Giurisprudenza - Servizi pubblici
 
TAR Milano, 12/11/2009, n. 521 del 2009Titoletto: Ha natura di servizio pubblico il rapporto avente ad oggetto la gestione di una piscina comunale, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo sull’impugnazione dell’atto unilaterale di “risoluzione” adottato dal Comune. Il risarcimento del danno e la determinazione dei criteri risarcitori ex art 35 d.l.vo 1998 n. 80.
 

0521/2009 REG.SEN.
05128/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 5128 del 2000, proposto da: 
Intersport Sas, rappresentato e difeso dagli avv. Alberto Fossati, Fabio Romanenghi, con domicilio eletto presso Alberto Fossati in Milano, c.so Porta Vittoria 28; 
contro
Comune di Lacchiarella, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Mariotti, con domicilio eletto presso Giovanni Mariotti in Milano, largo Schuster, 1; 
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della delibera della delibera della Giunta Comunale n. 316 del 14.11.2000, notificata il 20.11.2000 con la quale è stato risolto il contratto per la gestione della piscina comunale;
- di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso;
nonché per la condanna al risarcimento dei danni.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Lacchiarella;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 08/10/2009 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
Con ricorso ritualmente notificato e depositato la società Intersport s.a.s.. ha impugnato gli atti indicati in epigrafe deducendone l’illegittimità per violazione di legge e per eccesso di potere sotto diversi profili e chiedendo, altresì, la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni. 
Si è costituito in giudizio il Comune di Lacchiarella eccependo l’infondatezza del ricorso avversario e chiedendone il rigetto.
Le parti hanno presentato memorie e documenti.
Con ordinanza datata 05.12.2000 il Tribunale ha respinto la domanda cautelare presentata dalla ricorrente.
All’udienza del 08.10.2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) Dalle deduzioni in fatto delle parti e dalla documentazione acquisita risulta che la società Intersport s.a.s. assumeva in gestione la piscina comunale del Comune di Lacchiarella in forza di una delibera della Giunta Comunale datata 21.09.1993, n. 456.
Il rapporto veniva rinnovato dall’amministrazione, dapprima, con delibera della Giunta Comunale datata 21 luglio 1995 n. 548, per il periodo compreso tra il giorno 01.09.1995 e il giorno 31.08.1997, poi, con delibera della Giunta Comunale datata 22.07.1997 n. 388, per il periodo compreso il giorno 01.09.1997 e il giorno 31.08.1999. 
Successivamente, con delibera del Consiglio Comunale datata 29.05.1998 n. 31, l’amministrazione deliberava di “integrare e modificare la convenzione già esistente per la gestione della piscina comunale con la società Intersport di Pavia alle condizioni tutte indicate nello schema di convenzione “ allegato alla delibera medesima, stabilendo la durata del rapporto in cinque anni e “precisamente dal momento della sottoscrizione del contratto fino al dicembre 2003”. 
Nella parte motivazionale della delibera si precisava che la revisione delle condizioni previste nella precedente convenzione era dovuta al fatto che si stava provvedendo all’ampliamento del Centro sportivo con la costruzione di un impianto natatorio esterno nell’area della Piscina comunale, sicché era “interesse del Comune adeguare i termini economici subito dopo l’ultimazione dei lavori per il nuovo impianto”.
Con atto datato 24.01.2000, l’A.S.L. della Provincia di Milano rendeva il parere di igiene edilizia in ordine all’opera consistente nella “realizzazione di piscina comunale scoperta”, esprimendo una valutazione favorevole “a condizione che le cabine spogliatoi a rotazione, in termini di dimensioni interne, numero complessivo e quant’altro, … vengano adeguate a quanto previsto dall’art. 3.9.30 del R.L.I.”.
In data 18.07.2000, con deliberazione n. 210, la Giunta Comunale deliberava di affidare alla società Intersport s.a.s., sulla base di un allegato schema di convenzione, i servizi per la gestione della piscina estiva comunale per il periodo compreso tra il 22.07.2000 e il 10.09.2000, richiamando nelle premesse la deliberazione n. 31 del 29.05.1998 di approvazione della convenzione per la gestione degli impianti natatori e precisando, ex artt. 1 e 3 della convenzione, che l’oggetto del rapporto riguardava la gestione, relativamente alle strutture natatorie e alle relative pertinenze, dei servizi di a) direzione ed organizzazione delle attività (consistente nel coordinamento del personale addetto al servizio di vigilanza bagnanti ed al servizio di pulizie dell’intera struttura, nonché l’organizzazione di iniziative ed attività inerenti l’attività natatoria); b) il servizio di pulizie (relativo alla struttura interna – servizi igienici, spogliatoi, docce, ingresso, zona bagnanti e vasca – ed alla struttura esterna – solarium, zona pavimentata, zona verde, vasche esterne); c) il servizio di vigilanza bagnanti; d) il servizio di disinfezione dell’acqua. L’art. 6 della convenzione prevedeva che per tali servizi sarebbe stata corrisposta la somma complessiva di Lire 80.816.500.
Con delibera n. 316 del 14.11.2000, la Giunta Comunale deliberava di “dichiarare risolto il contratto sottoscritto il 29 giugno 1998” con la società Intersport, relativo alla gestione dell’impianto natatorio comunale, fissando la data del 31 dicembre 2000 per la riconsegna dell’impianto sportivo da parte della società.
Nella motivazione la delibera n. 316, oltre a richiamare la deliberazione n. 31 del 29.05.1998 - cui si correla la convenzione del 29.06.1998 - considerava che dalla stagione 1998 /1999 la gestione della piscina non era proseguita secondo le regole del contratto del 29.06.1998, ma secondo quelle del precedente contratto, precisando che tale situazione non risulta “da atti formali” ma dall’esame del contratto del 1998. I
In particolare, l’amministrazione considerava che le spese erano state suddivise tra le parti secondo la precedente determinazione, mentre alcune forniture – previste per i mesi di ottobre 1998 e aprile 1999 - a carico della società Intersport s.a.s. non erano state effettuate, precisando però che “né il Comune le ha potute pretendere a causa del protrarsi dei lavori della piscina scoperta” e per tale ragione neppure si era potuto procedere agli “ammortamenti tecnici”. 
Inoltre, si specificava che i lavori relativi alla piscina scoperta erano stati completati nel giugno del 2000, aggiungendo che per la gestione degli stessi le parti avevano elaborato un contratto “nuovo e diverso (deliberazione della Giunta Comunale n. 210 del 21.07.2000) e per la sola durata dal 15.07 al 17.09.2000”.
Sulla base di queste premesse la delibera, da un lato, riteneva che il contratto del 1998 “non avendo mai esplicato i suoi effetti” doveva essere risolto anche da un punto di vista formale, dall’altro, rilevava che la gestione dell’impianto da parte della società Intersport era stata caratterizzata “specialmente nell’ultimo periodo da carenze e inadempienze di vario genere, tanto che si” era “dato inizio ad un apposto procedimento di contestazione con richiesta di risarcimento di danni”.
In via di ulteriore precisazione, va osservato che in relazione a quest’ultimo profilo, la controversia tra le parti è stata decisa da un collegio arbitrale e si è conclusa con lodo del 20 febbraio 2002. 
2) In via preliminare il Tribunale ritiene necessario qualificare in termini giuridici la natura del rapporto interrotto per effetto dell’atto impugnato e correlato, sul piano genetico e funzionale, alla deliberazione n. 31 del 29.05.1998, la quale, come già evidenziato, ha espressamente integrato e modificato la disciplina del rapporto di gestione della piscina comunale iniziato nel 1993 e più volte rinnovato.
La questione rileva ai fini della determinazione, in via ufficiosa, della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia in esame, atteso che, come è noto, diverse sono le conclusioni cui addivenire sul punto a seconda della qualificazione del rapporto in termini puramente contrattuali, come appalto di servizi, ovvero in termini di concessione di servizio pubblico.
Si tratta di una valutazione da compiere anche in considerazione delle ragioni sottese al rigetto della domanda cautelare, respinta con ordinanza del Tribunale datata 15.12.2000 per la ritenuta estraneità della controversia alla sfera di giurisdizione del giudice amministrativo. 
In generale, vale evidenziare che, in mancanza di un quadro normativo che definisca in modo puntuale la nozione di servizio pubblico, la giurisprudenza prevalente non aderisce alla tesi meramente soggettiva, derivante dalla tradizione dottrinale francese, che individuava il tratto tipico del servizio pubblico nell’assunzione come propria da parte dell’amministrazione di una certa attività che resta quindi ad essa imputabile anche se esercitata da terzi secondo vari moduli organizzativi, in quanto tale ricostruzione non tiene conto dei caratteri intrinseci del servizio pubblico, che, ai sensi dell’art. 43 Cost., può direttamente essere attribuito a soggetti privati.
Ne è derivata l’adesione per lo più ad una nozione oggettiva di servizio pubblico, pur nel quadro di una valorizzazione del momento soggettivo, inteso come individuazione ed assunzione del servizio da parte dell’Autorità tra i compiti da realizzare, perché intrinsecamente connesso all’interesse pubblico di cui è portatrice la particolare amministrazione.
L’adesione ad una nozione c.d. oggettiva non implica che sia definibile come servizio pubblico ogni attività privata soggetta a controllo, a vigilanza o a mera autorizzazione da parte di un'amministrazione pubblica, perché altrimenti il servizio pubblico coinciderebbe con ogni attività privata rilevante per il diritto amministrativo. 
Viceversa, il servizio si qualifica come "pubblico" perché l'attività in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell'amministrazione pubblica, che possono essere realizzati direttamente o indirettamente, attraverso l'attività di privati; quindi, il servizio pubblico è caratterizzato da un elemento funzionale, ossia il soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale, che non si rinviene nell'attività privata imprenditoriale, anche se indirizzata e coordinata a fini sociali (cfr. sul punto Cassazione civile, sez. un., 30 marzo 2000, n. 71; Cassazione civile, sez. un., 19 aprile 2004 , n. 7461).
Insomma, la nozione di servizio pubblico va riferita ad attività che di per sé sono di interesse pubblico, perché intrinsecamente dotate di rilevanza pubblicistica, attesa la generalità degli interessi che sono dirette a soddisfare, a prescindere dalla qualificazione del soggetto cui va imputata tale attività (cfr. sulla necessità di ravvisare nell'interesse pubblico in quanto tale l'elemento caratterizzante la nozione di servizio pubblico si veda, tra le altre, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 20 giugno 2006, n. 4845).
Proprio la correlazione tra siffatte attività e l’interesse pubblico ne impone la sottoposizione ad un regime particolare di tipo garantistico, che riflette l’esigenza di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., anche se il servizio viene gestito da privati.
Si tratta di un regime peculiare, derogatorio rispetto alle ordinarie regole che sovrintendono all’attività delle imprese in regime di concorrenza, connotandosi per la presenza di elementi di doverosità, che si traducono nei principi di sussidiarietà, di uguaglianza, di continuità, di parità di trattamento, di imparzialità e di trasparenza, cui si correlano obblighi tariffari e di esercizio, di regolarità e di qualità, non riscontrabili in una normale attività economica . 
In tal senso, la giurisprudenza ha precisato che il servizio pubblico si caratterizza per essere assoggettato ad una disciplina settoriale, che assicura costantemente il conseguimento di fini sociali, i quali non si limitano a connotare sul versante teleologico tale genere di attività, ma costituiscono la ragione della sottoposizione della stessa ad un regime giuridico del tutto particolare, sicché, in definitiva, i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, dall'altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 12 ottobre 2004, n. 6574, Consiglio di stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325; T.A.R. Lombardia Brescia, 27 giugno 2005, n. 673).
La tesi prevalente specifica, inoltre, che il servizio pubblico attiene ad un’attività direttamente erogata nei confronti della generalità degli utenti (cfr. Cassazione civile, sez. un., 12 maggio 2006, n. 10994; Cassazione civile, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032; Cass. civile, sez. un., 30 marzo 2000, n. 71; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 11 dicembre 2006, n. 10455; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 20 giugno 2006, n. 4845).
La valorizzazione della dimensione oggettiva del servizio pubblico è coerente con la disciplina comunitaria, nell’ambito della quale è il concetto di servizio di interesse generale quello che più si avvicina alla nozione di servizio pubblico.
Invero, l’art. 16 del Trattato C.E. stabilisce che "fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito di applicazione del presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti". 
In tale contesto assume particolare rilevanza l’art. 86 del Trattato che, al primo comma, precisa che "1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi”, ma al secondo comma aggiunge che “2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità ...."
In argomento, la Commissione europea ha precisato che sono servizi di interesse generale quelle attività di servizio, commerciale o non, considerate d'interesse generale dalle pubbliche autorità e per tale ragione sottoposte ad obblighi specifici di servizio pubblico, specificando che i compiti assegnati a tali servizi e i diritti speciali che possono esservi connessi “derivano da considerazioni d'interesse generale, quali, soprattutto, la sicurezza di approvvigionamento, la protezione dell'ambiente, la solidarietà economica e sociale, la gestione del territorio, la promozione degli interessi dei consumatori”, fermo restando che possono essere affidati anche a soggetti privati (cfr. sul punto: comunicazione della Commissione C.E. n. 96-C, in G.U.C.E., 26 settembre 1996, C - 281, nonché Cassazione civile, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 12 aprile 2006 , n. 1318; in argomento si veda anche Corte costituzionale, 27 luglio 2004, n. 272).
Il Tribunale ritiene che i tratti distintivi del servizio pubblico siano ravvisabili nel servizio di gestione della piscina comunale, cui si riferisce la controversia in esame.
Difatti, si tratta di un’attività oggettivamente correlata alla realizzazione di interessi pubblici, essendo funzionale, per le sue caratteristiche intrinseche, a consentire a qualunque interessato lo svolgimento di attività sportiva, strettamente connessa con la tutela della salute, che l’art. 32 della Costituzione individua quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; inoltre, il Comune nel prevedere con apposita delibera l’affidamento a terzi della gestione della piscina, ha assunto tale attività tra i propri compiti istituzionali, scegliendo una specifica modalità di gestione.
D’altro canto, è evidente che si tratta di un’attività prestata direttamente in favore degli utenti, per soddisfare interessi di rilevanza generale.
Sotto altro profilo, va notato che proprio le delibere comunali già richiamate (retro punto sub 1 della motivazione) sottopongono questa attività ad un regime peculiare, caratterizzato, tra l’altro, dalla necessaria osservanza di livelli minimi di servizio, per quantità e qualità, dalla continuità e dalla regolarità del servizio, nonché dal rispetto di obblighi tariffari.
Invero, dalla semplice lettura dello schema di convenzione, predisposto dal Comune ed espressamente configurato come parte integrante della deliberazione n. 31 del 29 maggio 1998, risulta che il gestore è tenuto ad osservare precisi vincoli in ordine ai corsi di nuoto da attivare, predeterminati per fasce di età e tipologia di attività, assicurandone lo svolgimento secondo una tempistica prestabilita. 
Inoltre, ex art. 11 della convenzione, il gestore nell’erogazione del servizio è tenuto a rispettare tariffe predeterminate dal Comune e di cui è prevista la modificabilità annuale solo in relazione all’andamento degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, sempre previo consenso dell’amministrazione.
Anzi, l’art. 11 specifica che per la riscossione della tariffe il gestore è obbligato ad utilizzare bollettari preventivamente vidimati dal Comune, così evidenziando come l’amministrazione svolga anche un’attività di verifica, sia pure documentale, sulle entrate tariffarie. 
Ne deriva che alla luce della concreta disciplina del rapporto e degli orientamenti giurisprudenziali suindicati il servizio di gestione della piscina comunale è qualificabile come servizio pubblico (cfr. sul punto si vedano, tra le altre, Consiglio di stato, sez. V, 06 dicembre 2007, n. 6276).
Del resto, a prescindere dal nomen iuris attribuito all’atto dalle parti, che in applicazione del principio iura novit curia non vincola l’interprete, va rilevato che la delibera di affidamento del servizio in questione alla società Intersport s.a.s. presenta, con la correlata convenzione integrativa, i caratteri propri della concessione amministrativa e non del contratto di appalto.
La giurisprudenza, interna e comunitaria, ha precisato che i tratti distintivi della concessione di servizio, che valgono a distinguerla dal contratto di appalto, sono, da un lato, l'assunzione del rischio legato alla gestione del servizio, nel senso che il concessionario assume il rischio economico della gestione, perché la remunerazione che egli percepisce non è legata al versamento di un prezzo o di un corrispettivo, ma direttamente alla gestione del servizio (cfr. Corte di Giustizia C.E., 18 luglio 2007, C-382/05; Corte di Giustizia C.E., 13 ottobre 2005, C-458/03; Corte di Giustizia C.E., 7 dicembre 2000, C 324/98); dall’altro, la circostanza che il corrispettivo non sia versato dall'amministrazione, come accade nei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, atteso che l’amministrazione percepisce un canone da parte del concessionario (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3333). Infine, rileva la diversità della struttura del rapporto, che nella concessione di servizi è trilaterale, coinvolgendo l'amministrazione, il gestore e gli utenti, sui quali in definitiva grava il costo del servizio, mentre nell'appalto è bilaterale (stazione appaltante – appaltatore) e l'obbligazione di compensare l'attività svolta dal privato grava sull’amministrazione. 
Tale distinzione è stata codificata dalla direttiva comunitaria 31 marzo 2004/18/CE e recepita nel nostro ordinamento dall'art. 3, comma 12, e dall’art. 30 del d.l.vo 2006 n. 163, ove si definisce la concessione di servizi come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo…” (cfr. sulla distinzione tra appalto e concessione si vedano tra le altre: Consiglio di stato, sez. V, 05 dicembre 2008, n. 6049; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 17 febbraio 2009, n. 315)
In proposito, si è chiaramente precisato che negli appalti pubblici di servizi l'appaltatore presta il servizio in favore di una pubblica amministrazione, la quale utilizza tale prestazione ai fini dell’eventuale erogazione del servizio pubblico a vantaggio della collettività, mentre nella concessione di pubblico servizio il concessionario sostituisce la pubblica amministrazione nell’erogazione del servizio, ossia nello svolgimento dell'attività diretta al soddisfacimento dell'interesse collettivo (cfr. sul punto T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 18 febbraio 2009, n. 369).
Nel caso in esame, la delibera 1998 n. 31 prevede, da un lato, che la società Intersport s.a.s è tenuta a versare al Comune una somma annua pari Lire 30.000.000, come quota degli introiti derivanti dalla tariffe (cfr. art. 6 della convenzione), dall’altro, che la remunerazione del gestore deriva dalla percezione delle tariffe versategli direttamente dagli utenti del servizio, infine, che l’attività in cui si sostanzia la gestione del servizio è svolta direttamente dalla società in favore degli utenti.
Ecco allora che la società Intersport s.a.s si sostituisce all’amministrazione nell’erogazione del servizio di gestione della piscina comunale, assumendo il rischio dell’attività svolta, in quanto sfrutta economicamente la piscina ottenendo solo per tale via la remunerazione dell’attività svolta, pagando un canone all’amministrazione, nel quadro di un rapporto evidentemente trilaterale, visto che coinvolge il gestore, l’amministrazione e gli utenti.
Ne deriva la sussistenza dei tratti caratteristici della concessione di servizio pubblico, secondo i suindicati parametri enucleati dalla giurisprudenza.
Simili conclusioni consentono di ravvisare la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia in esame. 
Invero, in materia di servizi pubblici, l’art. 33 d.l.vo 1998 n. 80 – nel contenuto precettivo risultante dopo l’intervento della sentenza della Corte Costituzionale 2004 n. 204, avente, ovviamente, effetto ex tunc – attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative, tra l’altro, a concessioni di pubblici servizi, con l’esclusione di quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, secondo una scelta coerente con quella formulata dall’art. 5 della legge 1971 n. 1034, in relazione alla giurisdizione in materia di concessioni di beni. 
La controversia in esame non attiene a questioni meramente patrimoniali, afferenti a canoni, indennità o altri corrispettivi, ma alla legittimità di un atto con il quale l’amministrazione ha unilateralmente disposto lo scioglimento anticipato del rapporto concessorio, prima del decorso del termine di durata complessiva del rapporto stesso, fissato dalla delibera 1998 n. 31 per il mese di dicembre 2003.
Pertanto, a prescindere dalla formale denominazione dell’atto come risoluzione, resta fermo che la delibera impugnata ha inciso sui contenuti del rapporto concessorio risultanti, anche per il profilo della durata, proprio dal provvedimento di concessione, sicché si tratta di un atto che esprime una precisa scelta di gestione unilaterale dell’interesse pubblico sotteso al rapporto concessorio e non una scelta correlata a questioni di natura meramente patrimoniale. 
Ne deriva la riconduzione della causa de quo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 33 del d.l.vo 1998 n. 80 (cfr. in argomento Cassazione civile, sez. un., 16 luglio 2009, n. 16555; Cassazione civile, sez. un., 27 maggio 2009, n. 12252; Consiglio di stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3122; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 04 marzo 2009, n. 2233).
3) Con il primo e il secondo dei motivi proposti - che possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi sul piano logico e giuridico - la società ricorrente deduce l’illegittimità dell’atto impugnato per eccesso di potere e violazione di legge, contestando sia l’insufficienza della motivazione, sia l’insussistenza dei presupposti fattuali della determinazione assunta. 
I motivi sono fondati.
Invero, la deliberazione impugnata – di cui si è già riferito il contenuto – si basa su due affermazioni: con la prima l’amministrazione sostiene che di fatto “il contratto del 1998” non ha mai esplicato i suoi effetti, mentre con la seconda lamenta, testualmente, “carenze e inadempienze di vario genere” nella gestione dell’impianto sportivo da parte della società Intersport.
Si tratta di affermazioni in parte generiche e in parte correlate a fatti inidonei a giustificare la determinazione assunta.
In particolare, la deliberazione del 1998 n. 31, cui si riferisce l’amministrazione, è espressamente integrativa e modificativa della convenzione correlata alla deliberazione n. 388 del 1997, con la quale è stata disposta la seconda rinnovazione del rapporto concessorio, sicché la disciplina complessiva del rapporto risulta dal coordinamento degli atti ora indicati.
Pertanto, i due provvedimenti, succedutisi nel tempo, non vanno apprezzati isolatamente l’uno dall’altro, ma si pongono come atti di progressiva modificazione di un rapporto in itinere, che conserva natura concessoria e di cui vengono, di volta in volta, modificati alcuni profili di disciplina. 
Sul punto, vale sottolineare che proprio la delibera 1998 n. 31 subordina l’adeguamento dei termini economici del rapporto all’ultimazione dei lavori relativi all’impianto natatorio esterno, lavori non demandati al concessionario del servizio pubblico
L’amministrazione sostiene, con l’atto impugnato, che la delibera n. 31 non avrebbe mai avuto esecuzione e nelle memorie difensive si dice che la convenzione del 1998 non era ritenuta vigente dalle parti.
In particolare, l’atto impugnato fonda simili considerazioni sul mancato rispetto dei criteri di riparto delle spese fissate dalla deliberazione 1998 n. 31, ma tale profilo non configura un fatto sopravvenuto capace di giustificare, in termini di ragionevolezza e coerenza, la cessazione anticipata del rapporto, in quanto proprio la deliberazione n. 31 subordinava l’adeguamento dei termini economici del rapporto al completamento dei lavori di realizzazione dell’impianto natatorio esterno, impianto che, secondo quanto espressamente indicato nel provvedimento impugnato, è stato terminato solo nell’estate del 2000, con la conseguenza che l’amministrazione non poteva pretendere alcun adeguamento di tipo economico prima di tale data.
Del resto, proprio la delibera impugnata specifica che l’amministrazione non ha potuto pretendere l’esecuzione delle forniture previste dalla convenzione a carico della società Intersport a causa della ritardata ultimazione dei lavori, non imputabile però ad inadempimenti del gestore.
In definitiva, simili deduzioni evidenziano semplicemente che alcuni profili della convenzione del 1998 non hanno potuto trovare esecuzione per un fatto, la ritardata ultimazione dei lavori, che, da un lato, non integra un inadempimento del gestore agli obblighi derivanti dalla convenzione, sicché non è riconducibile alle ipotesi che, in base all’art. 14 della convenzione, giustificano lo scioglimento unilaterale e anticipato del rapporto, dall’altro, non esprimono una concreta ragione di interesse pubblico capace di giustificare in termini di ragionevolezza la decisione di fare cessare autoritativamente, prima della scadenza, la concessione di cui era titolare Intersport s.a.s..
Sul punto va ribadito che la delibera del 1998 subordinava all’ultimazione dei lavori l’adeguamento economico del rapporto, ma non la permanenza del medesimo, quindi la circostanza che alcuni dei profili della convenzione integrativa della delibera del 1998 non abbiano trovato attuazione, in ragione della ritardata esecuzione dei lavori da parte dell’amministrazione, non rappresenta una causa di cessazione del rapporto in base al contenuto della convenzione medesima, né consente di desumere quali ragioni di interesse pubblico sottendano la decisione autoritativa di scioglimento anticipato.
Parimenti, il mero riferimento a “carenze e inadempienze di vario genere” asseritamente imputabili alla società Intersport “specialmente nell’ultimo periodo”, costituisce una motivazione di puro stile, perché non riferisce di fatti concreti, esattamente individuati nella loro consistenza e collocazione temporale, risolvendosi in considerazioni del tutto generiche e prive di elementi di riscontro.
Emerge così l’insufficienza motivazionale del provvedimento impugnato, come esattamente dedotto dalla ricorrente, giacché le considerazioni sviluppate dall’amministrazione sono in parte del tutto generiche e in parte inidonee a supportare lo scioglimento anticipato del rapporto concessorio, sia perché non riferiscono di specifici inadempimenti del gestore, sia perché non indicano, neppure in via sintetica, le ragioni di interesse pubblico sottese alla cessazione autoritativa del rapporto prima della sua naturale scadenza, con conseguente violazione del generale obbligo motivazionale previsto dall’art. 3 della legge 1990 n. 241.
Del resto, è pacifico che gli atti con i quali l’amministrazione in esercizio di poteri di autotutela pone fine anticipatamente ad un rapporto concessorio, come nel caso di specie, necessitano di un’adeguata motivazione che dia conto dei fatti sopravvenuti e delle ragioni di interesse pubblico sottesi alla determinazione assunta, secondo quanto risulta dall’art. 21 quinquies della legge 1990 n. 241, che ha positivizzato orientamenti giurisprudenziali consolidati.
Va, pertanto, ribadita la fondatezza dei motivi in esame, che, per il loro carattere assorbente, consentono di prescindere dalle ulteriori censure dedotte dalla ricorrente.
4) La ricorrente presenta domanda di condanna dell’amministrazione resistente al risarcimento del danno, evidenziando che l’illegittimo scioglimento anticipato del rapporto concessorio, disposto con l’atto impugnato, le ha provocato un danno patrimoniale, precludendole il conseguimento dell’utile economico derivante dalla gestione del servizio per un periodo di tre anni, ossia dalla data della riconsegna della struttura sportiva sino al mese di dicembre 2003, indicato nella deliberazione n. 31 del 1998 quale scadenza naturale del rapporto.
La domanda è fondata e merita accoglimento.
Nel caso di specie ricorrono gli elementi costituivi della responsabilità da fatto illecito, ex art. 2043 c.c., a carico dell’amministrazione.
Invero, lo scioglimento anticipato del rapporto concessorio, disposto con un provvedimento illegittimo - secondo quanto precisato al punto sub 3 della motivazione - ha inciso contra ius nella sfera giuridica della ricorrente, che, in conseguenza della determinazione amministrativa, non ha potuto sfruttare economicamente la gestione del servizio per il tempo stabilito dalla delibera 1998 n. 31.
Inoltre, il danno patrimoniale lamentato dalla ricorrente si pone in rapporto di necessaria derivazione logica rispetto alla determinazione amministrativa gravata, in quanto si riferisce al mancato conseguimento dell’utile monetario correlato proprio alla gestione del servizio anticipatamente cessato per effetto del provvedimento impugnato. 
D’altro canto, con riferimento al profilo soggettivo dell’illecito, va rilevato che l’illegittimità in cui è incorso il Comune di Lacchiarella è di particolare evidenza, sostanziandosi nella violazione del fondamentale dovere di motivazione che connota l’attività provvedimentale dell’amministrazione; pertanto, il provvedimento risulta adottato in violazione del canone di buona amministrazione, perché l’illegittimità che lo caratterizza rende palese l’inosservanza di elementari doveri di diligenza e ciò conduce a qualificare come colpevole l’operato dell’amministrazione, fermo restando che – secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale – la colpa va riferita all’apparato amministrativo e non al singolo funzionario agente.
Del resto, né dalla documentazione versata in atti, né dalle allegazioni difensive emergono elementi per ritenere che l’illegittimità in cui è incorsa l’amministrazione sia riconducibile ad un errore scusabile, idoneo ad escludere la colpa dell’amministrazione stessa, in quanto il quadro normativo e gli orientamenti giurisprudenziali in tema di motivazione dei provvedimenti, con particolare riferimento a quelli espressivi di poteri di autotutela, non consentono di configurare ragionevoli incertezze sul contenuto del dovere motivazionale.
Parimenti, è raggiunta la prova del danno patrimoniale e della sua derivazione dal provvedimento gravato, in quanto, in assenza di quest’ultimo, la società avrebbe ragionevolmente continuato a percepire ricavi per effetto delle entrate tariffarie derivanti dalla gestione della piscina comunale, con conseguente ottenimento di un utile economico una volta detratte le spese sostenute; utile poi non conseguito a causa dello scioglimento anticipato del rapporto.
Una volta stabilita la sussistenza degli elementi necessari per configurare la responsabilità risarcitoria in capo all’amministrazione in relazione al danno ingiusto sofferto dalla ricorrente nel caso di specie, il Tribunale ritiene di avvalersi, per la quantificazione del danno, del sistema delineato dall'art. 35 del d.l.vo 1998 n. 80, che consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma di denaro entro un congruo termine.
Nel caso in esame la definizione dei criteri deve muovere dalla considerazione che il danno lamentato è solo quello patrimoniale e consistente nel mancato conseguimento dell’utile derivante dalla gestione della piscina.
Si tratta di un danno per la cui determinazione l’amministrazione dovrà riferirsi:
a) alla media dell’utile netto conseguito dalla società ricorrente per effetto della gestione della piscina comunale nei tre anni anteriori allo scioglimento del rapporto; per tale determinazione l’amministrazione si baserà sulle risultanze dei bilanci della società ricorrente - che è tenuta a produrli all’amministrazione - relativi ai tre anni anteriori allo scioglimento del rapporto e con riferimento all’utile correlato esclusivamente alla gestione della piscina comunale, restando estranee altre attività eventualmente svolte dalla società al di fuori del rapporto concessorio; il valore medio così determinato dovrà essere corrisposto per ciascuno dei tre anni in cui il rapporto concessorio non ha avuto esecuzione per effetto dell’anticipato scioglimento;
b) trattandosi di un debito di valore, derivante da illecito extracontrattuale, la somma determinata per ciascuno dei tre anni sarà liquidata ai valori attuali, tenendo conto cioè della perdita di valore della moneta; inoltre, sulle somme così stabilite saranno liquidati gli interessi di mora – che è ex re trattandosi di risarcimento da fatto illecito - al tasso legale, con decorrenza, per il primo dei tre anni considerati, dalla data di cessazione del rapporto concessorio, ossia dal 31.12.2000 e, quindi, per il secondo anno dal 31.12.2001 e per il terzo dal 31.12.2002.
c) l’amministrazione comunale è tenuta a proporre al ricorrente il pagamento di una somma quantificata secondo i criteri suindicati entro il termine di novanta giorni dal ricevimento dei bilanci della società, che dovranno essere richiesti dall’amministrazione alla società ricorrente entro 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione, se anteriore, della presente sentenza.
5) In definitiva il ricorso è fondato nei termini dianzi esposti e merita accoglimento.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
Resta fermo l’onere di cui all’art. 13 del d.p.r. 30.05.2002 n. 115, nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 del d.l. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Milano, sezione terza, accoglie il ricorso nei limiti di quanto esposto in motivazione e per l’effetto:
1) Annulla la delibera della Giunta Comunale del Comune di Lacchiarella datata 14.11.2000 n. 316;
2) Condanna il Comune di Lacchiarella a risarcire alla società Intersport s.a.s. il danno derivato dalla delibera annullata e per l’effetto ordina all’amministrazione di proporre alla società ricorrente il pagamento di una somma di denaro entro il termine ed in base ai criteri indicati in motivazione;
3) Condanna il Comune di Lacchiarella al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento), oltre il contribuito unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 08/10/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Dario Simeoli, Referendario
Fabrizio Fornataro, Referendario, Estensore
   
   
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
   
   
   
   
   
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
 

 

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