Giurisprudenza - Sanità |
Tar Lombardia – Milano, sez. I, sent. n. 4683 del 3 luglio 2000, sul risarcimento danni in caso di illegittima chiusura di una farmacia REPUBBLICA ITALIANA
Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ASL città di Milano; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Uditi all'udienza del 10.5.2000 (relatore Dott. Rita Cerioni) i procuratori della parte ricorrente e dell'Amministrazione resistente; Ritenuto in fatto e diritto quanto segue: L’azienda sanitaria sostiene, nel provvedimento gravato, che non sussisterebbero i presupposti per l’applicazione della norma regolamentare di cui all’art. 61 del R.D. 30.9.38 n. 1706, in quanto abrogata dalla successiva normativa più favorevole; né vi sarebbe un interesse pubblico all’attivazione, in via provvisoria, della farmacia. Secondo i ricorrenti, invece, l’art. 61 è ancora vigente ed applicabile alla fattispecie, e la ASL, nel disporre la chiusura della farmacia, ha esorbitato dai poteri ad essa attribuiti dalla legge, e non ha considerato che la Regione aveva dichiarato vacante la sede n. 264, dopo la decadenza degli eredi, con la conseguenza che deve ritenersi sussistente un preciso interesse pubblico all’attività di tutte le farmacie previste dalla pianta organica. I danni sono stati rivendicati dai ricorrenti per il periodo dall’8.4.99 (cioè a partire da un mese dopo la presentazione dell’istanza di esercizio provvisorio) al 12.8.99 (cioè fino alla data in cui sono stati autorizzati provvisoriamente), in misura pari ad un terzo del reddito imponibile conseguito dalla farmacia nel corso del 1998, come dichiarato ai fini fiscali. Resiste la ASL, che reputa infondato il ricorso. 2. Ad avviso del Collegio il ricorso è fondato in relazione a tutti i motivi dedotti dalla parte ricorrente. 2.1 Infatti, non vi è alcun contrasto tra l’art. 61 del Regolamento RD 30.9.38 n. 1706, che così recita: “ Nei casi di decadenza di cui alle lettere c), f), g), dell'art. 113 del testo unico delle leggi sanitarie, il Prefetto pronunzia, sentito il Consiglio provinciale di sanità, la decadenza stessa e notifica agli interessati il relativo provvedimento. Nei casi delle lettere c) e h) il Prefetto, qualora la farmacia non debba essere chiusa, autorizza all'esercizio provvisorio il titolare rinunziatario o gli eredi, fino al conferimento della farmacia stessa.” e la successiva normativa, che disciplina l’esercizio provvisorio degli eredi, in pendenza del termine concesso loro per esercitare il diritto di prelazione. Le due norme hanno finalità diverse, e regolano due fasi temporali diverse, non sovrapponibili. L’esercizio provvisorio, in attesa della prelazione o della cessione, ha lo scopo di conservare l’integrità dell’impresa commerciale ereditata, nell’interesse prioritario degli eredi, ai fini del subentro di un soggetto titolato; l’esercizio provvisorio, dopo la decadenza degli eredi, assolve invece la funzione di fornire un servizio pubblico alla comunità, qualora non s’intenda sopprimere in pianta organica la sede farmaceutica, ed in attesa che sia reperito un nuovo titolare. Nella fattispecie, come osservato dai ricorrenti, la ASL si è arrogata il potere di decidere la chiusura della farmacia n.264, malgrado non fosse stata eliminata dalla pianta organica delle farmacie a cura dell’ente regionale, cui spetta la revisione; anzi la Regione, in data 17 maggio 1999, ha dichiarato vacante la sede farmaceutica, con l’evidente finalità di riassegnarla ad altro soggetto abilitato. In attesa di tale evento, l’art. 61 interviene, dunque, per scongiurare l’unica soluzione, altrimenti inevitabile, di chiusura temporanea della farmacia, affidando agli eredi la gestione provvisoria della stessa. Come osservato dal Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza n. 253 del 12.4.86, “il provvedimento di chiusura non può trovare valida giustificazione nella circostanza che gli eredi…..hanno lasciato decorrere inutilmente lo spazio di tempo previsto per il trapasso della titolarità. Tale circostanza determina, come si è visto, la decadenza dall’esercizio provvisorio consentito dall’art. 12 della legge n. 475/68, ma non autorizza a considerare << chiusa>> la farmacia a cui si riferisce il mancato trapasso”. La circostanza che gli eredi di titolare di farmacia abbiano gestito quest'ultima, in via provvisoria, per un anno dal decesso del "de cuius", ai sensi dell'art. 12, ultimo comma, della legge 2 aprile 1968 n. 475, non costituisce ostacolo, di per sé, secondo la citata sentenza del Consiglio di Stato, a che la gestione medesima venga autorizzata agli eredi stessi, a norma dell'art. 61, secondo comma, del R.D. 30 settembre 1938 n. 1706. 2.2 Va osservato, inoltre, che non è condivisibile quanto affermato dalla difesa resistente secondo cui l’art. 61 disciplinerebbe un’ipotesi superata dalla successiva normativa, in particolare dall’art. 7 della legge 362/91. Tale tesi omette di considerare che l’art. 7, attraverso una successione di modifiche, ha sostituito non l’art. 61, ma l’art. 68 del medesimo regolamento, il quale, in riferimento all’art. 369 del T.U.L.S. 1265/34, disciplinava la gestione provvisoria degli eredi in pendenza del termine di prelazione. Dunque, già allora, si potevano distinguere due ipotesi di gestione provvisoria, con due finalità specifiche e diverse. 2.3 Altrettanto infondata è la tesi della resistente che prospetta l’impossibilità di autorizzare gli eredi all’esercizio provvisorio ex art. 61, dopo che sia stato assunto il provvedimento di chiusura. A parte ogni considerazione sulla legittimità di tale ultimo provvedimento, gravato con altro ricorso, il Collegio ritiene che la deliberata chiusura non sia d’ostacolo all’esercizio provvisorio ex art. 61, poichè l’Amministrazione, a fronte della specifica domanda degli interessati, è costretta a rivedere il proprio operato e a verificare la sussistenza delle ragioni che avevano portato alla chiusura, comparandole con gli interessi per i quali è stato emanato l’art. 61. La domanda degli eredi attiva un procedimento autorizzatorio al quale l’Amministrazione non può sottrarsi, e che avrebbe dovuto comportare una nuova valutazione in ordine alla già disposta chiusura. Lo schema legislativo non impone, infatti, una contestualità nell’esame delle due condizioni (necessità della chiusura, da un lato, e domanda per l’esercizio provvisorio, dall’altro, in attesa del conferimento); e qualora la domanda sia pervenuta, come nella fattispecie, in un tempo successivo alla chiusura, la P.A. deve rivalutare la posizione già assunta; tanto più che la chiusura disposta dalla ASL non può che essere quella temporanea di cui all’art.3, lett. f della legge 25.5.83 n.33, e quindi per definizione non definitiva e sempre soggetta a revisione. 3. L’illegittimità del provvedimento impugnato comporta il riconoscimento del diritto dei ricorrenti al risarcimento dei danni. 3.1 A tale proposito il Collegio non può non osservare come la Cassazione sez. unite con sentenza del 22.7.99 n. 500, modificando un orientamento giurisprudenziale consolidato, seppure con riferimento ai poteri del giudice ordinario in materia, abbia statuito, in via generale, la risarcibilità degli interessi legittimi, attribuendo solo ad alcuni di quelli pretensivi rilevanza ai fini del diritto al risarcimento del danno. Secondo la Cassazione merita, infatti, tutela l’interesse legittimo solo “qualora risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poiché è la lesione dell’interesse al bene che rileva ai fini in esame, o ad altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall’ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto).” Tali affermazioni sono state elaborate, indipendentemente dalla novella del 1998, che anche a giudizio della Corte non si è espressa apertamente in favore della risarcibilità degli interessi, limitandosi ad innovare la ripartizione di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo (v. sentenza T.A.R. Lombardia n. 2585/99).. Infatti, il richiamo al danno ingiusto di cui all’art. 35, primo comma, del decreto legislativo 80/98, nell’ambito di una giurisdizione esclusiva, potrebbe intendersi limitato al solo risarcimento del danno derivante da lesione di diritti soggettivi. La svolta interpretativa della Cassazione, dunque, non può lasciare indifferente il giudice amministrativo, che è per definizione il giudice degli interessi. Il Collegio, peraltro, ritiene che al giudice amministrativo non possano applicarsi i criteri di giudizio elaborati dalla Corte per il giudice ordinario, che non conosce della legittimità degli atti amministrativi, se non in via incidentale.. Per il giudice amministrativo, infatti, la statuizione sull’an ed il quantum del danno ingiusto è semplificata rispetto al giudice ordinario, poichè il risarcimento è conseguenza della dichiarata illegittimità dell’atto amministrativo e del suo annullamento; si tenga, altresì, conto che in tema di interessi legittimi non è configurabile una domanda di mero accertamento; ed il ricorso volto alla tutela di interessi di mero fatto sarebbe, in primo luogo, inammissibile. Nel momento in cui il giudice amministrativo annulla l’atto illegittimo per un profilo di violazione di legge o per eccesso di potere, ha già verificato il contrasto tra il comportamento della P.A. ed i principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. La contemporaneità delle domande, ovvero la domanda risarcitoria successiva al giudizio di annullamento, evitano al giudice amministrativo di svolgere le indagini, che la Corte reputa necessarie per il giudice ordinario, al quale siano state rivolte domande risarcitorie diverse da quelle di competenza del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 35. 3.2. Nella fattispecie, in applicazione del principio generale sopra affermato dalla Cassazione, ai ricorrenti va assicurato un risarcimento per il periodo compreso tra l’8 aprile 1999, giorno in cui scadeva il termine di 30 giorni, con riferimento alla legge 241/90, per dare evasione all’istanza dell’8.3.99, ed il 12.8.99, data del provvedimento che ha autorizzato l’esercizio provvisorio. Tali danni vanno quantificati secondo il criterio prospettato dalla parte ricorrente, e cioè prendendo come parametro il reddito imponibile dell’anno precedente, così come dichiarato ai fini fiscali, diviso per 365 giorni e moltiplicato per i giorni intercorrenti tra l’8.4.99 e il 12.8.99, con gli interessi, così come richiesti, dal 1.9.99 al saldo. 4. Il ricorso, in conclusione, deve essere accolto; sussistono tuttavia motivi per compensare tra le parti le spese di lite. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del 10.5.2000, con l'intervento dei signori: - Giovanni Vacirca - Presidente - Rita Cerioni - Magistrato Relatore - Mario Mosconi - Magistrato Il Presidente L'Estensore |
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