CONSIGLIO
DI STATO - ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 30 luglio 2007 n. 9, sulla
giurisdizone
in materia espropriativa e sulla non operativatà della
cosiddetta pregiudiziale
amministrativa in caso di danni conseguenti alla mancata conclusione
del
procedmento amministrativo
L’esercizio
della funzione pubblica emerge dalla fase di apposizione del vincolo,
la quale
apre e qualifica originariamente – col necessario riflesso
semplificante in
termini di giurisdizione – l’intero procedimento nel cui alveo si
innestano in
chiave tendenzialmente attuativa i successivi segmenti.
La omessa conclusione del procedimento mediante tempestiva pronuncia
del
decreto di esproprio, impedendo la formalizzazione dell’acquisizione al
patrimonio pubblico del bene realizzato, connota la precedente
attività
dispiegata dall’Amministrazione in termini materiali o comportamentali:
ma, pur
privato del suo naturale sbocco costitutivo e quindi illegittimo,
questo
comportamento di impossessamento e irreversibile modifica del bene
altrui resta
pur sempre, nel senso ora detto, riconducibile all’esercizio del
pubblico
potere.
Conseguentemente la omessa conclusione del procedimento mediante
tempestiva
pronuncia del decreto di esproprio, impedendo la formalizzazione
dell’acquisizione al patrimonio pubblico del bene realizzato, connota
la
precedente attività dispiegata dall’Amministrazione in termini
materiali o
comportamentali: ma, pur privato del suo naturale sbocco costitutivo e
quindi
illegittimo, questo comportamento di impossessamento e irreversibile
modifica
del bene altrui resta pur sempre riconducibile all’esercizio del
pubblico
potere.
Non ha motivo di operare la contestata regola della pregiudiziale –
secondo la
quale l’ammissibilità della domanda risarcitoria presuppone la
previa demolizione
in s.g. del provvedimento lesivo – qualotra il danno concretamente
lamentato
non discende da eventuali illegittimità dell’atto dichiarativo
quanto
direttamente dalla mancata conclusione del procedimento e dalla omessa
adozione
al termine dei lavori del decreto di trasferimento, che ha impedito la
stabilizzazione degli effetti giuridici interinalmente prodotti dagli
atti
intermedi ad esso finalizzati sul piano causale.
E’ evidente infatti che nessun onere
di
previa impugnazione del provvedimento dannoso può addossarsi al
suo
destinatario ove l’atto sia stato rimosso in sede amministrativa, in
autotutela
o su ricorso di parte, oppure se il danno non è prodotto dalle
statuizioni
costitutive contenute nell’atto ma è materialmente causato dalle
particolari
modalità di sua esecuzione.
Ed anzi nella ipotesi da ultimo richiamata un danno giuridicamente
rilevante
ben può coesistere con la inoppugnabilità o acclarata
legittimità del
provvedimento (solo malamente eseguito) il quale effettivamente
rileverà nel giudizio
risarcitorio come mero presupposto.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Adunanza Plenaria
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello n. 4/2007, dell’Adunanza Plenaria (n. 1125/2005 del
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana proposto
dal
COMUNE DI MELILLI, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. Attilio Floresta, con domicilio eletto
presso
lo studio dell’avv. Elisabetta Borgese, in Palermo, via Notarbartolo n.
38;
contro
i signori DOMENICO GIULIANO, LUIGI GIULIANO, SEBASTIANO GIULIANO,
FRANCESCO
SETTIMO GIULIANO, MARIA GIULIANO, BIANCA GIULIANO, e CARMELO GIULIANO,
tutti in persona della sorella germana SEBASTIANA GIULIANO, che
in loro
nome agisce, dichiara e sottoscrive, nonchè la signora SEBASTIANA
GIULIANO,
in proprio, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Antonino
Saltalamacchia, e
dall’avv. Gian Luigi Pellegrino con domicilio eletto in Palermo, via
Tripoli n.
3, presso lo studio dell’avv. Giuseppina Daniela Monterosso;
e nei confronti
della AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE N. 8 DI SIRACUSA,
in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall’avv.
Alessandro Algozini, con domicilio eletto in Palermo, presso lo studio
del
medesimo in Palermo, via Duca della Verdura n. 4 (appellante
incidentale);
per la riforma
della sentenza n. 1126, in data 12 luglio 2005, del Tribunale
amministrativo
regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania, I;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Domenico Giuliano e
litisconsorti;
Visto l'atto di costituzione in giudizio, con appello incidentale,
dell’Azienda
Unità Sanitaria Locale n. 8 di Siracusa;
Vista l’ordinanza del C.G.A.R.S. n. 75/2007 del 2 marzo 2007 con cui
è rimesso
all’Adunanza Plenaria il ricorso n. 1125/2005;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 25 giugno 2007, il Presidente Paolo
Salvatore e udito l’avv. Gian Luigi Pellegrino;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1) Con
ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Sezione
staccata
di Catania, i germani Giuliano, premessa la propria qualità di
comproprietari pro
indiviso dell’area situata in territorio del comune di Melilli,
censita in
catasto al foglio di mappa 57, p.lle 750, 754, 614, 618 ed interessata
dalla
costruzione del poliambulatorio dell’Azienda U.S.L. n. 8 di Siracusa,
esponevano che le Amministrazioni citate avevano occupato - senza
notificare
gli atti della procedura ad essi proprietari - i terreni in questione,
realizzando il poliambulatorio.
Deducevano le seguenti censure:
a) violazione degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in
quanto i
ricorrenti, proprietari del fondo occupato, non erano stati resi edotti
dell’avvio del procedimento amministrativo finalizzato
all’espropriazione; in
particolare ad essi non era stato notificato l’avviso di deposito del
decreto
di approvazione dell’opera pubblica, cui per legge ordinariamente
consegue
l’indifferibilità ed urgenza della stessa;
b) illegittimità dell’azione amministrativa, esistenza di danni,
di nesso
causale, di dolo/colpa della p.a., in quanto agli interessati (in
qualità di
effettivi proprietari dei beni) non erano stati notificati gli atti del
procedimento espropriativo, e ciò per asserita colpa dell’ente
espropriante.
I ricorrenti chiedevano conclusivamente di accertare e dichiarare la
illegittimità e la illiceità della condotta delle
Amministrazioni intimate in
relazione alla procedura di espropriazione avente ad oggetto l’area
sulla quale
era stato edificato il Poliambulatorio di Melilli e per l’effetto
chiedevano la
condanna in solido tra loro del Comune di Melilli e della Azienda
U.S.L. n. 8
di Siracusa al risarcimento della lesione subita, invocando l’art. 2043
c.c. e
l’art. 35 decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, oltre che la
corresponsione
di interessi e rivalutazione monetaria, ed il ristoro dell’ulteriore
pregiudizio
derivante dal ritardo subito nella reintegrazione del proprio
patrimonio.
Si costituivano l’Azienda U.S.L. n.8 di Siracusa che rappresentava la
propria
estraneità alla vicenda, nonchè il Comune di Melilli che
contestava in fatto ed
in diritto le deduzioni dei ricorrenti.
Il T.A.R. adito osservava che:
- nel 1991 era intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità
dell’opera in
questione, che prevedeva (art. 3 del Decreto dell’Assessorato Regionale
alla
sanità n. 94477/1991) l’avvio delle espropriazioni nel termine
di tre mesi
dalla data di comunicazione del D.A. stesso e la ultimazione entro
cinque anni
con la medesima decorrenza;
- nel 1995 era stata disposta l’occupazione d’urgenza;
- il decreto di espropriazione non era mai intervenuto, come si
desumeva, anche
ai sensi dell’art. 116/2 c.p.c., dal silenzio sul punto delle
amministrazioni,
le quali erano state espressamente sollecitate dall’ordinanza
interlocutoria a
fornire documentati chiarimenti riguardo ad esso;
Ciò premesso riteneva sussistente la giurisdizione
amministrativa e nel merito
accoglieva il ricorso, dichiarando illegittima ed inefficace
l’attività
espropriativa delle parti resistenti nei confronti dell’immobile dei
ricorrenti, accoglieva la domanda risarcitoria e condannava in solido
le amministrazioni
resistenti a risarcire ai ricorrenti il danno, per l’ammontare da
determinarsi,
ai sensi dell’art. 35/2 del decreto legislativo n. 80/1998, secondo i
criteri
stabiliti in motivazione e poneva le spese e gli onorari di giudizio a
carico
solidale delle amministrazioni resistenti.
La sentenza del T.A.R. veniva appellata dal Comune di Melilli che
eccepiva:
il difetto di giurisdizione amministrativa concernendo la controversia
de qua
comportamenti non involgenti l’esercizio di pubbliche potestà;
l’inammissibilità di accertamento incidentale della
legittimità di atti
amministrativi non impugnati nel termine decadenziale ed al solo fine
di un
giudizio risarcitorio.
Contestava poi la propria responsabilità essendo un mero
delegato alla
procedura relativa ad un’opera di cui si giova la Azienda U.S.L. n. 8
di
Siracusa.
La sentenza veniva, altresì, impugnata con appello incidentale
dalla Azienda
U.S.L. n. 8 di Siracusa che, oltre a rilevare l’inammissibilità
e la tardività
del ricorso in primo grado, sosteneva:
l’inapplicabilità degli articoli 53 e 43 d.lgs. n. 327/2001
richiamati dal
T.A.R. e che la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario in
assenza di
alcun atto o provvedimento del quale la caducazione è
pregiudiziale;
l’erroneità della dichiarazione di responsabilità in
solido dell’Azienda, del
tutto estranea alla procedura espropriativa della quale dovrebbe – se
mai -
rispondere la Regione attraverso la gestione liquidatoria delle
pregresse poste
debitorie e creditorie sorte in capo alle ex UU.SS.LL..
I ricorrenti in primo grado nelle memorie presentate, oltre a svolgere
puntuali
controdeduzioni, hanno eccepito l’irricevibilità (per tardiva
notifica) e
l’inammissibilità (per tardivo deposito) dell’appello
incidentale dell’Azienda.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con
ordinanza
n.75/07 depositata il 2 marzo 2007 avendo rilevato l’esistenza di
alcune
questioni pregiudiziali negli appelli proposti, ha ritenuto opportuno
ex art.
10, quarto comma del d.lgs 24 dicembre 2003 n.373 rimettere la
soluzione della
intera controversia all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
L’ordinanza di rimessione – in relazione alla fattispecie oggetto del
contenzioso caratterizzata in punto di fatto dagli elementi sopra
illustrati –
sottopone all’esame dell’Adunanza Plenaria, collocandole in un ampio
quadro di
riferimento giurisprudenziale e dottrinario, le questioni che possono
essere
schematizzate nei seguenti termini, secondo un ordine di successione
logico
giuridico.
Una prima questione che attiene alla sussistenza nella specie della
giurisdizione amministrativa sotto il profilo della
riconducibilità del danno
prospettato all’esercizio di un potere ovvero ad un mero comportamento,
tenendo
presente che i lavori iniziati con l’immissione in possesso nel termine
di
efficacia della dichiarazione sono stati ultimati quando detto termine
era
ampiamente decorso e fermo restando che il decreto di esproprio non
è mai stato
adottato;
una seconda questione che attiene, sotto un profilo gradato, alla
ammissibilità
di un’azione non impugnatoria, ma autonomamente risarcitoria e diretta
a far
dichiarare – secondo la prospettazione dei ricorrenti in primo grado –
la
illiceità e la illegittimità della procedura ablatoria al
di fuori di una
specifica domanda di annullamento degli atti contestati ed
all’esclusivo fine
di ottenere il risarcimento per equivalente del danno causato
dall’irreversibile trasformazione dell’immobile in questione;
una terza questione che concerne l’applicabilità al presente
giudizio di
appello della procedura accelerata di cui all’art. 23 bis della legge 6
dicembre 1971 n.1034, atteso che l’appello incidentale della Azienda
U.S.L. non
è stato notificato nel termine breve di trenta giorni dalla
ricevuta notifica
della sentenza, come invece prescrive l’art.23 bis, ed è stato
depositato oltre
il termine dimidiato di cinque giorni dalla notifica.
Nelle note di udienza depositate tardivamente ma con l’adesione delle
controparti, i ricorrenti in primo grado hanno ribadito, illustrandole
ulteriormente
in maniera diffusa, le argomentazioni ed i rilievi espressi nelle
precedenti
fasi del giudizio.
1. Gli appelli non sono fondati e la sentenza impugnata va
perciò confermata.
Come riferito nelle premesse la controversia all’esame consegue alla
realizzazione
di un Poliambulatorio U.S.L. sul terreno di proprietà dei
germani Giuliano sito
nel comune di Melilli.
La dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, che risale
all’anno 1991,
prevedeva il termine di cinque anni per il compimento dei lavori e
della
procedura ablatoria.
In fatto, l’occupazione del fondo da parte del comune è avvenuta
nell’anno 1995
con successivo avvio a cura della U.S.L. dei lavori che sono stati
però
ultimati dopo l’anno 2000, senza che il decreto di esproprio venisse
nel frattempo
adottato.
I germani Giuliano hanno quindi proposto nel 2002 ricorso al T.A.R.
Catania,
chiedendo il risarcimento per equivalente del danno patito.
Con sentenza n. 1126 del 2005 il T.A.R. ha accolto il ricorso,
condannando le
Amministrazioni al risarcimento.
Per quanto qui ora rileva il Tribunale ha statuito che la controversia,
pur
riguardando “comportamenti “ dell’Amministrazione, risultava devoluta
alla
giurisdizione amministrativa esclusiva in base all’art. 53 T.U. sulle
espropriazioni n. 327 del 2001, all’epoca ancora non inciso da Corte
cost. n.
191 del 2006.
Nel nuovo contesto normativo derivante dalla pronuncia costituzionale
ora
citata, il Consiglio di Giustizia amministrativa – affrontando la
questione in
base al primo motivo di impugnazione proposto dall’appellante – dubita
della
perdurante condivisibilità delle conclusioni cui è
pervenuto il Giudice di
primo grado e chiede quindi di chiarire se della controversia all’esame
possa
effettivamente conoscere il giudice amministrativo.
Al riguardo l’Adunanza Plenaria ricorda che, come è noto, la
Corte di
Cassazione è in sostanza ferma nel ritenere la giurisdizione
dell’A.G.O. in
relazione a controversie espropriative caratterizzate dalla omessa
pronuncia
del decreto di esproprio o ( secondo l’ipotesi più frequente)
dalla sua
adozione dopo la scadenza dei termini comminati dalla dichiarazione di
P.U.,
sul rilievo che in questi casi l’Amministrazione è ormai carente
di ogni potere
ablatorio rispetto al diritto reale vantato dal proprietario.
In tali sensi chiarisce la Suprema Corte che nel caso di inutile
decorso dei
termini finali fissati nella dichiarazione di P.U. per il compimento
dell'espropriazione e dei lavori senza che sia intervenuto il decreto
traslativo non rileva più che il potere espropriativo fosse in
origine
attribuito all'Amministrazione, in quanto è decisivo che tale
attribuzione,
circoscritta nel tempo direttamente dal Legislatore, fosse già
venuta meno
all'epoca dell'utilizzazione della proprietà privata. ( per
tutte SS.UU. nn. 13659
del 2006 e 2688 del 2007).
A tale insegnamento si è conformata una parte della
giurisprudenza
amministrativa, in sostanza rilevando che un diverso criterio poteva
valere
solo fino a quando la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 204
del
2004, non ha espunto dall’art. 34 del D. L.vo n. 80 del 1998 la
devoluzione
alla giurisdizione esclusiva dei “comportamenti” della P.A. in materia
urbanistica e di governo del territorio.
Per contro, questa Adunanza Plenaria ha invece da tempo ricondotto alla
giurisdizione
del Giudice amministrativo il caso del decreto di esproprio mancante o
tardivo,
cioè emesso dopo la scadenza della dichiarazione di pubblica
utilità.
Giudicando di una controversia in cui appunto la domanda risarcitoria
fondava
sulla sopravvenuta perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica
utilità
e sulla mancata emanazione del decreto di esproprio, questa Adunanza ha
infatti
affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa esclusiva
in
relazione a liti che abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la
lesione di
questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali
riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un
momento nel
quale quest’ultimo risulta ormai mutilato della sua forza autoritativa
per la
sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata
conclusione del
procedimento ( Ap. n. 4 del 2005 ma cfr. anche nn. 9 del 2005 e 2 del
2006).
La fondatezza di tali conclusioni va oggi ribadita in quanto il diritto
vigente, per come delimitato dalle sentenze n. 204 del 2004 e 191 del
2006 del
Giudice delle leggi, depone per la rimeditazione dell’insegnamento sin
qui
impartito dalla Corte regolatrice.
Dopo l’entrata in vigore del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001
il
procedimento ablatorio si attiva con l’imposizione – in virtù
della pertinente
previsione urbanistica o degli altri strumenti individuati all’art. 10
– del
vincolo preordinato all’esproprio, cui deve conseguire entro cinque
anni la
dichiarazione di pubblica utilità dell’opera nonchè,
entro il successivo
quinquennio di efficacia legale di questa, il decreto di esproprio.
Attualmente quindi l’esercizio della
funzione pubblica emerge dalla fase di apposizione del vincolo, la
quale apre e
qualifica originariamente – col necessario riflesso semplificante in
termini di
giurisdizione – l’intero procedimento nel cui alveo si innestano in
chiave
tendenzialmente attuativa i successivi segmenti.
In precedenza – alla stregua del procedimento bifasico
disegnato dalla
legge fondamentale n. 2359 del 1865 e ancor più dopo le
innovazioni in tema di
dichiarazione implicita introdotte dalla legge n. 1 del 1978 – cardine
dell’attività ablatoria era invece la dichiarazione di pubblica
utilità, avendo
questa l’effetto di sottoporre il bene al regime di
espropriabilità così
determinando, appunto in vista dell’espropriazione, l'affievolimento
del
diritto di proprietà.
In questo ambito, il decisivo rilievo provvedimentale della
dichiarazione e la
conseguente sua capacità di incidere costitutivamente nella
sfera giuridica del
proprietario si coglie del resto dal fatto che la stessa è stata
sempre
ritenuta come immediatamente impugnabile, a differenza degli atti
meramente
infraprocedimentali.
In sostanza, nei procedimenti come quello in controversia non governati
ratione
temporis dalle norme sostanziali del T.U., la dichiarazione di
pubblica
utilità è l’atto autoritativo che fa emergere il potere
pubblicistico in
rapporto al bene privato e costituisce al tempo stesso origine
funzionale della
successiva attività, giuridica e materiale, di utilizzazione
dello stesso per
scopi pubblici previamente individuati.
In questo quadro, la mancata adozione del provvedimento traslativo
entro il
prescritto termine non sembra poter dequotare la valenza giuridica di
un’attività
appunto espletata nel corso e in virtù di un procedimento che la
dichiarazione
ha ab origine funzionalizzato a scopi specifici e concreti di
pubblica
natura o utilità.
La omessa conclusione del procedimento
mediante tempestiva pronuncia del decreto di esproprio, impedendo la
formalizzazione dell’acquisizione al patrimonio pubblico del bene
realizzato,
connota la precedente attività dispiegata dall’Amministrazione
in termini
materiali o comportamentali: ma, pur privato del suo naturale sbocco
costitutivo
e quindi illegittimo, questo comportamento di impossessamento e
irreversibile
modifica del bene altrui resta pur sempre, nel senso ora detto,
riconducibile
all’esercizio del pubblico potere.
La fattispecie ora all’esame presenta dunque evidenti punti
di contatto con
quella che si determina a seguito dell’annullamento in s.g. della
dichiarazione
di pubblica utilità, in quanto in entrambi i casi gli effetti
retroattivi
naturalmente conseguenti alla pronuncia demolitoria o quelli derivanti
dalla
mancata conclusione del procedimento non sembrano poter travolgere a
posteriori
il nesso funzionale che ha comunque legato l’attività
dell’Amministrazione alla
realizzazione del fine di interesse collettivo individuato all’origine.
Il vero è infatti che il collegamento con l’esercizio del potere
corre sul
piano storico, nella dinamica dei fatti giuridici in cui
l’attività si è
estrinsecata –sulla base dei necessari presupposti- secondo univoci
procedimenti, moduli ed atti di struttura pubblicistica ( la
dichiarazione di
P.U.) ed assume rilevanza ai fini della riconducibilità della
stessa, non
meramente materiale, all’Amministrazione nella sua veste pubblicistica.
Su di un piano diverso si colloca il tema della
validità/legittimità degli atti
adottati, riguardati nella loro connotazione di atti giuridici, che
rileva sul
piano della configurabilità ed individuazione dell’esistenza dei
presupposti
oggettivi della fattispecie risarcitoria.
Ben distinto invece – e dunque non equiparabile ai fini del riparto di
giurisdizione
ai sensi dell’art. 34 del D. L.vo n. 80 del 1998 e delle corrispondenti
norme
processuali contenute nell’art. 53 del T.U. n. 327 del 2001 come incisi
dalle
citate sentenze della Corte costituzionale – è il caso in cui la
dichiarazione
manchi del tutto, venendo allora in rilievo un mero comportamento per
vie di
fatto, in nessun modo e nemmeno mediatamente funzionalizzato
all’esercizio di
un effettivo potere degradatorio e traslativo.
Da quanto sin qui esposto deve trarsi la
conclusione che nella materia dei procedimenti di esproprio sono
devolute alla
giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si
faccia
questione – naturalmente anche ai fini complementari della tutela
risarcitoria
- di attività di occupazione e trasformazione di un bene
conseguenti ad una
dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche
se il
procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia
sfociato in un
tempestivo atto traslativo ovvero sia caratterizzato dalla presenza di
atti poi
dichiarati illegittimi.
Impostazione questa che da un lato sembra la più
aderente al criterio di
riparto della giurisdizione in materia di governo del territorio
disegnato a
livello normativo per effetto delle pronunce del Giudice delle leggi;
dall’altro, nella misura in cui àncora ad un parametro obiettivo
la vasta
nozione dei comportamenti mediatamente riconducibili all’esercizio del
pubblico
potere, sembra meglio rispondere anche a decisive esigenze di economia
processuale e di ragionevole durata del processo, semplificando
l’individuazione del giudice fornito di giurisdizione da parte del
proprietario
che si ritenga leso e danneggiato in conseguenza della realizzazione
dell’opera
già dichiarata di pubblica utilità.
In conclusione, nel caso all’esame vanno confermate le statuizioni del
Tribunale in ordine alla sussistenza della giurisdizione amministrativa
esclusiva.
2. Ritenuta la giurisdizione deve passarsi all’esame dell’eccezione
mediante la
quale gli appellati deducono l’inammissibilità dell’appello
incidentale della
Azienda U.S.L., in quanto notificato e depositato nei termini ordinari
e non in
quelli speciali indicati dall’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971.
La questione si risolve nel decidere se il rito abbreviato, di cui al
citato
art. 23 bis, è applicabile ad una controversia che consegue ad
una procedura di
espropriazione ma nella quale vengono in rilievo profili di stampo
esclusivamente risarcitorio.
Come osservato dal Consiglio di giustizia amministrativa, al riguardo
la
giurisprudenza non ha sin qui assunto un atteggiamento univoco.
Secondo un primo orientamento la dimidiazione dei termini prevista dal
citato
art. 23 bis nelle controversie aventi ad oggetto le procedure di
espropriazione
di aree per la realizzazione di opere pubbliche si applica anche alle
conseguenti domande risarcitorie, perchè queste – secondo
l’insegnamento della
Corte costituzionale - non costituiscono materia a se stante,
bensì uno
strumento di tutela ulteriore e aggiuntivo rispetto a quello classico
demolitorio. ( cfr. tra le recenti Csi. n. 434 del 2006).
Un diverso indirizzo giurisprudenziale perviene invece ad opposte
conclusioni,
rilevando che nei giudizi meramente risarcitori non ricorre la ratio
per
la quale il Legislatore ha ritenuto di favorire, in deroga ai termini
processuali ordinari, una più rapida tutela degli interessi
pubblici in ambiti
individuati ( cfr. da ultimo V Sez. n. 7194 del 2006).
L’Adunanza Plenaria ritiene che tale ultima impostazione sia da
privilegiare,
sulla scorta di convergenti considerazioni di ordine sia testuale che
sistematico.
In tal senso, è da osservare in primo luogo che secondo la
lettera della legge
il rito abbreviato si applica nei giudizi aventi ad oggetto “ l’
impugnazione
di provvedimenti..relativi ..alle procedure di espropriazione”: stando
al dato
testuale, quindi, la dimidiazione dei termini non riguarda le domande
risarcitorie autonome, nelle quali non si mira a demolire i
provvedimenti
adottati nell’ambito della procedura di esproprio ma si lamenta il
danno derivante
dalla loro esecuzione.
L’oggetto del giudizio risarcitorio non rientra dunque tra quelli
tassativamente enumerati al comma 1 dell’art. 23 bis, le cui
disposizioni
acceleratorie – nella misura in cui derogano incisivamente
all’ordinario regime
processuale – risultano di stretta interpretazione e non possono essere
applicate estensivamente al di fuori delle ipotesi nominate che il
Legislatore
ha ritenuto di individuare.
Sotto altro e decisivo profilo, la normativa in argomento risponde
all’evidente
fine di favorire, nei limiti di compatibilità con le esigenze
individuali di
tutela giurisdizionale, una tempestiva definizione di controversie
incidenti su
peculiari interessi pubblici, onde ad esempio contenere il nocumento
che la
collettività riceve dal ritardo nella realizzazione di opere
pubbliche.
In questa prospettiva, la definizione del giudizio risarcitorio
evidentemente
non incide sugli interessi che l’art. 23 bis mira a tutelare, con la
conseguenza che anche la ratio della norma depone per la
inapplicabilità
del rito abbreviato alle controversie – come quella all’esame -
introdotte da
domande autonome di risarcimento del danno per equivalente.
E’ appena il caso di osservare come dalle suesposte conclusioni derivi
anche
l’inapplicabilità in questo giudizio del disposto di cui
all’art. 23 bis comma
6, relativamente alla pubblicazione anticipata del dispositivo della
decisione.
Assorbito ogni ulteriore profilo l’appello incidentale della azienda
U.S.L.
risulta quindi tempestivamente proposto nei termini ordinari.
3. Venendo alla questione della pregiudiziale, prospettata dal
Consiglio in
base alle ulteriori deduzioni degli appellanti, si rileva che in
realtà la
controversia de qua si presenta caratterizzata in fatto da
elementi che
rendono la questione stessa irrilevante sicchè il presente
giudizio – proprio
perchè definibile sotto altri profili - non costituisce
occasione
processualmente idonea per affrontare la relativa e complessa
problematica.
Il contesto fattuale sottostante è infatti caratterizzato dalla
mancata
tempestiva adozione del decreto di esproprio e dalla circostanza che,
come
osservato con riferimento ai profili di giurisdizione, la occupazione e
irreversibile trasformazione del bene costituisce il frutto di una
attività
esecutiva iniziata sì nell’arco temporale concesso dalla
dichiarazione di P.U.
e sotto l’egida di questa ma condotta a compimento senza che la
proprietà del
bene immobile ormai trasformato venisse mai formalmente traslata.
Ne deriva che, come si evince dall’obiettivo esame del ricorso
originario, le
censure ivi tardivamente dedotte per lumeggiare l’illegittimità
della suddetta
dichiarazione di pubblica utilità hanno valenza meramente
ancillare e non
rivestono rilievo significativo ai fini della qualificazione del
fattore causativo
del danno e della proposizione della domanda risarcitoria.
Sintetizzando, deve infatti dirsi che il
danno qui concretamente lamentato non discende da eventuali
illegittimità
dell’atto dichiarativo quanto direttamente dalla mancata conclusione
del
procedimento e dalla omessa adozione al termine dei lavori del decreto
di
trasferimento, che ha impedito la stabilizzazione degli effetti
giuridici
interinalmente prodotti dagli atti intermedi ad esso finalizzati sul
piano
causale.
Il caso in esame, pur con le sue peculiarità, rientra dunque nel
novero di
quelle ipotesi nell’ambito delle quali la contestata regola della
pregiudiziale
– secondo la quale l’ammissibilità della domanda risarcitoria
presuppone la
previa demolizione in s.g. del provvedimento lesivo – pacificamente non
ha
motivo di operare.
E’ evidente infatti che nessun onere di previa impugnazione del
provvedimento
dannoso può addossarsi al suo destinatario ove l’atto sia stato
rimosso in sede
amministrativa, in autotutela o su ricorso di parte, oppure se il danno
non è
prodotto dalle statuizioni costitutive contenute nell’atto ma è
materialmente
causato dalle particolari modalità di sua esecuzione.
Ed anzi nella ipotesi da ultimo richiamata un danno giuridicamente
rilevante
ben può coesistere con la inoppugnabilità o acclarata
legittimità del
provvedimento (solo malamente eseguito) il quale effettivamente
rileverà nel
giudizio risarcitorio come mero presupposto.
In conclusione, a ben vedere nella controversia in esame la
omessa
contestazione nel termine di decadenza – da parte dei proprietari –
della
dichiarazione di pubblica utilità non spiega alcun rilievo
giuridicamente
apprezzabile, poichè il danno giuridicamente rilevante in capo
ad essi deriva
dalla irreversibile trasformazione e dalla mancata pronuncia del
provvedimento
traslativo.
Le considerazioni ora svolte consentono peraltro di assorbire l’esame
delle
censure mediante le quali gli appellanti deducono questioni – ad
esempio
relative alla tardività del ricorso originario ove volto
all’impugnativa della
dichiarazione – che non rivestono più rilievo nell’economia
della decisione.
Parimenti, il fatto che - come già dimostrato dal Consiglio di
Giustizia - la
sentenza impugnata abbia errato nel considerare inefficace la
dichiarazione di
pubblica utilità più non rileva, una volta che il decreto
di occupazione emesso
in vigenza del vincolo discendente dalla dichiarazione stessa abbia
retroattivamente cessato di esplicare i suoi effetti.
4. Sgombrato il campo dalle questioni preliminari, occorre dunque
passare
all’esame dei motivi proposti dagli appellanti per contestare alcuni
profili di
merito della decisione di primo grado.
In questo ambito inammissibile è il mezzo mediante il quale il
comune deduce
genericamente che i germani Giuliano non avrebbero provato che
l’ambulatorio è
stato effettivamente realizzato su terreno di loro proprietà.
Con statuizione non specificamente gravata e quindi coperta da
giudicato il
Tribunale ha infatti stabilito che l’immobile insiste effettivamente
sul fondo
dei ricorrenti, come del resto risulta – salvo qualche limitatissima
discrasia
rilevante ai soli fini della quantificazione del risarcimento – dalla
perizia
giurata e dai documenti acquisiti al fascicolo di causa.
Ciò premesso, nel merito gli appellanti contestano poi,
ovviamente in
prospettive antitetiche, la statuizione con la quale il Tribunale ha
dichiarato
il comune di Melilli e l’azienda U.S.L. n. 8 come tenuti in solido al
risarcimento del danno, i cui criteri di quantificazione globale non
sono stati
invece specificamente gravati.
Al riguardo il comune eccepisce infatti di aver operato quale mero
delegato
alla procedura mentre l’ente sanitario oppone di esservi rimasto del
tutto
estraneo, salvo affermare in subordine che il debito dovrebbe in ogni
caso
gravare sulla gestione liquidatoria regionale della ex U.S.L. n. 27.
Questi mezzi non meritano positiva considerazione e vanno perciò
disattesi.
Per quanto riguarda il comune è sufficiente osservare che lo
stesso è
intervenuto nella procedura quale vero soggetto espropriante secondo
quanto
stabilito dalla normativa regionale allora applicabile ( art. 39 L.R.
n. 87 del
1980 e art. 45 L.R. n. 69 del 1991) in coerenza con le corrispondenti
previsioni allora contenute nella legge di istituzione del Servizio
sanitario nazionale.
Di ciò si ha tra l’altro piena e decisiva riprova documentale
sia perchè il
decreto di occupazione, prima rilasciato nei confronti dell’U.S.L., fu
poi
espressamente modificato con individuazione del destinatario nel
Sindaco sia
perchè l’indennità provvisoria è stata
quantificata ed offerta con pertinente
delibera comunale.
Per quanto riguarda la pretesa dell’A.S.L. di essere considerata
estranea alla
vicenda ablatoria è sufficiente osservare – prescindendo da ogni
ulteriore
considerazione – da un lato che il progetto definitivo dell’opera fu
approvato
proprio dall’allora Comitato di gestione della U.S.L. n. 27 e
dall’altro che il
finanziamento regionale fu accreditato al Commissario di quella
struttura
sanitaria, il quale ha poi direttamente provveduto all’appalto dei
relativi
lavori.
Come si è detto l’azienda deduce poi in via subordinata il suo
difetto di
legittimazione passiva riguardo un rapporto che troverebbe radice in
epoca
antecedente alla sua istituzione, sostenendo che della posta debitoria
deve
rispondere la gestione liquidatoria della ex U.S.L. n. 27.
Questa tesi risulta inammissibile in quanto formulata in modo troppo
generico e
non è comunque convincente perchè l’istituzione
dell’azienda ed il suo subentro
formale deve farsi in realtà risalire ( cfr. art. 6 L. n. 724
del 1994 e
corrispondenti norme contenute negli artt. 55 L.R. n. 30 del 1993 e 1
L.R. n.
34 del 1995) ad epoca in cui, essendo legalmente in corso
l’occupazione,
l’obbligazione risarcitoria non era certamente venuta in essere.
Tenuta presente la particolare natura del rapporto dedotto in giudizio
deve
quindi confermarsi quanto statuito dal T.A.R. in ordine alla
sussistenza, in
chiave di causalità materiale, di una concorrente
responsabilità risarcitoria
dell’azienda appellante.
5. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto degli appelli.
Considerata la complessità delle questioni trattate sussistono
motivi per
disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese e onorari
di questo
grado del giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza plenaria,
definitivamente
pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.
Compensa tra le parti spese e onorari di questo grado del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, riunito in
Adunanza plenaria nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2007
con
l’intervento dei signori Magistrati:
Mario Egidio Schinaia - Presidente del Consiglio di Stato
Paolo Salvatore - Presidente di Sezione est.
Raffaele Iannotta - Presidente di Sezione
Giovanni Ruoppolo - Presidente di Sezione
Pier Giorgio Trovato - Consigliere C.G.A.R.S.
Costantino Salvatore - Consigliere
Luigi Maruotti - Consigliere
Carmine Volpe - Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani - Consigliere
Pier Luigi Lodi - Consigliere
Giuseppe Romeo - Consigliere
Paolo Buonvino - Consigliere
Cesare Lamberti - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Antonino Corsaro - Consigliere C.G.A.R.S.
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