Giurisprudenza - Espropriazioni |
REPUBBLICA
ITALIANA IN
NOME
DEL POPOLO ITALIANO LA
CORTE COSTITUZIONALE composta
dai
signori: -
Annibale MARINI Presidente -
Franco
BILE
Giudice -
Giovanni
Maria FLICK
“ -
Francesco AMIRANTE “ -
Ugo
DE SIERVO
“ -
Romano
VACCARELLA
“ -
Paolo
MADDALENA
“ -
Alfio
FINOCCHIARO
“ -
Alfonso QUARANTA “ -
Franco
GALLO
“ -
Luigi
MAZZELLA
“ -
Gaetano SILVESTRI “ -
Sabino
CASSESE
“ -
Maria Rita SAULLE
“ -
Giuseppe TESAURO “ ha
pronunciato
la seguente SENTENZA nei
giudizi di
legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1, del decreto
legislativo 8
giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di
espropriazione per pubblica utilità – Testo B), trasfuso
nell'art. 53, comma 1,
del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327
(Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per
pubblica utilità – Testo A), promossi con ordinanze del 22
ottobre 2004 e del 5
maggio 2005 dal Tribunale amministrativo per la Calabria sui ricorsi
proposti
da Marzano Fabrizio ed altri contro il Ministero dell'interno ed altri
e da
Carè Ilario contro il Comune di Nardodipace, iscritte ai numeri
36 e 425 del
registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della
Repubblica numeri 7 e 37, prima serie speciale, dell'anno 2005. Udito nella
camera di consiglio
dell'8 marzo 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella. Ritenuto
in fatto 1.– Con ordinanza del
22 ottobre 2004 (n.
36 del 2005), il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha
sollevato, in riferimento agli artt. 25 e 102, secondo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art.
53, comma 1,
del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni
legislative e
regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità
– Testo A), nella
parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo
«le controversie aventi per oggetto […] i comportamenti delle
amministrazioni
pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla
applicazione
delle disposizioni del testo unico», segnatamente allorché
detti comportamenti
riguardino progetti la cui dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità
ed urgenza sia intervenuta prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n.
327 del
2001. 1.1.– Il giudizio,
introdotto nell'anno
2000, nel corso del quale il dubbio è stato prospettato, ha
avuto origine da
una causa intentata dagli eredi del titolare di un fondo, oggetto di
accessione
invertita, contro il Ministero dell'interno, l'Ente nazionale per le
strade
(ANAS) e il Concordato preventivo IGIEMME, già impresa
Grandinetti Michele
costruzioni s.n.c. (quest'ultima in qualità di concessionaria
per
l'espropriazione e per l'esecuzione dei lavori), al fine di ottenere il
ristoro
dei danni subiti in conseguenza della perdita della proprietà di
un immobile,
che, durante il periodo di occupazione disposta in vista della
realizzazione di
un'opera pubblica, aveva subìto una radicale trasformazione, in
mancanza di un
valido decreto di esproprio. 1.2.– In punto di
rilevanza, osserva il rimettente
che il comma 1 dell'art. 53 del d.P.R. n. 327 del 2001 devolve alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le
controversie aventi per
oggetto […] i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei
soggetti ad
esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del
testo
unico», mentre il successivo comma 3 mantiene ferma la
giurisdizione del
giudice ordinario per le sole controversie riguardanti «la
determinazione e la
corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di
atti di natura
espropriativa o ablativa». Rileva quindi come la
giurisprudenza,
nell'affrontare le problematiche di diritto transitorio connesse
all'entrata in
vigore del testo unico sulle espropriazioni, abbia distinto tra norme
di
carattere sostanziale e norme di carattere processuale,
condivisibilmente
ritenendo queste ultime, e quindi anche l'art. 53, applicabili a tutti
i
giudizi pendenti, pur se introdotti prima dell'entrata in vigore del
testo
unico stesso: del resto – rileva il rimettente – la predetta norma si
salda, ad
essi sostituendosi, con l'art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31
marzo
1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di
rapporti di
lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie di
lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione
dell'articolo
11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e con l'art. 7, lettera
b), della legge 21 luglio 2000, n. 205
(Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), che già
attribuivano
tali controversie al giudice amministrativo. L'applicazione del primo
comma
dell'art. 53 comporta, pertanto, che la cognizione della controversia
dedotta
in giudizio – che «verte in ordine alla domanda di riparazione
del pregiudizio
subito dal privato in conseguenza di un comportamento materiale
dell'amministrazione qualificabile come illecito» – spetta al
giudice
amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. 1.3.– In punto di non
manifesta
infondatezza, ricorda il giudice a quo che la Corte
costituzionale, con
la sentenza n. 204 del 2004, ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale
dell'art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito
dall'art. 7, comma 1, lettera b),
della legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui prevede la
devoluzione
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle
controversie
aventi per oggetto «gli atti, i provvedimenti e i
comportamenti», anziché delle
sole controversie aventi per oggetto «gli atti e i
provvedimenti», delle
pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in
materia
urbanistica ed edilizia, e cioè in una materia che abbraccia
tutti gli aspetti
dell'uso del territorio, ivi compresa la
disciplina dell'acquisizione dei beni all'amministrazione a seguito, o
per
effetto, di procedimenti espropriativi. Orbene, le stesse
argomentazioni che hanno
indotto il giudice delle leggi alla declaratoria di
incostituzionalità, nei
termini innanzi precisati – e segnatamente l' affermazione secondo cui
nei
«comportamenti […] la pubblica amministrazione non esercita
nemmeno
mediatamente […] alcun pubblico potere», e che «la mera
partecipazione della
pubblica amministrazione al giudizio» non è sufficiente
«perché si radichi la
giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe
le
sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione, con violazione
degli
artt. 25 e 102, secondo comma, della Costituzione») –, si
presterebbero ad
operare con riferimento alla devoluzione al giudice amministrativo dei
comportamenti della pubblica amministrazione in materia espropriativa,
a meno
che essi non riguardino progetti in relazione ai quali la dichiarazione
di
pubblica utilità, indifferibilità e urgenza sia stata
pronunziata dopo
l'entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001: e invero in tal caso
ben
potrebbe l'amministrazione avvalersi del disposto dell'art. 43, comma
1, per il
quale «valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che
utilizza un bene
immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del
valido ed
efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità, può
disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che
al
proprietario vadano risarciti i danni». La previsione di un
siffatto potere di
dichiarazione «postuma» di pubblica utilità
dell'opera, connotato da evidenti
profili di discrezionalità, consentirebbe infatti – nella
prospettiva adottata
dalla Corte costituzionale con riguardo all'ipotesi, per vero di
portata
minore, di uso, da parte della pubblica amministrazione, di strumenti
intrinsecamente privatistici, in quanto forma di esercizio
«mediato» del potere
pubblico – di ritenere giustificata l'attribuzione della materia al
giudice
amministrativo. Il medesimo potere,
peraltro,
differenzierebbe nettamente la fattispecie di cui all'art. 53 del
d.P.R. n. 327
del 2001, da quella di cui all'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998; il
che
spiegherebbe anche perché la Corte nella sentenza n. 204 del
2004 non ritenne
di estendere d'ufficio la statuizione di illegittimità anche a
tale ultima
norma, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87. Sottolinea, infine, il
rimettente che nel
caso dedotto in giudizio la dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità
e urgenza dell'opera è intervenuta «ben prima del 30
giugno 2003». 1.4.– Per le ragioni
esposte il TAR per la
Calabria ritiene non manifestamente infondato il dubbio di
legittimità
costituzionale dell'art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, nella
parte
in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
«le
controversie aventi per oggetto […] i comportamenti delle
amministrazioni
pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla
applicazione
delle disposizioni del testo unico», segnatamente allorché
detti comportamenti
riguardino progetti la cui dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità
ed urgenza è intervenuta prima dell'entrata in vigore del d.P.R.
n. 327 del
2001, per violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, della
Costituzione. 2.– Con ordinanza del
5 maggio 2005 (n.
425 del 2005), il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 53,
comma 1, del
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle
disposizioni
legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità –
Testo B) – «cui
è conforme l'art. 53, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001 n.
327» – per contrasto
con l'art. 103 della Costituzione, nella parte in cui prevede la
devoluzione
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle
controversie
concernenti i comportamenti delle amministrazioni pubbliche, e dei
soggetti
equiparati, in materia di espropriazione per pubblica utilità. 2.1.– Il dubbio
è stato prospettato nel
corso di un giudizio proposto dal
proprietario di un terreno, oggetto di decreto di
occupazione d'urgenza
emesso dal Sindaco del Comune di Nardodipace in data 14 gennaio 1992,
in vista
della realizzazione, entro cinque anni dalla data dell'immissione in
possesso,
di infrastrutture di carattere turistico-sportivo. Decorso tale termine
senza
che fosse stato emesso provvedimento di esproprio né corrisposta
alcuna
indennità, il ricorrente, dopo avere adìto il Tribunale
di Vibo Valentia, che
aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a conoscere la
controversia, aveva chiesto al Tribunale amministrativo regionale per
la
Calabria la condanna del convenuto al pagamento dell'indennità
di occupazione
nonché al risarcimento del danno per la perdita del diritto
dominicale
conseguente all'irreversibile trasformazione del fondo. 2.2.– Osserva il
rimettente che
quest'ultima domanda si fonda sull'avvenuto perfezionamento di una
fattispecie
di occupazione acquisitiva, nella quale l'acquisto della
proprietà del fondo,
in mancanza di tempestivo e formale provvedimento di esproprio, si
ricollega
alla sua irreversibile trasformazione, avvenuta nell'ambito di un
procedimento
ablativo iniziato con una valida ed efficace dichiarazione di pubblica
utilità.
Peraltro – osserva il rimettente – rispetto a tale parte del petitum
si
impone la verifica della sussistenza della giurisdizione del giudice
amministrativo, posto che, dopo l'introduzione del giudizio, è
intervenuta la
sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, dichiarativa della
parziale illegittimità, per contrasto con l'art. 103 della
Costituzione,
dell'art. 34, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998,
modificato
dall'art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000
nella
parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva, anche i
«comportamenti», estende la cognizione del giudice
amministrativo a
controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita
nemmeno
mediatamente, «e cioè avvalendosi della facoltà di
adottare strumenti
intrinsecamente privatistici, alcun pubblico potere». Ricorda segnatamente
il giudice a quo
che il fenomeno dell'occupazione acquisitiva è stato
unanimemente ricondotto
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia
urbanistica,
prevista dall'art. 34, comma 1, del menzionato decreto legislativo n.
80 del
1998, in considerazione del riferimento, contenuto in tale
disposizione, ai
«comportamenti» delle amministrazioni e dell'ampia nozione
di «urbanistica»
accolta dal comma 2 della stessa norma, secondo una prospettiva fatta
propria
anche dal giudice delle leggi, nella sentenza innanzi menzionata. Segnala quindi che, ai
fini della
decisione della controversia dedotta in giudizio, assume rilevanza
l'art. 53
del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325, il quale, parzialmente
riproduttivo dell'art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998, e non
toccato
dalla pronuncia di incostituzionalità, afferma la perdurante
vigenza della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in ordine alle
controversie
concernenti fattispecie di appropriazione acquisitiva.
Precisa, in
particolare, il giudicante di
non condividere l'assunto secondo cui l'intervento attuato dalla
Consulta nei
confronti dell'art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998 avrebbe
travolto
anche l'art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, nella parte in
cui
estende la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai
«comportamenti» della pubblica amministrazione: a suo
avviso, tale approdo
ermeneutico sarebbe in contrasto con le previsioni di legge – e
segnatamente
con l'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), in base al quale spetta alla
Corte
costituzionale individuare le disposizioni la cui illegittimità
deriva come
conseguenza dalla decisione adottata – oltre che contraddetto e dalla
diversa
estensione della previsione racchiusa nella norma censurata, estesa
anche agli
accordi, e dal suo carattere speciale rispetto al disposto dell'art. 34
del decreto
legislativo n. 80 del 1998. Segnala altresì
il rimettente che l'art.
53 del d.P.R. n. 327 del 2001 si inserisce nel contesto normativo delle
espropriazioni, in cui vi è una forte accentuazione dei poteri
di carattere
autoritativo e in cui sono presenti norme, come l'art. 43, che, sia
pure in
vista del superamento del fenomeno dell'occupazione appropriativa,
«sembrerebbero strettamente collegate alla previsione concernente
la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine ai
comportamenti
dell'amministrazione pubblica», quanto meno con riferimento alla
mera
utilizzazione del bene per finalità di pubblico interesse. 2.3.– In punto di non
manifesta
infondatezza, osserva il Tribunale rimettente che gli argomenti che
indussero
la Corte costituzionale a dichiarare la parziale illegittimità
dell'art. 34 del
decreto legislativo n. 80 del 1998, ben potrebbero riferirsi anche
all'art. 53,
comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325. E, invero,
nella
menzionata pronuncia, il Giudice delle leggi, escluso che l'art. 103
della
Costituzione abbia conferito al legislatore ordinario una assoluta e
incondizionata discrezionalità nell'individuazione delle materie
da devolvere
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ritenne non
conforme
al dettato costituzionale l'art. 34 del decreto legislativo n. 80 del
1998,
nella parte in cui estendeva detta giurisdizione, in materia
urbanistica ed
edilizia, anche ai comportamenti, così allargando l'ambito della
giurisdizione
esclusiva a fattispecie in cui la pubblica amministrazione non
esercita,
neppure mediatamente, un pubblico potere. La decisione della
Corte costituzionale
avvalorerebbe allora il dubbio di contrasto col medesimo parametro
anche
dell'art. 53 del testo unico delle espropriazioni, norma
che, benché non meramente riproduttiva
dell'art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998, e speciale
rispetto ad
essa, riconduce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
fattispecie nelle quali l'acquisto della proprietà del bene si
realizza in
conseguenza di meri comportamenti della pubblica amministrazione. 2.4.– In ordine alla
rilevanza della
questione, osserva il rimettente che il giudizio, concernente una
fattispecie
acquisitiva perfezionatasi prima dell'entrata in vigore del nuovo testo
unico
in materia di espropriazioni, avvenuta il 30 giugno 2003, è
stato introdotto
successivamente a tale data, risultando il ricorso notificato il 26
settembre
2003 e depositato il successivo 13 ottobre. Di modo che, ai sensi
dell'art. 5
del codice di procedura civile, non possono esservi dubbi
sull'applicabilità
alla fattispecie dedotta in giudizio della norma sospettata di
illegittimità. 2.5. – Per le ragioni
esposte, il TAR per
la Calabria dubita della compatibilità, con l'art. 103 della
Costituzione, dell'art. 53, comma 1, del
decreto
legislativo n. 325 del 2001, nella parte in cui prevede la devoluzione
alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie
concernenti i comportamenti delle amministrazioni pubbliche, e dei
soggetti
equiparati, in materia di espropriazione per pubblica utilità. Considerato
in diritto 1.–
Il TAR per la Calabria, sede di Catanzaro, solleva, con
ordinanza n. 36 del 2005, in riferimento agli artt. 25 e 102, comma
secondo,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 53, comma
1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni
legislative
e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilità – Testo A), e
con ordinanza n. 425 del 2005, in riferimento all'art. 103 della
Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1,
del decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni
legislative
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B),
disposizione
trasfusa nell'art. 53, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,
innanzi
menzionato, nella parte in cui devolvono alla giurisdizione esclusiva
del
giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto i
«comportamenti»
delle pubbliche amministrazioni, e dei soggetti ad esse equiparati, in
materia
di espropriazione per pubblica utilità. Entrambe le ordinanze
– emesse nel corso
di giudizi nei quali era stata proposta domanda di risarcimento dei
danni per
avere subìto, il fondo di proprietà dei ricorrenti,
radicali trasformazioni
durante il periodo di occupazione disposta per la realizzazione di
un'opera
pubblica senza che fosse intervenuto il decreto di esproprio –
osservano che
l'art. 53, comma 1, prevede la devoluzione alla giurisdizione esclusiva
del
giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto (anche)
«i
comportamenti» delle pubbliche amministrazioni, e cioè la
medesima ipotesi che
questa Corte – con la sentenza n. 204 del 2004 – ha espunto,
ritenendola costituzionalmente
illegittima, dall'art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo
1998, n.
80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di
lavoro
nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di
lavoro
e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo
11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall'art.
7, comma
1, lettera b), della legge 21 luglio
2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa). L'ordinanza n. 36 del
2005 precisa che il
dubbio circa la conformità a Costituzione della norma de qua non avrebbe ragion d'essere ove la dichiarazione
di pubblica
utilità ed urgenza fosse stata pronunciata dopo l'entrata in
vigore del d.P.R.
n. 327 del 2001 (e cioè dopo il 30 giugno 2003: art. 1 del
decreto legislativo
n. 302 del 2002), dal momento che in tal caso opererebbe (ex
art. 57 del d.P.R. n. 327, come modificato dal citato art. 1
del
decreto legislativo n. 302 del 2002) anche l'art. 43 del medesimo
d.P.R., il
quale attribuisce alla pubblica amministrazione il potere (certamente
sindacabile dal giudice amministrativo) di acquisire l'immobile,
«modificato in
assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o
dichiarativo della
pubblica utilità», al patrimonio indisponibile con
«condanna al risarcimento
del danno e con esclusione della restituzione del bene senza limiti di
tempo»;
poiché nel caso sottoposto al suo esame la dichiarazione di
pubblica utilità è
intervenuta «ben prima del 30 giugno 2003», la previsione
(che sarebbe
certamente di diritto sostanziale) dell'art. 43 non potrebbe operare e,
pertanto, ci si troverebbe in una situazione perfettamente analoga a
quella che
era disciplinata dall'art. 34 (dichiarato incostituzionale dalla
sentenza n.
204 del 2004), del quale l'art. 53, comma 1, riproduce (aggiungendovi
soltanto
«gli accordi») il contenuto. 2.– Va rilevato che
mentre una ordinanza
(n. 425 del 2005) vede nella dichiarazione di illegittimità
costituzionale
dell'art. 53, comma 1, una sorta di completamento di quanto, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953,
già con la sentenza n. 204 del 2004 questa Corte avrebbe potuto
fare; l'altra
(n. 36 del 2005) osserva che il mancato utilizzo da parte della Corte
dello
strumento della dichiarazione consequenziale di illegittimità
costituzionale si
giustificherebbe per il collegamento, sopra ricordato, della previsione
di cui
all'art. 53, comma 1, con quella di cui all'art. 43: sicché, ove
tale
collegamento ratione temporis non
operi, il riferimento ai “comportamenti” dovrebbe essere cassato come
lo fu
quello contenuto nell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998. Ne discende che il petitum delle due ordinanze diverge in ciò, che
l'una (n. 425)
sollecita una pronuncia che definitivamente espunga dalla norma
censurata la
locuzione “i comportamenti”, mentre l'altra (n. 36) chiede che la Corte
ciò
faccia relativamente ai giudizi nei quali non potrebbe trovare
applicazione la
norma (ritenuta) di diritto sostanziale (art. 43), che, sola,
giustifica la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto contempla
un
potere della pubblica amministrazione sindacabile da parte di quel
giudice. 3.– Questa Corte, con
la sentenza n. 204
del 2004, ha giudicato di questioni di legittimità
costituzionale che investivano,
da un lato, l'art. 33 (relativo ai pubblici servizi) e, dall'altro,
l'art. 34
(relativo all'edilizia ed urbanistica) del d.lgs. n. 80 del 1998, come
modificati dall'art. 7 (lettere a e b)
della legge n. 205 del 2000, in
quanto con tali norme il legislatore aveva «sostituito al
criterio di riparto
della giurisdizione fissato in Costituzione, e costituito dalla
dicotomia
diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio dei
“blocchi di
materie”» (punto 2.1. del Considerato in
diritto). La Corte ha osservato
che le censure mosse
dai giudici rimettenti «colgono nel segno nella parte in cui
denunciano
l'adozione, da parte del legislatore ordinario del 1998-2000, di
un'idea di
giurisdizione esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza, in un
certo
settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse»,
laddove «è
evidente che il vigente art. 103, primo comma, Cost., non ha conferito
al
legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata
discrezionalità
nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla
sua
giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare
“particolari
materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione”
investe “anche” diritti soggettivi». «Tale necessario
collegamento delle
“materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e
cioè con il
parametro adottato dal Costituente come
ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa –
è
espresso dall'art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono
essere
“particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di
legittimità: e cioè devono partecipare della loro
medesima natura, che è
contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce
come
autorità nei confronti della quale è accordata tutela al
cittadino davanti al
giudice amministrativo», sicché, «da un lato,
è escluso che la mera
partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia
sufficiente
perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo
[…] e, dall'altro
lato, è escluso che sia sufficiente
il
generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia
perché
questa possa essere devoluta al giudice amministrativo» (punto
3.2.). Sulla base di tali
premesse, questa Corte
– dopo aver distinto nell'ambito dell'art. 33 le ipotesi in cui la
materia dei
servizi pubblici era legittimamente devoluta al giudice amministrativo
in
quanto «la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo
potere
autoritativo» da quelle prive di tale connotato (punto 3.4.2.) –
ha osservato
che «analoghi rilievi investono la nuova formulazione dell'art.
34», la quale
«si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui,
comprendendo
nella giurisdizione esclusiva – oltre “gli atti e i provvedimenti”
attraverso i
quali le pubbliche amministrazioni […] svolgono le loro funzioni
pubblicistiche
in materia urbanistica ed edilizia – anche “i comportamenti”, la
estende a
controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita –
nemmeno
mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di
adottare strumenti
intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere» (punto
4.3.3. del Considerato in diritto). 3.1.– Discende, dalla
sommaria esposizione
dell'iter argomentativo seguito dalla
sentenza n. 204 del 2004, che non è corretta la premessa dalla
quale
implicitamente muovono entrambe le ordinanze di rimessione, e
cioè che, avendo
questa Corte espunto dalla disposizione di cui all'art. 34 la locuzione
“i
comportamenti”, tale espunzione non possa non estendersi all'identica
locuzione
impiegata nell'art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001. Tale tesi, infatti, si
fonda
esclusivamente sulla circostanza che, con il suo dispositivo, la
sentenza n.
204 del 2004 ha inciso sul testo dell'art. 34, ma trascura del tutto
non
soltanto la motivazione che è alla base di quel dispositivo, ma
anche, e
soprattutto, la valenza che la locuzione espunta aveva, specie in
relazione
alla questione di legittimità costituzionale allora sottoposta
alla Corte,
nella disposizione dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998. Ed infatti,
nell'affrontare la questione
del se fosse costituzionalmente legittimo devolvere alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo “blocchi di materie” ed in
particolare
l'intera “materia urbanistica ed edilizia” (comprensiva, la prima, di
“tutti
gli aspetti dell'uso del territorio”), questa Corte ha ravvisato – come risulta dalla motivazione della sentenza
– nella locuzione “i comportamenti” lo strumento utilizzato dal
legislatore per
operare l'indiscriminata devoluzione che si andava a censurare:
sicché
l'espunzione di tale locuzione, per la funzione “di chiusura”
assegnatale dal
legislatore nell'art. 34, valeva a ribadire che la “materia edilizia ed
urbanistica” non poteva essere devoluta “in blocco” alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, ma poteva esserlo nei limiti
precisati
nella motivazione. 3.2.– La questione di
legittimità
costituzionale sulla quale questa Corte è ora chiamata a
pronunciarsi investe
(non più la pretesa del legislatore ordinario di attribuire alla
giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo “in blocco” la materia edilizia ed
urbanistica, ma) specificamente la conformità a Costituzione –
e, segnatamente,
agli artt. 25, 102, comma secondo, e 103 – della norma che, in tema di
espropriazione per pubblica utilità, devolve «alla
giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto», oltre
che «gli atti,
i provvedimenti, gli accordi», anche «i comportamenti delle
amministrazioni
pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati»; questione che, per
quanto si è
fin qui osservato, non può essere risolta attraverso la semplice
e meccanica
estensione a questa disposizione dell'espunzione (solo perché,
allora, operata)
della locuzione de qua dall'art. 34
del d.lgs. n. 80 del 1998. Va, altresì,
precisato che, non essendo
implausibile la tesi per cui l'art. 53, in quanto norma processuale (e
non
anche l'art. 43, in quanto norma di diritto sostanziale), troverebbe
applicazione nei giudizi aventi ad oggetto fattispecie non governate,
quanto al
diritto sostanziale, dal d.P.R. n. 327 del 2001, la questione di
legittimità
costituzionale ora all'esame della Corte concerne l'art. 53, comma 1,
esclusivamente nella sua valenza di norma attributiva della
giurisdizione al
giudice amministrativo, e pertanto senza che in alcun modo possa
esserne
coinvolta la norma nella parte in cui – essendo applicabile l'art. 43
del
d.P.R. n. 327 del 2001 – presuppone la possibilità che sia
sindacato dal
giudice amministrativo l'esercizio, da parte della pubblica
amministrazione,
del potere di acquisire al suo patrimonio indisponibile l'immobile
modificato. Peraltro la questione
sollevata è rilevante
nei giudizi a quibus perché, non
essendo implausibile la tesi dell'immediata applicabilità
dell'art. 53, comma
1, quale norma processuale (specie a giudizi incardinati nella vigenza
dell'art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dalla legge n.
205 del
2000) e pendendo la causa davanti al giudice amministrativo,
l'eventuale
carenza di sua giurisdizione a norma dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del
1998 – a
seguito dell'espunzione della locuzione “i comportamenti” operata da
questa
Corte – legittimerebbe (ex art. 5 del
codice di procedura civile) una pronuncia declinatoria della
giurisdizione solo
ove fosse dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione
dell'art.
53, comma 1, che ex novo rende il
giudice amministrativo munito di giurisdizione: se è vero,
infatti, che la
giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento
della
proposizione della domanda, è anche vero che il sopravvenire
della
giurisdizione in capo al giudice che originariamente ne era (o ne era
divenuto)
sfornito impedisce – per pacifica giurisprudenza – la pronuncia
declinatoria. 4.– Le questioni sono
fondate nei limiti di seguito precisati. 4.1.– Entrambe le
fattispecie oggetto dei
giudizi a quibus sono riconducibili
alle ipotesi tradizionalmente denominate (in giurisprudenza e dottrina)
di
occupazione appropriativa (ovvero, anche, di accessione invertita o
espropriazione sostanziale): il che si verifica quando il fondo
è stato
occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, e
pertanto nell'ambito
di una procedura di espropriazione, ed ha subìto una
irreversibile
trasformazione in esecuzione dell'opera di pubblica utilità
senza che,
tuttavia, sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a
produrre l'effetto traslativo della proprietà. Tale fenomeno viene
contrapposto a quello
cosiddetto di occupazione usurpativa, caratterizzato dall'apprensione
del fondo
altrui in carenza di titolo: carenza universalmente ravvisata
nell'ipotesi di
assenza ab initio della dichiarazione
di pubblica utilità, e da taluni anche nell'ipotesi di
annullamento, con
efficacia ex tunc, della
dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per
inutile
decorso dei termini previsti per l'esecuzione dell'opera pubblica. Nel caso
dell'occupazione appropriativa,
perfezionandosi con l'irreversibile trasformazione del fondo la
traslazione in
capo all'amministrazione del diritto di proprietà, il
proprietario del fondo
non può che chiedere la tutela per equivalente, laddove, nel
caso
dell'occupazione usurpativa (rectius:
nelle ipotesi – in relazione a taluna delle quali non v'è
unanimità di consensi
– ad essa riconducibili) il proprietario può scegliere tra la
restituzione del
bene e, ove a questa rinunci così determinando il prodursi (dei
presupposti) dell'effetto
traslativo, la tutela per equivalente. 4.2.– È
evidente che la soluzione della
questione di legittimità costituzionale in esame non può
che muovere da quanto
questa Corte, con la più volte citata sentenza n. 204 del 2004,
ha statuito
riguardo all'art. 35 (come modificato dall'art. 7, lettera c,
della legge n. 205 del 2000) del d.lgs. n. 80 del 1998;
statuizione, va precisato, e non già obiter
dictum, in quanto la Corte – investita della questione di
legittimità
costituzionale della devoluzione alla giurisdizione esclusiva del
giudice
amministrativo dei “blocchi di materie” relative ai servizi pubblici ed
all'edilizia ed urbanistica e del potere, altresì, di giudicare
di azioni
risarcitorie riconosciutogli come attributo della giurisdizione
esclusiva – non
poteva non considerare, quanto meno con riferimento al disposto
dell'art. 35,
comma 1, se anche la tutela risarcitoria fosse configurabile come una
“materia”
devoluta in blocco alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. In proposito questa
Corte ha statuito che
«il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre,
anche attraverso
la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno
ingiusto non
costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua
giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto
a quello
classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere
giustizia al
cittadino nei confronti della pubblica amministrazione». 4.3.– I principi
appena ricordati impongono
di escludere che, per ciò solo che la domanda proposta dal
cittadino abbia ad
oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione competa
al
giudice ordinario: ciò dicendo non intende questa Corte prendere
posizione sul
tema della natura della situazione soggettiva sottesa alla pretesa
risarcitoria, ovvero sulla natura (di norma secondaria, id
est sanzionatoria di condotte aliunde vietate,
oppure primaria) dell'art. 2043 cod. civ., ma
esclusivamente ribadire che laddove la legge – come fa l'art. 35 del
d.lgs. n.
80 del 1998 – costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto
di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, come
strumento di
tutela affermandone – come è stato detto – il carattere
“rimediale”, essa non viola
alcun precetto costituzionale e, anzi, costituisce attuazione del
precetto
dell'art. 24 Cost. laddove questo esige che la tutela giurisdizionale
sia
effettiva e sia resa in tempi ragionevoli. In altri termini, al
precedente sistema
che, in considerazione della natura intrinseca di diritto soggettivo
della
situazione giuridica conseguente all'annullamento del provvedimento
amministrativo, attribuiva al giudice ordinario «le controversie
sul
risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti
amministrativi»
(così l'art. 35, comma 5, del d. lgs. n. 80 del 1998, come
modificato dall'art.
7, lettera c della legge n. 205 del
2000), il legislatore ha sostituito (appunto con l'art. 35 cit.) un
sistema che
riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità
dell'esercizio
della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e
quindi
anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma
specifica, il
danno sofferto per l'illegittimo esercizio della funzione. Da ciò consegue
che, ai fini del riparto
di giurisdizione, è irrilevante la circostanza che la pretesa
risarcitoria
abbia – come si ritiene da alcuni –, o non abbia, intrinseca natura di
diritto
soggettivo: avendo la legge, a questi fini, inequivocabilmente
privilegiato la
considerazione della situazione soggettiva incisa dall'illegittimo
esercizio
della funzione amministrativa, a questa Corte competeva (e compete)
solo di
valutare se tale scelta del legislatore
– di collegare, cioè, quanto all'attribuzione della
giurisdizione, la tutela
risarcitoria a quella della situazione soggettiva incisa dal
provvedimento
amministrativo illegittimo – confligga, o non, con norme
costituzionali; ciò
che, con la più volte ricordata sentenza n. 204 del 2004, questa
Corte ha
escluso. 5.– Le considerazioni
fin qui esposte
rendono palese che la questione di legittimità costituzionale
sollevata dalle
ordinanze de quibus non può
risolversi in base al solo petitum, id
est alla domanda di risarcimento del danno, bensì
considerando il fatto, dedotto
a fondamento della domanda, che si assume causativo del danno ingiusto. Con espressione
ellittica l'art. 53, comma
1, individua (anche) nei “comportamenti” della pubblica amministrazione
il
fatto causativo del danno ingiusto, in
parte qua riproducendo il contenuto
dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 (come modificato dall'art. 7
della legge
n. 205 del 2000). Tale previsione
è costituzionalmente
illegittima là dove la locuzione, prescindendo da ogni
qualificazione di tali
“comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo controversie nelle quali sia parte − e per ciò
solo che essa è
parte − la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice
amministrativo il
giudice dell'amministrazione piuttosto che l'organo di garanzia della
giustizia
nell'amministrazione (art. 100 Cost.). Viceversa, nelle
ipotesi in cui i
“comportamenti” causativi di danno ingiusto – e cioè, nella
specie, la
realizzazione dell'opera – costituiscono esecuzione di atti o
provvedimenti
amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di
indifferibilità e urgenza) e sono quindi
riconducibili
all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione, la norma si
sottrae
alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche
tali “comportamenti”
esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della
funzione pubblica della
pubblica amministrazione. In sintesi, i principi
sopra esposti –
peraltro già enunciati da questa Corte con la sentenza n. 204
del 2004 –
comportano che deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione
alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie
relative
a “comportamenti” (di impossessamento del bene altrui) collegati
all'esercizio,
pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere
dichiarata
costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione
esclusiva di
“comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di
mero
fatto. L'attribuzione alla
giurisdizione del
giudice amministrativo della tutela risarcitoria – non a caso con la
medesima
ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che
davanti al
giudice ordinario, e con la previsione di mezzi istruttori, in
primis la
consulenza tecnica, schiettamente “civilistici” (art. 35, comma 3) – si
fonda
sull'esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt.
24 e
111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela
del
cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione
pubblica (così Corte
di cassazione, sez. un., 22 luglio 1999, n. 500 ), ma non si giustifica
quando
la pubblica amministrazione non abbia in concreto esercitato, nemmeno
mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura
dell'interesse
pubblico. LA
CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'art. 53, comma 1, del
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle
disposizioni
legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità –
Testo B),
trasfuso nell'art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della
Repubblica 8
giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A),
nella parte in
cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
le
controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche
amministrazioni e dei
soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non
riconducibili,
nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere. Così deciso in
Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
maggio
2006. F.to: Annibale
MARINI, Presidente Romano
VACCARELLA, Redattore Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere Depositata
in Cancelleria l'11 maggio 2006. Il
Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA
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