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Tar Lombardia – Milano, sez. II, sent. 3 maggio 2000 al n.3138, in materia di opzione per l’esercizio della libera professione extramuraria in mancanza della definizione delle modalità per le prenotazioni, della tenuta delle liste d’attesa e le turnazioni del personale e della precisazione delle modalità di utilizzo delle strutture per l’esercizio dell’attività libero professionale REPUBBLICA ITALIANA
contro per l'annullamento -della deliberazione n.491 del 25 giugno 1998 di adozione del regolamento concernente lo svolgimento dell’attività libero professionale; -di tutti gli atti allegati e connessi, compresi anche il regolamento per l’erogazione delle prestazioni ambulatoriali e gli allegati alla delibera n.491/98 con ipotesi di tariffario; visto il ricorso con i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio dell’azienda ospedaliera; viste le memorie difensive delle parti; visti i motivi aggiunti di impugnazione; uditi alla pubblica udienza del 27/10/99, relatore il cons. D.Giordano, gli avv.ti Pascale, per i ricorrenti e Putignano, in delega, per l’azienda ospedaliera; visti gli atti tutti della causa; ritenuto quanto segue in: L’azienda intimata si è costituita in giudizio, controdeducendo. Il ricorso è stato integrato con motivi aggiunti di impugnazione. 2) Il ricorso si dirige avverso gli atti con i quali l’azienda ospedaliera ha predisposto e attivato le misure organizzative per l’esercizio della libera professione intramuraria ed ha quindi imposto ai dipendenti interessati, ai sensi dell’art.1 comma 11 l.n.662/96, di esercitare l’opzione per l’attività libero professionale interna o esterna. I ricorrenti, tutti dirigenti medici che hanno manifestato l’opzione per l’attività libero professionale extramuraria (ma con riserva per l’esito del giudizio), sostengono che, con le misure adottate, l’azienda non ha adempiuto agli obblighi richiesti dalla legge per l’avvio effettivo del nuovo regime; in ragione di ciò non sarebbe garantita la possibilità concreta di svolgere la libera professione interna e difetterebbero i presupposti idonei a consentire una scelta meditata. In tali condizioni, l’azienda non potrebbe pretendere l’opzione, il cui esercizio espone gli interessati alle conseguenze negative, in termini di penalizzazioni retributive e di carriera ovvero di perdita della clientela privata, derivanti alternativamente dall’esercizio della facoltà di scelta per l’una o l’altra attività. La tesi di fondo che ispira il ricorso si muove nella direzione di ritenere esigibile l’esercizio dell’opzione, solo in presenza di “strutture adeguate già pronte e funzionanti” per l’esercizio della libera professione intramuraria. Ciò posto, occorre domandarsi se al dovere del direttore generale di predisporre le misure necessarie e di attivare le modalità organizzative per l’esercizio della libera professione interna corrisponda, in capo al personale interessato, una posizione giuridica meritevole di tutela; più precisamente, occorre cioè valutare i confini entro i quali è suscettibile di protezione la pretesa a che gli spazi riservati alla libera professione siano “adeguati”, ovvero, secondo quanto affermato dai ricorrenti, “consoni, dignitosi, decorosi sia per i professionisti liberi sia per i clienti paganti in proprio”. 3) Il quadro normativo di riferimento è dato dall’art.4, decimo comma, del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n.502, recante disposizioni per il riordino della disciplina in materia sanitaria, il quale prevede che i direttori generali delle aziende ospedaliere debbano reperire “spazi adeguati”, da riservare all’esercizio della libera professione intramuraria, presso la struttura aziendale o, in caso di documentata impossibilità, presso sedi convenzionate, nonché destinare alla creazione di stanze a pagamento una quota, non inferiore al 5% e non superiore al 10% dei posti letto esistenti. In base all’art.11, commi decimo e undicesimo, della l.n.662/96, la pianificazione e l’attivazione di detti adempimenti, rendendo concretamente possibile l’esercizio della libera professione intramuraria e consentendo ai dipendenti interessati di compiere una scelta consapevole, costituisce presupposto per l’insorgere dell’obbligo di opzione tra le due attività. In seguito, con l’art.4 d.l. n.175/97, conv. in l.272/97, è stato affidato al Ministro della sanità il compito di emanare le linee guida per l’organizzazione dell’attività libero professionale intramuraria, che sono state precisate con D.M. 31 luglio 1997 (in G.U. n.181 del 5 agosto 1997). Quest’ultimo testo normativo stabilisce i criteri cui devono conformarsi gli atti regolamentari che, in materia, devono essere adottati dai direttori generali delle aziende ospeda-liere per definire le modalità organizzative dell’attività libero professionale del personale medico in regime ambulatoriale e di ricovero. 4) La normativa vigente all’epoca di adozione dei provvedimenti impugnati prevede, quindi, una complessa fase di pianificazione e organizzativa mirata a consentire al personale della dirigenza del ruolo sanitario il pieno esercizio della libera professione intramuraria; a tal fine la legge ha sancito il dovere funzionale del direttore generale di assumere tutte le iniziative necessarie a reperire spazi idonei per l’esercizio dell’attività libero professionale in regime ambulatoriale e di ricovero, principalmente all’interno delle strutture aziendali, ovvero, in caso di accertata indisponibilità di queste, a reperire spazi sostitutivi anche presso strutture sanitarie non accreditate e presso studi professionali privati. La disciplina, che si aggiunge alle misure predisposte per incentivare il personale chiamato ad esprimere l’opzione, mostra una decisa preferenza per l’attività intramuraria, in piena coerenza con il principio dell’unicità del rapporto di lavoro con il servizio sanitario nazionale, che già l’art.4 l.n.412/91 aveva configurato quale passaggio necessario a restituire la massima efficienza ed operatività alla rete sanitaria pubblica. Ciò nella convinzione che le prestazioni rese in regime libero professionale intramurario accrescano la capacità di offerta del servizio pubblico e valgano, al contempo, ad assicurare maggiori entrate e a realizzare economie di gestione (cfr. Corte cost. n.330/99). Per questa ragione, l’art.4, comma dieci, d.lgs. n.502/92 stabilisce che i direttori generali delle aziende ospedaliere e sanitarie sono direttamente responsabili dell’attuazione delle misure organizzative necessarie e, in base all’art.1 comma 16 l.n.662/96, sono poi chiamati a risponderne in sede di verifica dei risultati amministrativi e di gestione. La successiva evoluzione legislativa ha poi precisato che la mancata attuazione degli interventi necessari al pieno sviluppo dell’attività intramuraria, costituisce causa ostativa al rinnovo dell’incarico di direttore generale e, nei casi più gravi, ragione di immediata revoca dell’incarico medesimo (art.72, comma11, l.n.448/98); se ne deduce che la mancata adozione delle misure organizzative non esclude l’obbligo di opzione, ma costituisce soltanto elemento valutabile a carico del direttore generale. In maniera ancora più radicale, l’art.15 quater del d.lgs. n.229/99 ha imposto ai dirigenti del ruolo sanitario di rendere l’opzione indipendentemente dall’esistenza o dall’attiva-zione di strutture per l’esercizio della libera professione intramuraria. Come ricordato, nel precedente assetto normativo, invece, i dirigenti medesimi. erano tenuti a comunicare l’opzione soltanto se “in servizio presso strutture nelle quali l’attività libero professionale intramuraria risulti organizzata e attivata” (art.1, comma dieci, l.n.662/96). La disciplina in vigore all’epoca dei fatti connette(va) quindi l’obbligo di opzione alla circostanza che l’attività libero professionale sia organizzata e attivata secondo le modalità indicate, anche in via transitoria, dall’art.4, comma 10, d.lgs. n.502/92, che impone alle aziende sanitarie di rendere disponibili strutture adeguate per l’esercizio dell’attività intramuraria. 5) Alla luce delle disposizioni da ultimo considerate, la presenza di modalità organizzative idonee a consentire l’esercizio della libera professione interna costituisce condizione sufficiente a configurare l’obbligo di rendere l’opzione. Come ha giustamente osservato la difesa resistente, la valutazione dell’adeguatezza delle misure predisposte dall’azienda può operarsi non alla stregua di parametri soggettivi, ovvero in termini di maggiore o minore comfort delle strutture allestite, ma esclusivamente in relazione ai criteri fissati in fonti normative, ossia in funzione dell’oggettiva idoneità delle misure approntate a consentire il concreto esercizio dell’attività libero professionale interna. Ne deriva che le aziende ospedaliere e sanitarie devono progettare e attivare il modello organizzativo del quale il personale medico potrà avvalersi per l’esercizio della libera professione interna; l’esecuzione di tale adempimento pone gli interessati in condizione di conoscere le modalità organizzative che sono state predisposte in funzione dell’attività interna e consente loro di optare per l’una o l’altra attività, alla luce di tutti gli elementi di valutazione che concorrono a determinare la scelta individuale che, fermo l’obbligo di opzione, potrà eventualmente indirizzarsi verso l’attività libero professionale esterna, qualora gli interventi predisposti dall’azienda, benché conformi ai parametri normativi, siano tuttavia in base ad un libero apprezzamento personale giudicati inidonei a consentire un proficuo esercizio dell’attività intramuraria. 6) Qui giunti, e così delimitato l’ambito entro il quale i ricorrenti sono legittimati a contestare le misure che sono state attivate dall’azienda con il regolamento impugnato, può procedersi all’esame delle censure esposte nel ricorso. 6.1) All’esercizio dell’attività libero professionale in regime di ricovero l’amministrazione ha destinato il secondo piano del fabbricato sede del dipartimento di emergenza, dove ha previsto l’apertura di un reparto solventi a conclusione (stimata per ottobre 1998) delle operazioni di collaudo degli impianti; in tal modo, con l’entrata in funzione di detta struttura, 31 stanze con possibilità di 62 posti letto saranno riservate all’attività libero professionale intramuraria. In attesa dell’avvio del nuovo reparto, sono stati individuati due posti letto per ogni sezione, in camere da degenza a due letti e secondo una distinta lista d’attesa, per l’attività di ricovero in regime libero professionale. Le misure non rispondono alle aspettative dei ricorrenti, che giudicano generiche le indicazioni fornite dagli atti impugnati e tali da non offrire concrete garanzie circa la possibilità effettiva di svolgere la libera professione. Il punto è che, al di là delle pur comprensibili esitazioni degli interessati, l’amministrazione è tenuta ad assicurare la disponibilità dei posti letto per la programmazione dell’attività libero professionale, unicamente entro i limiti fissati dall’art.4, comma dieci, l.n.502/92 e nella specie non è controverso che il numero dei posti letto destinati all’attività in regime di ricovero corrisponda alla misura indicata dalla legge. Inoltre, la soluzione predisposta dall’azienda, anche per il regime transitorio, è pienamente conforme alle prescrizioni dettate nelle linee guida ministeriali, le quali prevedono che il regolamento debba individuare posti letto, di norma ma non necessariamente distinti, per l’esercizio dell’attività in questione (cfr. art.1 D.M. 31/7/97). Nella prospettiva di assicurare il pieno impiego della struttura sanitaria pubblica per realizzare quelle economie di gestione che costituiscono uno dei motivi ispiratori del sistema, non può dubitarsi che, per l’esercizio dell’attività libero professionale in regime di ricovero, non sia necessaria la “creazione di nuove strutture” e che i relativi posti letto possano essere reperiti anche all’interno della dotazione esistente e persino conservare la possibilità di impiego per la normale attività istituzionale. In tal senso depone la previsione contenuta nell’art.1, 16° comma, l.n.662/96, laddove si stabilisce che i posti letto riservati alla libera attività intramuraria concorrono alla formazione dello standard di dotazione media di cui all’art.2, quinto comma, l.n.549/95, nonché, in maniera ancora più esplicita, la previsione contenuta all’art.2 secondo comma del D.M. 31/7/97, che autorizza l’impiego dei predetti posti letto per l’attività ordinaria. 6.2) A considerazioni analoghe si presta anche la censura diretta a lamentare l’insufficienza degli spazi destinati alla libera attività ambulatoriale. Con essa i ricorrenti sostengono che l’amministrazione si è limitata a confermare gli ambulatori già utilizzati per l’attività professionale interna senza considerare le esigenze, in termini di spazi idonei e adeguati, di tutti gli altri medici che possono optare. La genericità della censura appare disarmante, a fronte della pianificazione dell’attività ambulatoriale predisposta dall’azienda e risultante dall’allegato B alla deliberazione impugnata. In tale prospetto sono state indicate le ore giornaliere di disponibilità degli ambulatori per l’esercizio dell’attività libero professionale interna, non senza precisare che, in presenza di una maggiore domanda di prestazioni, si sarebbe assicurata una più ampia possibilità di impiego degli ambulatori e delle sale visita; si tratta di un modulo organizzativo coerente alle ripetute linee guida e che comunque offre concrete indicazioni agli interessati. Nessun attendibile elemento di giudizio è stato invece offerto dai ricorrenti per dimostrare la fondatezza del proprio assunto e per evidenziare l’asserita insufficienza delle disponibilità temporali e spaziali offerte dall’azienda. Il che è sufficiente ad escludere la possibilità di apprezzare la censura. 6.3) In tutto quanto precede risiede l’infondatezza dei rilievi, variamente diffusi nel ricorso e nei motivi aggiunti, con i quali i ricorrenti hanno asserito l’inidoneità degli interventi predisposti dall’azienda a costituire valido presupposto dell’obbligo di rendere l’opzione. 7) Restano da esaminare le residue censure esposte nel ricorso. Nel primo motivo si assume che gli atti impugnati sono meramente riproduttivi di precedenti provvedimenti già sospesi con ordinanza assunta in sede cautelare nel corso di altri giudizi, il che concreterebbe l’illegittimità dei nuovi provvedimenti per invalidità derivata da quelli ad essi presupposti. Per rilevare l’infondatezza della censura è sufficiente considerare che l’ordinanza cautelare emessa dal giudice amministrativo non esclude l’esercizio del potere dell’amministrazione di provvedere con un nuovo atto in materia, purché detto potere non venga esercitato al fine di eludere la pronuncia cautelare. Nella situazione in esame, si deve escludere che, con l’adozione del nuovo atto, l’amministrazione abbia inteso perseguire finalità elusive; ed infatti, il regolamento approvato con la deliberazione impugnata, anche se in parte conforme al precedente provvedimento sospeso, è stato adottato in esito ad un rinnovato procedimento istruttorio e in accoglimento delle modifiche formulate da un’apposita commissione paritetica; esso è, inoltre, intervenuto per dare applicazione, in un mutato quadro normativo e organizzativo, alle linee guida per l’organizzazione dell’attività libero professionale intramuraria approvate con il D.M. 31 luglio1997. La circostanza che il regolamento impugnato sia stato adottato in esecuzione di un diverso e sopravvenuto presupposto normativo configura un elemento di novità, da solo sufficiente ad escludere la possibilità di prospettare l’illegittimità dell’atto per invalidità derivata. 8) Nel secondo motivo si sostiene che il regolamento ha determinato e imposto unilateralmente le tariffe per le prestazioni libero professionali, senza procedere d’intesa con i dirigenti interessati e in assenza di previa contrat-tazione decentrata. La censura soffre di un evidente errore di prospettiva. L’art.1, secondo comma lett.e), del D.M. 31 luglio 1997 prevede che il regolamento di organizzazione dell’attività debba stabilire i criteri per la determinazione delle tariffe e le modalità della loro ripartizione; al fine di rispondere a tale adempimento e per dare concreto avvio all’attività intramoenia, l’azienda ha adottato, in via transitoria e sperimentale, l’ipotesi di tariffario allegata alla deliberazione impugnata. Come risulta tuttavia dall’art.5 del regolamento, la concreta entità delle tariffe per le prestazioni professionali deve essere concordata con il professionista o con i componenti dell’unità operativa che ha reso le prestazioni medesime; ne deriva che al tariffario può riconoscersi valore non cogente, ma soltanto indicativo, per cui esso è privo di contenuti lesivi delle posizioni soggettive degli interessati. Ciò a maggior ragione qualora si consideri che i ricorrenti, che hanno optato per l’esercizio dell’attività extramuraria, non possono vantare alcun concreto interesse a censurare le modalità di determinazione e di applicazione delle tariffe per le prestazioni rese da loro colleghi che hanno optato per il regime libero professionale intramurario. 9) Con altro mezzo di censura i ricorrenti sostengono l’illegittimità degli atti impugnati, in quanto assunti oltre il termine del 30 giugno 1997 fissato nell’art.1 del D.M. 11 giugno 1997. La doglianza, che deriva dal richiamo a motivi esposti in precedenti ricorsi, è inconferente. Con la deliberazione impugnata è stato approvato il regolamento previsto dall’art.1 del D.M. 31 luglio 1997; con detto testo normativo, come già precisato, sono state definite le linee guida per l’organizzazione dell’attività libero professionale intramuraria alle quali si è conformato l’atto regolamentare. A questo è quindi inapplicabile il termine invocato dai ricorrenti e ciò anche a prescindere dal rilievo che la violazione di esso non comporta l’invalidità degli atti assunti oltre la scadenza ivi indicata, ma costituisce unicamente elemento di valutazione in termini critici dell’attività del direttore generale. 10) Nel primo motivo aggiunto si sostiene che il regolamento adottato dall’azienda non contiene indicazioni in ordine al numero dei dipendenti che possono operare in regime libero professionale, come richiesto dall’art.1 secondo comma lett.c), del D.M. 31/7/97. La censura è infondata. L’esercizio della libera professione intramuraria costituisce un diritto del dirigente sanitario, che può essere soggetto a limitazioni per esigenze organizzative e di espletamento delle ordinarie funzioni istituzionali; per questa ragione il decreto ministeriale ha stabilito che il regolamento aziendale debba precisare, a fronte degli spazi e dei posti letto individuati, il numero dei dipendenti che possono operare in quel particolare regime. Il fatto che il decreto ministeriale richieda che sia predeterminato il numero massimo dei medici ammessi a svolgere attività libero professionale nelle strutture allestite dall’azienda sta a significare che eventuali limitazioni all’esercizio della libera attività professionale interna possono discendere unicamente dall’atto regolamentare che ha fissato l’assetto organizzativo generale del servizio libero professionale intramurario; si deve quindi ritenere che la mancata indicazione nel regolamento del numero degli operatori che è possibile ammettere all’esercizio dell’attività libero professionale interna non possa avere altra conseguenza che quella di rendere illegittime postume restrizioni. Da ciò l’ulteriore conseguenza che l’omissione, di cui si dolgono i ricorrenti, vale, in realtà, a riconoscere a tutti i dipendenti interessati la facoltà di esercitare l’attività interna, il che manifesta la palese strumentalità della censura che non è promossa per evitare pregiudizi alla posizione soggettiva dei ricorrenti, che da tale omissione non subiscono alcuna lesione, ma al fine esclusivo di sorreggere il tentativo di sottrarsi all’obbligo di rendere l’opzione. Per rilevare l’infondatezza dell’ulteriore profilo dedotto nel motivo e inerente alla mancata concertazione con le organizzazioni sindacali, il Collegio osserva che, come risulta dalle premesse del provvedimento, l’azienda ha operato ampie consultazioni con gli organismi rappresentativi del personale medico, acquisendo i relativi pareri favorevoli ed ha espressamente replicato, come prescritto dall’art.1 ultimo comma del D.M. 31/7/97, alle contestazioni delle organizzazioni rimaste invece dissenzienti. 11) Con il secondo motivo aggiunto i ricorrenti sostengono che la prevista futura apertura dello sportello dedicato alla gestione dell’attività libero professionale (per le informazioni, le prenotazioni e i pagamenti) denota l’attuale mancanza di una pur minima organizzazione del servizio. Al riguardo si osserva che l’art.1, secondo comma lett.f, del decreto ministeriale stabilisce che il regolamento di organizzazione del servizio debba definire le modalità per le prenotazioni, la tenuta delle liste d’attesa e le turnazioni del personale e debba altresì precisare le modalità di utilizzo delle strutture per l’esercizio dell’attività libero professionale. Si tratta di aspetti organizzativi di particolare risalto, che sono necessari al concreto svolgimento dell’attività professionale intramuraria, in quanto ne consentono un’ordinata pianificazione e un’attuazione regolata. A detti profili, nonostante la loro indubbia rilevanza, il regolamento impugnato non ha dedicato particolare attenzione, il che concreta un’omissione idonea a determinarne la parziale illegittimità. Ciò implica il dovere del direttore generale dell’azienda di porre in essere tutti gli adem-pimenti necessari per l’integrazione del regolamento nelle parti che il Collegio ha riconosciuto carenti, al fine di approntare le suindicate condizioni organizzative. Trattandosi, infatti, di modalità necessarie a garantire la piena operatività del nuovo regime, la loro mancanza è idonea ad escludere l’obbligo di rendere la comunicazione prevista dall’art.1, 10° comma, l.n.662/96; ne deriva che l’opzione espressa dai ricorrenti in osservanza della nota 13 luglio 1998 deve ritenersi priva di effetti, fermi comunque gli obblighi derivanti dalla normativa sopravvenuta (art.15 quater l.n.229/99). 12) Il terzo motivo aggiunto è diretto a censurare la “confusione”, indotta dall’art.8 del regolamento, tra personale medico che può svolgere attività libero professionale e altro personale sanitario (dei ruoli infermieristico e tecnico) che partecipa soltanto all’acquisizione dei proventi. In realtà la norma censurata non genera alcuna confusione tra le diverse categorie di personale, ma si limita a stabilire che le prestazioni dei dirigenti sanitari, che operano in regime libero professionale, nonché quelle del personale appartenente alle altre categorie, che collabora per assicurare l’esercizio dell’attività medesima, devono essere tutte rese al di fuori del normale orario di servizio. Si tratta, quindi, di una prescrizione, che è stata correttamente estesa anche al personale non medico ammesso a collaborare all’attività libero professionale, al fine di fissare regole di comportamento precise e uniformi, al punto che, in caso contrario, i ricorrenti ne avrebbero a buon titolo lamentato la mancanza. 13) Con altro motivo aggiunto i ricorrenti censurano l’art.11 del regolamento, nella parte in cui prevede l’eventuale avvio delle procedure disciplinari a carico del personale impegnato nell’attività intramuraria, in caso di violazione dei relativi doveri o in presenza di segnalazioni di altre negligenze; secondo i ricorrenti l’esercizio del potere disciplinare non è compatibile con l’attività libero professionale. Non è qui il caso di indagare la natura del rapporto che si instaura tra sanitario libero professionista interno e istituzione ospedaliera; ai fini dell’esame della censura basta rilevare che il libero professionista è comunque soggetto al potere disciplinare dell’ordine professionale di appartenenza, per cui la previsione regolamentare, che si limita a prevedere un atto di impulso, non presenta i denunciati profili d’irrazionalità, ciò non senza considerare che la previsione medesima ha un contenuto generale ed astratto e non riveste quindi immediata capacità lesiva. 14) In conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto unicamente nei limiti indicati al punto sub 11), con le conseguenti statuizioni di cui al dispositivo. L’esito complessivo del giudizio giustifica la compensazione delle spese tra le parti. -accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto dichiara priva di effetti l’opzione espressa dai ricorrenti e manda al direttore generale dell’azienda intimata di integrare il regolamento nelle parti indicate in motivazione; -compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano il 27/10/99 in camera di consiglio con l'intervento dei magistrati: Domenico Giordano-pres.est. Carmine Spadavecchia-cons. Riccardo Savoia-cons. |
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