TAR Milano, 12/11/2009, n. 521 del 2009Titoletto: Ha natura di servizio
pubblico il rapporto avente ad oggetto la gestione di una piscina comunale,
con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo sull’impugnazione
dell’atto unilaterale di “risoluzione” adottato dal Comune. Il risarcimento
del danno e la determinazione dei criteri risarcitori ex art 35 d.l.vo
1998 n. 80.
0521/2009 REG.SEN.
05128/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 5128 del 2000, proposto da:
Intersport Sas, rappresentato e difeso dagli avv. Alberto Fossati,
Fabio Romanenghi, con domicilio eletto presso Alberto Fossati in Milano,
c.so Porta Vittoria 28;
contro
Comune di Lacchiarella, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Mariotti,
con domicilio eletto presso Giovanni Mariotti in Milano, largo Schuster,
1;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della delibera della delibera della Giunta Comunale n. 316 del 14.11.2000,
notificata il 20.11.2000 con la quale è stato risolto il contratto
per la gestione della piscina comunale;
- di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso;
nonché per la condanna al risarcimento dei danni.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Lacchiarella;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 08/10/2009 il dott. Fabrizio
Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso ritualmente notificato e depositato la società Intersport
s.a.s.. ha impugnato gli atti indicati in epigrafe deducendone l’illegittimità
per violazione di legge e per eccesso di potere sotto diversi profili e
chiedendo, altresì, la condanna dell’amministrazione al risarcimento
dei danni.
Si è costituito in giudizio il Comune di Lacchiarella eccependo
l’infondatezza del ricorso avversario e chiedendone il rigetto.
Le parti hanno presentato memorie e documenti.
Con ordinanza datata 05.12.2000 il Tribunale ha respinto la domanda
cautelare presentata dalla ricorrente.
All’udienza del 08.10.2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) Dalle deduzioni in fatto delle parti e dalla documentazione acquisita
risulta che la società Intersport s.a.s. assumeva in gestione la
piscina comunale del Comune di Lacchiarella in forza di una delibera della
Giunta Comunale datata 21.09.1993, n. 456.
Il rapporto veniva rinnovato dall’amministrazione, dapprima, con delibera
della Giunta Comunale datata 21 luglio 1995 n. 548, per il periodo compreso
tra il giorno 01.09.1995 e il giorno 31.08.1997, poi, con delibera della
Giunta Comunale datata 22.07.1997 n. 388, per il periodo compreso il giorno
01.09.1997 e il giorno 31.08.1999.
Successivamente, con delibera del Consiglio Comunale datata 29.05.1998
n. 31, l’amministrazione deliberava di “integrare e modificare la convenzione
già esistente per la gestione della piscina comunale con la società
Intersport di Pavia alle condizioni tutte indicate nello schema di convenzione
“ allegato alla delibera medesima, stabilendo la durata del rapporto in
cinque anni e “precisamente dal momento della sottoscrizione del contratto
fino al dicembre 2003”.
Nella parte motivazionale della delibera si precisava che la revisione
delle condizioni previste nella precedente convenzione era dovuta al fatto
che si stava provvedendo all’ampliamento del Centro sportivo con la costruzione
di un impianto natatorio esterno nell’area della Piscina comunale, sicché
era “interesse del Comune adeguare i termini economici subito dopo l’ultimazione
dei lavori per il nuovo impianto”.
Con atto datato 24.01.2000, l’A.S.L. della Provincia di Milano rendeva
il parere di igiene edilizia in ordine all’opera consistente nella “realizzazione
di piscina comunale scoperta”, esprimendo una valutazione favorevole “a
condizione che le cabine spogliatoi a rotazione, in termini di dimensioni
interne, numero complessivo e quant’altro, … vengano adeguate a quanto
previsto dall’art. 3.9.30 del R.L.I.”.
In data 18.07.2000, con deliberazione n. 210, la Giunta Comunale deliberava
di affidare alla società Intersport s.a.s., sulla base di un allegato
schema di convenzione, i servizi per la gestione della piscina estiva comunale
per il periodo compreso tra il 22.07.2000 e il 10.09.2000, richiamando
nelle premesse la deliberazione n. 31 del 29.05.1998 di approvazione della
convenzione per la gestione degli impianti natatori e precisando, ex artt.
1 e 3 della convenzione, che l’oggetto del rapporto riguardava la gestione,
relativamente alle strutture natatorie e alle relative pertinenze, dei
servizi di a) direzione ed organizzazione delle attività (consistente
nel coordinamento del personale addetto al servizio di vigilanza bagnanti
ed al servizio di pulizie dell’intera struttura, nonché l’organizzazione
di iniziative ed attività inerenti l’attività natatoria);
b) il servizio di pulizie (relativo alla struttura interna – servizi igienici,
spogliatoi, docce, ingresso, zona bagnanti e vasca – ed alla struttura
esterna – solarium, zona pavimentata, zona verde, vasche esterne); c) il
servizio di vigilanza bagnanti; d) il servizio di disinfezione dell’acqua.
L’art. 6 della convenzione prevedeva che per tali servizi sarebbe stata
corrisposta la somma complessiva di Lire 80.816.500.
Con delibera n. 316 del 14.11.2000, la Giunta Comunale deliberava di
“dichiarare risolto il contratto sottoscritto il 29 giugno 1998” con la
società Intersport, relativo alla gestione dell’impianto natatorio
comunale, fissando la data del 31 dicembre 2000 per la riconsegna dell’impianto
sportivo da parte della società.
Nella motivazione la delibera n. 316, oltre a richiamare la deliberazione
n. 31 del 29.05.1998 - cui si correla la convenzione del 29.06.1998 - considerava
che dalla stagione 1998 /1999 la gestione della piscina non era proseguita
secondo le regole del contratto del 29.06.1998, ma secondo quelle del precedente
contratto, precisando che tale situazione non risulta “da atti formali”
ma dall’esame del contratto del 1998. I
In particolare, l’amministrazione considerava che le spese erano state
suddivise tra le parti secondo la precedente determinazione, mentre alcune
forniture – previste per i mesi di ottobre 1998 e aprile 1999 - a carico
della società Intersport s.a.s. non erano state effettuate, precisando
però che “né il Comune le ha potute pretendere a causa del
protrarsi dei lavori della piscina scoperta” e per tale ragione neppure
si era potuto procedere agli “ammortamenti tecnici”.
Inoltre, si specificava che i lavori relativi alla piscina scoperta
erano stati completati nel giugno del 2000, aggiungendo che per la gestione
degli stessi le parti avevano elaborato un contratto “nuovo e diverso (deliberazione
della Giunta Comunale n. 210 del 21.07.2000) e per la sola durata dal 15.07
al 17.09.2000”.
Sulla base di queste premesse la delibera, da un lato, riteneva che
il contratto del 1998 “non avendo mai esplicato i suoi effetti” doveva
essere risolto anche da un punto di vista formale, dall’altro, rilevava
che la gestione dell’impianto da parte della società Intersport
era stata caratterizzata “specialmente nell’ultimo periodo da carenze e
inadempienze di vario genere, tanto che si” era “dato inizio ad un apposto
procedimento di contestazione con richiesta di risarcimento di danni”.
In via di ulteriore precisazione, va osservato che in relazione a quest’ultimo
profilo, la controversia tra le parti è stata decisa da un collegio
arbitrale e si è conclusa con lodo del 20 febbraio 2002.
2) In via preliminare il Tribunale ritiene necessario qualificare in
termini giuridici la natura del rapporto interrotto per effetto dell’atto
impugnato e correlato, sul piano genetico e funzionale, alla deliberazione
n. 31 del 29.05.1998, la quale, come già evidenziato, ha espressamente
integrato e modificato la disciplina del rapporto di gestione della piscina
comunale iniziato nel 1993 e più volte rinnovato.
La questione rileva ai fini della determinazione, in via ufficiosa,
della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo nella
controversia in esame, atteso che, come è noto, diverse sono le
conclusioni cui addivenire sul punto a seconda della qualificazione del
rapporto in termini puramente contrattuali, come appalto di servizi, ovvero
in termini di concessione di servizio pubblico.
Si tratta di una valutazione da compiere anche in considerazione delle
ragioni sottese al rigetto della domanda cautelare, respinta con ordinanza
del Tribunale datata 15.12.2000 per la ritenuta estraneità della
controversia alla sfera di giurisdizione del giudice amministrativo.
In generale, vale evidenziare che, in mancanza di un quadro normativo
che definisca in modo puntuale la nozione di servizio pubblico, la giurisprudenza
prevalente non aderisce alla tesi meramente soggettiva, derivante dalla
tradizione dottrinale francese, che individuava il tratto tipico del servizio
pubblico nell’assunzione come propria da parte dell’amministrazione di
una certa attività che resta quindi ad essa imputabile anche se
esercitata da terzi secondo vari moduli organizzativi, in quanto tale ricostruzione
non tiene conto dei caratteri intrinseci del servizio pubblico, che, ai
sensi dell’art. 43 Cost., può direttamente essere attribuito a soggetti
privati.
Ne è derivata l’adesione per lo più ad una nozione oggettiva
di servizio pubblico, pur nel quadro di una valorizzazione del momento
soggettivo, inteso come individuazione ed assunzione del servizio da parte
dell’Autorità tra i compiti da realizzare, perché intrinsecamente
connesso all’interesse pubblico di cui è portatrice la particolare
amministrazione.
L’adesione ad una nozione c.d. oggettiva non implica che sia definibile
come servizio pubblico ogni attività privata soggetta a controllo,
a vigilanza o a mera autorizzazione da parte di un'amministrazione pubblica,
perché altrimenti il servizio pubblico coinciderebbe con ogni attività
privata rilevante per il diritto amministrativo.
Viceversa, il servizio si qualifica come "pubblico" perché l'attività
in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando
a soddisfare direttamente esigenze della collettività in coerenza
con i compiti dell'amministrazione pubblica, che possono essere realizzati
direttamente o indirettamente, attraverso l'attività di privati;
quindi, il servizio pubblico è caratterizzato da un elemento funzionale,
ossia il soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale, che
non si rinviene nell'attività privata imprenditoriale, anche se
indirizzata e coordinata a fini sociali (cfr. sul punto Cassazione civile,
sez. un., 30 marzo 2000, n. 71; Cassazione civile, sez. un., 19 aprile
2004 , n. 7461).
Insomma, la nozione di servizio pubblico va riferita ad attività
che di per sé sono di interesse pubblico, perché intrinsecamente
dotate di rilevanza pubblicistica, attesa la generalità degli interessi
che sono dirette a soddisfare, a prescindere dalla qualificazione del soggetto
cui va imputata tale attività (cfr. sulla necessità di ravvisare
nell'interesse pubblico in quanto tale l'elemento caratterizzante la nozione
di servizio pubblico si veda, tra le altre, T.A.R. Lazio Roma, sez. III,
20 giugno 2006, n. 4845).
Proprio la correlazione tra siffatte attività e l’interesse
pubblico ne impone la sottoposizione ad un regime particolare di tipo garantistico,
che riflette l’esigenza di imparzialità di cui all’art. 97 Cost.,
anche se il servizio viene gestito da privati.
Si tratta di un regime peculiare, derogatorio rispetto alle ordinarie
regole che sovrintendono all’attività delle imprese in regime di
concorrenza, connotandosi per la presenza di elementi di doverosità,
che si traducono nei principi di sussidiarietà, di uguaglianza,
di continuità, di parità di trattamento, di imparzialità
e di trasparenza, cui si correlano obblighi tariffari e di esercizio, di
regolarità e di qualità, non riscontrabili in una normale
attività economica .
In tal senso, la giurisprudenza ha precisato che il servizio pubblico
si caratterizza per essere assoggettato ad una disciplina settoriale, che
assicura costantemente il conseguimento di fini sociali, i quali non si
limitano a connotare sul versante teleologico tale genere di attività,
ma costituiscono la ragione della sottoposizione della stessa ad un regime
giuridico del tutto particolare, sicché, in definitiva, i fattori
distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del
servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze
proprie di una platea indifferenziata di utenti, dall'altro, la sottoposizione
del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e
tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a norme
di continuità, regolarità, capacità e qualità,
cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica
(cfr. Consiglio di stato, sez. V, 12 ottobre 2004, n. 6574, Consiglio di
stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325; T.A.R. Lombardia Brescia, 27
giugno 2005, n. 673).
La tesi prevalente specifica, inoltre, che il servizio pubblico attiene
ad un’attività direttamente erogata nei confronti della generalità
degli utenti (cfr. Cassazione civile, sez. un., 12 maggio 2006, n. 10994;
Cassazione civile, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032; Cass. civile,
sez. un., 30 marzo 2000, n. 71; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 11 dicembre
2006, n. 10455; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 20 giugno 2006, n. 4845).
La valorizzazione della dimensione oggettiva del servizio pubblico
è coerente con la disciplina comunitaria, nell’ambito della quale
è il concetto di servizio di interesse generale quello che più
si avvicina alla nozione di servizio pubblico.
Invero, l’art. 16 del Trattato C.E. stabilisce che "fatti salvi gli
articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell'importanza dei servizi di
interesse generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché
del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale,
la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze
e nell'ambito di applicazione del presente trattato, provvedono affinché
tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano
loro di assolvere i loro compiti".
In tale contesto assume particolare rilevanza l’art. 86 del Trattato
che, al primo comma, precisa che "1. Gli Stati membri non emanano né
mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono
diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente
trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a
89 inclusi”, ma al secondo comma aggiunge che “2. Le imprese incaricate
della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere
di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato,
e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione
di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto,
della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve
essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità
...."
In argomento, la Commissione europea ha precisato che sono servizi
di interesse generale quelle attività di servizio, commerciale o
non, considerate d'interesse generale dalle pubbliche autorità e
per tale ragione sottoposte ad obblighi specifici di servizio pubblico,
specificando che i compiti assegnati a tali servizi e i diritti speciali
che possono esservi connessi “derivano da considerazioni d'interesse generale,
quali, soprattutto, la sicurezza di approvvigionamento, la protezione dell'ambiente,
la solidarietà economica e sociale, la gestione del territorio,
la promozione degli interessi dei consumatori”, fermo restando che possono
essere affidati anche a soggetti privati (cfr. sul punto: comunicazione
della Commissione C.E. n. 96-C, in G.U.C.E., 26 settembre 1996, C - 281,
nonché Cassazione civile, sez. un., 12 novembre 2001, n. 14032;
T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 12 aprile 2006 , n. 1318; in argomento si veda
anche Corte costituzionale, 27 luglio 2004, n. 272).
Il Tribunale ritiene che i tratti distintivi del servizio pubblico
siano ravvisabili nel servizio di gestione della piscina comunale, cui
si riferisce la controversia in esame.
Difatti, si tratta di un’attività oggettivamente correlata alla
realizzazione di interessi pubblici, essendo funzionale, per le sue caratteristiche
intrinseche, a consentire a qualunque interessato lo svolgimento di attività
sportiva, strettamente connessa con la tutela della salute, che l’art.
32 della Costituzione individua quale fondamentale diritto dell’individuo
e interesse della collettività; inoltre, il Comune nel prevedere
con apposita delibera l’affidamento a terzi della gestione della piscina,
ha assunto tale attività tra i propri compiti istituzionali, scegliendo
una specifica modalità di gestione.
D’altro canto, è evidente che si tratta di un’attività
prestata direttamente in favore degli utenti, per soddisfare interessi
di rilevanza generale.
Sotto altro profilo, va notato che proprio le delibere comunali già
richiamate (retro punto sub 1 della motivazione) sottopongono questa attività
ad un regime peculiare, caratterizzato, tra l’altro, dalla necessaria osservanza
di livelli minimi di servizio, per quantità e qualità, dalla
continuità e dalla regolarità del servizio, nonché
dal rispetto di obblighi tariffari.
Invero, dalla semplice lettura dello schema di convenzione, predisposto
dal Comune ed espressamente configurato come parte integrante della deliberazione
n. 31 del 29 maggio 1998, risulta che il gestore è tenuto ad osservare
precisi vincoli in ordine ai corsi di nuoto da attivare, predeterminati
per fasce di età e tipologia di attività, assicurandone lo
svolgimento secondo una tempistica prestabilita.
Inoltre, ex art. 11 della convenzione, il gestore nell’erogazione del
servizio è tenuto a rispettare tariffe predeterminate dal Comune
e di cui è prevista la modificabilità annuale solo in relazione
all’andamento degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie
di operai ed impiegati, sempre previo consenso dell’amministrazione.
Anzi, l’art. 11 specifica che per la riscossione della tariffe il gestore
è obbligato ad utilizzare bollettari preventivamente vidimati dal
Comune, così evidenziando come l’amministrazione svolga anche un’attività
di verifica, sia pure documentale, sulle entrate tariffarie.
Ne deriva che alla luce della concreta disciplina del rapporto e degli
orientamenti giurisprudenziali suindicati il servizio di gestione della
piscina comunale è qualificabile come servizio pubblico (cfr. sul
punto si vedano, tra le altre, Consiglio di stato, sez. V, 06 dicembre
2007, n. 6276).
Del resto, a prescindere dal nomen iuris attribuito all’atto dalle
parti, che in applicazione del principio iura novit curia non vincola l’interprete,
va rilevato che la delibera di affidamento del servizio in questione alla
società Intersport s.a.s. presenta, con la correlata convenzione
integrativa, i caratteri propri della concessione amministrativa e non
del contratto di appalto.
La giurisprudenza, interna e comunitaria, ha precisato che i tratti
distintivi della concessione di servizio, che valgono a distinguerla dal
contratto di appalto, sono, da un lato, l'assunzione del rischio legato
alla gestione del servizio, nel senso che il concessionario assume il rischio
economico della gestione, perché la remunerazione che egli percepisce
non è legata al versamento di un prezzo o di un corrispettivo, ma
direttamente alla gestione del servizio (cfr. Corte di Giustizia C.E.,
18 luglio 2007, C-382/05; Corte di Giustizia C.E., 13 ottobre 2005, C-458/03;
Corte di Giustizia C.E., 7 dicembre 2000, C 324/98); dall’altro, la circostanza
che il corrispettivo non sia versato dall'amministrazione, come accade
nei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, atteso che l’amministrazione
percepisce un canone da parte del concessionario (cfr. Consiglio di Stato,
sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3333). Infine, rileva la diversità della
struttura del rapporto, che nella concessione di servizi è trilaterale,
coinvolgendo l'amministrazione, il gestore e gli utenti, sui quali in definitiva
grava il costo del servizio, mentre nell'appalto è bilaterale (stazione
appaltante – appaltatore) e l'obbligazione di compensare l'attività
svolta dal privato grava sull’amministrazione.
Tale distinzione è stata codificata dalla direttiva comunitaria
31 marzo 2004/18/CE e recepita nel nostro ordinamento dall'art. 3, comma
12, e dall’art. 30 del d.l.vo 2006 n. 163, ove si definisce la concessione
di servizi come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di
un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo
della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i
servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo…” (cfr. sulla distinzione
tra appalto e concessione si vedano tra le altre: Consiglio di stato, sez.
V, 05 dicembre 2008, n. 6049; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 17 febbraio 2009,
n. 315)
In proposito, si è chiaramente precisato che negli appalti pubblici
di servizi l'appaltatore presta il servizio in favore di una pubblica amministrazione,
la quale utilizza tale prestazione ai fini dell’eventuale erogazione del
servizio pubblico a vantaggio della collettività, mentre nella concessione
di pubblico servizio il concessionario sostituisce la pubblica amministrazione
nell’erogazione del servizio, ossia nello svolgimento dell'attività
diretta al soddisfacimento dell'interesse collettivo (cfr. sul punto T.A.R.
Sicilia Catania, sez. III, 18 febbraio 2009, n. 369).
Nel caso in esame, la delibera 1998 n. 31 prevede, da un lato, che
la società Intersport s.a.s è tenuta a versare al Comune
una somma annua pari Lire 30.000.000, come quota degli introiti derivanti
dalla tariffe (cfr. art. 6 della convenzione), dall’altro, che la remunerazione
del gestore deriva dalla percezione delle tariffe versategli direttamente
dagli utenti del servizio, infine, che l’attività in cui si sostanzia
la gestione del servizio è svolta direttamente dalla società
in favore degli utenti.
Ecco allora che la società Intersport s.a.s si sostituisce all’amministrazione
nell’erogazione del servizio di gestione della piscina comunale, assumendo
il rischio dell’attività svolta, in quanto sfrutta economicamente
la piscina ottenendo solo per tale via la remunerazione dell’attività
svolta, pagando un canone all’amministrazione, nel quadro di un rapporto
evidentemente trilaterale, visto che coinvolge il gestore, l’amministrazione
e gli utenti.
Ne deriva la sussistenza dei tratti caratteristici della concessione
di servizio pubblico, secondo i suindicati parametri enucleati dalla giurisprudenza.
Simili conclusioni consentono di ravvisare la giurisdizione del giudice
amministrativo nella controversia in esame.
Invero, in materia di servizi pubblici, l’art. 33 d.l.vo 1998 n. 80
– nel contenuto precettivo risultante dopo l’intervento della sentenza
della Corte Costituzionale 2004 n. 204, avente, ovviamente, effetto ex
tunc – attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
le controversie in materia di pubblici servizi relative, tra l’altro, a
concessioni di pubblici servizi, con l’esclusione di quelle concernenti
indennità, canoni ed altri corrispettivi, secondo una scelta coerente
con quella formulata dall’art. 5 della legge 1971 n. 1034, in relazione
alla giurisdizione in materia di concessioni di beni.
La controversia in esame non attiene a questioni meramente patrimoniali,
afferenti a canoni, indennità o altri corrispettivi, ma alla legittimità
di un atto con il quale l’amministrazione ha unilateralmente disposto lo
scioglimento anticipato del rapporto concessorio, prima del decorso del
termine di durata complessiva del rapporto stesso, fissato dalla delibera
1998 n. 31 per il mese di dicembre 2003.
Pertanto, a prescindere dalla formale denominazione dell’atto come
risoluzione, resta fermo che la delibera impugnata ha inciso sui contenuti
del rapporto concessorio risultanti, anche per il profilo della durata,
proprio dal provvedimento di concessione, sicché si tratta di un
atto che esprime una precisa scelta di gestione unilaterale dell’interesse
pubblico sotteso al rapporto concessorio e non una scelta correlata a questioni
di natura meramente patrimoniale.
Ne deriva la riconduzione della causa de quo nella giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 33 del d.l.vo 1998 n. 80
(cfr. in argomento Cassazione civile, sez. un., 16 luglio 2009, n. 16555;
Cassazione civile, sez. un., 27 maggio 2009, n. 12252; Consiglio di stato,
sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3122; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 04 marzo
2009, n. 2233).
3) Con il primo e il secondo dei motivi proposti - che possono essere
trattati congiuntamente perché strettamente connessi sul piano logico
e giuridico - la società ricorrente deduce l’illegittimità
dell’atto impugnato per eccesso di potere e violazione di legge, contestando
sia l’insufficienza della motivazione, sia l’insussistenza dei presupposti
fattuali della determinazione assunta.
I motivi sono fondati.
Invero, la deliberazione impugnata – di cui si è già
riferito il contenuto – si basa su due affermazioni: con la prima l’amministrazione
sostiene che di fatto “il contratto del 1998” non ha mai esplicato i suoi
effetti, mentre con la seconda lamenta, testualmente, “carenze e inadempienze
di vario genere” nella gestione dell’impianto sportivo da parte della società
Intersport.
Si tratta di affermazioni in parte generiche e in parte correlate a
fatti inidonei a giustificare la determinazione assunta.
In particolare, la deliberazione del 1998 n. 31, cui si riferisce l’amministrazione,
è espressamente integrativa e modificativa della convenzione correlata
alla deliberazione n. 388 del 1997, con la quale è stata disposta
la seconda rinnovazione del rapporto concessorio, sicché la disciplina
complessiva del rapporto risulta dal coordinamento degli atti ora indicati.
Pertanto, i due provvedimenti, succedutisi nel tempo, non vanno apprezzati
isolatamente l’uno dall’altro, ma si pongono come atti di progressiva modificazione
di un rapporto in itinere, che conserva natura concessoria e di cui vengono,
di volta in volta, modificati alcuni profili di disciplina.
Sul punto, vale sottolineare che proprio la delibera 1998 n. 31 subordina
l’adeguamento dei termini economici del rapporto all’ultimazione dei lavori
relativi all’impianto natatorio esterno, lavori non demandati al concessionario
del servizio pubblico
L’amministrazione sostiene, con l’atto impugnato, che la delibera n.
31 non avrebbe mai avuto esecuzione e nelle memorie difensive si dice che
la convenzione del 1998 non era ritenuta vigente dalle parti.
In particolare, l’atto impugnato fonda simili considerazioni sul mancato
rispetto dei criteri di riparto delle spese fissate dalla deliberazione
1998 n. 31, ma tale profilo non configura un fatto sopravvenuto capace
di giustificare, in termini di ragionevolezza e coerenza, la cessazione
anticipata del rapporto, in quanto proprio la deliberazione n. 31 subordinava
l’adeguamento dei termini economici del rapporto al completamento dei lavori
di realizzazione dell’impianto natatorio esterno, impianto che, secondo
quanto espressamente indicato nel provvedimento impugnato, è stato
terminato solo nell’estate del 2000, con la conseguenza che l’amministrazione
non poteva pretendere alcun adeguamento di tipo economico prima di tale
data.
Del resto, proprio la delibera impugnata specifica che l’amministrazione
non ha potuto pretendere l’esecuzione delle forniture previste dalla convenzione
a carico della società Intersport a causa della ritardata ultimazione
dei lavori, non imputabile però ad inadempimenti del gestore.
In definitiva, simili deduzioni evidenziano semplicemente che alcuni
profili della convenzione del 1998 non hanno potuto trovare esecuzione
per un fatto, la ritardata ultimazione dei lavori, che, da un lato, non
integra un inadempimento del gestore agli obblighi derivanti dalla convenzione,
sicché non è riconducibile alle ipotesi che, in base all’art.
14 della convenzione, giustificano lo scioglimento unilaterale e anticipato
del rapporto, dall’altro, non esprimono una concreta ragione di interesse
pubblico capace di giustificare in termini di ragionevolezza la decisione
di fare cessare autoritativamente, prima della scadenza, la concessione
di cui era titolare Intersport s.a.s..
Sul punto va ribadito che la delibera del 1998 subordinava all’ultimazione
dei lavori l’adeguamento economico del rapporto, ma non la permanenza del
medesimo, quindi la circostanza che alcuni dei profili della convenzione
integrativa della delibera del 1998 non abbiano trovato attuazione, in
ragione della ritardata esecuzione dei lavori da parte dell’amministrazione,
non rappresenta una causa di cessazione del rapporto in base al contenuto
della convenzione medesima, né consente di desumere quali ragioni
di interesse pubblico sottendano la decisione autoritativa di scioglimento
anticipato.
Parimenti, il mero riferimento a “carenze e inadempienze di vario genere”
asseritamente imputabili alla società Intersport “specialmente nell’ultimo
periodo”, costituisce una motivazione di puro stile, perché non
riferisce di fatti concreti, esattamente individuati nella loro consistenza
e collocazione temporale, risolvendosi in considerazioni del tutto generiche
e prive di elementi di riscontro.
Emerge così l’insufficienza motivazionale del provvedimento
impugnato, come esattamente dedotto dalla ricorrente, giacché le
considerazioni sviluppate dall’amministrazione sono in parte del tutto
generiche e in parte inidonee a supportare lo scioglimento anticipato del
rapporto concessorio, sia perché non riferiscono di specifici inadempimenti
del gestore, sia perché non indicano, neppure in via sintetica,
le ragioni di interesse pubblico sottese alla cessazione autoritativa del
rapporto prima della sua naturale scadenza, con conseguente violazione
del generale obbligo motivazionale previsto dall’art. 3 della legge 1990
n. 241.
Del resto, è pacifico che gli atti con i quali l’amministrazione
in esercizio di poteri di autotutela pone fine anticipatamente ad un rapporto
concessorio, come nel caso di specie, necessitano di un’adeguata motivazione
che dia conto dei fatti sopravvenuti e delle ragioni di interesse pubblico
sottesi alla determinazione assunta, secondo quanto risulta dall’art. 21
quinquies della legge 1990 n. 241, che ha positivizzato orientamenti giurisprudenziali
consolidati.
Va, pertanto, ribadita la fondatezza dei motivi in esame, che, per
il loro carattere assorbente, consentono di prescindere dalle ulteriori
censure dedotte dalla ricorrente.
4) La ricorrente presenta domanda di condanna dell’amministrazione
resistente al risarcimento del danno, evidenziando che l’illegittimo scioglimento
anticipato del rapporto concessorio, disposto con l’atto impugnato, le
ha provocato un danno patrimoniale, precludendole il conseguimento dell’utile
economico derivante dalla gestione del servizio per un periodo di tre anni,
ossia dalla data della riconsegna della struttura sportiva sino al mese
di dicembre 2003, indicato nella deliberazione n. 31 del 1998 quale scadenza
naturale del rapporto.
La domanda è fondata e merita accoglimento.
Nel caso di specie ricorrono gli elementi costituivi della responsabilità
da fatto illecito, ex art. 2043 c.c., a carico dell’amministrazione.
Invero, lo scioglimento anticipato del rapporto concessorio, disposto
con un provvedimento illegittimo - secondo quanto precisato al punto sub
3 della motivazione - ha inciso contra ius nella sfera giuridica della
ricorrente, che, in conseguenza della determinazione amministrativa, non
ha potuto sfruttare economicamente la gestione del servizio per il tempo
stabilito dalla delibera 1998 n. 31.
Inoltre, il danno patrimoniale lamentato dalla ricorrente si pone in
rapporto di necessaria derivazione logica rispetto alla determinazione
amministrativa gravata, in quanto si riferisce al mancato conseguimento
dell’utile monetario correlato proprio alla gestione del servizio anticipatamente
cessato per effetto del provvedimento impugnato.
D’altro canto, con riferimento al profilo soggettivo dell’illecito,
va rilevato che l’illegittimità in cui è incorso il Comune
di Lacchiarella è di particolare evidenza, sostanziandosi nella
violazione del fondamentale dovere di motivazione che connota l’attività
provvedimentale dell’amministrazione; pertanto, il provvedimento risulta
adottato in violazione del canone di buona amministrazione, perché
l’illegittimità che lo caratterizza rende palese l’inosservanza
di elementari doveri di diligenza e ciò conduce a qualificare come
colpevole l’operato dell’amministrazione, fermo restando che – secondo
il consolidato orientamento giurisprudenziale – la colpa va riferita all’apparato
amministrativo e non al singolo funzionario agente.
Del resto, né dalla documentazione versata in atti, né
dalle allegazioni difensive emergono elementi per ritenere che l’illegittimità
in cui è incorsa l’amministrazione sia riconducibile ad un errore
scusabile, idoneo ad escludere la colpa dell’amministrazione stessa, in
quanto il quadro normativo e gli orientamenti giurisprudenziali in tema
di motivazione dei provvedimenti, con particolare riferimento a quelli
espressivi di poteri di autotutela, non consentono di configurare ragionevoli
incertezze sul contenuto del dovere motivazionale.
Parimenti, è raggiunta la prova del danno patrimoniale e della
sua derivazione dal provvedimento gravato, in quanto, in assenza di quest’ultimo,
la società avrebbe ragionevolmente continuato a percepire ricavi
per effetto delle entrate tariffarie derivanti dalla gestione della piscina
comunale, con conseguente ottenimento di un utile economico una volta detratte
le spese sostenute; utile poi non conseguito a causa dello scioglimento
anticipato del rapporto.
Una volta stabilita la sussistenza degli elementi necessari per configurare
la responsabilità risarcitoria in capo all’amministrazione in relazione
al danno ingiusto sofferto dalla ricorrente nel caso di specie, il Tribunale
ritiene di avvalersi, per la quantificazione del danno, del sistema delineato
dall'art. 35 del d.l.vo 1998 n. 80, che consente al giudice amministrativo
di stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione deve proporre
a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma di denaro entro un
congruo termine.
Nel caso in esame la definizione dei criteri deve muovere dalla considerazione
che il danno lamentato è solo quello patrimoniale e consistente
nel mancato conseguimento dell’utile derivante dalla gestione della piscina.
Si tratta di un danno per la cui determinazione l’amministrazione dovrà
riferirsi:
a) alla media dell’utile netto conseguito dalla società ricorrente
per effetto della gestione della piscina comunale nei tre anni anteriori
allo scioglimento del rapporto; per tale determinazione l’amministrazione
si baserà sulle risultanze dei bilanci della società ricorrente
- che è tenuta a produrli all’amministrazione - relativi ai tre
anni anteriori allo scioglimento del rapporto e con riferimento all’utile
correlato esclusivamente alla gestione della piscina comunale, restando
estranee altre attività eventualmente svolte dalla società
al di fuori del rapporto concessorio; il valore medio così determinato
dovrà essere corrisposto per ciascuno dei tre anni in cui il rapporto
concessorio non ha avuto esecuzione per effetto dell’anticipato scioglimento;
b) trattandosi di un debito di valore, derivante da illecito extracontrattuale,
la somma determinata per ciascuno dei tre anni sarà liquidata ai
valori attuali, tenendo conto cioè della perdita di valore della
moneta; inoltre, sulle somme così stabilite saranno liquidati gli
interessi di mora – che è ex re trattandosi di risarcimento da fatto
illecito - al tasso legale, con decorrenza, per il primo dei tre anni considerati,
dalla data di cessazione del rapporto concessorio, ossia dal 31.12.2000
e, quindi, per il secondo anno dal 31.12.2001 e per il terzo dal 31.12.2002.
c) l’amministrazione comunale è tenuta a proporre al ricorrente
il pagamento di una somma quantificata secondo i criteri suindicati entro
il termine di novanta giorni dal ricevimento dei bilanci della società,
che dovranno essere richiesti dall’amministrazione alla società
ricorrente entro 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o
dalla notificazione, se anteriore, della presente sentenza.
5) In definitiva il ricorso è fondato nei termini dianzi esposti
e merita accoglimento.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
Resta fermo l’onere di cui all’art. 13 del d.p.r. 30.05.2002 n. 115,
nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 del d.l. 223 del 2006,
come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico della
parte soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Milano, sezione
terza, accoglie il ricorso nei limiti di quanto esposto in motivazione
e per l’effetto:
1) Annulla la delibera della Giunta Comunale del Comune di Lacchiarella
datata 14.11.2000 n. 316;
2) Condanna il Comune di Lacchiarella a risarcire alla società
Intersport s.a.s. il danno derivato dalla delibera annullata e per l’effetto
ordina all’amministrazione di proporre alla società ricorrente il
pagamento di una somma di denaro entro il termine ed in base ai criteri
indicati in motivazione;
3) Condanna il Comune di Lacchiarella al pagamento delle spese processuali
che liquida in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento), oltre il contribuito
unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 08/10/2009
con l'intervento dei Magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Dario Simeoli, Referendario
Fabrizio Fornataro, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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