Giurisprudenza - Varia |
il
cittadino potrà reiterare l’istanza di accesso e pretendere
riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno,
non
rappresentati nell’originaria istanza o anche a fronte di una diversa
prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè
della posizione
legittimante all’accesso; e, in tal caso, l’originario diniego, da
intendere
sempre rebus sic stantibus, ancorché non ritualmente
impugnato, non
spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale
e processuale. Ma
qualora non ricorrano tali elementi di novità e il cittadino si
limiti a reiterare l’originaria istanza precedentemente respinta o, al
più, a
illustrare ulteriormente le sue ragioni, l’amministrazione ben
potrà limitarsi
a ribadire la propria precedente determinazione negativa, non potendosi
immaginare, anche per ragioni di buon funzionamento dell’azione
amministrativa
in una cornice di reciproca correttezza dei rapporti tra privato e
amministrazione, che l’amministrazione sia tenuta indefinitamente a
prendere in
esame la medesima istanza che il privato intenda ripetutamente
sottoporle senza
addurre alcun elemento di novità. Ne
consegue che la determinazione successivamente assunta
dall’amministrazione, a meno che questa non proceda autonomamente a una
nuova
valutazione della situazione, assume carattere meramente confermativo
del
precedente diniego e non è perciò autonomamente
impugnabile. FATTO L’ing. Alberto Carabelli presentava al Consiglio dell’Ordine degli ingegneri di Roma un esposto nei confronti dei colleghi Cesare Crespi e Angelo Rossi, a seguito del quale l’Ordine avviava due distinti procedimenti disciplinari, conclusisi peraltro con il proscioglimento degli incolpati. Il Carabelli chiedeva allora l’accesso agli atti dei procedimenti, ma l’Ordine inviava all’istante solo una copia dello stralcio del verbale della seduta del Consiglio del 31 marzo 2003, recante il solo dispositivo. Seguivano varie istanze di accesso, riscontrate negativamente con note del 30 aprile (di ammissione all’accesso parziale) e del 3 giugno 2003 dall’Ordine; infine, questo, con nota del 3 settembre 2003, ribadiva il diniego di accesso. Avverso tale ultimo diniego, il Carabelli ha proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il quale, con sentenza 20 gennaio 2004 n. 468, lo ha respinto. Il Tribunale amministrativo, in particolare, ha ritenuto il ricorso tempestivo e ammissibile, in quanto, configurandosi il diritto di accesso come diritto soggettivo devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la mancata impugnazione di un precedente provvedimento di diniego non preclude la ritualità del successivo diniego alla reiterazione della medesima istanza. Il Tribunale amministrativo, peraltro, ha respinto l’impugnazione, sul rilievo che la qualità di autore dell’esposto, da cui trae origine la vicenda disciplinare nei confronti dei due controinteressati, è inidonea a radicare nell’istante la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che lo legittimi all’accesso. Avverso la sentenza hanno proposto appello sia il Carabelli, sia, con ricorso incidentale, gli originari controinteressati ingegneri Crespi e Rossi, i quali hanno riproposto l’eccezione di tardività e inammissibilità del ricorso di primo grado, disattesa dal Tribunale amministrativo. Si è altresì costituito l’Ordine degli ingegneri, che resiste all’appello del Carabelli e condivide l’appello incidentale proposto dai coppellati. La Sezione VI di questo Consiglio di Stato, con ordinanza 7 giugno 2005 n. 2954, dopo aver manifestato perplessità sull’orientamento del primo giudice in ordine alla carenza nell’originario ricorrente di una situazione legittimante all’accesso, ha rimesso l’affare a questa Adunanza plenaria, in relazione alla questione, riproposta con l’appello incidentale, della inammissibilità della impugnazione proposta, a fronte di più dinieghi all’accesso, solo nei confronti dell’ultimo diniego, in mancanza di tempestiva impugnazione degli analoghi dinieghi precedentemente opposti. Le parti hanno prodotto memorie. All’udienza del 14 novembre 2005, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Come più diffusamente esposto in narrativa, l’appellante Carabelli, autore di un esposto nei confronti di due colleghi ingegneri da cui è scaturito un procedimento disciplinare conclusosi con l’archiviazione, ha presentato istanze di accesso, di medesimo contenuto, volte a ottenere copia degli atti dei procedimenti disciplinari. Tali istanze, per quanto in particolare rileva nella presente sede, dopo l’ammissione parziale all’accesso del 30 aprile 2003, sono state rigettate prima con nota del 3 giugno 2003, non impugnata, poi, a seguito della reiterazione della domanda, con nota del 3 settembre 2003, oggetto del presente giudizio, con la quale l’Ordine ha ribadito il diniego già opposto. Il Tribunale amministrativo, nel rigettare il ricorso: a) ha preliminarmente disatteso l’eccezione di tardività, affermando che la mancata impugnazione del precedente diniego e il carattere confermativo del diniego di cui è causa non determinano l’inammissibilità del ricorso, attesa la consistenza di diritto soggettivo del diritto di accesso; b) ha negato la titolarità, in capo all’appellante, di una posizione giuridicamente legittimante all’accesso agli atti dei procedimenti disciplinari, per la qualità di autore dell’esposto, da cui hanno tratto origine i detti procedimenti. L’ordinanza con la quale la Sezione VI ha rimesso l’affare a questa Adunanza plenaria: a) manifesta perplessità sulla statuizione concernente il difetto di legittimazione dell’istante; b) pur propendendo per la configurabilità del diritto di accesso in termini di diritto soggettivo, ritiene che il provvedimento di diniego all’accesso debba essere impugnato nel termine decadenziale di trenta giorni, con la conseguenza che dalla mancata impugnazione discende l’inammissibilità dell’impugnazione di un successivo diniego, meramente confermativo del primo. Va precisato che alla controversia in esame si applica la disciplina contenuta nel testo originario della legge 7 agosto 1990, n. 241, anteriore alla novella introdotta prima con legge 11 febbraio 2005, n. 15 e poi con d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. Non si ritiene, ad ogni modo, che le conclusioni cui si perviene possano essere influenzate dalla novella legislativa, la quale, anzi, mutuando in parte precedenti acquisizioni giurisprudenziali, fornisce spunti argomentativi di rilevanza nella generale configurazione dell’istituto dell’accesso. 2. In primo luogo, l’Adunanza plenaria condivide l’assunto della Sezione remittente, secondo cui la qualità di autore di un esposto, che abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi, a radicare nell’autore la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241, legittima all’accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare che da quell’esposto ha tratto origine. Più in particolare, la legittimazione all’accesso in capo all’appellante discende, nel caso in esame, dalla qualità di autore dell’esposto che ha dato origine al procedimento disciplinare e dalla concomitante circostanza che lo stesso appellante ha dato corso, per i medesimi fatti denunciati nella sede disciplinare, a un giudizio civile. Nella delineata situazione, da un lato, è da ritenere inconferente, al fine di escludere la legittimazione all’accesso, il rilievo del primo giudice concernente la (invero pacifica) estraneità dell’autore dell’esposto al procedimento disciplinare e la sua conseguente qualità di terzo rispetto al medesimo; dall’altro, appare non pertinente il richiamo operato dagli appellati alla decisione della Sezione IV, 8 luglio 2003, n. 4049, che ha riscontrato, relativamente a fattispecie diversa, l’assenza dell’elemento della concretezza dell’interesse all’accesso. Deve quindi ritenersi, a differenza di quanto statuito dal primo giudice, che l’appellante, nella situazione descritta, sia titolare di una posizione legittimante all’accesso agli atti dei procedimenti disciplinari. 3. Con l’appello incidentale, gli appellati ripropongono l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario, conseguente alla mancata tempestiva impugnazione del precedente provvedimento di diniego e al carattere meramente confermativo del diniego impugnato nel presente giudizio. Per tale aspetto la Sezione VI ha rimesso l’affare a questa Adunanza plenaria, articolando la questione nei seguenti termini: a) il diritto di accesso sembra assumere, in particolare a seguito della novella legislativa introdotta dalle richiamate leggi nn. 15 e 80 del 2005, consistenza di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, come in passato ritenuto dall’Adunanza plenaria con decisione 24 giugno 1999 n. 16; b) la consistenza di diritto soggettivo non esclude la natura decadenziale del termine per l’impugnazione del diniego (esplicito o tacito) di accesso, con la conseguenza che dalla mancata impugnazione del diniego discende l’inammissibilità dell’impugnazione del diniego successivo, avente carattere meramente confermativo di quello precedentemente opposto e consolidatosi. 4. Sin dall’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 è stata dibattuta, in dottrina come in giurisprudenza, la natura giuridica del diritto di accesso. Questa Adunanza plenaria, con decisione 24 giugno 1999 n. 16, ha condiviso la tesi della configurabilità della posizione legittimante all’accesso in termini di interesse legittimo, sottolineando il collegamento della posizione del privato con l’interesse pubblico e facendo leva sulla struttura impugnatoria del giudizio. La questione nondimeno è rimasta aperta anche dopo l’intervento dell’Adunanza plenaria, rinvenendosi nella giurisprudenza di questo Consiglio, insieme a pronunce in linea con la decisione suddetta (V, 7 aprile 2004 n. 1969; V, 8 settembre 2003 n. 5034), decisioni che propendono ancora per la configurabilità dell’accesso in termini di diritto soggettivo (VI, 12 aprile 2005 n. 1679 e 27 maggio 2003 n. 2938). La tesi del diritto soggettivo fa leva essenzialmente sul carattere vincolato dei poteri rimessi all’amministrazione in sede di esame dell’istanza di accesso, poteri aventi ad oggetto la mera ricognizione della sussistenza dei presupposti di legge e l’assenza di elementi ostativi all’accesso. E si è, altresì, evidenziata la peculiarità dei poteri istruttori e decisori del giudice, i primi volti a valutare la sussistenza dei requisiti sostanziali che legittimano all’accesso (V, 11 maggio 2004 n. 2866), al di là delle ragioni addotte dall’amministrazione nell’atto, i secondi estesi all’imposizione all’amministrazione di un comportamento positivo consistente nell’adempimento dell’ordine giudiziale di esibizione dei documenti (art. 25, comma 6, della legge n. 241). La tesi del diritto soggettivo risulta corroborata – come sottolineato anche in dottrina – dall’inclusione del diritto di accesso nei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione (art. 22, co. 2, legge n. 241, come modificato dalla legge n. 15 del 2005) e dalla riconduzione del giudizio in tema di accesso alla giurisdizione esclusiva di questo giudice (art. 25, comma 5, della legge n. 241, come modificato dalla legge n. 80 del 2005). Non sembra peraltro, che nella specie, rivesta utilità ai fini dell’identificazione della disciplina applicabile al giudizio avverso le determinazioni concernenti l’accesso, procedere all’esatta qualificazione della natura della posizione soggettiva coinvolta. L’accesso è collegato a una riforma di fondo dell’amministrazione, informata ai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività amministrativa. Ed è evidente, in tale contesto, che si creino ambiti soggettivi normativamente riconosciuti di interessi giuridicamente rilevanti, anche in contrapposizione tra di loro: interesse all’accesso; interesse alla riservatezza di terzi; tutela del segreto. Trattasi, a ben vedere, di situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi). Il carattere essenzialmente strumentale di tali posizioni si riflette inevitabilmente sulla relativa azione, con la quale la tutela della posizione soggettiva è assicurata. In altre parole, la natura strumentale della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento caratterizza marcatamente la strumentalità dell’azione correlata e concentra l’attenzione del legislatore, e quindi dell’interprete, sul regime giuridico concretamente riferibile all’azione, al fine di assicurare, al tempo stesso, la tutela dell’interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati. Sotto tale punto di vista, il giudizio a struttura impugnatoria consente alla tutela giurisdizionale dell’accesso di assicurare la protezione dell’interesse giuridicamente rilevante e, al contempo, quell’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati che si è visto essere pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa. Nel delineato contesto, il disposto legislativo (art. 25, commi 5 e 4) – che, rispettivamente, fissa il termine di trenta giorni (evidentemente decorrente dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi e qualifica in termini di diniego il silenzio serbato sull’accesso – pone un termine all’esercizio dell’azione giudiziaria da ritenere necessariamente posto a pena di decadenza, a meno di non volerne sostenere l’assoluta irrilevanza pur a fronte del chiaro tenore della norma e della sua coerenza con la rilevata esigenza di certezza, che, anzi, ha indotto il legislatore a delineare un giudizio abbreviato che mal si concilierebbe con la proponibilità dell’azione nell’ordinario termine di prescrizione. Ma il carattere decadenziale del termine
reca in sé –
secondo ricevuti principi, come inevitabile corollario – che la
mancata
impugnazione del diniego nel termine non
consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente
impugnazione del
successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere
meramente
confermativo del primo. In altre parole, il
cittadino potrà reiterare l’istanza di accesso e pretendere
riscontro alla
stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non
rappresentati
nell’originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione
dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione
legittimante
all’accesso; e, in tal caso, l’originario diniego, da intendere sempre rebus
sic stantibus, ancorché non ritualmente impugnato, non
spiegherà alcun
rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale. Ma qualora non
ricorrano tali elementi di novità e il cittadino si limiti a
reiterare
l’originaria istanza precedentemente respinta o, al più, a
illustrare
ulteriormente le sue ragioni, l’amministrazione ben potrà
limitarsi a ribadire
la propria precedente determinazione negativa, non potendosi
immaginare, anche
per ragioni di buon funzionamento dell’azione amministrativa in una
cornice di
reciproca correttezza dei rapporti tra privato e amministrazione, che
l’amministrazione sia tenuta indefinitamente a prendere in esame la
medesima
istanza che il privato intenda ripetutamente sottoporle senza addurre
alcun
elemento di novità. Ne consegue che la
determinazione successivamente assunta dall’amministrazione, a meno che
questa
non proceda autonomamente a una nuova valutazione della situazione,
assume
carattere meramente confermativo del precedente diniego e non è
perciò
autonomamente impugnabile. 5. Facendo applicazione degli esposti principi al caso di specie, deve ritenersi che il ricorso originario dell’odierno appellato sia inammissibile, perché proposto avverso il solo diniego di cui alla nota del 17 marzo 2005, da reputare meramente confermativo di quello precedente. Ne consegue che l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile. Il carattere pregiudiziale della questione risolta rende improcedibile l’ulteriore esame dell’appello principale. La complessità della questione trattata e i contrasti giurisprudenziali in ordine alla stessa inducono l’Adunanza plenaria a compensare tra le parti le spese del doppio grado. P.Q.M. L’Adunanza plenaria delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato così statuisce: a) accoglie l’appello incidentale e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado; b) dichiara improcedibile l’appello principale; c) compensa tra le parti le spese del doppio grado. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in Adunanza plenaria nella camera di consiglio del 14 novembre 2005 con l'intervento dei signori Magistrati:
Consigliere Segretario
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