Giurisprudenza - Pubblico impiego |
Tar Emilia – Romagna, sez. I, ord. n. 548 del 11 luglio 2001, sull’incostituzionalità della sospensione obbligatoria dal servizio ai sensi dell’art. 4 comma 1 della legge n. 97/2001 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER L’EMILIA-ROMAGNA SEZIONE I composto dai signori: Dott. Giorgio Calderoni Presidente Dott. Lydia Ada Orsola Spiezia Consigliere Dott. Carlo Testori Consigliere rel.est. ha pronunciato la seguente O R D I N A N Z A contro - il Comando Generale della Guardia di Finanza ed il Comando Reparto Tecnico Logistico e Amministrativo Emilia-Romagna della Guardia di Finanza, costituitisi in giudizio in persona dei rispettivi Comandanti in carica, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato in Bologna, presso i cui uffici in via Guido Reni n.4 sono domiciliati; - il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro in carica, non costituitosi in giudizio; per l'annullamento, previa sospensione, - del verbale di notifica del Comandante del Reparto Tecnico Logistico e Amministrativo Emilia-Romagna della Guardia di Finanza recante data 9 aprile 2001 redatto "per far risultare che il sottoscritto Col. T. SFP Umberto Ghiara - Comandante del reparto - notifica al Maresciallo Perillo Maurizio, in forza a questo Comando, che il medesimo deve intendersi sospeso precauzionalmente dall'impiego, a titolo obbligatorio, ai sensi dell'art. 4 della L. 27.03.01 n. 97, a decorrere dal 6 aprile 2001"; - e, contestualmente, del provvedimento del Comandante del Reparto Tecnico Logistico e Amministrativo Emilia-Romagna emesso e notificato in data 3 maggio 2001, con il quale si determina che "il Maresciallo Aiutante Perillo Maurizio……è sospeso precauzionalmente dall'impiego, a titolo obbligatorio, a decorrere dal 06.04.01, ai sensi dell'art. 4 della L. 27.03.01 n. 97”, stabilendo altresì che il Maresciallo Perillo “ha diritto agli assegni stabiliti dall'art. 23 della legge n. 599/1954 a far data dal 09.04.01”. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comando Generale e del Comando Reparto Tecnico Logistico e Amministrativo Emilia-Romagna della Guardia di Finanza; Visti gli atti tutti della causa; Relatore il Cons. Carlo Testori; Uditi nella camera di consiglio del 20 giugno 2001 l’Avv. A. Valenti per il ricorrente e l’Avv. dello Stato L. Mariani; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: Con provvedimento datato 3 maggio 2001 il Comandante del Reparto Tecnico Logistico e Amministrativo Emilia-Romagna della Guardia di Finanza ha disposto, in applicazione dell'art.4 comma 1 della legge 27 marzo 2001 n.97, la sospensione dal servizio del predetto dipendente. Contro tale determinazione il Maresciallo Perillo ha proposto il ricorso in epigrafe, prospettando questioni di legittimità costituzionale della disposizione normativa applicata nel caso di specie. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, insistendo per la reiezione del gravame. Nella camera di consiglio del 20 giugno 2001 è stata trattata l'istanza cautelare presentata unitamente al ricorso, che con separata ordinanza questo Collegio ha provvisoriamente accolto, sospendendo il provvedimento impugnato fino alla pronuncia che la Corte Costituzionale adotterà in ordine alla questione di legittimità costituzionale proposta con la presente ordinanza. Il Collegio, infatti, ritiene che i dubbi di legittimità costituzionale dell'art.4 comma 1 della legge 27 marzo 2001 n.97 sollevati nel ricorso ed integrati con le ulteriori considerazioni di seguito svolte risultano rilevanti ai fini della decisione della causa e non manifestamente infondati, perciò sufficienti per investirne il Giudice delle leggi. In particolare, per quanto attiene alla rilevanza, basta sottolineare che il provvedimento di sospensione dal servizio impugnato trova il suo unico fondamento nella disposizione citata, di cui anzi costituisce puntuale applicazione; perciò un’eventuale declaratoria di incostituzionalità della norma applicata travolgerebbe anche l'atto di cui si controverte in questa sede. L'art.4 comma 1 della legge n. 97/2001 prevede: "Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio". Il precedente art.3 riguarda i dipendenti “di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica” e fa riferimento ai “delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n.1383”. Il Collegio ritiene che sussistano dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale del citato art.4 comma 1 in relazione agli articoli 3 e 27 comma 2 della Costituzione. In proposito si osserva che la sospensione prevista dalla disposizione in esame consegue automaticamente alla condanna non definitiva del dipendente e si configura come misura cautelare, finalizzata all'allontanamento temporaneo dello stesso dal servizio; il legislatore ha in tal modo operato una valutazione ex ante circa l'incompatibilità del mantenimento in servizio di un pubblico dipendente condannato, ancorché in via non definitiva, per determinati reati. È proprio tale valutazione, peraltro, che appare di dubbia compatibilità con i principi di cui ai citati artt.3 e 27 comma 2 Cost. La difesa del ricorrente richiama al riguardo numerose pronunce della Corte Costituzionale relative a disposizioni che avevano introdotto automatismi negativamente incidenti sul rapporto di impiego o sulla possibilità di svolgere attività professionali: si fa riferimento, in particolare, alla sentenza n.239 del 1996 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.110 del D.P.R. 28 gennaio 1988 n.43, che prevedeva l’automatica sospensione dall’impiego e dall’abilitazione degli ufficiali di riscossione dei tributi nei cui confronti fossero pendenti procedimenti penali per determinati reati) ed alla sentenza n.40 del 1990 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.139 n.2 della legge 16 febbraio 1913 n.89 nella parte in cui prevedeva l’inabilitazione de iure del notaio condannato per taluni reati con sentenza non ancora passata in giudicato). In entrambe le decisioni citate la Corte Costituzionale ha esaminato e dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni che prevedevano l’applicazione in via di automatismo di misure cautelari nei confronti di taluni soggetti in relazione a vicende penali non ancora definite. Più specificamente, nella sentenza n.239/96 la Corte ha riconosciuto che la norma allora esaminata contrastava con gli artt.3 e 27 co.2 Cost. affermando: - che “non può negarsi la facoltà del legislatore di contemplare misure cautelari che interdicano l'esercizio di pubblici uffici o servizi o di determinate attività professionali o imprenditoriali da parte di chi sia sottoposto a procedimento penale per reati connessi a dette funzioni o attività o comunque suscettibili di incidere su di esse o sulla posizione del loro titolare”; - che peraltro, “collegandosi la misura non già ad una condanna definitiva, ma alla pendenza del procedimento penale è necessario, per rispettare il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza, che la misura medesima sia disposta in base ad effettive esigenze cautelari, sia congrua e proporzionata rispetto a queste ultime, e comunque non abbia presupposti di tale indeterminata ampiezza, e caratteristiche di tale automatismo, da configurarsi piuttosto come una vera e propria anticipata sanzione in assenza di accertamento di colpevolezza”; - che nella specie, al contrario, si riscontrava “quell'assoluto « automatismo della misura cautelare » (sent. n. 40 del 1990) che confligge con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, in base ai quali dovrebbe in linea generale essere invece « consentito di valutare discrezionalmente, in relazione alla gravità del fatto e delle sue circostanze nonché alla personalità del soggetto agente, l'opportunità di applicare o meno la misura cautelare » (ibidem)”. Anche nel caso in esame si controverte di una misura cautelare applicata automaticamente in conseguenza di una data vicenda penale; e tale automatismo, vincolando l’amministrazione ad una condotta dovuta, rispetto alla quale non possono trovare spazio valutazioni relative ai profili concreti che ogni diversa situazione presenta, induce a dubitare della compatibilità della sospensione dal servizio prevista dall’art.4 co.1 della legge n.97/2001 con i principi di ragionevolezza e proporzionalità ex art.3 Cost. e con la presunzione di non colpevolezza dell'imputato fino alla condanna definitiva, di cui all'art.27 comma 2 Cost. In proposito non va trascurato il fatto che con sentenza n.206 del 1999 la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art.15 comma 4-septies della legge 19 marzo 1990 n.55, come modificato dall’art.1 della legge 18 gennaio 1992 n.16, che prevedeva l’automatica sospensione dalla funzione o dall’ufficio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (anche) nel caso in cui avessero riportato condanna non definitiva per determinati delitti (tra i quali quello ex art.317 c.p. per cui è stato condannato l’odierno ricorrente). In quell’occasione la Corte ha affermato: - che stante la natura cautelare della sospensione de qua il parametro costituito dal principio di presunzione di non colpevolezza dell'imputato fino alla condanna definitiva, di cui all'art. 27 comma 2 della Costituzione, poteva essere chiamato in causa “solo indirettamente, in quanto la misura, per i suoi caratteri di irragionevolezza assoluta o di sproporzione o di eccesso rispetto alla funzione cautelare, dovesse in realtà apparire, non come una cautela ma come una sorta di sanzione anticipata, conseguente alla commissione del reato: essendo criterio costituzionalmente imposto quello secondo cui una misura siffatta, incidendo su diritti, in tanto si giustifica in quanto sia disposta « in base ad effettive esigenze cautelari », sia « congrua e proporzionata rispetto a queste ultime », e non abbia « presupposti di tale indeterminata ampiezza e caratteristiche di tale automatismo » da trasformarsi in una vera e propria sanzione anticipata”; - che nella fattispecie allora esaminata la misura della sospensione corrispondeva all’esigenza cautelare di evitare che l’amministrazione fosse esposta “ad un pregiudizio direttamente derivante dalla permanenza dell'impiegato nell'ufficio”, pregiudizio concernente, in particolare, “la « credibilità » dell'Amministrazione presso il pubblico, cioè il rapporto di fiducia dei cittadini verso l'istituzione, che può rischiare di essere incrinato dall'« ombra » gravante su di essa a causa dell'accusa da cui è colpita una persona attraverso la quale l'istituzione stessa opera”; - che la legittimità di una misura cautelare in rapporto ai parametri costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità ex art.3 Cost. va verificata in base al fatto che la misura stessa risulti “congrua rispetto all'effettività e alla consistenza dell'esigenza cautelare che la fonda, in rapporto alla gravità dell'accusa, al nesso di questa con le funzioni pubbliche svolte dall'impiegato, alla natura delle funzioni medesime, nonché al bilanciamento con l'eventuale interesse dell'Amministrazione a continuare ad avvalersi dell'opera dell'impiegato nonostante la pendenza dell'accusa”; - che una verifica di tal genere compete in via ordinaria alla stessa amministrazione, ma “non si può negare al Legislatore, nell'esercizio di una non irragionevole discrezionalità, la facoltà di identificare ipotesi circoscritte nelle quali l'esigenza cautelare che fonda la sospensione è apprezzata in via generale ed astratta dalla stessa legge……; e parimenti è stabilito in via generale l'ambito di applicazione della misura in relazione ai soggetti e al nesso fra l'accusa e le funzioni pubbliche, ed è apprezzata sempre in via generale l'opportunità di far prevalere l'esigenza cautelare su altri eventuali interessi contrari della stessa Amministrazione”. Nel caso deciso con la sentenza n.206/99 la Corte Costituzionale ha infine concluso nel senso della non fondatezza delle questioni proposte, limitate però alla sola ipotesi di sospensione obbligatoria conseguente al rinvio a giudizio per determinati delitti di criminalità organizzata (art.15 co.4-septies in rapporto alla lett.e) del co.1), ritenendo che il Legislatore avesse legittimamente privilegiato l’esigenza cautelare “di troncare anche visibilmente ogni legame che possa far apparire l'Amministrazione, agli occhi del pubblico, come non immune da tali infiltrazioni criminali”. In quella decisione la Corte non ha dunque affrontato la questione della legittimità costituzionale delle previsioni (art.15 co.4-septies in rapporto alla lett.b) del co.1) relative alla sospensione obbligatoria dei pubblici dipendenti condannati in via non definitiva per determinati delitti contro la p.a.; nè le argomentazioni specificamente riferite al coinvolgimento in procedimenti penali per fatti di criminalità organizzata possono valere per situazioni palesemente diverse. Tanto vale, in particolare, per quanto concerne le situazioni in atto disciplinate dall’art.4 co.1 della legge n.97/2001; rispetto ad esse il Collegio dubita che l’automatica applicazione della misura cautelare della sospensione dal servizio ivi prevista possa trovare legittimazione costituzionale, in rapporto ai principi enunciati dagli artt.3 e 27 co.2. La generalizzata ed aprioristica valutazione di incompatibilità della permanenza in servizio del pubblico dipendente condannato in via non definitiva per un reato di cui all’art.3 della legge n.97/2001 sembra infatti eccessiva, perchè tale da sacrificare irrimediabilmente la posizione dell’interessato, benchè non ancora definitivamente riconosciuto colpevole dei reati ascrittigli, e da precludere ingiustamente ogni possibilità per l’amministrazione di apprezzare i particolari profili che ogni singolo caso concreto presenta (per giungere semmai, in esito tale esame, all’adozione della drastica misura di cui si tratta); e neppure strettamente ed inevitabilmente necessaria a salvaguardare l’amministrazione stessa ed il rapporto di fiducia dei cittadini nell’istituzione, che in concreto potrebbero risultare adeguatamente tutelati attraverso misure cautelari meno gravose e comunque efficaci (quali, ad esempio, l’assegnazione ad altro ufficio o sede). In tali termini la questione va dunque rimessa al vaglio della Corte Costituzionale. Dispone che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.. Così deciso in Bologna il 20 giugno 2001. Presidente F.to Giorgio Calderoni Consigliere rel.est. F.to Carlo Testori Depositata in Segreteria in data 11.07.2001 Bologna, li 11.07.2001 Il Segretario F.to Luciana Berenga |
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