Giurisprudenza - Servizi pubblici

Corte Costituzionale, sentenza n. 292 del 17 luglio 2000, che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno ( dopo la sentenza è entrata in vigore sul punto la legge n. 205 del 26 luglio 2000)

                                  S E N T E N Z A

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 4, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n. 59
(Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e degli artt. 33, 34 e 35 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro
nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione
amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59),
promossi con ordinanze emesse il 29 gennaio 1999 dal Pretore di Roma, il 15 aprile 1999 dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, l'11 maggio 1999 dal Giudice di pace di
Palermo, il 16 settembre e il 26 luglio 1999 dal Tribunale di Roma e il 12 gennaio 2000 dal Tribunale di
Vibo Valentia, sezione distaccata di Tropea, rispettivamente iscritte ai nn. 252, 394, 495, 659 e 704 del
registro ordinanze 1999 e al n. 195 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 19, 29, 39, 50 e 52, prima serie speciale, dell'anno 1999 e n. 19, prima serie speciale,
dell'anno 2000.

Visto l'atto di costituzione dello Studio radiologico Maurizi Enrici s.r.l., nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2000 il Giudice relatore Franco Bile;

uditi l'avvocato Giandomenico Barcellona per lo Studio radiologico Maurizi Enrici s.r.l. e l'avvocato dello
Stato Ignazio Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                                  Ritenuto in fatto

1. - Con l’ordinanza n. 252 del 1999, il Pretore di Roma – al quale la s.r.l. Studio radiologico Maurizi Enrici,
operante in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, aveva chiesto l’emissione di un
decreto ingiuntivo contro l’Azienda USL di Roma e provincia per il rimborso di prestazioni specialistiche
erogate in favore di privati - ha sollevato, in sede di verifica dell’esistenza della propria giurisdizione, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 (Nuove
disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di
giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione
dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), in riferimento agli articoli 76 e 77, primo
comma, della Costituzione, per eccesso di delega rispetto all’art.11, comma 4, lettera g), della legge di
delegazione 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni
ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa).

1.1.- L’eccesso di delega si sarebbe verificato, in quanto, mentre la legge di delegazione prevedeva
soltanto l’estensione della giurisdizione amministrativa ai diritti patrimoniali conseguenziali in materia di
urbanistica, edilizia e dei servizi pubblici, il legislatore delegato ha invece creato in tali materie nuove
giurisdizioni esclusive del giudice amministrativo; ed in particolare l’art. 33 ha attribuito alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di servizi pubblici, ivi comprese quelle
riguardanti le attività e le prestazioni occorrenti per il loro espletamento, fra cui quelle rese nell’ambito
del Servizio sanitario nazionale.

Confrontando il tenore della legge di delegazione e della legge delegata, sotto il profilo teleologico
emergerebbe che il legislatore delegante avrebbe voluto semplificare e razionalizzare il contenzioso
riguardante le pubbliche amministrazioni, modificando il riparto di giurisdizione, da un lato con il
trasferire al giudice ordinario la materia del pubblico impiego e, dall’altro, sia a fini di compensazione, sia
a fini di semplificazione della tutela del privato nelle materie indicate nella lettera g) - caratterizzate da
una situazione in cui, in base alla disciplina della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. (Contenzioso
amministrativo) e dell’art. 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali
amministrativi regionali), il privato leso dall’azione della pubblica amministrazione doveva prima adire il
giudice amministrativo per far dichiarare l’annullamento dell’atto e poi il giudice ordinario per ottenere il
risarcimento del danno, con un doppio binario di giurisdizione – realizzare l’unificazione della tutela in tali
casi avanti al giudice amministrativo, al fine di velocizzarla, concentrando avanti ad esso sia i poteri di
annullamento dell’atto illegittimo che di condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del
danno.

1.2.- Anche l’interpretazione letterale della legge di delegazione condurrebbe al medesimo risultato, una
volta considerato il significato che – soprattutto nell’ultimo decennio - il concetto di diritti patrimoniali
conseguenziali avrebbe assunto nella giurisprudenza della Corte di cassazione.

1.3.- La conclusione che la legge delega non consentiva di creare una nuova giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sarebbe, del resto, rafforzata dalle risultanze dei lavori parlamentari.

2.- Con le ordinanze n. 659 e n. 704 del 1999 il Tribunale di Roma – adìto separatamente da due diverse
società con ricorsi per decreto ingiuntivo per il pagamento di crediti per forniture di articoli sanitari fatte
all’Azienda USL RM/C – ha sollevato la medesima questione di cui all’ordinanza n. 252 del 1999, con
motivazioni che sostanzialmente svolgono argomenti non dissimili.

3.- Con l’ordinanza n. 495 del 1999 il Giudice di pace di Palermo - in un giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo introdotto dall’Azienda USL di Palermo, avverso un decreto ingiuntivo nei suoi confronti
ottenuto dal titolare di una farmacia, per un credito da fornitura di presìdi ed ausili sanitari eseguita ad
un soggetto invalido, su autorizzazione della detta azienda - ha sollevato d’ufficio due gradate questioni –
ognuna a sua volta pluriarticolata - e precisamente:

a) in via principale - per violazione dell’art. 77, primo comma, della Costituzione, dovuta ad eccesso della
delega di cui all’art. 11, comma 4, lettera g) della legge n. 59 del 1997 (interpretata nel senso che, ferme
le ipotesi di giurisdizione esclusiva già esistenti, avrebbe voluto estenderla alle questioni relative a diritti
patrimoniali conseguenziali, ivi compreso il risarcimento del danno, <<nei già definiti confini delle materie
dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici>>) - questione di costituzionalità: a1) dell’art. 33 del
d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compresi quelli afferenti al servizio farmaceutico,
senza far salva la giurisdizione ordinaria <<per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi>>; a2) dell’art. 33, comma 2, lettera f) - nella parte in cui, affermata la competenza del
giudice amministrativo a conoscere con giurisdizione esclusiva delle questioni aventi ad oggetto le
prestazioni patrimoniali rese nell’espletamento dei servizi pubblici, fra cui il Servizio sanitario nazionale,
<<non esclude dalla predetta competenza le controversie concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi>> - e del comma 3 del medesimo articolo, nella parte in cui, sopprimendo le parole <<o di
servizi>> contenute nell’art. 5, primo comma, della legge n. 1034 del 1971, senza mantenere in vita il
disposto del secondo comma dello stesso articolo, avrebbe implicitamente eliminato tale disposizione,
connessa a quella del primo comma; a3) dell’art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 80 del 1998, laddove, nel
sostituire il terzo comma dell’art. 7 della legge n. 1034 del 1971, dopo il deferimento alla giurisdizione
esclusiva della materia dei servizi pubblici, non ha riservato all’autorità giudiziaria ordinaria le
controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi in ordine alle concessioni di servizi;

b) in via subordinata, questione di costituzionalità dello stesso art. 11, comma 4, lettera g), seconda
parte, per violazione dell’art. 76 della Costituzione, in quanto avrebbe abilitato il Governo a ridefinire
senza predeterminazione dell’oggetto i confini fra giurisdizione ordinaria ed amministrativa nelle materie
dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici, nonché, senza fissazione dei criteri direttivi, a
ridefinire quei confini quanto alle controversie relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi in
materia di servizi pubblici, ivi compreso quello farmaceutico.

4.- Con l’ordinanza n. 394 del 1999 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di
Latina - nel corso di un giudizio instaurato da un soggetto che, dopo aver visto declinare la giurisdizione
da parte del giudice ordinario, aveva impugnato, per violazione di legge, eccesso di potere e travisamento
dei fatti, chiedendone l’annullamento, il provvedimento con cui il direttore dell’Azienda USL di Latina gli
aveva negato la somministrazione gratuita di somatostatina, non rientrando più nei protocolli consentiti la
patologia tumorale dalla quale era affetto - ha sollevato in primo luogo questione di costituzionalità – per
violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione - dell’art. 33, comma 2, lettera f) del
d.lgs. n. 80 del 1998, lamentando che nell’eseguire la delega di cui alla legge n. 59 del 1997, il legislatore
delegato, dopo avere affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tutte le
controversie in materia di servizi pubblici, abbia escluso dal novero di esse i rapporti individuali di utenza
con soggetti privati, senza che nella legge di delegazione – ove la si interpreti nel senso che consentisse la
creazione di una giurisdizione esclusiva – si potesse cogliere simile limitazione.

4.1.- In via subordinata il Tribunale amministrativo regionale ha sollevato, invece, la questione di
costituzionalità dell’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, in relazione agli articoli 76 e 77, primo
comma, della Costituzione, per eccesso di delega e precisamente per essere stata creata la giurisdizione
esclusiva sui servizi pubblici senza che la norma delegante lo consentisse, adducendo che la delega
prevedeva solo che al giudice amministrativo fosse attribuita la cognizione sui diritti patrimoniali
conseguenziali in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici.

4.2.- In via ulteriormente subordinata, il rimettente – per il caso che effettivamente la legge delegante si
dovesse leggere nel senso di consentire la creazione di ipotesi di giurisdizione esclusiva – ha impugnato
direttamente la delega, cioè l’art. 11, comma 4, lettera g): aa) per violazione dell’art. 76 della
Costituzione, in quanto l’oggetto della delega non sarebbe stato definito, non avendo il legislatore
individuato quali servizi pubblici dovevano trasferirsi ed essendo inammissibile una delega <<aperta>>, e
neppure specificato il loro contenuto; bb) per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del
principio di ragionevolezza, in quanto il legislatore delegante, modificando il precedente assetto
normativo, avrebbe reso più incerta la giurisdizione, <<con riflessi negativi sull’applicazione del principio
di uguaglianza dei cittadini nel momento in cui intendono avvalersi>> della tutela giurisdizionale; cc) per
conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost.

Secondo il rimettente una volta ritenuta l’incostituzionalità della legge delega, resterebbe travolto anche
l’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998.

5. - Con l’ordinanza n. 195 del 2000 - nel corso di un giudizio sull’opposizione proposta dall’ASL n. 8 di
Vibo Valentia avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dal titolare di una farmacia per il rimborso di spese
anticipate per somministrazione di farmaci al pubblico, nell’ambito di un rapporto di convenzionamento -
il Tribunale di Vibo Valentia, sezione distaccata di Tropea, ha sollevato questione di costituzionalità degli
articoli 33, 34 e 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui attribuirebbero al giudice amministrativo la
cognizione delle controversie aventi carattere patrimoniale tra la pubblica amministrazione ed i
farmacisti, <<o comunque gli incaricati di pubblico servizio>>, per violazione degli articoli 3, 103 e 113
della Costituzione.

Sull’eccezione dell’ASL di difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria il rimettente ha
ritenuto che in base agli articoli impugnati – e particolarmente alla menzione dei servizi farmaceutici
contenuta nell’art. 33 – la controversia fra farmacista ed ASL competa al giudice amministrativo.

5.1.- Sulla base di tale convincimento, il rimettente osserva che, avendo la distinzione fra interessi e
diritti dignità costituzionale, una distribuzione della giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice
ordinario imperniata solo sul criterio della materia finirebbe per annullare del tutto la differenza fra le due
situazioni giuridiche, senza che ciò possa ritenersi consentito dall’art. 103 della Costituzione.

Inoltre, nonostante l’assenza in Costituzione di criteri di individuazione della giurisdizione esclusiva, il
legislatore nel prevedere una simile giurisdizione dovrebbe rispettare ogni canone costituzionale che possa
rilevare nella materia di cui trattasi, come la parità di trattamento ed il diritto di difesa e, in ragione della
correlazione di detta giurisdizione a casi particolari, dovrebbe individuare le ragioni costituzionali della
sua scelta.

Nella specie questi principi non sarebbero stati rispettati.

In punto di rilevanza il rimettente osserva che senza la soluzione della censura sollevata non può decidere
sulla questione di giurisdizione.

6.- In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura
dello Stato.

6.1.- Nei giudizi di cui alle ordinanze n. 252, 659 e 704 del 1999 la difesa erariale ha eccepito che la
questione sarebbe inammissibile, in quanto sollevata da giudice carente di giurisdizione al solo fine di
contestare la giurisdizione attribuita ad altro giudice, ed infondata, in quanto la norma dell’art. 11,
comma 4, lettera g) della legge n. 59 del 1997, nel prevedere l’estensione della giurisdizione del giudice
amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, avrebbe
presupposto l’attribuzione nelle materie ivi pure contemplate di una giurisdizione esclusiva al giudice
amministrativo, poiché i suddetti diritti costituivano un limite proprio della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.

6.2.- Nel giudizio di cui all’ordinanza n. 394 del 1999 l’Avvocatura dello Stato ha dedotto: a) che tutte e
tre le questioni gradatamente sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sarebbero
inammissibili, in quanto il rimettente riconosce di non avere potestas iudicandi sotto il profilo della
giurisdizione e, dunque, non potrebbe censurare le norme che, <<a suo stesso avviso, devolvono la
giurisdizione al giudice ordinario>>; b) che la seconda e la terza questione sarebbero comunque irrilevanti,
<<posto che in entrambi i casi verrebbe contestata la giurisdizione del giudice amministrativo medesimo,
già comunque esclusa specificamente per il rapporto dedotto in giudizio>>; c) che le questioni sarebbero in
ogni caso infondate.

6.3.- Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 495 del 1999, la difesa erariale ha contestato la sussistenza
dell’eccesso di delega ed ha dedotto che i diritti patrimoniali conseguenziali costituivano un limite
generale al concetto di giurisdizione esclusiva <<nel quale limite rientravano anche le controversie su
canoni, indennità e corrispettivi>>. La questione relativa alla stessa legge delega sarebbe, d’altro canto,
infondata, posto che il riferimento ai diritti patrimoniali conseguenziali avrebbe soddisfatto l’art. 76.

6.4.- Nella memoria relativa al giudizio n. 195 del 2000 la difesa erariale osserva anzitutto che dal testo
dell’ordinanza di rimessione non risulterebbe che essa sia stata notificata anche alle parti in causa e
sostiene l’irrilevanza e l’infondatezza della questione sollevata.

7.- Nel giudizio di cui all’ordinanza n. 252 si è costituita la parte privata s.r.l. Maurizi Enrici, chiedendo
l’accoglimento della questione di costituzionalità per l’eccesso di delega, nel presupposto – dimostrato
anche dai lavori parlamentari - che la legge delega consentisse solo l’attribuzione al giudice
amministrativo della giurisdizione sui diritti patrimoniali conseguenziali nelle materie indicate (servizi,
edilizia e urbanistica), al fine di unificare avanti a detto giudice il ristoro dei diritti patrimoniali e
l’annullamento dell’atto illegittimo e, quindi, di agevolare i ricorrenti, dispensandoli dall’adire due
giurisdizioni diverse, così come erano costretti a fare per il fatto che nelle materie in questione, anche
laddove esisteva giurisdizione esclusiva i diritti patrimoniali conseguenziali competevano all’autorità
giudiziaria ordinaria ex art. 7 della legge n. 1034 del 1971 (e così – in materia di concessioni di beni o di
servizi – i diritti di pagamento di indennità, canoni ed altri corrispettivi).

                                Considerato in diritto

1. – I giudizi - ponendo questioni identiche o comunque relative alle stesse norme - possono essere riuniti.

2. – L’Avvocatura dello Stato ha eccepito che le questioni di cui alle ordinanze n.252, 394 e 704 sarebbero
inammissibili per irrilevanza, in quanto sollevate da giudici carenti di giurisdizione. L'eccezione è
infondata, perché le questioni investono proprio le norme che, a dire dei rimettenti, sottrarrebbero loro la
giurisdizione.

2.1. - Quanto alle questioni sollevate dalle ordinanze n. 659 e 704, la valutazione del Tribunale di Roma -
secondo cui la carenza di giurisdizione sarebbe emendabile solo con la pronuncia di incostituzionalità - non
è inficiata da un sopravvenuto orientamento della giurisprudenza di legittimità, che potrebbe condurre
all’affermazione della giurisdizione ordinaria, non potendo ravvisarsi al riguardo un diritto vivente.

2.2. - Circa l’ordinanza n. 394 l’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità, per irrilevanza, della
seconda e della terza questione sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

L’eccezione è fondata. Il rimettente ha anzitutto impugnato l’art.33, comma 2, lettera f), del decreto
legislativo n.80 del 1998, che, eccettuando dalla giurisdizione esclusiva sui pubblici servizi i <<rapporti
individuali di utenza con soggetti privati>>, lo renderebbe privo di giurisdizione. Le altre due questioni -
sull’art.33, comma 1, dello stesso decreto e sull’art.11, comma 4, lettera g), della legge di delega n.59 del
1997 - sono manifestamente inammissibili, per irrilevanza, perché proposte subordinatamente al rigetto
della prima, da cui deriverebbe appunto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

2.3. - Sono manifestamente inammissibili per irrilevanza anche le questioni sollevate dall’ordinanza n. 195
sugli artt. 34 e 35 del decreto n.80 del 1998: il giudizio a quo non concerne la materia di cui all’art. 34, né
ha ad oggetto pretese considerate dall’art.35.

3. - Si deve preliminarmente esaminare la questione relativa all'art. 11, comma 4, lettera g), seconda
parte, della legge n. 59 del 1997, che secondo l'ordinanza n. 495 avrebbe violato l’art. 76 della
Costituzione, delegando il Governo a ridefinire i confini fra giurisdizione ordinaria ed amministrativa nella
materia dei servizi pubblici, senza predeterminazione dell’oggetto e senza fissazione dei criteri direttivi.

La questione non è fondata.

La legge si inserisce in un ampio disegno di riforma della pubblica amministrazione, con importanti
ricadute sul riparto della giurisdizione, che ha iniziato a delinearsi con la legge 23 ottobre 1992, n.421
(Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico
impiego, di previdenza e di finanza territoriale), seguita dal decreto legislativo delegato 3 febbraio 1993,
n. 29. Per la piena attuazione della riforma, la legge 15 marzo 1997, n.59, ha previsto all’art.11, comma
4, l’emanazione di ulteriori disposizioni integrative e correttive, in conformità (fra l’altro) ad una serie di
princìpi e criteri analiticamente indicati.

Fra essi l’art. 11, alla lettera g) del comma citato, contemplava la devoluzione al giudice ordinario delle
controversie sui rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e <<infine, la
contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto
diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia
edilizia, urbanistica e di servizi pubblici>>.

3.1. - La valutazione di conformità di una legge di delega all’art. 76 della Costituzione – secondo cui
<<l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di
princìpi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato ed oggetti definiti>> - non può prescindere dalle
finalità ispiratrici della delega e dal suo complessivo contenuto normativo. L’esigenza della
determinazione di princìpi e criteri direttivi e della definizione dell’oggetto della delega è tanto più
pressante quanto meno delimitato e specifico è il compito affidato al legislatore delegato.

D’altro canto anche per le leggi di delega vale il fondamentale canone per cui deve essere preferita
l’interpretazione che le ponga al riparo da sospetti di incostituzionalità.

3.2. – Dai lavori parlamentari – il ricorso ai quali può essere rilevante per accertare le finalità perseguite
dalla legge di delega e la portata dei princìpi e dei criteri da essa enunciati – risultano sicuramente due
indicazioni.

In primo luogo il legislatore delegante intendeva rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei
confronti della pubblica amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo – nell’esercizio
della giurisdizione, sia di legittimità che esclusiva, di cui era già titolare in materia di edilizia, urbanistica
e servizi pubblici – non solo la fase del controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche (ove
configurabile) quella della riparazione per equivalente, ossia il risarcimento del danno, evitando per esso
la necessità di instaurare un successivo e separato giudizio innanzi al giudice ordinario.

In secondo luogo la delega intendeva perseguire tale risultato senza ampliare nelle suddette tre materie
l’ambito delle esistenti giurisdizioni esclusive. Per due volte infatti fu formulata la proposta di delegare il
Governo a trasferire le tre materie in questione alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ed entrambe
le volte essa non ebbe seguito, onde fu approvato definitivamente un testo che di giurisdizione esclusiva
non parla.

3.3. – L’Avvocatura dello Stato afferma tuttavia che la legge n. 59 del 1997, prevedendo nelle citate tre
materie l’attribuzione delle controversie relative ai <<diritti patrimoniali conseguenziali>> al giudice
amministrativo, mirava implicitamente ma necessariamente a devolvere quelle materie alla sua
giurisdizione esclusiva: la categoria enunciata sarebbe infatti così strutturalmente legata alla giurisdizione
esclusiva, da non essere configurabile senza di essa.

L’argomento non è fondato.

E’ certamente vero che, quando emersero come concetto normativo, i <<diritti patrimoniali conseguenziali
alla pronunzia di legittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre>> - così l’art. 9 del r.d. 30
dicembre 1923, n.2840 (Modificazioni all’ordinamento del Consiglio di Stato e della giunta provinciale
amministrativa in sede giurisdizionale), il cui testo fu poi trasfuso nell’art.30 del r.d.26 giugno 1924,
n.1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e sostanzialmente riprodotto
dall’art.7 della legge 6 dicembre 1971, n.1034, sui tribunali amministrativi regionali - fungevano da limite
esterno alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo la loro cognizione riservata al
giudice ordinario.

Ma, affermatasi la configurazione della giurisdizione esclusiva quale giurisdizione sul rapporto, tali diritti
(come rivela l’analisi della giurisprudenza) hanno finito per identificarsi con le pretese risarcitorie legate
al rapporto da un nesso di mera occasionalità, e quindi per presentare contenuti sostanzialmente non
dissimili dalle pretese miranti al risarcimento del danno da attività amministrativa soggetta alla
giurisdizione generale di legittimità. Infatti – a parte le implicazioni della recente evoluzione della
giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di <<danno ingiusto>> - la risarcibilità del danno
ricollegabile all’adozione di un atto amministrativo, considerato illegittimo in sede di giurisdizione di
legittimità, integrante gli estremi dell’illecito civile, era già ammessa, ad esempio nel caso del cosiddetto
<<affievolimento>> del diritto soggettivo seguìto dalla successiva riespansione.

Di siffatto percorso evolutivo il legislatore delegante del 1997 ha evidentemente tenuto conto quando –
recuperando la nozione di <<diritti patrimoniali conseguenziali>>, per estendere ad essi la giurisdizione
esercitata dal giudice amministrativo nelle materie in questione – vi ha esplicitamente compreso il diritto
al risarcimento del danno, così confermando che finalità della delega era l'attribuzione al giudice
amministrativo – nei limiti in cui già conosceva di quelle materie – della giurisdizione anche per la
conseguenziale tutela risarcitoria, prima riservata al giudice ordinario.

Ove invece il legislatore delegante avesse voluto istituire nuove giurisdizioni esclusive, avrebbe dovuto –
per rispettare l’art.76 della Costituzione - definire i limiti della <<materia edilizia, urbanistica e di servizi
pubblici>>, non contemplata normativamente e quindi formalmente non identificata, ed assegnare al
Governo princìpi e criteri direttivi per procedere a tale individuazione.

3.4. – Si deve quindi conclusivamente ritenere che l’<<estensione>> della giurisdizione amministrativa
esistente, tanto di legittimità che esclusiva, era il compito assegnato al legislatore delegato; i <<diritti
patrimoniali conseguenziali>>, in essi compreso il risarcimento del danno, erano l’oggetto
(normativamente individuato) di tale estensione; e le tre materie dell’edilizia, urbanistica e servizi
pubblici si ponevano come l’ambito all’interno del quale la giurisdizione amministrativa doveva essere
estesa.

3.5. – Pertanto nella legge di delega n.59 del 1997 il compito affidato al legislatore delegato si presentava
sufficientemente determinato, al punto da non esigere ulteriori precisazioni di dettaglio.

Ne consegue l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.11, comma 4, lettera g),
seconda parte, della legge n.59 del 1997, proposta dall’ordinanza n. 495 in riferimento all’art. 76 della
Costituzione.

4. – Le ordinanze nn. 252, 659 e 704 propongono nei medesimi termini la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 33 del decreto n. 80 del 1998, sotto il profilo dell’eccesso rispetto alla legge di
delega (art. 11, comma 4, lett. g), della legge n. 59 del 1997): la norma censurata, devolvendo alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l’intera materia dei pubblici servizi, avrebbe violato gli
artt. 76 e 77 della Costituzione, poiché la legge di delega non lo consentiva, prevedendo solamente
l’estensione, nella stessa materia, della giurisdizione amministrativa alle controversie sui diritti
patrimoniali conseguenziali, compreso il risarcimento del danno.

L’ordinanza n. 495 denunzia, invece, l’art. 33 sotto lo specifico profilo che esso, attribuendo alla
giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie sui pubblici servizi, non riserva al giudice ordinario
quelle <<concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi>> in materia di concessioni di servizi; ed
estende la censura anche al comma 2, lettera f), ed al comma 3 dello stesso art.33, applicativi del
principio.

5. – La questione posta dalle ordinanze nn. 252, 659 e 704 è fondata.

L’art. 33 ha previsto nel comma 1 che <<sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti al credito,
alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481>> ed ha nel comma 2 formulato
un’elencazione non tassativa di tali controversie.

Poiché l’art. 11, comma 4, lett. g), della legge n.59 del 1997 – in base alle considerazioni svolte in
precedenza – non consentiva l’ampliamento della giurisdizione esclusiva all’intero ambito della materia dei
servizi pubblici, l’eccesso di delega denunciato dai rimettenti, con conseguente violazione degli articoli 76
e 77, primo comma, della Costituzione, è palese.

Pertanto l’art. 33, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998 deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, eccedendo i limiti della delega, ha devoluto alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta la materia dei pubblici servizi, e non si è limitato
ad estendere la giurisdizione amministrativa – nei limiti in cui essa, in base alla disciplina vigente, già
conosceva di quella materia, sia a titolo di legittimità che in via esclusiva - alle controversie concernenti i
diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale coinvolge anche il comma 2 dell’art. 33, che ha specificato,
in via esemplificativa, il contenuto dell’ampliato ambito della giurisdizione esclusiva.

5.1. - La declaratoria di incostituzionalità comporta l’assorbimento della questione proposta dall’ordinanza
n. 495 in ordine ai commi 1 e 2, lettera f), dell’art. 33, sotto il più limitato profilo prima ricordato.

5.2. - In accoglimento della censura espressamente proposta dalla medesima ordinanza n. 495, va invece
dichiarato illegittimo il comma 3 dell'art. 33, il quale – modificando l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 -
comportava (conformemente alla previsione di una giurisdizione esclusiva su tutta la materia dei servizi
pubblici) l'effetto di sottrarre le concessioni di servizi, già oggetto di giurisdizione esclusiva,
all'applicazione del secondo comma del medesimo art. 5, che faceva <<salva la giurisdizione dell'autorità
giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi>>.

Infatti la devoluzione di tali controversie alla giurisdizione esclusiva sulle concessioni di servizi eccede i
limiti della delega come sopra ricostruiti, trattandosi di controversie inerenti a pretese direttamente
nascenti dal rapporto di concessione e quindi non riconducibili alla nozione di diritti patrimoniali
conseguenziali, quale risultante dalla ricordata evoluzione.

5.3. – La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 33, nei termini appena precisati, facendo venir meno
l’estensione della giurisdizione esclusiva all’intera materia dei pubblici servizi, assorbe la censura rivolta
allo stesso art. 33, comma 2, lettera f), dall’ordinanza n. 394, sotto il profilo della mancata
ricomprensione nella giurisdizione esclusiva dei <<rapporti individuali di utenza con soggetti privati>>,
nonché quella sollevata dall’ordinanza n. 195, in ordine all’intero art. 33, con riferimento agli articoli 3,
103 e 113 della Costituzione.

5.4. - La dichiarazione di illegittimità costituzionale comporta effetti sull’art. 35, determinando la
necessità di adeguarne in via interpretativa il contenuto, ed in particolare di limitare la portata dei
richiami fatti nei commi 1, 2, 3 e 5 di tale norma alla sola parte residua dell'art. 33.

5.5. - L’ordinanza n. 495 dubita poi dell’incostituzionalità dell’art. 35, comma 4, del decreto n. 80 del
1998, nella sola parte in cui, a seguito dell’istituzione della giurisdizione esclusiva in materia di pubblici
servizi, non avrebbe riservato all’autorità giudiziaria ordinaria le controversie su canoni, indennità e
corrispettivi per le concessioni di servizi.

La questione è infondata, poiché il suo presupposto è stato eliminato dalla dichiarazione di illegittimità
dell’art. 33.

6. - Nella formulazione sopra indicata (retro, § 5), la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art.33
vale a ricondurre la norma delegata nei limiti posti dalla legge di delega.

Spetta al legislatore ogni ulteriore valutazione sull’opportunità di conferire al Governo una nuova delega, o
anche di intervenire direttamente, nella prospettiva del compimento – in modo conforme a Costituzione -
del disegno riformatore cui la legge n.59 del 1997 si riferiva.

                                 per questi motivi

                             LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n.80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni
pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in
attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.59), nella parte in cui istituisce una
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad
estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto
diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno;

b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, commi 2 e 3, del decreto legislativo 31 marzo
1998, n.80;

c) dichiara non fondata la questione di costituzionalità dell’articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 31
marzo 1998, n.80, sollevata, in riferimento all’articolo 77 della Costituzione, dal Giudice di pace di
Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 11, comma 4, lettera g),
della legge 15 marzo 1997, n.59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni
ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa),
sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Palermo, con l’ordinanza
indicata in epigrafe;

e) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 33,
comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 e dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo
1997, n.59, sollevate, in riferimento, rispettivamente, agli articoli 76 e 77, primo comma, della
Costituzione ed agli articoli 3, 24, 76 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, sezione di Latina, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

f) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 34 e 35
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 103 e 113 della
Costituzione, dal Tribunale di Vibo Valentia, sezione di Tropea, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta l'11 luglio 2000.

F:to:

Cesare MIRABELLI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in cancelleria il 17 luglio 2000.
 

© Diritto - Concorsi & Professioni - riproduzione vietata