’esito dei diversi
livelli di indagine, dell’eventuale violazione da parte di singoli operatori
del divieto di traslazione del tributo.
In definitiva, anche per il profilo in esame la delibera impugnata
è rimasta nei limiti della funzione puramente conoscitiva che la
legge ha attribuito all’A.E.E.G. in relazione al divieto di traslazione
dell’addizionale I.R.E.S. e non ha limitato o condizionato in alcun modo
la libertà delle imprese di settore, che – come già evidenziato
- sono tenute solo a comunicare all’A.E.E.G. le variazioni dei propri margini
contributivi e le cause che le hanno determinate.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della deduzione in esame.
Sotto altro profilo, la ricorrente si duole della brevità
del termine (15 marzo 2009) assegnato dall’Autorità agli operatori
al fine di trasmettere i dati richiesti con la delibera impugnata.
La censura è palesemente infondata.
A parte l’ovvio rilievo che, in mancanza di specifiche indicazioni
nella normativa di riferimento e nella stessa delibera impugnata, il termine
in questione non è perentorio, sicché ciascun operatore potrebbe
chiederne la proroga, va comunque osservato che la delibera in questione
è stata pubblicata sul sito internet dell’Autorità in data
15.12.2008 e sulla G.U. della Repubblica Italiana in data 04.02.2009, sicché,
per gli adempimenti in essa specificati è stato assegnato un termine
ben superiore a 30 giorni, che appare del tutto congruo e proporzionato
alla natura delle informazioni da trasmettere.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censura in esame.
5) Con il secondo dei motivi formulati nel ricorso per motivi aggiunti,
la ricorrente considera che l’addizionale di imposta introdotta dall’art.
81, comma 16, verrà corrisposta solo nel primo semestre del 2009,
pertanto risulta irragionevole l’esercizio da parte dell’Autorità,
mediante la delibera impugnata, dei poteri di vigilanza prima del pagamento
dell’imposta.
Il motivo è infondato.
Invero, la delibera impugnata – come più volte ricordato
– individua i criteri che sostanziano il primo livello dell’indagine da
compiere ai fini della vigilanza sul divieto di traslazione del tributo
introdotto dall’art. 81, comma 16, del d.l. 2008 n. 112, definendo una
serie di incombenze a carico delle imprese sottoposte al potere di vigilanza.
Del resto, la traslazione del tributo, come fenomeno economico-giuridico,
non è subordinata al versamento del tributo stesso all’Erario, in
quanto i meccanismi di determinazione del prezzo al consumo sono influenzati
non solo dagli esborsi di cassa effettuati dalle singole imprese, ma anche
dai costi preventivati, che con ragionevole certezza l’impresa dovrà
sostenere.
Pertanto, è del tutto ragionevole e coerente con l’esigenza
di assicurare l’effettività del potere di vigilanza che l’Autorità
si sia attivata prima della scadenza del termine di versamento del maggiore
tributo, in quanto tale termine è del tutto indifferente rispetto
al fenomeno traslativo sul quale l’A.E.E.G. è chiamata a vigilare
e, di conseguenza, non integra un limite temporale da osservare prima dell’esercizio
dei poteri istruttori e di indagine che connotano la funzione di vigilanza.
Ne deriva l’infondatezza della censura in esame.
6) Con il quinto motivo del ricorso per motivi aggiunti la ricorrente
deduce l’illegittimità derivata della delibera n. 109/2008 in conseguenza
della ritenuta illegittimità della delibera n. 91/2008.
Il motivo è palesemente infondato.
Invero, come già chiarito (cfr. punto sub 1.3 della motivazione)
le delibere in questione sono autonome l’una dall’altra, nel senso che
tra le due non è configurabile alcun vincolo di presupposizione.
In particolare, la delibera n. 109/2008 ha sostituito la delibera
n. 91/2008, formulando, a seguito di apposita consultazione, un criterio
di indagine di primo livello fondato sulle variazioni del margine di contribuzione
che ha preso il posto del criterio, già adottato dalla delibera
n. 91/2008, articolato sulle variazioni del margine operativo lordo unitario,
come del resto è coerentemente riconosciuto dall’Avvocatura Distrettuale
nella memoria depositata in data 30.04.2009.
In definitiva, la delibera n. 109/2008 non trova nella delibera
n. 91/2008 un proprio presupposto, anzi si discosta da essa introducendo
un diverso criterio di valutazione sul quale fondare l’attività
di vigilanza.
Ne deriva che la dedotta illegittimità derivata non è
configurabile nel caso in esame, in quanto le delibere cui si riferisce
la ricorrente non sono legate da un vincolo di presupposizione, con conseguente
infondatezza della censura in valutazione.
7) In definitiva, in relazione al ricorso principale va rilevato
il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla
domanda di accertamento della non applicabilità dell’addizionale
I.R.E.S., mentre va dichiarata improcedibile la domanda di annullamento
in esso formulata in relazione alla delibera n. 91/2008. Viceversa, il
ricorso per motivi aggiunti è solo in parte fondato e merita accoglimento
nei limiti di quanto esposto in motivazione.
La novità e la particolare complessità delle questioni
di fatto e di diritto sottese alla controversia esaminata consentono di
ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Milano,
sezione terza, definitivamente pronunciando:
- dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo
limitatamente alla domanda di accertamento di non applicabilità
dell’addizionale I.R.E.S. alla società ricorrente;
- dichiara il difetto di legittimazione passiva della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero per la Pubblica
Amministrazione e l’Innovazione che, per l’effetto, vengono estromessi
dal giudizio;
- dichiara improcedibile il ricorso principale;
- accoglie in parte il ricorso per motivi aggiunti e per l’effetto
annulla, nei limiti di quanto esposto in motivazione, la delibera dell’Autorità
per l’energia elettrica e il gas n. 109/08 datata 11 dicembre 2008;
- compensa tra le parti le spese della lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio dei giorni
07/05/2009 e 21/05/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Referendario
Fabrizio Fornataro, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/06/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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