Corte Costituzionale, 4 febbraio 2000, n. 24, in materia di accessione
invertita e di legittimità costituzionale dei criteri risarcitori
stabiliti dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662,
omissis”
1.- Nel corso di un procedimento civile avente ad oggetto una domanda
di
risarcimento dei danni da c.d. accessione invertita, il Tribunale di
Mistretta, con
ordinanza del 25 aprile 1998 (R.O. n. 486 del 1998), ha sollevato questione
di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt.
938 cod. civ. (in
realtà, tertium comparationis) e 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge
11 luglio
1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica),
convertito,
con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art.
3, comma
65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella parte in cui, nel disciplinare
gli
effetti della occupazione illegittima da parte della pubblica amministrazione,
prevede in favore del soggetto privato del suolo di sua proprietà
un risarcimento di
entità pressoché pari al valore venale dimezzato del
bene, e, perciò "manifestamente
sperequato" rispetto a quello disciplinato dal predetto art. 938 cod.
civ. che, nei
rapporti tra privati, riconosce al proprietario sacrificato, in una
situazione
analoga, il diritto alla corresponsione di una somma pari al doppio
del valore del
suolo occupato, oltre al risarcimento del danno.
Il Tribunale rimettente osserva che il diritto vivente, al fine di
giustificare
l’istituto dell’accessione invertita in favore della p.a., ha rinvenuto
nell’ordinamento un principio generale in base al quale regola per
la composizione
del conflitto tra costruttore e proprietario del fondo è l’attribuzione
della
proprietà sia del suolo che della costruzione al soggetto portatore
dell’interesse
ritenuto prevalente, secondo una valutazione di ordine economico-sociale
correlata
al livello di sviluppo della società civile. Il fondamento positivo
del citato
principio generale viene ravvisato nell’art. 938 cod. civ., che ammette
l’inversione
della ordinaria regola dell’accessione, che privilegia, invece, il
proprietario del
fondo. Peraltro, mentre nell’ipotesi, prevista dalla predetta norma
codicistica, di
rapporto tra costruttore privato e proprietario del fondo, le conseguenze
economiche
a carico del primo sono quelle della corresponsione del doppio del
valore del suolo
occupato e del risarcimento del danno, ingiustificatamente discriminatoria
nei
confronti del proprietario del fondo occupato da un soggetto pubblico
costruttore di
un’opera di pubblica utilità sarebbe la previsione di cui alla
norma impugnata, che
pone a carico della p.a. l’obbligo di corrispondere una somma pari
alla indennità di
esproprio (senza l’abbattimento del quaranta per cento), maggiorata
del 10 per
cento, equivalente, cioè, a circa la metà del valore
venale del fondo occupato
(circa un quarto, rileva il Collegio, della somma dovuta dal suo omologo
costruttore
privato).
Né la circostanza dell’avvenuta dichiarazione di pubblica utilità
dell’opera di cui
si tratta costituirebbe elemento idoneo a giustificare la rilevata
disparità di
trattamento, in quanto, ad avviso del Tribunale rimettente, solo la
ritualità del
procedimento ablatorio attualizzerebbe la funzione sociale della proprietà,
legittimandone il sacrificio a condizioni non necessariamente corrispondenti
al
controvalore del bene ablato, purché eque e tali da non rendere
irrisorio il ristoro
del pregiudizio subito dal proprietario.
2.- Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei
ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che
ha concluso per
la infondatezza della questione, rimarcando le differenze esistenti
tra le due
vicende acquisitive poste a confronto dal Collegio rimettente. Ed infatti,
si
osserva nella memoria dell’Avvocatura, ai sensi dell’art. 938 cod.
civ., la
proprietà della porzione occupata del suolo si acquista in capo
al costruttore di
buona fede solo per effetto di una pronuncia giudiziale, mentre, nella
elaborazione
giurisprudenziale della figura della occupazione acquisitiva, estinzione
della
proprietà e corrispondente acquisto del suolo in capo alla p.a.
sono effetto
immediato della trasformazione fisica ed irreversibile del fondo. Del
resto,
differente è la natura degli interessi in conflitto nei due
casi: entrambi privati
nella ipotesi dell’art. 938 cod. civ., individuale e pubblico - e,
quindi, anche del
proprietario spogliato - nella occupazione acquisitiva.
Considerato in diritto
1.- La questione di legittimità costituzionale, sottoposta in
via incidentale
all'esame della Corte, riguarda l’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge
11
luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza
pubblica),
convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto
dall’art 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di
razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui, nel
disciplinare gli
effetti della c.d. accessione invertita, prevede la corresponsione
in favore del
soggetto privato della proprietà del suolo ad opera della p.a.
per effetto della
costruzione sullo stesso di un’opera di pubblica utilità, di
una somma
corrispondente alla indennità di esproprio (senza abbattimento
del 40%), maggiorata
del 10%, pressoché pari al valore venale dimezzato del bene.
La questione è proposta dall’ordinanza di remissione sotto il
profilo della
violazione dell’art. 3 della Costituzione per la irragionevole discriminazione
rispetto alla previsione di cui all’art. 938 cod. civ., che, con riferimento
alla
analoga situazione del proprietario del fondo occupato da un costruttore
privato,
dispone la corresponsione in favore del primo di una somma pari al
doppio del valore
della superficie occupata, oltre al risarcimento del danno.
2.- La questione è priva di fondamento, in quanto il termine
di comparazione,
invocato per sostenere la irragionevole discriminazione e sperequazione,
non è
suscettibile di essere utilizzato, trattandosi di ipotesi di accessione
completamente diverse sia sotto il profilo dei soggetti che dei presupposti
di
applicabilità e della natura delle norme.
Infatti, l’art. 938 cod. civ. regola l'occupazione di porzione di fondo
contiguo,
quale modo di acquisto della proprietà, nel rapporto tra soggetti
privati in
posizione paritaria, caratterizzata dalla natura privata altresì
dell’edificio
realizzato (in parte su suolo del costruttore ed in parte sul fondo
attiguo), ed
insieme dalla posizione di buona fede (ignoranza di costruire sul suolo
altrui)
dello stesso costruttore, di fronte alla inerzia (mancanza di opposizione
entro un
termine a pena di decadenza) del proprietario per un periodo di tre
mesi dall’inizio
della costruzione. L’attribuzione della proprietà al costruttore
avviene non
automaticamente, per il semplice fatto della esistenza dei requisiti
materiali
previsti dalla legge, ma ope iudicis, sulla base di una domanda e per
effetto di
una decisione del giudice civile non assolutamente vincolata, ma secondo
una
valutazione delle circostanze dello sconfinamento e dell’opportunità
del
trasferimento secondo una ponderazione degli interessi (ambedue privati)
in gioco.
Invece, elemento essenziale, nella ipotesi contemplata dalla norma
denunciata, è la
occupazione di suoli per causa di pubblica utilità, rimanendo
irrilevanti sia la
circostanza dell'avvenuto sconfinamento in buona fede nel fondo altrui,
sia
l'esistenza di una contigua proprietà preesistente del costruttore.
Si tratta,
quindi, di attività della pubblica amministrazione (o di un
suo concessionario)
destinata alla realizzazione dell’opera pubblica, che, con la irreversibile
trasformazione del suolo occupato, determina l'acquisto della proprietà
da parte
della stessa amministrazione, senza necessità di intervento
del giudice civile.
In tale ipotesi non si ha una mera apprensione senza titolo da parte
di un soggetto
privato di un bene parimenti privato, ma una occupazione, ancorché
illegittima,
della pubblica amministrazione, sostenuta da valida dichiarazione di
pubblica
utilità, di modo che in mancanza di tale dichiarazione (cui
viene equiparata la
dichiarazione annullata) si è al di fuori dell’ambito della
norma denunciata,
secondo un indirizzo giurisprudenziale di legittimità.
La stessa norma inoltre, a differenza di quella assunta come tertium
comparationis,
avente carattere permanente, risulta inserita in un testo di dichiarata
temporaneità, collegata alla emanazione di una nuova disciplina
organica per tutte
le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere pubbliche
o di pubblica
utilità, ed ha finalità egualmente temporanee e di emergenza
rivolte a regolare
situazioni passate (occupazioni anteriori al 30 settembre 1996: sentenza
n. 148 del
1999).
Infine, si è in presenza di una diversa finalità dell’intervento,
nella specie
pubblico, con contrapposizione tra interessi pubblici relativi all’opera
di pubblica
utilità e privati dei proprietari del suolo, che può
giustificare un diverso
bilanciamento degli stessi interessi (sentenza n. 148 del 1999), mentre
la
disciplina dell’art. 938 cod. civ. è destinata ad operare nell’ambito
esclusivo di
rapporti tra privati.
3.- Pertanto, la norma invocata come termine di comparazione (art.
938 cod. civ.)
risulta palesemente disomogenea rispetto a quella denunciata, trattandosi
di
previsioni del tutto diversificate - come sopra sottolineato - per
di più con
finalità profondamente distinte ed autonome, che nell’art. 938
cod. civ. si
riconducono alla tutela in via permanente, attraverso una valutazione
e una sentenza
del giudice civile, del generale interesse allo sviluppo e mantenimento
delle
costruzioni di privati, nonché alla protezione della buona fede
del costruttore
privato di fronte al comportamento inerte del proprietario del fondo,
comunque
garantito sul piano economico. Invece, lo scopo della norma denunciata
è quello di
assicurare sempre, nella scelta del legislatore, in presenza di determinati
presupposti, una prevalente tutela del pubblico interesse alla conservazione
dell’opera pubblica realizzata, con una previsione risarcitoria ragionevolmente
limitata, rivolta a regolare situazioni passate.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 5-bis,
comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti
per il
risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
in legge 8
agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge
23 dicembre 1996,
n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata,
in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Mistretta
con la
ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta,
il 20 gennaio 2000
F.to Giuliano VASSALLI, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 4 febbraio 2000
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