Giurisprudenza - Pubblico impiego

Consiglio di Stato, sez. V, Sentenza n. 2324 del 18 aprile 2001, sulle mansioni superiori nel Comune 

 REPUBBLICA ITALIANA    
       IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  
Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione         
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 8798/1994 proposto

dal COMUNE di ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marco Brigato, con il quale è domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21 presso l’Avvocatura comunale;
contro
l’arch. Franco FINZI, rappresentato e difeso dall’avv. Walter Prosperetti e successivamente. dall’avv. Marco Prosperetti, presso il quale è domiciliato in Roma, via Pierluigi da Palestrina  19; 
per l’annullamento
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sezione II, n. 1397 del 1993.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale dell’arch. Finzi;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 27 giugno 2000, relatore il consigliere Marco Pinto, uditi gli avv.ti, Brigato e l’avv. Gnisci su delega, quest’ultimo, dell’avv. Prosperetti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. per il Lazio, in parziale accoglimento del ricorso proposto dall’arch. Franco Finzi, dichiarava il suo diritto al trattamento economico della qualifica di dirigente superiore per il periodo 4 febbraio 1983- 18 aprile 1983. Avverso la predetta sentenza il Comune di Roma proponeva appello; l’arch. Finzi proponeva appello incidentale.
DIRITTO
1. E’ fondato l’appello del Comune di Roma.
2. La Sezione ritiene di non doversi discostare dal proprio orientamento secondo il quale nel pubblico impiego le mansioni svolte dal pubblico dipendente, superiori a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti ai fini sia economici sia di progressione in carriera, salvo che la legge disponga altrimenti. Ciò in quanto il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, perché gli interessi coinvolti hanno natura indisponibile ed anche perché l’attribuzione delle mansioni e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento, non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (Cons. Stato, sezione V, 30 gennaio 1997, n. 1219).
Al fine di rendere rilevanti le mansioni superiori adempiute da un pubblico dipendente non è invocabile l’art. 2126 cod. civ., il quale, oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformità dal titolo invalido, riguarda un fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile quale pubblico dipendente) ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato. Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina e di inquadramento, emanati in conformità delle leggi e dei regolamenti, specie se divenuti inoppugnabili (Cons. Stato, sezione V, 17 maggio 1997, n. 515).
Il predetto orientamento è stato di recente ribadito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (18 novembre 1999, n. 22), la quale ha anche osservato che la pretesa al trattamento retributivo derivante dall’esercizio delle mansioni superiori non può trovare diretto fondamento nell’articolo 36 della Costituzione. Tale norma, difatti, non può trovare incondizionata applicazione nel pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione.
Ciò premesso, venendo al caso in esame, la pretesa del dipendente non può trovare, per le ragioni anzidette, fondamento negli articoli 36 della Costituzione e dell’articolo 2126 del codice civile.
Essa, quindi, in via generale può essere riconosciuta solo nei ristretti ambiti in cui operano specifiche norme.
Per quanto concerne il Comune di Roma, occorre procedere dall’esame degli articoli 18 ed 89 del regolamento generale del personale. In base ai predetti articoli è possibile attribuire al dipendente incaricato della reggenza di un posto direttivo, nel caso di vacanza o di prolungata assenza o impedimento del titolare.
Presupposti indefettibili per la configurabilità dell’esercizio delle mansioni superiori  sono, da un lato, l’esistenza in organico di un posto vacante corrispondente alle mansioni che si vanno a svolgere; dall’altro, l’attribuzione dell’incarico di svolgere le predette mansioni con un preventivo atto formale (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 1999, n. 390).
Occorre, inoltre, che l’incarico sia preventivo rispetto all’esercizio delle mansioni; non sono quindi valide le “prese d’atto” ed i riconoscimenti ex post.
E’, infine, necessario che l’incarico abbia espressamente ad oggetto l’attribuzione delle mansioni corrispondenti ad un posto specificamente individuato.
I predetti presupposti sono, nel caso in esame, assenti.
Dall’esame della  documentazione acquisita al giudizio si rileva che manca la preventiva attribuzione dell’incarico formale – conferito da organo competente- di svolgere le mansioni, superiori a quelle proprie della qualifica di appartenenza, corrispondenti a quelle di un posto in organico vacante (o comunque disponibile, secondo quanto innanzi specificato) e specificamente individuato nell’incarico stesso.
In particolare va osservato che l’ordinanza sindacale n. 332 del 4 febbraio 1983 demandava ad un successivo momento (quello della efficacia della deliberazione consiliare n. 884 del 30 aprile 1981) la formalizzazione della istituzione dell’ufficio speciale Tevere e tutela del litorale nonché la determinazione della relativa dotazione organica. Cosicchè, il predetto atto sindacale era del tutto inidoneo a costituire un valido presupposto per il conferimento di un incarico avente ad oggetto lo svolgimento di mansioni superiori.
Neppure l’ordinanza di trasferimento n. 248 del 15 aprile 1982 e l’atto assessorile n. 541 del 13 agosto 1982 hanno la caratteristica di provvedimenti di conferimento di mansioni superiori.
Le anzidette considerazioni inducono, per un verso, a ritenere fondato l’appello principale; per altro verso a considerare infondato l’appello incidentale.
3. In conclusione, l’appello principale va accolto; l’appello incidentale va rigettato. Per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso di primo grado deve essere rigettato integralmente.
4. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello principale e rigetta l’appello incidentale. Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta integralmente il ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 giugno 2000, con l’intervento dei signori
Salvatore Rosa    Presidente
Stefano Baccarini    Consigliere
Corrado Allegretta    Consigliere
Marco Lipari    Consigliere
Marco Pinto     Consigliere estensore
 
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