Giurisprudenza - Espropriazione


I vincoli urbanistici e la loro indennizzabilità.

Con la sentenza in esame la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, della la legge 19 novembre 1968, n. 1187 il quale dispone che: "Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione".
A seguito della sentenza della dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 1980 – la quale ha sancito che lo ius aedificandi continua ad inerire al diritto di proprietà, la previsione di un vincolo a durata indeterminata ha conseguentemente comportato un obbligo di indennizzo anche nel caso di espropriazioni di valore. Sulla scia di quanto in precedenza previsto dalle sentenze della la Corte costituzionale n. 82 del 1982 e n. 575 del 1989, le quali già avevano
affermato che la temporaneità e la indennizzabilità dei vincoli urbanistici di natura espropriativa sono tra loro
alternative, per cui l'indeterminatezza temporale comporta il diritto all'indennizzo, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 20 maggio 1999 ha ulteriormente precisato che la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti non può che determinare un indennizzo in mancanza dell’effettiva espropriazione .
Quanto alla misura dell’indennizzo la Corte demanda la previsione di adeguati criteri al legislatore non necessariamente risarcitori ma anche riparatori.
La Corte Costituzionale ha cura di precisare che l’indennizzo spetta soltanto ai vincoli di carattere espropriativo imposti a titolo particolare con i quali, quindi, si priva un bene dello jus aedificandi che, invece, inerisce a beni aventi analoghe caratteristiche. 
Non hanno, quindi, carattere espropriativo i vincoli paesistici ed ambientali i quali non sono posti a titolo particolare ma ineriscono all’intera categoria di beni con determinate caratteristiche, il cui regime giuridico è così  delineato in via generale dal legislatore. In essi la privazione dello jus aedificandi inerisce al regime giuridico generale, previsto dalla legge, per l’intera categoria di beni con certe caratteristiche e non, quindi, a titolo particolare. Infatti i singoli provvedimenti amministrativi riguardanti specifici beni si limitano a riconoscere in capo ad essi le caratteristiche di appartenenza alla categoria generale con il conseguente regime giuridico. Non vi è, quindi, la privazione a titolo particolare dello jus aedificandi e per essi non si pone il problema della spettanza di un indennizzo. (Federico Lorenzini)

Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179

Omissis"
3.- Passando all’esame delle questioni sollevate, occorre premettere che il problema di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici - come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo (sentenza n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995) - si può porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:

- siano preordinati all’espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati (sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del 1968, e, tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta, qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenza n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);

- superino la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga l’espropriazione (sentenza n. 186 del 1993), ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata all’esproprio) attraverso l’approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati dalla legge;

- superino sotto un profilo quantitativo ("per la maggiore o minore incidenza che il sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto": sentenza n. 6 del 1966) la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà, che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione).

Nello stesso tempo, occorre sottolineare l'indirizzo secondo cui "è propria della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare nel tempo i vincoli su beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche" (sentenza n. 575 del 1989). Essendo i due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità tra loro alternativi, l’indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli nel tempo anche con diversa destinazione o con altri mezzi, "è costituzionalmente legittima a condizione che l’esercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati dalle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968" (sentenza n. 575 del 1989).

4.- La giurisprudenza della Corte ha inoltre affermato che non sono inquadrabili negli schemi dell’espropriazione, dei vincoli indennizzabili e dei termini di durata i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, "in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge" (sentenze n. 417 del 1995; n. 56 del 1968, da interpretarsi in maniera unitaria con la coeva sentenza n. 55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).

Più in generale si è ritenuto che la legge può non disporre indennizzi quando i modi ed i limiti imposti - previsti dalla legge direttamente o con il completamento attraverso un particolare procedimento amministrativo - attengano, con carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo (sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968), ad intere categorie di beni, e per ciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione indifferenziata di essi - anche per zone territoriali - ad un particolare regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stesso. Non si può porre un problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base a legge, abbia riguardo ai modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri beni o interessi pubblici preminenti.

Devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.

5.- Inoltre è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.

6.- Sulla base delle anzidette premesse può essere confermato che la reiterazione in via amministrativa degli anzidetti vincoli decaduti (preordinati all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in talune regioni a statuto speciale (v., per quest’ultimo profilo, sentenze n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988) non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale. Infatti possono esistere ragioni giustificative accertate attraverso una valutazione procedimentale (con adeguata motivazione) dell’amministrazione preposta alla gestione del territorio o rispettivamente apprezzate dalla discrezionalità legislativa entro i limiti della non irragionevolezza e non arbitrarietà (v. sentenze n. 344 del 1995; nn. 186 e 185 del 1993; n. 1164 del 1988). 

Invece, assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die o all’infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza (sentenza n. 344 del 1995). Ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa dell’indennizzo (sentenze n. 344 del 1995; n. 575 del 1989), e fermo, beninteso, che l’obbligo dell’indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia).

Del resto la giurisprudenza amministrativa, a proposito della reiterazione dei vincoli, ha delineato un diritto vivente (che deve essere tenuto presente per risolvere la questione di legittimità costituzionale prospettata), secondo cui la reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti per effetto del decorso del termine può ritenersi legittima sul piano amministrativo se corredata da una congrua e specifica motivazione sulla attualità della previsione, con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, e con giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.

Da quanto sopra deriva, come ulteriore conseguenza, che deve essere separato e distinto il profilo della ammissibilità e legittimità delle reiterazioni in via amministrativa dei vincoli urbanistici c.d. espropriativi, attuate in conformità ai principi ricavabili dalla giurisprudenza succitata, di modo che la reiterazione può essere ritenuta giustificata dalle esigenze appositamente valutate e motivate come attuali e persistenti: ciò non di meno si realizza un obbligo indennitario.

Infatti, per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come sopra delimitati), l’obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta l’espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi.

In altri termini, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all’espropriazione (o al serio inizio dell’attività preordinata all’espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo. 

Il potere della pubblica amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali (richiamate dalla ordinanza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) non si può consumare per il semplice fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli urbanistici innanzi delimitati, ove persistano o sopravvengano situazioni che ne impongano la realizzazione anche se per differenti finalità, per cui deve essere esclusa in radice la denunciata violazione degli artt. 9, 32 e 97 della Costituzione.

Tuttavia, negli anzidetti casi, la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall’art. 42, terzo comma, della Costituzione, e di conseguenza ne deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale. Tale dichiarazione non può tradursi in una sentenza caducatoria, posto che una simile pronuncia colpirebbe nel complesso i poteri di programmazione del territorio, che devono poter essere esercitati nonostante la intervenuta scadenza dei vincoli, ferma la necessità di previsione di indennizzo.

8.- Neppure si può ottenere in questa sede un completo adeguamento alla legalità costituzionale mediante una pronuncia che provveda a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo nei casi sopra specificati.

Per la determinazione concreta dell’indennizzo in conseguenza della reiterazione di vincoli urbanistici esistono molteplici variabili, che non possono essere definite in sede di verifica di legittimità costituzionale con una sentenza additiva, in quanto detto indennizzo non è, nella quasi totalità dei casi (in ciò sta la netta differenza rispetto alla diversa - anche per natura - indennità di esproprio), rapportabile a perdita di proprietà. Né può essere utilizzato un criterio di liquidazione ragguagliato esclusivamente al valore dell’immobile, in quanto il sacrificio subito consiste, nella maggior parte dei casi, in una diminuzione di valore di scambio o di utilizzabilità. Inoltre l’indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro (non necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico) per una serie di pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito, e deve essere commisurato o al mancato uso normale del bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo che consente la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico (preordinato all’espropriazione o comportante l’assoluta inedificabilità) oltre i limiti di durata fissati dal legislatore (quali indici di ordinaria sopportabilità da parte dei singoli), ove non risulti in modo inequivocabile l’inizio della procedura espropriativa. Con la conseguenza che la reiterazione del vincolo deve comportare la previsione di indennizzo nei sensi suindicati, restando al legislatore ogni possibilità di intervento, anche attraverso procedure semplificate, per la concreta liquidazione dell’indennizzo stesso.

Naturalmente - occorre di nuovo sottolineare - non da qualsiasi reiterazione di vincolo urbanistico discende un pregiudizio al soggetto titolare del bene e un correlativo obbligo a carico dell’amministrazione di corrispondere un indennizzo. Nell’ambito del modello indennitario si possono presentare una pluralità di soluzioni astrattamente ipotizzabili, idonee ad assicurare un serio ristoro a favore del soggetto che subisce il vincolo, in armonia con i principi costituzionali, tra le quali il legislatore può operare una scelta.

Il necessario intervento legislativo dovrà precisare le modalità di attuazione del principio dellindennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo nei sensi sopra indicati, delimitando le utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione, e potrà esercitare scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra misure alternative riparatorie anche in forma specifica (v. ordinanza n. 165 del 1998), mediante offerta ed assegnazione di altre aree idonee alle esigenze del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v., come esempio di misura sostitutiva di indennità, art. 30, primo e secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47), ovvero mediante altri sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su beni determinati.

9.- L’esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell'indennizzo non esclude che - anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità - il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo. 

10.- In conclusione restano al di fuori dell'ambito dell'indennizzabilità i vincoli incidenti con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni - ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici -, i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile.

Pertanto deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo secondo modalità legislativamente previste ed in conformità ai principi sopra richiamati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.

F.to: Renato GRANATA , Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1999.
 

© Diritto - Concorsi & Professioni - riproduzione vietata