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Tar Lombardia – Milano, sez. III, sent. 22 Febbraio 2000, n. 1226, in materia di il nulla osta per l'apertura di una grande struttura di vendita Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della REGIONE LOMBARDIA; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 28 gennaio 2000 il relatore dott. Francesco Arzillo; Uditi, altresì, i procuratori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: Il gravame si basa sui seguenti motivi di ricorso: 1) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; falsa applicazione della L. R. 49/97; violazione della L. 426/71 e del D. Lgs. 114/98; sviamento; contraddittorietà intrinseca e con atti precedenti; illogicità manifesta. 2) violazione di legge ed eccesso di potere; ulteriori profili di travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; falsa applicazione della L. R. 49/97; violazione della L. 426/71 e del D. Lgs. 114/98; sviamento; contraddittorietà intrinseca e con atti precedenti; illogicità manifesta; 3) violazione di legge ed eccesso di potere; ulteriori profili di travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; falsa applicazione della L. R. 49/97; violazione della L. 426/71 e del D. Lgs. 114/98; sviamento; contraddittorietà intrinseca e con atti precedenti; illogicità manifesta; 4) violazione di legge ed eccesso di potere; ulteriori profili di travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; falsa applicazione della L. R. 49/97; violazione della L. 426/71 e del D. Lgs. 114/98; sviamento; contraddittorietà intrinseca e con atti precedenti; illogicità manifesta; 5) violazione di legge ed eccesso di potere; ulteriori profili di travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; falsa applicazione della L. R. 49/97; violazione della L. 426/71 e del D. Lgs. 114/98; sviamento; contraddittorietà intrinseca e con atti precedenti; illogicità manifesta; 6) violazione di legge ed eccesso di potere; disparità di trattamento; 7) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione dell’art. 41 cost., del D. Lgs. 114/98, della L. 426/71 e della L. 287/90; 8) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione della L. 241/90; irragionevolezza; carenza di istruttoria e motivazione; contrarietà ai principi di buon andamento dell’Amministrazione; 9) violazione di legge ed eccesso di potere; illogicità manifesta; violazione dei criteri di buon andamento dell’amministrazione; violazione dell’art. 97 Cost. e della L. 241/90; disparità di trattamento; 10) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di diritto; incompetenza; violazione degli artt. 6 e 21 dello Statuto regionale; 11) violazione di legge ed eccesso di potere; sviamento; 12) violazione di legge ed eccesso di potere; manifesta illogicità; carenza di motivazione e istruttoria; violazione della l. 241/90; contrarietà ai criteri di buon andamento dell’Amministrazione; violazione della L. 426/71, del D. Lgs. 114/98 e degli artt. 41 e 97 Cost.; 13) violazione di legge ed eccesso di potere; manifesta illogicità; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; carenza di motivazione e istruttoria; violazione della l. 241/90; contrarietà ai criteri di buon andamento dell’Amministrazione; 14) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione degli artt. 26 e 27 L. 426/71; carenza di motivazione; illogicità manifesta. Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. Il ricorso è stato chiamato per la dicussione all'udienza del 28 gennaio 1999 e quindi trattenuto in decisione. Il diniego impugnato ha preceduto di pochi giorni la pubblicazione della sentenza TAR Lombardia III, 28 aprile 1999, n. 1394, la quale, enunciando un principio seguito anche in una serie di altre pronunce rese su casi analoghi: a) ha dichiarato l’obbligo della Regione Lombardia di provvedere sull’istanza in questione, sul presupposto che la condotta omissiva della Regione Lombardia, oltre il termine del 15 luglio 1998, si configurasse come inadempimento del puntuale obbligo di pronuncia sancito dalla disposizione transitoria di cui all'art.25 comma 5 del D. Lgs. n. 114/98; b) ha richiamato l’Amministrazione alla necessità di conformarsi ai criteri ed ai parametri previgenti rispetto all'en-trata in vigore del D.Lgs. n.114/1998, cioè a quelli stabiliti in base alle dispo-sizioni di cui alla legge n.426/1971 ed attuative della stessa. 2. Con l’impugnata delibera, la Giunta della Regione Lombardia ha esaminato le numerose di istanze di nulla osta pendenti e “corredate a norma” ai sensi dell’art.25, comma 5 del d.lgs. n.114/98, tra cui quella dell’odierna ricorrente. La delibera si basa sull’istruttoria precedentemente compiuta dalla Direzione Generale Attività produttive in vista della scadenza del 15 luglio 1998. Detta istruttoria è stata effettuata sulla scorta di due criteri fondamentali: 1) redazione di una graduatoria complessiva delle domande pendenti assoggettabili a esame allo scopo di tenere conto degli eventuali effetti concorrenti delle domande medesime; 2) valutazione di ammissibilità commerciale degli insediamenti richiesti. Per quanto riguarda la graduatoria sub 1), sono stati adoperati i seguenti sotto – criteri: 1.1 inserimento in graduatoria in base ai seguenti raggruppamenti riportati in ordine di priorità delle domande che, in base all’istruttoria perliminare, non hanno riportato criticità dal punto di vista urbanistico: a) concentrazioni senza incremento di superficie; b) ampliamenti inferiori al 20%; c) ampliamenti superiori al 20%; d) nuove aperture di centri commerciali; e) nuove aperture di altre strutture di vendita; 1.2 inserimento successivo della domande che, in base ad esame preliminare, non hanno denotato aspetti di criticità dal punto di vista urbanistico in base ai medesimi raggruppamenti di cui al punto 1.1; 1.3 ordine di inserimento in graduatoria all’interno di ciascun raggruppamento effettuato in base all’ordine cronologico di completamento delle domande. La valutazione di ammissibilità commerciale sub 2) è stata invece effettuata sulla base dei criteri illustrati nell’allegato A) della deliberazione, basati: - sulla valutazione in base alla distribuzione tra generi alimentari e non alimentari in funzione dei prevedibili assetti dell’offerta commerciale; - sulla conferma delle aree previste dalla previgente programmazione regionale; - sull’adozione di un sistema di analisi non fondato su contingenti ma su valutazioni relative ad effetti negativi per il consumatore derivanti da squilibri del rapporto domanda – offerta. In particolare, il giudizio di ammissibilità commerciale si fonda su due distinti sotto – criteri: A) ammissibilità dal punto di vista dell'offerta: si considera la riduzione di produttività dei nodi - offerta (corrispondenti a uno o più punti di vendita) determinabile dagli insediamenti richiesti (intendendosi per produttività la spesa attratta da ogni nodo – offerta); viene ritenuto ammissibile ogni intervento che determini una riduzione della produttività esistente in misura non superiore ad una percentuale prefissata (All. A, p. 14); B) ammissibilità dal punto di vista della domanda: l’insediamento è ritenuto ammissibile quando la spesa attratta da distanze maggiori di 25 minuti in tempi di percorrenza automobilistica è inferiore a una soglia predeterminata (per l'esame delle domande pendenti tale soglia è determinata nel 50% della spesa complessivamente attratta dall'insediamento). 3. In concreto, l’istanza dell’odierna ricorrente è stata respinta, in considerazione dell’esito negativo dell’istruttoria preliminare e del parere contrario reso dalla Commissione Regionale Commercio, per carenza del requisito dell’ammissibilità dal punto di vista dell’offerta (come si ricava dall’allegato C alla D.G.R. impugnata). 4. Il gravame in epigrafe si fonda su quattordici motivi in diritto, che muovono dai seguenti assunti fondamentali: a) la Regione avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 25, comma 5, del D. Lgs. n. 114/98 (come interpretato dalla sentenza Tar Lombardia III, n. 1394/99) attenersi alla sola normativa di cui alla L. n. 426/71; b) nel sistema della L. n. 426/71 non è consentita, soprattutto per i beni non contingentati, una limitazione a priori, in via amministrativa, all’ingresso di nuovi operatori sul mercato; c) in detto sistema il nulla osta non può essere negato sulla base della necessità di tutelare i soggetti già operanti sul mercato, ma solo ove sussistano comprovate, oggettive ed evidenti situazioni di pregiudizio in capo alla collettività dei consumatori; d) la compatibilità urbanistica della struttura commerciale è elemento determinante ai fini del rilascio del nulla osta. Le censure proposte devono essere esaminate sulla base di una considerazione il più possibile unitaria; esse devono pertanto essere raggruppate per profili omogenei. 5. La prima censura è diretta a contestare l’impostazione generale della deliberazione impugnata sotto il profilo della normativa applicata. In particolare, ritiene la ricorrente che illegittimamente la Regione abbia applicato i criteri predisposti in vista della redazione del programma biennale di cui all’art. 4 L. R. n. 49/97, effettuando in sostanza il giudizio di ammissibilità commerciale previsto dagli artt. 4, lett. e), 5 e 6 della medesima legge. In tal modo, secondo la ricorrente, la Regione non ha dato applicazione ai criteri ricavabili dalla normativa previgente, ossia dagli artt. 26 e 27 della L. 426/71: essa ha invece dato vita ad una pianificazione estranea al sistema normativo previgente, alla cui stregua soltanto, secondo quanto riconosciuto dalla menzionata pronuncia del TAR Lombardia, avrebbero dovuto essere esaminate le domande “già trasmesse alla giunta regionale per il prescritto nulla osta alla data del 16 gennaio 1998 e corredate a norma secondo attestazione del responsabile del procedimento”, ai sensi dell’art. 25, comma 5, del D. lgs. n. 114/98. Al riguardo, la difesa della Regione sostiene che la L.R. n. 49/97- in disparte la norma sull’improcedibilità delle domande di cui all’art. 8 – non sia di per sé in contrasto con la L. n. 426/71, ma costituisca, al contrario, normativa di attuazione della stessa. Il Collegio ritiene che la censura sia fondata, nei termini che seguono. La summenzionata pronuncia di questo Tribunale ha infatti disatteso l’impostazione originaria della Regione, tesa a rinviare l’esame delle domande pendenti in vigore fino all’entrata in vigore delle disposizioni attuative della predetta legge regionale. Ora, con l’impugnata delibera la Regione non solo dà applicazione a criteri rispondenti ai principi della legge regionale, ma lo fa in maniera indiretta e “obliqua”, adoperando i dati predisposti dagli uffici al fine della redazione del programma biennale di cui all’art. 4 della medesima legge, senza che tale programma sia stato effettivamente approvato dal Consiglio Regionale, come richiederebbe invece l’art. 6. In tal modo, a ben vedere, si configura una situazione in cui, a rigor di termini, non si può neppure dire che la P.A. abbia formalmente applicato la legge regionale: il che consente, tra l’altro, a questo giudice di prescindere da ogni ulteriore questione sulla natura e la portata di tale legge, e di far riferimento, nell’esame delle altre censure, esclusivamente alla L. 426/71 e alla relativa normativa regolamentare di attuazione. Queste prime osservazioni sono comunque già sufficienti a far rilevare come l’intera procedura seguita sia in primo luogo incoerente e contraddittoria sotto il profilo formale della normativa richiamata; tra l’altro, nell’allegato A della deliberazione impugnata, l’applicazione dei principi della legge regionale viene coordinata con la necessità di applicare il D. lgs. n. 114/98; con il che risulta completamente misconosciuta l’esigenza di trattare le domande di cui all’art. 25, comma 5 del citato D. Lgs., non solo anteriormente all’entrata in vigore del nuovo sistema, ma anche secondo i criteri previsti dalla ormativa previgente. Ne risulta confermata la fondatezza del primo motivo di ricorso. 5. Con il secondo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo di ricorso, i criteri adottati quale presupposto dell’atto impugnato vengono censurati sotto diversi e tuttavia complementari profili, tutti rilevanti dal punto di vista della legittimità sostanziale (violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; falsa applicazione della L. R. 49/97; violazione della L. 426/71 e del D. Lgs. 114/98; sviamento; contraddittorietà intrinseca e con atti precedenti; illogicità manifesta). In sintesi, secondo la ricorrente: - la P.A. avrebbe dovuto verificare in concreto la sussistenza di un pregiudizio per la collettività dei consumatori, in relazione alla singola istanza, senza precostituire un sistema basato su una griglia prefissata di indici, diretto alla formazione di una sorta di graduatoria unica regionale a carattere paraconcorsuale; - in questo contesto non è ammesso anteporre alla tutela concreta del consumatore, in un’ottica di sviluppo della rete commerciale, la considerazione dello squilibrio domanda – offerta, che conduce invece alla difesa dell’assetto attuale della rete commerciale ed alla penalizzazione proprio degli esercizi nuovi, caratterizzati da maggiore produttività e quindi da un più accenuato impatto sulla rete preesistente; - né è legittima la reintroduzione surrettizia del contingentamento, derivante dal fatto che la valutazione del livello di produttività della domanda e dell’offerta viene operata in termini di variazione percentuale massima tollerabile in relazione alla realtà commerciale preesistente, con ingiustificata parificazione del trattamento, rispettivamente, dei beni contingentati e dei beni non contingentati; - conclusivamente, quindi, la Regione avrebbe adottato un’impostazione protezionistica, contraria sia alla normativa vecchia sia alla nuova, oltre che ai principi della L. n. 287/90. 5.1 La difesa regionale replica con i seguenti argomenti: a) l’art. 11 della L. n. 426/71 fa espresso riferimento non solo all’obiettivo di assicurare la migliore produttività e funzionalità del servizio, ma anche a quello di garantire il maggior possibile equilibrio tra l’offerta e la presumibile capacità di domanda della popolazione; b) il perseguimento di siffatti obiettivi comporta necessariamente l’individuazione di parametri di ammissibilità, previa individuazione delle variabili significative; c) la necessità di esaminare contestualmente le domande pendenti, presentate e completate in tempi diversi e nella vigenza di disposizioni regionali diverse, postulava l’adozione di criteri univoci, anche al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, con l’adozione dei criteri in vigore all’epoca del completamento di ciascuna domanda; e comunque la P.A. non può non tenere conto delle influenze reciproche tra insediamenti vicini; d) i criteri adottati, oltre a garantire l’imparzialità, non equivalgono alla fissazione di contingenti o a una procedura paraconcorsuale, in quanto: - nella specie manca la fissazione di una superficie complessiva assentibile; - manca altresì un numero prefissato di “posti assegnabili”; - insediamenti aventi identiche caratteristiche possono avere valutazione positiva o negativa a seconda della rispettiva localizzazione; e ciò non comporta necessariamente la penalizzazione dei nuovi esercizi caratterizzati da migliore produttività, i quali possono anche avere effetti compatibili sulla struttura commerciale preesistente; e) l’assetto distributivo preesistente non è stato aprioristicamente assunto come ottimale: il valore base è stato individuato, per tre livelli dimensionali su quattro, nell’80% della produttività media a livello regionale; le riduzioni su tale livello possono raggiungere il 15%: tale riduzione complessiva è consistente, e consente tuttavia di evitare un drastico e troppo rapido ridimensionamento del comparto dei piccoli negozi. 5.2 I motivi, considerati nel complesso, sono fondati. Si premette che nella specie occorre aver riguardo esclusivamente alla normativa preesistente (L. 426/71 e D.M. 375/88), con eccezione della L.R. 49/97, per le ragioni esposte in precedenza (segnatamente al punto 4). Il Collegio ritiene che i criteri regionali denotino un vizio di fondo, essendo mirati a salvaguardare l’equilibrio tra la domanda e l’offerta in relazione allo specifico obiettivo - pacificamente ammesso dalla difesa regionale - di evitare un drastico e troppo rapido ridimensionamento del comparto dei piccoli negozi. Vero è che la giurisprudenza ha riconosciuto in capo alla Giunta il potere tecnico discrezionale, in base al quale essa deve valutare tutti gli interessi in conflitto, accertando in particolare anche la compatibilità della nuova struttura con la preesistente rete commerciale di vendita, in quanto l’apertura di grandi strutture di vendita, se da un lato può comportare cospicui investimenti con la creazione di nuovi posti di lavoro, la possibile razionalizzazione della rete di vendita e il contenimento dei prezzi delle merci di cui si giova il consumatore, dall'altro lato può avere un impatto negativo sui piccoli e medi esercizi commerciali (C.S. V. 24/5/1996, n. 585; v. altresì V, 20 ottobre 1978 n. 1044; V , 7 giugno 1993 n. 671). Ma questo principio non può, ad avviso del Collegio, essere valido in assoluto. Da un punto di vista generale, va condivisa l’impostazione enunciata con chiarezza da C.S. V 20 dicembre 1982, n. 859, secondo cui la libertà di esercitare l'attività commerciale, in quanto aspetto della generale libertà di iniziativa economica, può essere limitata amministrativamente solo per gravi e preminenti motivi di interesse pubblico, da individuarsi principalmente nelle esigenze dei consumatori e nell'equilibrio del sistema distributivo, senza che possa darsi rilevanza alla tutela degli interessi corporativi dei titolari degli esercizi esistenti. Ed anche a voler riconoscere la legittimità, in astratto, di una salvaguardia della pluralità delle forme distributive, anche in funzione delle differenti tipologie di consumatori, il Collegio ritiene che la stessa debba essere perseguita in un’ottica di sviluppo complessivo della domanda e dell’offerta, tenendo conto dei potenziali di crescita delle stesse in prospettiva, e non semplicemente fissando dei limiti percenutali in base ai quali valutare l’insediamento dei nuovi centri commerciali; e ciò, in particolare, ove si tratti, come nel caso di specie, di beni non contingentati. Un importante spunto ermeneutico al riguardo si ricava dall’art. 12, comma 2, della L. n. 426/71, il quale così dispone: “Per il rilascio di nuove autorizzazioni il piano determina, eventualmente anche con riferimento a singole zone, il limite massimo in termini di superficie globale, separatamente per settori merceologici, della rete di vendita per generi di largo e generale consumo in modo da promuovere, anche con l'adozione di tecniche moderne, lo sviluppo e la produttività del sistema e da assicurare il rispetto della libera concorrenza nonché un adeguato equilibrio tra le varie forme distributive.” È decisivo osservare che l’equilibrio tra le forme distributive – e quindi anche tra la distribuzione organizzata nelle grandi strutture e la piccola distribuzione - è richiamato tra i principi ispiratori della pianificazione relativa ai beni di largo e generale consumo, ossia ai beni contingentati. E l’art. 13 della medesima legge conferma questa impostazione, in quanto stabilisce, al comma 1, che “al fine di consentire e promuovere a norma dell'articolo 12, secondo comma, della legge un adeguato equilibrio tra le varie forme distributive in conformità alle esigenze dell'economia generale e del consumo, i piani comunali, tenendo conto della struttura distributiva esistente e dello sviluppo di essa ritenuto opportuno, debbono determinare il limite massimo della superficie globale di vendita per i generi di largo e generale consumo…” . Ciò è del tutto comprensibile con riferimento al settore dei beni contingentati, in quanto è proprio il contingentamento che postula necessariamente, per evidenti ragioni, una garanzia a priori dell’equilibrio delle forme distributive; mentre nel settore dei beni non contingentati la garanzia della la pluralità delle opzioni distributive è tendenzialmente affidata alla complessiva evoluzione del mercato, in un contesto di auspicabile crescita della domanda e dell’offerta. In quest’ordine di idee è opportuno rilevare l’ausilio interpretativo fornito dal riferimento alla L. n. 287/90, in quanto: - la tutela della concorrenza rappresenta un aspetto della garanzia del diritto di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione (art. 1, comma 1 della L. 10 ottobre 1990, n. 287); - i principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza rilevano anche ai fini dell’interpretazione della normativa interna: l’art. 1, comma 4, della L. n. 287/90 prevede questo canone ermeneutico con espresso riferimento all’interpretazione del titolo I della medesima legge; ma si tratta di un criterio suscettibile di più ampia applicazione, tenuto conto dell’integrazione in atto tra l’ordinamento interno e quello comunitario (TAR Lombardia III, 29 giugno 1999, n. 3248). Se tutto questo è vero, risultano inconferenti le argomentazioni difensive basate sulla rilevata mancanza formale di un numero chiuso prefissato o di un altrettanto formale contingentamento, dovendosi piuttosto aver riguardo alla complessiva inammissibilità di una valutazione negativa basata sul superamento di un prefissato coefficiente di riduzione dell’offerta esistente, alla stregua delle suesposte considerazioni. Per completezza, si precisa che il Collegio non intende disconoscere in linea di principio la potestà regionale di emanazione di indicazioni programmatiche in materia (C. S. V, 13 gennaio 1998, n.65). Ma nella specie la Giunta Regionale in realtà ha ritenuto di non poter fare riferimento alla precedenti direttive e ai criteri vigenti al momento del completamento delle singole domande, e, in mancanza di una nuova delibera consiliare in materia, ha sostanzialmente autolimitato ex novo il proprio operato: ma tale autolimite non può avere la stessa rilevanza di un atto programmatorio adottato nelle debite forme dall’organo competente, ossia dal Consiglio regionale. In mancanza di tale atto, la P.A., ove ragionevolmente avesse ritenuto inapplicabili i criteri precedentemente stabiliti e vigenti al momento della presentazione della domanda, avrebbe dovuto comunque compiere una nuova istruttoria in concreto sulla singola domanda, alla stregua dei principi sopraindicati. 6. Tra le censure volte a far valere vizi specifici della decisione sull’istanza, va esaminata in particolare quella con cui il ricorrente lamenta l’arbitrarietà del coefficiente di riduzione di produttività della rete esistente, posto a fondamento dell’impugnato diniego e fissato nella misura del 15%. La difesa della Regione sostiene che questo limite (da riferirsi comunque ad una base di partenza dell’80% della produttività media per tre classi su quattro) non può essere ritenuto arbitrario, se considerato alla luce dell’esigenza di garantire che la trasformazione verso gli assetti futuri si svolga con gradualità. In realtà, l’illegittimità della individuazione del limite discende dalle stesse ragioni di cui al punto sub 5.2: esso – contrariamente all’assunto della difesa regionale – rispecchia proprio la volontà di fissare (ancorché in via temporanea) una “proporzione aurea” tra le diverse forme distributive, in tal modo indirizzando l’evoluzione del mercato sulla base dell’esigenza di salvaguardare la piccola distribuzione; ma da questo punto di vista il parametro non può non risultare arbitrario, essendo espressione di una logica non conforme alla normativa di riferimento. Il motivo è quindi fondato. 7. Per le stesse ragioni è fondata la censura di cui al terzo motivo di ricorso, ove si fa valere la insufficienza dei dati posti a base della valutazione: dati eterogenei per fonte di provenienza e in parte risalenti nel tempo. La difesa regionale riconosce espressamente “la generale inadeguatezza dei dati disponibili in materia di commercio”, ma rivendica la validità delle metodologie statistiche adoperate dal Gruppo di Lavoro, ancorché in parte basate su dati risalenti al censimento generale del 1991. La censura è fondata sotto un assorbente profilo. Alla stregua delle considrazioni esposte in precedenza, il diniego del nulla osta, specialmente con riferimento a beni non contingentati, non può non riflettere un’attuale valutazione dei dati disponibili, che tenga conto anche della possibile evoluzione prospettica dell’offerta e della domanda complessive, da valutarsi non solo nella rispettiva composizione interna per settori e tipologie di distribuzione, ma anche in termini di crescita assoluta. L’esigenza di tale puntuale e aggiornato supporto informativo discende dalla considerazione che è onere dell’Amministrazione dimostrare in concreto la sussistenza del pregiudizio per i consumatori, tale da giustificare il diniego; per contro, in mancanza di univoci elementi probatori, essa deve procedere al rilascio del nulla osta, pena l’illegittima compressione del diritto di iniziativa economica del privato. 8. Possono essere assorbiti i rimanenti motivi di gravame. 9. In tali termini va accolto il ricorso in epigrafe, con il conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte in cui dispongono il rigetto dell’istanza di nulla osta presentata dalla ricorrente. In ordine alla richiesta formulata dalla ricorrente, volta ad ottenere, sia pure nei limiti dell’effetto conformativo, un’espressa declaratoria della sostanziale doverosità del rilascio del nulla osta, questo Tribunale ritiene che alla stessa non possa darsi seguito nei sensi indicati dalla ricorrente medesima, nonostante l’allegata (e non contestata) conformità dell’istanza alle prescrizioni urbanistiche e viabilistiche. Ciò in quanto il nulla osta in questione presenta di per sé ineludibili profili di dicrezionalità amministrativa (T.A.R. Molise 14 aprile 1998, n. 47). Resta fermo, peraltro, che la P.A., in sede di riesame dell’istanza originaria, non potrà nuovamente porre a base delle proprie determinazioni ulteriore i criteri adottati nella delibera impugnata, e dovrà determinarsi in base ad una puntuale analisi della specifica istanza, conformandosi strettamente ai principi enunciati in motivazione. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo. Condanna l’Amministrazione al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio, oltre agli accessori di legge, nella misura di ……………… Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Milano dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, nella Camera di Consiglio del 28 ottobre 1999, con l'intervento dei signori: Francesco Mariuzzo - Presidente Raffaello Sestini - Referendario Francesco Arzillo - Referendario Est. |
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