Giurisprudenza - Servizi pubblici |
Tar Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, sent. n. 444 del 17 ottobre 2000, sull'applicabilità della Direttiva Cee n. 93/36 alla fornitura del calore ad edifici comunali e conseguente illegittimità dell'affidamento diretto ad un'Azienda municipalizzata R E P U B B L I C A I T A L I A N A
Comune di Viano (RE), rappresentato e difeso dall’avv. Ermes Coffrini e domiciliato presso la Segreteria di questa Sezione; e nei confronti Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente e della controinteressata; Viste le memorie prodotte dalla ricorrente, dell’Amministrazione resistente e della controinteressata a sostegno delle rispettive difese; Vista la sentenza della Corte di Giustizia della C.E. in data 18/11/1999; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 10/10/2000, l’avv. Andrea Soncini, in sostituzione dell’avv. Francesco Soncini, per la ricorrente, e gli avv. Ermes Coffrini per il Comune di Viano e Giorgio Cugurra per l’AGAC; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: L’AGAC è un consorzio fra comuni per la gestione dei servizi energetici e ambientali, il cui Statuto, all’art.3, individua il suo scopo istituzionale nell’assunzione diretta e relativa gestione dei servizi pubblici ivi elencati, tra i quali: “- gas metano per usi civili e produttivi; - calore per usi civili e produttivi; - attività connesse ed accessorie a queste prime”. Il secondo comma prevede inoltre che “Il Consorzio potrà estendere la propria attività ad altri servizi connessi o accessori”. Avvalendosi di tale previsione, il Consiglio Comunale di Viano ha ritenuto di potere direttamente affidare all’AGAC, prescindendo da ogni procedura di acquisizione e comparazione di diverse offerte, la conduzione e manutenzione degli impianti e la fornitura di combustibili per il riscaldamento. Secondo la ricorrente la scelta violerebbe l’art. 56 ultimo comma della legge 18 giugno 1990 n.142, per il quale il Comune deve attenersi “alle procedure previste dalla normativa della Comunità Economica europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento giuridico italiano” per addivenire alla scelta del contraente. Si tratterebbe, nella fattispecie, della Direttiva 92/50 o della Direttiva 93/50, a seconda della qualificazione, in termini di servizio o di fornitura, dell’attività affidata al Consorzio. La previsione dell’art.3 dello Statuto, come anche quella dell’art.22 della citata legge n.142/90, comma 1, per il quale i comuni “provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni e le attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, non sono riferibili, secondo la ricorrente, al caso di specie. La tesi era stata condivisa da questo Collegio con la sentenza n.317/95, secondo la quale “può considerarsi servizio pubblico soltanto quello relativo all’impianto generale di produzione del calore e alla rete di distribuzione agli utenti, laddove la potenziale generalità della destinazione ne garantisce il carattere di pubblicità. Non invece la gestione e manutenzione dei singoli impianti delle diverse utenze, essendo a tal fine irrilevante del tutto la qualità pubblica del soggetto (e/o dell’edificio e della sua destinazione) consumatore”. La sentenza, resa in un caso del tutto analogo (e la cui efficacia è stata interinalmente sospesa dal Consiglio di Stato, Sezione V, con ordinanza 26 aprile 1996, n.856) escludeva anche la ricorrenza delle ipotesi di connessione ed accessorietà al servizio pubblico, perché esse presuppongono “un collegamento strumentale con l’attività di produzione e distribuzione del calore per usi civili e produttivi (es. costruzione della centrale di produzione e costruzione della rete distributiva), del tutto assente nella fattispecie”. Per la subordinata ipotesi che l’appalto fosse ritenuto di valore inferiore alla soglia di applicazione della normativa comunitaria (200.000 ECU), la ricorrente deduceva il difetto di motivazione della scelta di derogare al principio di gara, tanto più grave se si considera che il Comune di Viano aveva inizialmente richiesto l’offerta anche alla Teckal, precedente affidataria, abbandonando poi inspiegabilmente la scelta della gara. Secondo le Amministrazioni resistenti AGAC e Comune di Viano, la nozione di servizio pubblico, di cui alla prospettazione, è troppo riduttiva, escludendo quelle prestazioni che, pur non essendo rivolte in modo indifferenziato alla generalità dei cittadini, sono strumentali rispetto ad esse, in quanto riguardano immobili adibiti all’uso pubblico generalizzato, e quindi corrispondono a bisogni generali della collettività, come ad esempio, secondo il Consiglio di Stato (Sez.V, 16 settembre 1994 n.996) e la Corte di Cassazione (S.U. 4 luglio 1989 n.3203), il servizio di illuminazione votiva all’interno del cimitero comunale, che i resistenti paragonano alla gestione degli impianti di riscaldamento degli edifici comunali. Si tratterebbe comunque di “produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, secondo il citato art.22 della legge n.142/90, che definisce in questi termini i servizi pubblici alla cui gestione i Comuni provvedono in economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, istituzione o società per azioni partecipata, come recita il terzo comma. Quando lo facciano a mezzo della propria azienda municipalizzata, non si porrebbe, secondo tale tesi, alcuna esigenza di seguire procedure concorsuali, operando l’esclusione sancita dall’art.6 della Direttiva CEE n.92/50 per l’ipotesi di affidamento a favore di un Ente che sia esso stesso un’Amministrazione , in base ad un diritto esclusivo di cui benefici in virtù di disposizioni legislative, regolamentari od amministrative (nella fattispecie l’art.3 dello Statuto dell’AGAC e gli art. 22/25 della legge n.142/90) In altre parole, mentre prima i servizi municipalizzati erano individuati in positivo, secondo l’art.22 della legge 8 gennaio 1990 n.142 rientrerebbero nel novero dei servizi pubblici tutte le attività e i servizi forniti dagli enti locali territoriali, con la sola esclusione di quelli rientranti tra le funzioni autoritative dei comuni e delle province. Poiché i fabbricati interessati (a parte la sede municipale) sono edifici scolastici o sportivi (oltre a un ambulatorio medico), che non possono essere utilizzati per il loro uso pubblico senza essere riscaldati, la gestione calore rientra nella stessa finalità propria, ad esempio, del servizio scolastico, il quale comprende tutte le attività necessarie a rendere agibili i locali ad esso destinati. Tra le modalità di gestione dei servizi pubblici locali, l’art.25 della legge 8 giugno 1990 n.142 prevede espressamente la gestione associata a mezzo di aziende consortili: nell’istituire l’AGAC, i Comuni consorziati hanno inteso affidarle, oltre ai tradizionali servizi in rete (gestione e distribuzione del gas e dell’acqua), anche l’assunzione diretta e relativa gestione (art.3 dello Statuto) del “calore per usi civili e produttivi”, precisando che “i suddetti servizi e attività formano oggetto del consorzio nel loro ciclo completo, dalla costruzione degli impianti alla gestione ed esercizio degli stessi”, e che “il consorzio potrà estendere la propria attività ad altri servizi connessi o accessori”. Le finalità consortili comprenderebbero dunque, oltre alla distribuzione del gas metano, la attività successiva, cioè la gestione degli impianti alimentari del gas metano, e tutte le attività necessarie al mantenimento di un dato grado di temperatura negli edifici di proprietà comunale comunque alimentati (“calore per usi civili”, che secondo la ricorrente è invece soltanto la produzione e distribuzione del calore mediante teleriscaldamento). I resistenti contestavano altresì il raggiungimento della soglia minima di valore (200.000 ECU) necessaria per la applicabilità delle invocate direttive comunitarie. Con successiva memoria i resistenti assumevano che l’Azienda speciale, anche consortile, è lo strumento mediante il quale il Comune svolge attività economiche che non è in grado di espletare con la propria struttura e che non reputa di affidare a soggetti esterni; la pozione degli aspiranti terzi verrebbe quindi in considerazione solo successivamente, ove il Comune abbia deciso di non provvedere direttamente, né tramite la propria azienda. Questa argomentazione tende a negare la natura contrattuale del rapporto tra affidante e affidatario, e quindi l’applicabilità della normativa comunitaria che sancisce l’obbligo della gara, in considerazione della natura strumentale dell’Azienda rispetto al Comune. La tesi nega cioè la terzietà dell’Azienda, che farebbe invece parte della complessa organizzazione del Comune, costituendone un organo, nonostante la dotazione di personalità giuridica ex art.23 della legge 8 giugno 1990 n.142. Viene invocata la dottrina secondo la quale non esiste una assoluta incompatibilità logica e giuridica. Attesa la natura consortile, si tratterebbe di organo di più amministrazioni. Mancherebbe quindi il presupposto indefettibile per l’applicazione della normativa comunitaria e interna sugli appalti di pubblici servizi, cioè l’affidamento a terzi, trattandosi invece di una particolare modalità di gestione diretta. Nel senso della sostanziale ascrivibilità della fattispecie all’ipotesi della gestione diretta deporrebbero: a) l’art.4 del D.P.R. n.902/86, che consente l’accorpamento della gestione in economia in un’azienda già esistente; b) l’art.17 della legge n. 109/94, che prevede la possibilità che i Comuni costituiscano uffici consorziali di progettazione e di direzione lavori; c) la legge n.437/95, che prevede la costituzione dei cd. “consorzi di funzione”; d) la legge n.36/94, che impone la gestione unitaria del ciclo completo delle acque mediante un unico ente. Da tale prospettazione discende altresì la mancanza di qualsiasi onere di motivazione sull’omissione di ogni comparazione di diverse offerte. Replicava la ricorrente che, se è vero che ai sensi dell’art.25 della legge 8 giugno 1990 n.142 i Comuni si spogliano, mediante il patto consortile, di propri servizi pubblici per affidarli definitivamente al nuovo soggetto strumentale, l’obbligatorietà del ricorso alla gara per il loro affidamento viene meno entro i rigorosi limiti dei compiti statutari, che nella fattispecie comprendono soltanto l’esercizio del servizio pubblico di rete (cioè produzione e distribuzione del gas metano e del teleriscaldamento; la gestione degli impianti di riscaldamento di edifici, ancorché adibiti a destinazione pubblica, non è ricompresa in tale oggetto, neppure come attività accessoria e connessa. Nello stesso modo, è servizio pubblico la distribuzione dell’energia elettrica da parte dell’apposita azienda municipalizzata, mentre non lo è la manutenzione dell’impianto elettrico interno di un fabbricato, da parte dell’appaltatore elettricista (che arriva a ricomprendere minime operazioni quali la sostituzione delle lampadine). Un esempio di servizio accessorio a quello pubblico sarebbe la manutenzione ordinaria della rete di distribuzione, oppure i lavori per la collocazione dei cavi elettrici o della rete del gas metano. In altre parole, anche se si configura l’affidamento all’AGAC quale modalità di gestione diretta attraverso un proprio organo strumentale, deve escludersi la legittimità dell’operazione, perché l’attività affidata, non potendosi qualificare servizio pubblico, non rientra tra i compiti consortili ex art.3 dello Statuto ed art. 25 della legge 1472/90. Pertanto il servizio calore non può essere soggetto ad affidamento diretto, né l’AGAC vanta un diritto esclusivo al suo esercizio in virtù di disposizioni legislative, regolamentari od amministrative, come richiederebbe l’art. 6 della Direttiva 92/50 perché possa prescindersi dall’obbligo di gara. Diversamente, se l’attività in oggetto fosse compresa tra le funzioni del Consorzio, sarebbero inutili la delibera di affidamento e la pattuizione di un prezzo, atteso che le Aziende speciali o consortili erogano i servizi pubblici “ope statutus” e in base a tariffe predeterminate. Il Comune eccepiva che, essendo l’AGAC un Consorzio a pluralità di scopi, formato da 45 Comuni, i quali gli hanno assegnato lo svolgimento di vari servizi, con possibilità di conferire l’uno ma non l’altro, ogni affidamento richiede comunque una specifica convenzione che ne regoli modalità e costi. La pattuizione di un prezzo è necessaria a causa della specificità del servizio “de quo”, non riducibile ad unità di costo, come sarebbe invece per l’erogazione del gas metano o dell’acqua potabile. Il Comune ribadiva inoltre la astratta applicabilità al caso di specie dell’art. 6 della Direttiva CEE n.92/50, ma anche, in concreto, il mancato raggiungimento della soglia minima per l’applicazione della Direttiva medesima, atteso che l’affidamento è avvenuto per il corrispettivo di L. 122 (centoventidue) milioni per il periodo dal 1 giugno 1997 al 31 maggio 1998; per contro l’impegno, di cui all’art.2 della deliberazione impugnata, “a proseguire nel servizio per un periodo di altri tre anni, se richiesto dall’Ente, previo aggiornamento delle condizioni contenute nel presente atto”, esclude la possibilità di un rinnovo tacito e automatico, e prevede invece la possibilità di un nuovo e diverso affidamento, con conseguente nuova convenzione. Precisava la ricorrente che la prosecuzione del servizio a semplice richiesta del Comune è prevista dal citato art. 2 anche oltre il triennio, e per un numero, indeterminato di periodi successivi. Pertanto l’appalto va considerato di durata indeterminata ed il valore mensile moltiplicato per quarantotto in base all’art. 5 paragrafo 2 della Direttiva CEE n.93/36, che la Teckal ritiene applicabile, attesa la prevalenza del costo stimato della fornitura rispetto a quello del servizio. Il risultato ottenuto è di oltre L. 487.970.000, ampiamente al di sopra della soglia comunitaria. In subordine, se si considera che l’art. 2 della convenzione configura un patto di opzione, deve moltiplicarsi l’importo annuo (centoventidue milioni) per i quattro anni complessivi, ai sensi dell’art. 5 paragrafo 5 della Direttiva n. 93/36. Il risultato è ancora superiore alla soglia comunitaria. Inoltre la Direttiva n. 93/36 non contiene alcuna disposizione analoga all’art. 6 della Direttiva n. 92/50, e non ammette, quindi, che leggi, regolamenti o atti amministrativi possano derogare al principio di gara, come è consentito soltanto per i servizi, in considerazione della esistenza di settori tradizionalmente riservati alle pubbliche amministrazioni. Ove invece l’attività affidata all’AGAC dovesse qualificarsi come servizio, anziché come fornitura, la ricorrente faceva presente che non può intendersi come servizio pubblico tutto ciò che direttamente o indirettamente persegue il fine del benessere della collettività locale: in questa vasta eccezione, prospettata dai resistenti, rientrerebbero infatti tutte le attività comunali, dal momento che i Comuni perseguono, per definizione, solo finalità di interesse collettivo. L’elemento dirimente, a parere della ricorrente, non può che essere la natura del fruitore del servizio: si tratterà quindi di servizio pubblico solo se fruitore ne è la collettività, e non l’Amministrazione, nel qual caso si rientra nella disciplina dell’appalto dei servizi. La fornitura e i servizi calore sono sempre stati svolti da imprese private in concorrenza tra loro. Trattasi di attività di carattere commerciale ai sensi dell’art. 2195 del codice civile e dell’art. 60 del trattato U.E.. L’interpretazione estensiva dell’art. 3 dello Statuto consortile, in particolare, e dell’art. 25 della legge 8 giugno 1990 n.142 in generale, nel senso di consentire l’affidamento diretto di tali attività ai consorzi tra Comuni, senza appaltare il servizio in libera concorrenza ai sensi della Direttiva 92/50, contrasterebbe con: - l’art. 62 del Trattato U.E., in virtù del quale gli Stati membri, dall’entrata in vigore del Trattato, non introducono nuove restrizioni alla libertà effettivamente raggiunta per quanto riguarda la prestazione dei servizi; - l’art. 90 del Trattato U.E., per il quale gli Stati membri non emanano nei confronti delle imprese pubbliche alcuna misura contraria alle norme del Trattato. Se l’impresa pubblica che gestisce i servizi di rete a favore della cittadinanza, come nel caso dei consorzi comunali, venisse pure ritenuta titolare, in via esclusiva, della gestione degli impianti di riscaldamento degli edifici comunali, si verificherebbe un abuso di posizione dominante, per l’estensione del regime esclusivo ad una attività commerciale contigua. Pertanto, le disposizioni citate (artt. 3 dello Statuto AGAC e 25 della legge 8 giugno n. 142), ove interpretate nel senso voluto dai resistenti: a) non integrerebbero comunque la fattispecie di cui all’art. 6 della Direttiva 92/50, attesa la loro incompatibilità con il Trattato; b) per la stessa ragione, dovrebbero essere disapplicate. Con una brevissima nota depositata in udienza, la ricorrente aggiungeva che: - lo Statuto AGAC non avrebbe la portata normativa e il carattere di generalità ed astrattezza idonei ad integrare il concetto di disposizione amministrativa secondo l’art. 6 della Direttiva n. 92/50; - la necessaria compatibilità con l’art. 62 del Trattato U.E. imporrebbe di ritenere ammessa la deroga, ex art.6 della Direttiva n. 92/50, solo per i diritti esclusivi preesistenti, per retaggio storico dello Stato al Trattato stesso. Il Collegio rimetteva con ordinanza alla Corte di giustizia della C.E. la questione dell’interpretazione dell’art. 6 della Direttiva sui servizi n. 92/50, così motivando: “Preliminarmente il Collegio ritiene di dovere determinare se il valore della gestione del servizio calore degli impianti installati presso gli edifici comunali, affidato all’AGAC di Reggio Emilia con la deliberazione 24 maggio 1997 n.18 del Consiglio comunale di Viano (atto impugnato), raggiunga o meno il limite di 200.000 ECU, stabilito dagli artt. 7 della Direttiva n. 92/50 e 5 della Direttiva n. 93/36, per la applicazione delle relative disposizioni comunitarie, sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi o di forniture. Al quesito non può che darsi risposta affermativa, se si considera che, secondo l’art. 2 della deliberazione impugnata, “alla scadenza della gestione (n.d.r.: annuale) l’AGAC si impegna a proseguire nel servizio per un periodo di altri tre anni, se richiesto dall’ENTE, previo aggiornamento delle condizioni contenute nel presente atto. Analogamente per i successivi periodi, fermo restando che la richiesta dovrà essere comunicata all’AGAC con almeno tre mesi di preavviso”. La deliberazione, a prescindere dall’aggiornamento delle condizioni, consente dunque sin da ora la sottrazione dell’affidamento alla procedura concorsuale per un tempo indeterminato: il valore, ai fini della applicazione o meno del principio di gara, non può pertanto essere individuato nel corrispettivo (122 milioni) previsto per il primo anno di gestione, ma deve essere calcolato secondo la disposizione relativa agli appalti di servizi di durata indeterminata (art. 7 comma 5 della Direttiva n. 92/50), che stabilisce in 48 (quarantotto) il moltiplicatore del valore mensile, e comporta quindi il superamento della soglia minima. Ove invece si trattasse di prevalente fornitura, il previsto aggiornamento delle condizioni si risolverebbe in diritto dell’Azienda all’adeguamento del corrispettivo al prezzo di mercato del combustibile da somministrare, operazione che per la sua automaticità non escluderebbe la configurabilità di un vero e proprio diritto di opzione del Comune. Si applicherebbe quindi l’art. 5 comma 5 della Direttiva n. 93/36: “quando un previsto appalto di fornitura prevede espressamente delle opzioni, deve essere preso come base…..l’importo totale massimo autorizzato dell’acquisto….., compreso il ricorso alle opzioni”. Ne consegue anche in questo caso il superamento del limite dei 200.000 ECU. La ricorrente ha prospettato la prevalenza, nell’ambito della gestione affidata all’AGAC, del valore della fornitura di combustibile rispetto a quello della conduzione e manutenzione egli impianti (86 milioni contro 36, secondo la stima di cui a pag.9 dell’atto impugnato), per sostenere la applicabilità della Direttiva n. 93/36 sulla aggiudicazione delle forniture, e conseguentemente escludere la possibilità di giustificare la deroga al principio di gara in base all’art. 6 della Direttiva n. 92/50, relativa invece alla aggiudicazione dei servizi. Tuttavia la natura mista della gestione affidata all’AGAC, e la stretta e reciproca complementarità tra attività di conduzione e manutenzione, riconducibili alla nozione di servizio, e fornitura di combustibile, non consente di ritenere la natura accessoria dell’una rispetto all’altra, e di escludere la rilevanza dell’art. 6 della Direttiva n. 92/50 e della sua esatta interpretazione, che il Collegio ritiene pertanto di rimettere alla Corte di Giustizia delle Comunità europee. Oggetto della deliberazione impugnata è l’affidamento della gestione degli impianti di riscaldamento di alcuni edifici, condotti dal Comune di Viano, ed elencati nell’allegato A della deliberazione medesima: Municipio, Scuola elementare, Scuola media, Palestra, Asilo e Scuola materna, Scuola elementare S. Giovanni, Scuola elementare Regnano, Scuola media Regnano, Palestra regnano, Ambulatori Regnano, Ex Scuola Faggiano. I primi quattro impianti sono alimentati a metano, gli altri a gasolio o GPL, come risulta dall’allegato A. In particolare, l’art.1 della deliberazione (pag. 1 della stessa), sotto il titolo “Oggetto della gestione”, elenca quanto segue: “a) La conduzione e la manutenzione ordinaria degli impianti termici degli edifici compresi nell’allegato (A). Per manutenzione ordinaria dell’impianto termico si intendono le operazioni specificatamente previste nei libretti d’uso e manutenzione degli apparecchi e componenti che possono essere effettuate in luogo con strumenti e attrezzature di corredo agli apparecchi e componenti stessi e che comportino l’impiego di attrezzature e di materiali di consumo di uso corrente e/o sostituzione di apparecchiature, parti o pezzi di ricambio di valore unitario all’acquisto fino a Lit. 500.000 (I.V.A. compresa) specificando che la sostituzione di più parti di una stessa apparecchiatura viene valutata come intervento unitario con il limite sopraddetto. Fanno parte della manutenzione ordinaria anche gli interventi finalizzati a fronte ad eventi accidentali che comportino la necessità di primi interventi, che comunque non modifichino la struttura essenziale dell’impianto e che rientrino nei limiti economici di cui sopra. AGAC si riserva la facoltà, qualora lo ritenesse opportuno e per esigenze di servizio, di affidare a terzi la conduzione e la manutenzione ordinaria degli impianti termici, previo parere favorevole dell’Ente. b) La fornitura di combustibile/calore necessari al funzionamento degli impianti termici di riscaldamento ambiente e produzione centralizzata di acqua calda per uso igienico-sanitario degli edifici comunali specificati nell’allegato (A), che forma parte integrante del presente atto. c) L’esecuzione di interventi migliorativi sugli impianti di riscaldamento installati presso detti edifici atti ad ottimizzare l’utilizzazione ed il controllo di funzionamento degli impianti stessi nei limiti precisati dall’art. 8”. L’art. 5, sotto il titolo “Prestazioni, fornitura e responsabilità a carico dell’AGAC per la gestione degli impianti termici “, recita: “L’AGAC si impegna a fornire le seguenti prestazioni: a) attivazione e disattivazione degli impianti termici all’inizio e alla fine della stagione termica secondo le leggi in vigore; b) fornitura delle fonti primarie di alimentazione delle centrali termiche secondo la specifica tipologia. Dette fonti primarie potranno essere: - metano - acqua surriscaldata; - gasolio; c) gestione, controllo e prove, manutenzione ordinaria della centrale termica comprendente le seguenti funzioni o componenti: - regolazione e messa a punto dei bruciatori; - apparecchiature di termoregolazione; - apparecchiature di trattamento dell’acqua igienico-sanitaria; - elettropompe, saracinesche e vasi di espansione; - componenti elettrici a servizio della centrale termica; - pulizia del circuito fumi della caldaia e dei condotti di evacuazione dei fumi e dei camini; - pulizia di scambiatori e/o caldaia; - tenuta ed aggiornamento dei libretti di centrale; d) gestione, controlli e prove, manutenzione ordinaria dell’impianto di distribuzione del calore e dell’acqua igienico-sanitaria come definito dall’art.3 comprendenti le seguenti funzioni e componenti: - regolazione impianti di riscaldamento interni; - sfiato dell’aria presente nell’intero impianto di distribuzione calore; - riparazione dei corpi scaldanti e primo intervento per eliminazioni di fughe di acqua dalle tubazioni che distribuiscono il fluido termovettore; e) gli interventi di manutenzione straordinaria, intendendo tutti quegli interventi atti a ricondurre il funzionamento dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalla normativa vigente mediante il ricorso in tutto o in parte a mezzi e attrezzature, strumentazioni, riparazioni, ricambi di parti, ripristini, revisioni o sostituzioni di apparecchi o componenti dell’impianto termico; f) la progettazione delle centrali termiche da riqualificare in conformità alle leggi e norme vigenti ed esecuzione dei lavori conseguenti”. Occorre dunque stabilire se la fattispecie di cui all’art.6 della Direttiva n. 92/50 sia o meno integrata dall’avvenuto affidamento diretto all’AGAC della gestione sopra descritta (data per ammessa la sua qualificazione quale servizio). Le disposizioni nazionali che, per ipotesi, attribuirebbero all’AGAC un diritto esclusivo allo svolgimento del servizio in parola sono gli artt. 22 e 25 della legge 8 giugno 1990 n.142 e l’art. 3 dello Statuto consortile, che si allegano in copia alla presente decisione, unitamente alla sentenza n. 317/95 pronunciata da questo Collegio in fattispecie analoga. Occorre altresì stabilire se tali norme nazionali, in ipotesi attributive all’AGAC di un diritto esclusivo allo svolgimento del servizio considerato, siano o meno compatibili con le disposizioni del Trattato U.E., e quindi, in ultima analisi, effettivamente integrino o meno, la previsione di cui all’art. 6 della Direttiva n. 92/50. Tale compatibilità è infatti imprescindibile elemento costitutivo della fattispecie esimente di cui all’art. 6 citato, che si richiama alle disposizioni del Trattato. Ai sensi dell’art. 177 del Trattato U.E., il Collegio ritiene quindi di rinviare alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee la individuata questione interpretativa dell’art.6 della Direttiva 92/50, attesa la sua pregiudizialità rispetto al giudizio in corso, che deve, nel frattempo, essere sospeso. Non sposta i termini della questione la prospettazione, da parte resistente, dell’affidamento all’AGAC quale modalità di gestione diretta attraverso un organo strumentale del Comune; tale modalità sarebbe infatti consentita dalle medesime disposizioni (art.25 della legge n.142/90 e art. 3 dello Statuto consortile) di cui occorre chiarire la idoneità ad integrare l’ipotesi ex art. 6 della Direttiva 92/50, sotto il profilo della compatibilità con il Trattato U.E.”. La Corte emanava la sentenza del 18/11/99, con la quale sostanzialmente affermava: 1) che, essendo rispetto al corrispettivo totale annuo dell’appalto il valore della fornitura di L. 86 milioni e il costo della conduzione e della manutenzione di L. 36 milioni dall’art. 2 della Direttiva 92/50 (che stabiliva il suo campo d’applicazione agli appalti misti allorché il valore dei servizi superasse quello dei prodotti previsti dal contratto) derivava, “a contrario”, che l’appalto controverso rientrava nell’ambito d’applicazione della Direttiva 93/36; 2) che per fornire un’interpretazione del diritto comunitario utile per la causa occorreva quindi interpretare le disposizioni di quest’ultima Direttiva; 3) che qualora fosse stabilito che l’importo stimato dall’appalto fosse pari o superiore a 200.000 E.C.U., che si trattasse di un contratto a titolo oneroso fra due soggetti (non importando se il fornitore fosse un’amministrazione giudicatrice, non essendovi in materia di appalto di forniture un’esclusione analoga a quella dell’art. 6 della Direttiva 92/50), e, a quest’ultimo riguardo, precisamente che si trattasse di soggetti distinti sul piano formale e non già di “ente locale che eserciti sul soggetto forniture un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi” e che il fornitore non realizzasse “la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti che la controllano” e cioè che si trattasse di enti distinti sul piano formale e autonomi sul piano decisionale, non poteva escludersi l’applicabilità della Direttiva 93/36. Il processo veniva riassunto dalla difesa della ricorrente e le parti presentavano memorie in vista della nuova udienza di discussione. La tesi, quantunque suggestiva, potrebbe forse esser ritenuta fondata soltanto se riferita al pubblico servizio (ed è appunto con riferimento a quest’ultimo che essa è stata prospettata) gestito direttamente, approvato dall’Ente locale o da un’Azienda consortile, secondo la normativa richiamata dalla difesa della resistente (art. 25 della legge n. 142/90, art.3 dello statuto dell’AGAC, art. 4 del D.P.R. n.902/86, art.17 della legge n. 109/94, la legge n. 437/95, la legge n. 36/94, ecc.). In materia di fornitura di beni, invece, come rilevato dalla sentenza della Corte di giustizia della C.E., le Amministrazioni, a norma del diritto comunitario (e, a ben vedere, anche a norma del diritto interno), non godono generalmente di alcun privilegio o privativa o diritto esclusivo analoghi a quelli loro riservati dall’art. 6 della Direttiva 92/50, per cui, qualora ritengano di dover approvvigionarsi, per i loro bisogni, di beni ovvero di fornire beni ad altri Enti devono, in linea di massima, concorrere sul mercato al pari degli altri soggetti o riservare ai diversi soggetti legittimati a partecipare alle gare pubbliche parità di trattamento, applicando, al riguardo, le norme interne sul procedimento di formazione del contratto ad evidenza pubblica ovvero, se ne ricorrano gli estremi, quelli della disciplina comunitaria. Orbene, essendo l’appalto in questione, come esattamente rilevato dalla sentenza della Corte, più propriamente riconducibile – per il criterio della prevalenza – a quello di fornitura (e, in effetti, i servizi, per il loro valore economico nettamente più limitato, hanno carattere accessorio rispetto all’approvvigionamento di beni), e trattandosi di fornitura di beni ai quali nessuna disposizione ricollega a Enti pubblici diritti speciali di privativa (essendo indubbio che i combustibili possano essere forniti da qualunque operatore economico legittimato a tale commercio, e reperiti sul mercato in regime di concorrenza), è chiaro che l’AGAC, nella fattispecie per cui è causa, doveva essere considerata come un normale operatore economico che agisce in regime di concorrenza. Per sgombrare il campo da una speciosa eccezione formulata dalla resistente basterà semplicemente notare che, come palesemente risulta dall’”oggetto della gestione”, che costituisce la parte centrale della contestata convenzione fra Enti, non è già la fornitura di gas metano (rispetto al quale l’AGAC potrebbe forse vantare un diritto di esclusiva) ad essere ricompresa fra le prestazioni da fornirsi: infatti, tali prestazioni consistono semplicemente nella fornitura, mediante gestione centralizzata, del calore agli edifici con diversi mezzi (metano, gasolio, ecc) anche in via fra di loro altermativa. Inoltre (a parte la questione che anche se si trattasse di appalto non soggetto, per limiti di valore, alla normativa comunitaria, non per questo le norme interne avrebbero potuto consentire una convenzione esclusiva fra Enti, esistendo pur sempre un obbligo di concludere il contratto mediante un’adeguata scelta concorrenziale del contraente), l’ordinanza di rimessione ha bene osservato che il valore del corrispettivo previsto per il primo anno di gestione (122 milioni) dev’essere moltiplicato, secondo le disposizioni relative agli appalti di durata indeterminata di cui all’art. 5, 5° c., della Direttiva n. 93/36, almeno per tre anni (che costituisce, a mente dell’art. 2 della deliberazione impugnata, un secondo periodo per il quale l’AGAC deve proseguire il servizio se richiesto dall’Ente previo aggiornamento automatico delle condizioni, trattandosi quindi nella specie di vero e proprio diritto di opzione del Comune contemplato dalla menzionata disposizione della Direttiva n. 93/36). Ne consegue quindi il superamento del limite dei 200.000 ECU. Ricorrono quindi nel caso di specie tutte le condizioni (valore del contratto, incontro delle volontà fra le parti, minima entità rispetto al giro di affari dell’AGAC, scelta operante in un ambito ben più ampio perfino rispetto alla Provincia di Reggio Emilia, come efficacemente esposto dalla ricorrente con l’ultima memoria difensiva, nella quale, fra l’altro, si accenna alla possibilità di controversie fra l’AGAC e i Comuni consorziati in base all’art. 35 dello statuto) perché il rapporto di cui trattasi, anche secondo le indicazioni della sentenza della Corte, debba ritenersi soggetto alla Direttiva n. 93/36. Il primo e assorbente motivo del ricorso è quindi fondato dovendosi respingere tutte le difese e le eccezioni anche da ultimo e pervicacemente presentate dalle resistenti, fra le quali particolarmente pretestuosa è quella sollevata dall’AGAC nelle ultime difese di cui si prospetta addirittura un difetto di legittimazione della TECKAL rispetto alla gestione dell’oggetto della gara, quando è pacifico che un identico contratto abbia legato la ricorrente e il Comune dal 1991 al 1996. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto e l’impugnato atto di affidamento dev’essere annullato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Condanna il Comune di Viano e l’AGAC in solido a rifondere alla ricorrente le spese del giudizio (comprese le fasi davanti al Consiglio di Stato ed alla Corte di giustizia della C.E.) che liquida in L. 57.453.500, come da nota spese qui depositata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Parma, il giorno 10 ottobre 2000. . Presidente Rel.Est. Depositata in Segretaria ai sensi dell’art.55 L. 18/4/82, n.186. Parma, lì 17.10.2000 |
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