Giurisprudenza - Espropriazione

Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2001 n. 5071, in materia di imposizione coattiva di servitù di elettrodotto

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sui ricorsi riuniti in appello n. 2655/2001, n.2656/2001 e n. 2657/2001, proposti da:
- E.N.EL. Distribuzione S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Luigi MANZI, Raffaele IZZO e Vincenzo PETRIZZI, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Federico Confalonieri n. 5,
c o n t r o
- quanto al primo ricorso:
- CABANELIS Barbara, CABANELIS Cristiano e TOMMASELLI Angelo, rappresentati e difesi dall’Avv. Alfonso VASILE ed elettivamente domiciliati in Roma, via S. Tommaso D’Aquino n.108, Roma, presso Aldo GUGLIELMI;
- quanto al secondo ricorso:
- CABANELIS Barbara e CABANELIS Cristiano, rappresentati, difesi e domiciliati come sopra precisato;
- quanto al terzo ricorso:
-    AMBRA Costruzioni S.p.A., non costituita in giudizio;
e nei confronti di
- per tutti e tre i ricorsi:
- Regione ABRUZZO, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, via dei Portoghesi n. 12, Roma, domiciliataria per legge,
- Comune di PESCARA, non costituitosi in giudizio;
per l’annullamento
della sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Abruzzo (Pescara) n. 88/2001, n. 39/2001 e n. 89/2001, rese tra le parti e concernenti occupazione d’urgenza per costruzione d’impianti elettrici.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto gli atti di costituzione in giudizio di CABANELIS Barbara, di CABANELIS Cristiano, di TOMMASELLI Angelo e della Regione ABRUZZO;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 5 giugno 2001, il Consigliere Aldo SCOLA, ed uditi per le parti gli Avv.ti L. Manzi, R. Izzo e A. Vasile;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
 I)- Con ricorso  n. 872/1999  era  stato  chiesto al  T.a.r. di Pescara l'annullamento del decreto del presidente della Regione Abruzzo, recante occupazione d'urgenza di un'area di circa  quattromila metri quadri, e della nota E.N.EL. in data 10 novembre 1999, prospettandosi le seguenti censure:
 1)- violazione dei principi costituzionali in materia di proprietà (art. 42), buon andamento ed imparzialità (art. 97) ed uguaglianza (art. 3);
 2)- violazione degli artt. 10 ed 11, ultimo comma, legge regionale Abruzzo n. 83/1988, in relazione all'art. 13 della legge n. 2359/1865;
 3)- violazione del citato art. 11, legge regionale n. 83/1988, per l'inesistente urgenza dell'opera e per difetto dei necessari presupposti;
 4)- violazione dell'art. 9 della legge regionale citata;
5)- violazione dei principi urbanistici e difetto di motivazione e d'istruttoria;
nonché le seguenti doglianze contro il decreto conclusivo:
 a)- illegittimità derivata;
 b)- violazione dell'art. 1, legge 1/1978, e dei principi in materia espropriativa; difetto di presupposti ed eccesso di potere per sviamento, essendo il decreto intervenuto ben oltre i tre anni previsti;
 c)- violazione dei principi in materia espropriativa, difetto di presupposti ed eccesso di potere per travisamento e contraddittorietà.
 La questione cautelare veniva rinviata al merito.
 La Regione Abruzzo e l'ente elettrico si costituivano in giudizio e resistevano al ricorso, eccependo:
 A)- l'infondatezza della dedotta incostituzionalità nei suoi vari profili;
 B)- la sicura legittimità dei provvedimenti impugnati;
 C)- l'insussistenza di tutte le prospettate censure.
 Il Tribunale di Pescara, avendo già accolto, con sentenza n. 39/2001, il ricorso n. 463/1997, accoglieva anche il presente gravame per illegittimità derivata.
 Proponeva quindi appello l'E.N.EL., prospettando le seguenti doglianze:
 - violazione dei principi in materia di costruzione ed esercizio di elettrodotti (cfr. art. 113, regio decreto n. 1775/1933; art. 9, d.p.r. n. 342/1965; art. 11, legge regionale n. 83/1988); omessa motivazione della sentenza, che richiamerebbe solo la sua precedente decisione n. 39/2001, nonchè la sentenza n. 606/1999, sezione quarta, di questo Consiglio di Stato.
 Gli appellati si costituivano in giudizio ed eccepivano:
 1)- gli oltre tre anni trascorsi tra le due autorizzazioni provvisorie (rispettivamente dell'ottobre 1995, la prima, e del maggio 1996, la seconda) e l'occupazione d'urgenza (dell'ottobre 1999), con conseguente mancata garanzia per i proprietari e violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, cui si potrebbe porre rimedio soltanto con la ricostruzione di cui alla sentenza n. 606/1999 di questa sezione, sopra ricordata, diversamente dovendo riprospettare la questione di costituzionalità già sollevata in primo grado da altri ricorrenti in differenti gravami;
 2)- le rimanenti censure dichiarate assorbite in primo grado (vedi sopra), con particolare riguardo alla prima e terza doglianza.
 Veniva respinta un'istanza di sospensione della sentenza n. 88/2001 del Tribunale di Pescara.
 II)- Con ricorso n. 463/1997 al T.a.r. di Pescara era stato richiesto l'annullamento dei decreti di autorizzazione provvisoria n. 349/1995 e n. 301/1996, emanati dal presidente della Regione Abruzzo, nonchè della nota E.N.EL. in data 14 febbraio 1997, prospettandosi le medesime doglianze già esposte nel corso della narrativa di cui al precedente appello n. 2655/2001 (escluse quelle di illegittimità derivata: vedi sopra).
 La questione cautelare veniva rinviata al merito.
 Il Tribunale amministrativo di Pescara accoglieva il secondo motivo di ricorso ed assorbiva gli altri, liquidando anche qui lire tremilioni di spese processuali, dopo che l'ente elettrico aveva formulato le stesse eccezioni già viste esaminando il precedente gravame.
 Proponeva un ulteriore appello quindi l'ente elettrico, riprospettando le medesime doglianze.
 Ancora una volta gli appellati si costituivano in giudizio ed eccepivano quanto già evidenziato nel precedente gravame.
 Veniva respinta un'istanza di sospensione della sentenza n. 39/2001 del Tribunale di Pescara.
 III)- Infine, con ricorso n. 900/1999, era stato richiesto al T.a.r. di Pescara l'annullamento del decreto n. 497/1999 del presidente della Regione Abruzzo, recante occupazione triennale, prospettandosi le seguenti censure:
1)- violazione dell'art. 1, legge 1/1978, e dei principi in materia espropriativa; difetto di presupposti ed eccesso di potere;
 2)- ancora difetto di presupposti ed eccesso di potere per travisamento e contraddittorietà.
 L'ente elettrico si costituiva in giudizio (come faceva anche la Regione) ed eccepiva quanto già evidenziato nei precedenti gravami.
 La vicenda cautelare veniva riunita al merito.
 Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 89/2001, accoglieva il primo motivo di ricorso ed assorbiva il secondo, dopo che l'E.N.EL. aveva eccepito nuovamente l'infondatezza dei due motivi di ricorso.
 Proponeva un ultimo appello quindi l'ente elettrico, che deduceva:
 A)- l'inammissibilità del ricorso dell'Ambra Costruzioni in primo grado, stante la mancata impugnazione dei decreti di autorizzazione provvisoria;
 B)- la violazione dei principi in materia di costruzione ed esercizio di elettrodotti (art. 113, regio decreto n. 1775/1933; art. 9, d.p.r. n. 342/1965; art. 11, legge regionale Abruzzo n. 83/1988).
 Veniva respinta un'istanza di sospensione della sentenza n. 89/2001 del Tribunale amministrativo di Pescara.
 I tre appelli passavano in decisione all'esito della pubblicazione;
DIRITTO
 I tre appelli di cui sopra possono essere senza altro  riuniti  e decisi con un'unica pronuncia, tenuto conto della  loro connessione  oggettiva  e parzialmente soggettiva.
 1)- Tanto premesso, ritiene il collegio che il primo dei tre gravami debba essere respinto in base alle considerazioni che seguono, tratte da un approfondito esame della giurisprudenza che si è interessata del problema in esame (cfr. ex multis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 443 del 16 giugno 2000; Corte di cassazione civile, sezione seconda, n. 3153 del 25 marzo 1998; Consiglio di Stato, sezione quarta, n. 1595 del 22 ottobre 1999, n. 771 del 3 maggio 1999 e n. 606 del 19 gennaio 1999, che hanno in certo qual modo rivisitato la problematica rispetto alle soluzioni di cui alle decisioni n. 772/1998 e 569/1998).
 Non può infatti essere condiviso l'unico, articolato motivo d'appello qui prospettato dall'ente elettrico, poiché deve ricordarsi che in materia di imposizione coattiva di servitù di elettrodotto, il provvedimento della pubblica amministrazione autorizzante la costruzione della linea oppure della cabina elettrica, costituisce (anche qualora contenga una dichiarazione di pubblica utilità) soltanto un atto del più complesso procedimento di costituzione del vincolo reale, senza essere peraltro produttivo dell'effetto costitutivo conseguente, al contrario riconducibile solo al provvedimento finale dello stesso procedimento e cioè al decreto espropriativo (ovviamente, nel caso non si sia scelta la strada della costituzione per via negoziale o giudiziaria).
 Conseguentemente, l'illegittimità dell'occupazione di un immobile all'esito dell'installazione di una cabina elettrica (nella fattispecie, si tratta di circa 4.000 mq. di suolo occupati) per decorso del termine fissato nel provvedimento autorizzatorio non può considerarsi sanata dalla semplice emissione del provvedimento finale (decreto espropriativo) ed il comportamento dell'ente elettrico, che non abbia provveduto alla restituzione del bene occupato prima che l'occupazione medesima divenisse illegittima, si estrinseca in un'attività semplicemente materiale, oltre che illecita e quindi abusiva, di fronte alla quale si potrebbe addirittura ipotizzare una doppia forma di tutela sia reintegratoria che risarcitoria, alla luce anche della recente legge n. 205/2000.
 A ciò si aggiunga che l'apprensione senza titolo di un fondo appartenente a privati per la realizzazione di un elettrodotto non può determinare la costituzione della corrispondente servitù secondo il principio della cosidetta occupazione acquisitiva, estranea alla materia dei diritti reali su beni altrui, ma si configura piuttosto come un permanente illecito, il quale continua a perdurare sino a quando non venga rimosso l'impianto di cui si tratti, o se ne interrompa l'esercizio, oppure ancora non risulti costituita la servitù anche per usucapione, con la correlativa estinzione sia della tutela reale che di quella aquiliana o in termini più ampi obbligatoria, con l'inevitabile conseguenza, che, acquisita per effetto dell'intervenuta usucapione, da parte della pubblica amministrazione, la servitù di elettrodotto, il proprietario del fondo interessato non avrebbe più titolo né per reclamare la rimozione dell'impianto in questione né per pretendere il risarcimento dei danni oppure un'indennità per l'imposizione della servitù stessa, in base all'art. 123 del regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775, inapplicabile al caso di costituzione di servitù per effetto di usucapione.
 A questo punto, in relazione alle considerazioni che precedono, si ricorda come la costruzione di un elettrodotto finalizzato alla fornitura di energia elettrica debba considerarsi, in relazione al connesso interesse collettivo, indubbiamente come un'opera di carattere pubblico che legittima l'utilizzazione delle necessarie procedure ablatorie, tanto più che il richiamo, operato dall'art. 116 del testo unico sulle acque alla legge fondamentale del 1865 in materia espropriativa relativa all'impianto di linee elettriche, non potrebbe non valere anche per la costituzione della cosiddetta servitù di elettrodotto su base espropriativa, come nella fattispecie.
 Orbene, alla luce delle considerazioni che precedono, le censure dedotte in questa sede con il presente appello non possono essere condivise, poiché la violazione di legge considerata in rapporto alla mancata indicazione dei termini d'inizio e fine dei lavori dell'espropriazione, oltre che costituire vizio diretto dei decreti autorizzanti provvisoriamente la costruzione di una cabina elettrica, e correlativamente vizio derivato del decreto di occupazione d'urgenza e della nota di fissazione della data di presa di possesso, si configura anche come vizio diretto del decreto ultimo citato, privo anch' esso dei necessari termini, oltre che intervenuto a distanza di oltre tre anni dalla data di adozione dei precedenti decreti del presidente della Regione Abruzzo, approvanti il progetto di realizzazione della cabina elettrica ed autorizzanti in via provvisoria l'esecuzione dei relativi lavori, dai quali decreti  discendeva l'implicita dichiarazione di pubblica utilità, nonché urgenza ed indifferibilità dell'opera.
Inoltre, il medesimo decreto di occupazione risulta essere stato adottato, oltre che in mancanza di una formale dichiarazione di pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza, anche in assenza di qualsivoglia presupposto di urgenza, se si considera che quella prospettata con la domanda del giugno 1994, dopo ben cinque anni non avrebbe potuto che ritenersi superata, né risulta che ne sia stata dedotta una qualche configurazione d'altro genere.
 2)- Le considerazioni che precedono inducono a respingere anche il secondo dei tre appelli qui riuniti, prospettante le medesime doglianze di cui al precedente gravame.
 In realtà, malgrado un precedente diffuso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale in materia di costruzione di elettrodotti, l'autorizzazione provvisoria prevista dall'art. 113, regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775, non costituirebbe dichiarazione di pubblica utilità preordinata alla servitù coattiva perpetua, ma semplice dichiarazione anticipata d'indifferibilità ed urgenza dei lavori (art. 9, comma 9, d.p.r. 18 marzo 1965 n. 342), ritiene il collegio che un simile modo di argomentare non possa essere condiviso, poiché il procedimento di occupazione del fondo, basato sulla dichiarazione d'indifferibilità ed urgenza dei lavori, ed il procedimento espropriativo fondato sulla dichiarazione pubblica utilità dell'opera, sono due procedimenti distinti che s'inseriscono nell'ambito del più ampio procedimento ablatorio, costituendo due subprocedimenti, talvolta previsti dalla legge (art. 1, legge 1/1978).
 Concretamente, la dichiarazione di pubblica utilità costituisce senza dubbio la base comune su cui poggiano sia il procedimento espropriativo sia quello di occupazione d'urgenza, dovendo essa necessariamente sussistere e preesistere perché possa aversi in senso giuridico un'opera pubblica, quale bene alla cui realizzazione risultano preordinati sia il procedimento espropriativo sia quello di occupazione d'urgenza: senza di essa difetterebbe, infatti, ogni possibile valutazione da parte degli organi preposti all'individuazione ed alla cura degli interessi pubblici in ordine all'attitudine dell'opera progettata a soddisfarli.
 Al contrario, la presenza della dichiarazione di pubblica utilità qualifica il tutto come opera pubblica, dando rilevanza all'accertamento compiuto dalla pubblica amministrazione, per cui detta dichiarazione deve necessariamente precedere quella d'indifferibilità e d'urgenza, che diversamente non avrebbe senso attribuire ad un'opera che, in termini formali, non sia stata prima di tutto ritenuta utile per il soddisfacimento di esigenze pubbliche (argomentazioni in tal senso si rintracciano anche nella dec. n. 6 del 1986 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato).
 Correlativamente, tali principi devono guidare l'interpretazione del nono comma dell'art. 9 del d.p.r. n. 342 del 1965, leggendolo nel senso che i decreti di autorizzazione provvisoria hanno anche, essi, efficacia di dichiarazione d'indifferibilità ed urgenza (in aggiunta a quella di dichiarazione di pubblica utilità, esplicitamente riscontrabile quanto ai decreti di autorizzazione definitiva di cui al precedente ottavo comma), essendo questa l'interpretazione logicamente più convincente.
 Da ultimo, deve ricordarsi che, nella fattispecie in esame, la legge regionale Abruzzo n. 83 del 1988 attribuisce espressamente alle autorizzazioni (senza ulteriori aggettivazioni e quindi da intendersi) sia provvisorie che definitive, efficacia di dichiarazione sia di pubblica utilità che di indifferibilità ed urgenza e, trattandosi di un provvedimento normativo espressamente richiamato nel preambolo dei provvedimenti impugnati, non può sussistere alcun dubbio circa le conclusioni alle quali questo collegio ritiene di dover pervenire, respingendo anche il presente secondo appello.
 3)- Deve analogamente essere respinto il terzo ed ultimo appello qui riunito, in base alle argomentazioni sopra richiamate dal collegio, dopo avere disatteso la prima censura qui dedotta dall'E.N.EL. contro l'impugnata sentenza, che erroneamente avrebbe omesso di rilevare l'inammissibilità del ricorso proposto dall'Ambra Costruzioni dinanzi al Tribunale amministrativo di Pescara.
 Infatti, non avendo i precedenti decreti di autorizzazione provvisoria (v. anche gli atti annullati dalle sentenze gravate con i due precedenti appelli qui riuniti) stabilito alcunchè in materia di termini, correttamente l'attuale appellata si è limitata a proporre le sue doglianze contro il vero e proprio decreto di occupazione di urgenza, concretamente dotato di autonoma capacità lesiva dal punto di vista dell'Ambra Costruzioni (la quale - per inciso - avendo trattato la cessione volontaria dell'area in questione, con espresso riferimento ad una superficie di mq. 750, non poteva non essere consapevole del fatto che solo per un mero errore di scrittura nella nota dell'ente elettrico in data 14 febbraio 1997 la superficie da occupare risultava determinata in mq. 60 anzichè 750).
 Deve, in effetti, escludersi la necessità di impugnare qualsiasi atto di un procedimento (oltre a quello conclusivo, idoneo a provocare la lamentata lesione), al solo scopo di non vedersi opporre un'eccezione di acquiescienza.
 4)- Conclusivamente, i tre appelli riuniti vanno respinti, mentre le relative spese processuali si liquidano equitativamente in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV: 
-    riunisce i tre appelli e li respinge;
- condanna l'E.N.EL. a rifondere a Cabanelis Barbara, Cabanelis Cristiano e Tommaselli Angelo (creditori solidali) le spese del primo appello, liquidate in complessive lire cinquemilioni;
- condanna l'E.N.EL. a rifondere a Cabanelis Barbara e Cabanelis Cristiano (creditori solidali) le spese del secondo appello, liquidate in complessive lire cinquemilioni;
- nulla dispone, nei primi due appelli, quanto alle spese nei confronti della Regione Abruzzo;
- nulla dispone per le spese del terzo appello;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 5 giugno e 22 giugno 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:
Giovanni PALEOLOGO   Presidente
Anselmo DI NAPOLI   Consigliere
Marcello BORIONI   Consigliere 
Aldo SCOLA    Consigliere Est.
Vito POLI     Consigliere 
L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE
        
MASSIMA
 
 

 La costruzione di un elettrodotto finalizzato alla fornitura di energia elettrica deve considerarsi, in relazione al connesso interesse collettivo, indubbiamente come un'opera di carattere pubblico che legittima l'utilizzazione delle necessarie procedure ablatorie, tanto più che il richiamo, operato dall'art. 116 del testo unico sulle acque alla legge fondamentale del 1865 in materia espropriativa relativa all'impianto di linee elettriche, non potrebbe non valere anche per la costituzione della cosiddetta servitù di elettrodotto su base espropriativa.

La presenza della dichiarazione di pubblica utilità qualifica il tutto come opera pubblica, dando rilevanza all'accertamento compiuto dalla pubblica amministrazione, per cui detta dichiarazione deve sempre (anche nel caso di autorizzazione provvisoria all'occupazione) necessariamente precedere quella d'indifferibilità e d'urgenza, che diversamente non si potrebbe attribuire ad un'opera la quale, in termini formali, non sia stata prima di tutto ritenuta utile per il soddisfacimento di esigenze pubbliche.

Correlativamente, tali principi devono guidare l'interpretazione del nono comma dell'art. 9 del d.p.r. n. 342 del 1965, leggendolo nel senso che i decreti di autorizzazione provvisoria hanno anche, essi, efficacia di dichiarazione d'indifferibilità ed urgenza (in aggiunta a quella di dichiarazione di pubblica utilità, esplicitamente riscontrabile quanto ai decreti di autorizzazione definitiva di cui al precedente ottavo comma del citato art. 9), essendo questa l'interpretazione logicamente più convincente, tanto più laddove sia vigente una legge come quella della Regione Abruzzo n. 83/1988, che attribuisce espressamente alle autorizzazioni (senza ulteriori aggettivazioni e quindi da intendersi) sia provvisorie che definitive, efficacia di dichiarazione sia di pubblica utilità che di indifferibilità ed urgenza.
 

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