Giurisprudenza - Espropriazione |
Cons. Stato, Ad. Plen., 29 aprile
2005, n. 2, sull’irrilevanza dell’occupazione appropriativi o
usurpativa, in
mancanza del provvedimento di acquisizione sanante, ex art. 43 del T.
U. in
materia espropriativa, al fine di evitare la retrocessione dell’area
espropriata
FATTO La
signora L. S., con atto notificato all’Anas, al Ministero delle
Infrastrutture
e dei trasporti e al Prefetto di Terni, ha proposto ricorso per
l’esecuzione
del giudicato intervenuto sulla decisione di questa A.p. del CdS 3/2000. Con
la detta decisione sono stati annullati la dichiarazione di pubblica
utilità e
tutti i conseguenti provvedimenti inerenti alla procedura di
espropriazione di
aree di proprietà della ricorrente, al fine della realizzazione
del raccordo
stradale Civitavecchia - Rieti. La
ricorrente chiede la restituzione dell’area, previa riduzione in
pristino,
assumendo, tra l’altro, che, a seguito di una conferenza di servizi
tenutasi in
data 8 novembre 2000, il tracciato viario progettato è stato
variato, sicché i
terreni dì proprietà della ricorrente non sarebbero
più interessati dall’opera
pubblica. Le
amministrazioni intimate, costituitesi, nel chiedere la reiezione del
ricorso,
hanno controdedotto che l’opera pubblica in questione è stata
ormai realizzata. La
causa è stata rimessa all’A.p. dalla Sezione quarta, con
ordinanza 4042/03. Con
ordinanza 4/2004, questa A.p. ha disposto istruttoria. Alla
camera di consiglio in data 8 novembre 2004, la causa è stata
trattenuta in
decisione. DIRITTO 1.
La ricorrente propone ricorso per l’esecuzione del giudicato
intervenuto sulla
decisione 3/2000 di questa A.p. Con
tale decisione sono stati annullati la dichiarazione di pubblica
utilità e
tutti i conseguenti provvedimenti inerenti alla procedura di
espropriazione di
aree di proprietà della ricorrente, procedura finalizzata alla
realizzazione
del raccordo stradale Civitavecchia - Rieti. La
ricorrente chiede la restituzione dell’area, previa riduzione in
pristino; si
riserva "ogni ulteriore subordinata domanda risarcitoria". Le
amministrazioni intimate, nel chiedere la reiezione del ricorso, hanno
controdedotto che l’opera pubblica è stata oramai realizzata. Nonostante
la disposta istruttoria, non è del tutto chiarito se - come
assume la
ricorrente - il tracciato viario originariamente progettato sia stato
variato a
seguito di una conferenza di servizi intervenuta tra le amministrazioni
interessate. Certo, invece, a fronte di specifico quesito posto nella
decisione
interlocutoria, è che non è stato adottato alcun
provvedimento, ai sensi
dell’articolo 43 del Tu sulle espropriazioni (Dpr 327/01): la difesa
erariale,
nell’unica memoria presentata prima della decisione interlocutoira, si
è
limitata a dedurre l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica;
l’Anas,
nella relazione depositata, si è posta dubitativamente la
questione
dell’applicabilità della disposizione in questione al caso in
esame ratione temporis, proponendosi, in caso
affermativo, di provvedere alle «relative incombenze". Il
ricorso per l’esecuzione del giudicato merita accoglimento. 2.
La ricorrente chiede la restituzione dell’area quale effetto
dell’annullamento
degli atti inerenti alla procedura di espropriazione per pubblica
utilità
(dichiarazione di pubblica utilità e occupazione di urgenza),
disposto con la
decisione di questa A.p. di cui si chiede l’esecuzione. Trattasi
di effetto tipico della sentenza di annullamento, riconducibile a
quello
comunemente qualificato da autorevole, e condivisa, dottrina e dalla
risalente
giurisprudenza di questo CdS (quarta, 688/60 e 311/50), mai smentita
dalla
Corte regolatrice, come effetto ripristinatorio del giudicato
azionabile, in
via esecutiva, al pari dell’effetto conformativo con il rimedio
dell’ottemperanza (Ap 19/1982 e 14/1983). L’azione
volta alla restituzione del bene costituisce strutturalmente attuazione
del decisum e quindi trova la sua naturale
allocazione in sede di giudizio di ottemperanza, in quanto consente e
determina
quell’adeguamento dello stato di fatto allo stato di diritto che
rappresenta la
finalità tipica di tale giudizio (vedi già A.p. 15/1983)
e realizza
quell’esigenza di completamento della tutela giurisdizionale
amministrativa
affermata dalla Corte regolatrice sin dalla nota sentenza a Su 2157/53,
ribadita più di recente dalla Corte costituzionale (sentenze
495/95 e 204/04). All’adeguamento
dello stato di fatto allo stato di diritto, come definito in sentenza,
può pervenirsi,
a seconda della concreta situazione, mediante restituzione di beni,
accompagnata o meno dalla riduzione in pristino, o mediante analoghe
forme di
esecuzione in forma specifica secondo modalità individuate dal
giudice
dell’ottemperanza nell’esercizio della giurisdizione di merito. E’ per
questo
che l’azione di esecuzione può avere contenuti vari, in
dipendenza della natura
dell’interesse sostanziale leso e degli effetti propri della sentenza,
dandosi
luogo a quel "piano mobile di rimedi" - di cui parla autorevole
dottrina - in forza del quale la realizzazione della tutela può
costituire la
risultante, sul piano processuale, di iniziative di diverso contenuto. 3.
Ciò premesso, con riferimento al caso in esame occorre stabilire
se - come
oppone l’Amministrazione - l’intervenuta realizzazione dell’opera
pubblica, si
ponga come causa ostativa all’esecuzione del giudicato. L’Adunanza
plenaria ritiene di doversi pronunciate in senso negativo. 3.1
Va, innanzi tutto, ricordato, che la giurisprudenza di questo CdS ha
già avuto
occasione di affermare che la realizzazione dell’opera pubblica non fa
venir
meno l’obbligo per l’amministrazione di restituire al privato il bene
illegittimamente espropriato (quarta, 450/02 e 5820/03). Si
è detto, infatti, che, ove possibile in fatto e richiesta dalla
parte, la
tutela in forma specifica prevale sulla tutela risarcitoria (vedi,
decisioni da
ultimo citate, cui adde quarta,
2280/02 e 950/04, che estendono il principio anche ai rapporti tra
reintegrazione in forma specifica e risarcimento per equivalente). 3.2
Alla base di questa linea giurisprudenziale, che si pone come
superamento della
interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica
effetti
preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica dei privato,
è una
spinta evolutiva che innesta le sue radici nel diritto comune europeo,
enucleabile dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo
e delle libertà fondamentali e nella giurisprudenza della Corte
di Strasburgo
chiamata a garantire tali diritti, nel contesto della progressiva
integrazione
tra ordinamento interno, comunitario e della Convenzione (Adunanza
generale,
2/2001). 3.2.1
La giurisprudenza più risalente di questo CdS (ex
multis: quarta, 14/1978 e 1327/75) conosceva l’istituto
dell’espropriazione in sanatoria, rivolta ad assicurare ad opere
pubbliche
realizzate in virtù di occupazione d’urgenza scaduta o di
occupazione abusiva
la possibilità di sanatoria, in forza di un decreto di
espropriazione emesso ex
post, dotato di efficacia retroattiva. Tale
giurisprudenza, idonea per un verso a "regolarizzare" la situazione
proprietaria del bene in capo all’amministrazione, palesava peraltro,
proprio a
causa dei suoi effetti retroattivi, limiti sul versante della tutela
del privato,
soprattutto sotto il profilo dei rapporti tra risarcimento del danno e
indennità di espropriazione. La
corte di Cassazione fu, pertanto, indotta a elaborare un istituto volto
a
contemperare i problemi legati alla perdita della proprietà con
il riconoscimento
di un’adeguata riparazione sul piano economico del proprietario. Cosi,
con una "inversione" della fattispecie civilistica dell’accessione,
intesa come modo di acquisto della proprietà, fa elaborata la
figura pretoria
dell’occupazione appropriativa (o accessione invertita - Cassazione,
1464/83),
che lega tra loro acquisto della proprietà da parte
dell’amministrazione e
realizzazione dell’opera pubblica; mentre gli ulteriori successivi
sviluppi
giurisprudenziali hanno consentito di distinguere da tale ipotesi e
assoggettare a diversa disciplina quelle che sono state definite
occupazioni
usurpative (Cassazione, 1814/00; Cassazione, 4451/01), caratterizzate
dalla
radicale mancanza di un titolo pubblicistico legittimante. L’elaborazione
giurisprudenziale in esame, sostanzialmente condivisa anche dalla
prevalente
giurisprudenza di questo CdS, oltre a manifestare non pochi punti di
incertezza
in diritto (si pensi solo alla tematica del rapporto tra risarcimento e
indennizzo e ai problemi inerenti alla prescrizione), presentava e
presenta
aspetti problematici anche con riferimento alla individuazione del
momento in
cui l’opera pubblica possa ritenersi realizzata (e conseguentemente ed
irreversibilmente acquisito il suolo alla proprietà pubblica). E’
proprio da casi italiani - concernenti due diverse fattispecie, in cui
l’apprensione materiale del terreno, legittima ab initio,
ora divenuta illegittima, nell’un caso per scadenza dei
termini nel l’altro per annullamento giurisdizionale della
dichiarazione di
pubblica utilità - che trae origine la nota vicenda che ha
condotto la Corte
europea dei diritti dell’uomo a ritenere il nostro quadro normativo non
aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo
addizionale
n.1 (sentenza 30 maggio 2000, rich.n.24638/94, Carbonara e Ventura, e
30 maggio
2000, rich, n 31524/96, Società Belvedere Alberghiera, resa in
relazione alla
decisione di questa Ap. I
punti di contrasto individuati dalla Corte sono cosi schematizzabili: a)
un comportamento illecito o illegittimo - la distinzione non sembra
rilevare
per la Corte - non può fondare l’acquisto di un diritto:
l’accessione invertita
contrasta perciò con il principio di legalità, inteso
come preminenza del
diritto; b)
spetta all’ordinamento interno l’individuazione dei mezzi di tutela in
relazione a fattispecie nelle quali l’acquisizione del bene sia
divenuta sine
titulo - tali mezzi debbono essere però efficaci e collegarsi in
un quadro
normativo chiaro, preciso e prevedibile (situazione che non riscontra
nella attuale
disciplina). La
Corte ha quindi ritenuto che non costituisce impedimento alla
restituzione
dell’area illegittimamente espropriata il fatto della realizzazione
dell’opera
pubblica; e ciò indipendentemente dalle modalità –
occupazione appropriativa od
usurpativa - di acquisizione del terreno, dovendo anzi ritenersi che,
in tale
ottica, la stessa distinzione tra occupazione appropriativa e
usurpativa non
assume più rilevanza. Va,
infine, considerato che non può interpretarsi come adesione ad
una diversa
linea interpretativa della Corte la recente sentenza 30 ottobre 2003,
concernente la liquidazione del danno alla Società Belvedere
Alberghiera, resa
sulla stessa vicenda in relazione alla quale la precedente decisione
del 2000
aveva riconosciuto il diritto alla restituzione dell’immobile. La
Corte,
infatti, preso atto della mancata restituzione dell’immobile con
riduzione in
pristino, statuita dalla precedente decisione, senza recedere dalla
stessa ed
anzi riconfermandone il dictum, ha inteso reagire alla mancata
restituzione
riconoscendo un autonomo titolo di responsabilità di carattere
non strettamente
risarcitorio, perché comprensiva anche del danno morale
sopportato dalla
società. 3.2.2
Nell’ambito dei nostro ordinamento le idee affermate dalla Corte dei
diritti
dell’uomo hanno trovato attuazione nella disciplina alla quale si
è dato vita
con il Dpr 327/01 (Tu sulle espropriazioni). L’articolo
43 del Tu, nel disciplinare la "utilizzazione senza titolo di un bene
per
scopi di interesse pubblico" stabilisce che l’autorità che
utilizza un
bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza
del valido
ed efficace provvedimento, di espropriazione o dichiarativo della
pubblica
utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo
patrimonio indisponibile e
che al proprietario vadano risarciti i danni". Il
che significa riconoscimento all’autorità amministrativa del
potere di
acquisire al patrimonio pubblico anche un bene occupato senza titolo
idoneo,
purchè ciò avvenga sulla base di un formale atto
amministrativo fondato sulla
"valutazione degli interessi in conflitto" e con il riconoscimento al
privato del ristoro del danno. La
norma postula quindi, accomunando nel regime ogni forma di occupazione
senza
titolo, la possibilità dell’acquisto della proprietà da
parte
dell’amministrazione, con un formale provvedimento amministrativo,
"valutati gli interessi in conflitto". Una
valutazione - quella degli interessi in conflitto - da condurre con
particolare
rigore. L’atto di acquisizione, che assorbe dichiarazione di pubblica
utilità e
decreto di esproprio, deve, infatti, non solo valutare la pubblica
utilità
dell’opera, secondo i parametri consueti, ma deve altresì tener
conto che il
potere acquisitivo in parola ‑
avente, in qualche misura, valore "sanante" dell’illegittimità
dell’a
procedura espropriativa, anche se, come si è detto, solo ex nunc ‑ ha natura
"eccezionale" e non può risolversi in una mera alternativa alla
procedura ordinaria. Il nuovo provvedimento deve perciò trovare
la sua
giustificazione nella particolare rilevanza dell’interesse pubblico
posto a
raffronto con l’interesse del privato. E ciò a maggior ragione a
seguito della
parziale reintroduzione, ad opera del D.Lgs 302/02, dell’istituto
dell’occupazione d’urgenza. La
motivazione dell’atto di acquisizione dovrà essere, quindi,
particolarmente
esaustiva della valutazione degli interessi in conflitto, e
conseguentemente
più stringente dovrà essere il sindacato giurisdizionale. E
gli stessi requisiti per l’ammissibilità del provvedimento di
acquisizione
dovranno essere valutati rigorosamente, dovendosi escludere, per
esempio, come
rilevato anche in dottrina, che il provvedimento possa far leva sulla
semplice
utilizzabilità dell’immobile ovvero sulla sua astratta
idoneità a essere
utilizzato per il soddisfacimento di un interesse generale, facendo per
contro
riferimento la norma all’utilizzazione in atto per un interesse
pubblico
specifico e concreto. Ciò
che maggiormente rileva, peraltro, è che la norma individua nel
provvedimento
amministrativo di acquisizione - e non già in un mero fatto -
l’unico titolo
idoneo a costituire il diritto di proprietà in capo
all’amministrazione,
prevedendo in ogni caso per il privato il diritto al ristoro integrale,
cioè al
risarcimento del danno "senza pregiudizio per l’eventuale azione
già
proposta". Ne
consegue - ad avviso di questa A.p. - che, in caso di
illegittimità della
procedura espropriativa e dì realizzazione dell’opera pubblica,
l’unico rimedio
riconosciuto dall’ordinamento per evitare la restituzione dell’area
è
l’emanazione di un (legittimo) provvedimento di acquisizione ex
articolo 43, in
assenza del quale l’amministrazione non può addurre
l’intervenuta realizzazione
dell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e
quindi come
impedimento alla restituzione: la realizzazione dell’opera pubblica
è un fatto,
e tale resta; la perdita della proprietà da parte del privato e
l’acquisto in
capo all’amministrazione possono conseguire unicamente all’emanazione
di un
provvedimento formale, nel rispetto del principio di legalità e
di preminenza
del diritto. In
tal senso, e con le precisazioni esposte, deve convenirsi che
l’istituto
dell’acquisizione cd. sanante di cui all’articolo 43, commi 1 e 2,
rispetta i
parametri imposti dalla Corte europea e dai principi costituzionali,
perché: a)
l’acquisto del bene avviene in virtù di un provvedimento
previsto dalla legge
e, soprattutto, con efficacia ex nunc,
sicché sono rispettate le esigenze di chiarezza dell’ordinamento
e di
preminenza del diritto; b)
il provvedimento è sindacabile e l’esercizio della
discrezionalità è circondato
da particolari cautele di cui va verificato il rispetto in sede
giurisdizionale; c)
è in ogni caso assicurato il risarcimento del dono, d)
in assenza di provvedimento, la restituzione dell’area non può
essere impedita,
se non per scelta autonoma del privato che rinunci alla restituzione. 4.
Facendo applicazione degli esposti principi alla presente controversia,
possono
trarsi le seguenti conclusioni: a)
la ricorrente, agendo per l’esecuzione del giudicato, chiede la
restituzione
dell’area, previa riduzione in pristino; b)
tale domanda, che si ricollega all’effetto ripristinatorio della
sentenza e al
conseguente obbligo per l’amministrazione di adeguare lo stato di fatto
allo
stato di diritto come accertato nel giudicato, è correttamente
proposta nella
sede dell’ottemperanza (senza che occorra indagare in questa sede sulla
possibilità, o meno, da parte del privato interessato dì
avviare, in
alternativa alla presente ottemperanza, una concorrente azione
restitutoria
dinanzi ad altro giudice, Cassazione, Su 10978/94); c)
trattandosi di pretesa restitutoria, fondata sul venir meno del titolo
legale
dell’apprensione del bene, l’accoglimento della domanda non può
essere precluso
da considerazioni fondate sull’eccessiva onerosità (articolo
2058 Cc) o sul
pregiudizio derivante all’economia nazionale dalla distruzione della
cosa
(articolo 2933 Cc); d)
oltre che la rinuncia, anche implicita, della parte, solo
l’impossibilità
oggettiva può precludere, in sede di esecuzione, la restituzione
dell’area
previa riduzione in pristino; e)
l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica non costituisce causa di
impossibilità oggettiva, in quanto mero fatto, occorrendo
all’uopo un
(legittimo) provvedimento formale di acquisizione dell’area ai sensi
dell’articolo 43, comma 1, del Tu sulle espropriazioni. Nel
caso in esame è pacifico - perché risulta confermato
dall’istruttoria espletata
- che tale provvedimento non è stato adottato. 5.
Su di un ultimo punto va richiamata l’attenzione. L’Anas,
nella sua relazione tecnica, ha rilevato che, nella specie, non avrebbe
dovuto
farsi riferimento alla nuova disciplina di cui all’articolo 43 del Dpr
327/01,di cui si è fatta applicazione, in quanto l’articolo 57
del Dpr 327 cit.
(rectius: l’articolo 5 della legge
166/02 che ha modificato il tenore dell’originaria disposizione)
esclude la
operatività della nuova disciplina nei confronti delle procedure
nelle quali
risulti intervenuta - come nella specie - prima dell’entrata in vigore
del Dpr
327/01 la dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza (nel
caso in esame l’intero procedimento fino all’esproprio si è
svolto prima della
entrata in vigore della nuova legge). L’assunto
non può essere condiviso. La
disposizione avanti ricordata (che prendo il posto di altra norma
ispirata a
tutt’altra logica - vedi articolo 57 nella sua originaria versione) si
propone
di evitare che procedimenti avviati in applicazione della disciplina
pregressa
trovino ulteriore sviluppo e conclusione alla stregua di sopravvenuti
assetti
(riconoscendosi ultrattività, per tali fasi procedurali, alla
precedente
disciplina). La
norma transitoria ora ricordata risulta, però, manifestamente
inapplicabile al
caso in esame. Nella
presente fattispecie sì tratta, infatti, non già di
stabilire qual è la
normativa che disciplina una procedura espropriativa in
itinere (la vicenda presa in considerazione dall’articolo 57
legge 127/01 nel nuovo testo di cui all’articolo 5 della legge 166/02)
ma solo
di decidere - dopo l’annullamento passato in giudicato dalla precedente
procedura (tutta svoltasi sotto l’impero della precedente disciplina) -
quale
sorte vada riservata ad una res
"modificata", come nella specie, dalla amministrazione, restata senza
titolo nelle mani di quest’ultima dopo l’annullamento degli atti della
procedura espropriativa. Non
trattandosi di vicenda riconducibile sotto la norma transitoria avanti
ricordata è evidente che non può non trovare applicazione
nella specie la
disposizione dell’articolo 43 che consente, in caso di apprensione e
modifica
di res sine titulo o con titolo
annullato, la possibilità di neutralizzare la domanda di
restituzione della
parte interessata solo con l’adozione di un atto formale preordinato
all’acquisizione del bene (con corresponsione di quanto spettante a
titolo
risarcitorio) o la speciale domanda giudiziale formulata nel processo
di cui è
parola nello stesso articolo 43. 6.
Alla stregua delle svolte argomentazioni il ricorso per l’esecuzione
del
giudicato deve essere accolto. Va,
pertanto, ordinato alle amministrazioni intimate, per quanto di
competenza, di
procedere alla restituzione dell’area, previa riduzione in pristino,
nel
termine di tre mesi dalla notificazione o dalla comunicazione
amministrativa
della presente decisione. In caso di inadempimento nel termine
predetto, e
fatta salva ogni possibilità transattiva rimessa all’autonomia
delle parti, è
nominato, sin d’ora, commissario ad acta
il Capo del Dipartimento per il sostegno alle attività di
repressione degli
abusi edilizi del ministero delle Infrastrutture e del territorio, il
quale
provvederà, personalmente o a mezzo di funzionario da lui
delegato,
all’esecuzione della presente decisione nell’ulteriore termine di tre
mesi. Le
spese del giudizio di esecuzione, liquidate in dispositivo, seguono,
come di
regola,la soccombenza e vanno poste a carico dell’Anas. P.Q.M. L’adunanza
plenaria del CdS in sede giurisdizionale, accoglie il ricorso e ordina
l’esecuzione del giudicato nei termini e con le modalità
indicati in
motivazione. Condanna
l’Anas al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del
giudizio di
ottemperanza, che liquida in euro 10.000,00 (diecimila), comprensive di
onorari. Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall’autorità
amministrativa.
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