Giurisprudenza - Enti locali

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 1916 del 3 aprile 2001-04-13, sul trasferimento agli enti locali del personale regionale comandato

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4480/2000 proposto da VOLPI Paolo, RICCI Sergio, DI PAOLO Anna Maria, RAPINI Ilva, DURANTI Tommassina e MAGGI Luciano, rappresentati e difesi dall’avv. Paolo de Camelis presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, Via Azuni n. 9
contro
la Regione Toscana,  in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa gli avv.ti Vanna Console e Fabio Lorenzoni;
la Provincia di Arezzo, n.c.;
BELLI Paola, n.c.; 
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II, 5 novembre 1999 n.888, resa inter partes,.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Toscana;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 19 dicembre 2000 il Consigliere Maria Grazia Cappugi; uditi per le parti gli avv.ti De Camelis e Lorenzoni;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
 I ricorrenti, dipendenti inseriti nel ruolo unico della Regione Toscana e comandati presso enti locali per l’esercizio delle funzioni delegate ai sensi dell’art. 118, 3°comma Cost., assumono che per effetto dell’entrata in vigore degli artt. 30 e 32 della legge regionale 7 novembre 1994 n. 81 sarebbero stati violati i principi di status dettati, oltre che dallo Statuto regionale, anche dalla legislazione statale (in particolare, d.lgs. n. 29 del 1993), atteso che l’anzidetta normativa avrebbe illegittimamente consentito il trasferimento “in massa” del personale regionale già comandato presso gli enti locali minori.
Hanno proposto due separati ricorsi (uno avverso la delibera della Giunta regionale 9 gennaio 1995 e l’altro avverso gli atti attuativi della stessa) al T.A.R. per la Toscana deducendo alcuni profili di censura comuni che possono essere così sintetizzati: 
I.1) Violazione dell’art. 64, commi 1° e 2°, dello Statuto della Regione Toscana, nonché dell’art. 123 Cost.
La disciplina di cui alla citata legge regionale n.81 del 1994 avrebbe trasferito agli enti locali destinatari della delega il personale precedentemente comandato presso questi ultimi in difetto della previa necessaria consultazione.
I.2) Violazione dell’art. 62 dello Statuto della Regione Toscana, nonché dell’art. 123 Cost.
Fermo l’inquadramento del personale regionale in un ruolo unico per tutti i settori dell’Amministrazione, la censurata legge regionale sarebbe illegittima nella parte in cui istituisce un “contingente separato” del personale comandato ad esercitare le funzioni delegate presso gli enti locali.
I.3) Violazione del 3° comma dell’art. 64 dello Statuto della Regione Toscana, nonché dell’art. 123 Cost.
L’art. 32 della legge regionale n. 81 del 1994 in questione, nel disporre che il personale regionale, per l’esercizio delle suddette funzioni delegate, sia trasferito agli enti locali interessati, si porrebbe, inoltre, in contrasto  con l’art. 64, 3° comma, dello Statuto regionale il quale, per il “comando” di siffatto personale presso gli enti locali, prevede il consenso del dipendente interessato.
I.4) Violazione dell’art. 117 Cost.
Le disposizioni di cui ai commi 1°, 2°, 3° e 7° dell’art. 32 della legge regionale n. 81 del 1994, nel disattendere i principi fondamentali stabiliti con il d.lgs. n. 29 del 1993 (obbligo di definizione delle piante organiche; obbligo di ricognizione e comunicazione degli eventuali esuberi del personale, con conseguente attivabilità delle procedure di mobilità, obbligo di disciplina della suddetta “mobilità” con riferimento alle disposizioni  di cui all’apposito D.P.C.M.), avrebbero violato il limite speciale di legittimità cui è assoggettata la legislazione delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’epigrafato art. 117 Cost.
I.5) Violazione dell’art. 118, 3° comma, Cost.
Il trasferimento “in blocco” di tutto il personale di cui trattasi, disposto dal censurato art. 32, precluderebbe sostanzialmente alla Regione l’esercizio dei poteri di controllo, sostituzione ed avocazione concernenti l’attività delegata nei confronti degli enti locali minori.
I.6) Violazione dell’art. 128 Cost.
Le censurate disposizioni della legge regionale n. 81 del 1994 detterebbero anche norme in materia di organizzazione degli enti locali, settore demandato alla legge dello Stato.
I.7) Violazione dell’art. 3 Cost.
La disciplina ex art. 32 riserverebbe, inoltre, al personale trasferito un trattamento contrario ai principi di ragionevolezza ed eguaglianza, con affermata presenza di profili discriminatori rispetto al rimanente personale regionale.
I.8) Violazione dell’art. 97 Cost.
Le considerazioni in precedenza rassegnate integrerebbero la concorrente violazione del principio di imparzialità e buon andamento della p.a.
I.9) Illegittimità derivata.
Dall’affermata illegittimità costituzionale della disciplina regionale in questione deriverebbe l’invalidità delle impugnate determinazioni con le quali è stato disposto e attuato il trasferimento.
Con uno dei due ricorsi venivano inoltre dedotti i seguenti motivi:
II.10) Istruttoria e motivazione insufficienti. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Negli atti attuativi del trasferimento non vengono esplicitati i risultati del confronto con le organizzazioni sindacali ed inoltre non vengono indicati il termine e l’Autorità a cui è possibile ricorrere.
II.11) Violazione dell’art. 32 della l. reg. n. 81 del 1994. Difetto di motivazione. Illogicità ed ingiustizia manifeste. Violazione dell’art. 36 Cost. Violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
La deliberazione di Giunta impugnata ha riservato a successiva determinazione il finanziamento dei posti trasferiti mentre la copertura doveva essere contestuale al trasferimento.
III) Ulteriori censure dedotte con l’altro gravame sono le seguenti:
III.12) Violazione e/o elusione di norme e principi riguardanti l’assunzione e il trasferimento di dipendenti di enti locali e la modifica delle piante organiche degli enti medesimi. Comportamento illogico e manifestamente ingiusto. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Le avversate determinazioni sarebbero state poste in essere in violazione del generale divieto di assunzione, nonché delle norme in materia di trasparenza e partecipazione di cui alla legge n. 241 del 1990 (con particolare riguardo al difetto di positiva manifestazione di volontà del personale interessato, nonché alla mancata comunicazione dell’avvio dell’iter procedimentale).
III.13) Violazione dell’art. 32, 1° comma, della l. reg. n. 81 del 1994, nonché di norme e principi in materia di contabilità pubblica. 
Illegittimamente il finanziamento del trasferimento, operato in via definitiva, è stato frazionato di anno in anno.
III.14) Violazione dell’art. 32, ultimo comma, della l. reg. n. 81 del 1994.
La previsione di un eventuale rientro nel ruolo regionale dei dipendenti trasferiti si pone in contrasto con la soppressione dell’apposito contingente.
Il T.A.R., riuniti i due ricorsi, li ha rigettati con la sentenza indicata in epigrafe. Tale decisione viene gravata in appello dai dipendenti interessati i quali ripropongono, in sostanza, le censure dedotte dinnanzi al giudice di primo grado.
Si è costituita in giudizio per resistere la Regione Toscana, controdeducendo puntualmente in ordine ad ogni doglianza.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Il d.P.R. 13 maggio 1987 n. 268 (con il quale era stato recepito l’accordo collettivo nazionale del personale del comparto Regioni-Enti locali) ha demandato alle Regioni, con l’art. 6,  il compito di disciplinare il trasferimento del personale per l’esercizio delle funzioni delegate agli enti locali.
La Regione Toscana recepiva tale accordo con la legge regionale 21 agosto 1989 n. 51 che, all’art. 50, disciplinava la mobilità conseguente alla delega di funzioni.
Quindi, con la legge regionale 11 settembre 1989 n. 62 (recante “Norme per l’assegnazione del personale, dei mezzi finanziari per oneri aggiuntivi e dei beni agli Enti locali per l’esercizio delle funzioni delegate”), veniva previsto uno speciale contingente di personale regionale comandato presso gli enti locali per l’esercizio delle funzioni ad essi delegate (di tale contingente gli odierni appellanti facevano parte).
L’art. 30 della legge regionale Toscana 7 novembre 1994 n. 81 ha poi istituito, nell’ambito del ruolo unico regionale, uno speciale contingente di organico per l’esercizio delle funzioni delegate, determinato ai sensi degli artt. 2 e 3 della suddetta legge regionale 62 del 1989, ed ha stabilito che il personale inquadrato alla data di entrata in vigore della legge medesima  nel ruolo unico regionale sarebbe stato collocato o nel contingente di cui sopra, ovvero nel contingente di organico regionale residuo, in ragione della “assegnazione in servizio” a tale data. 
L’art. 32 della stessa legge regionale ha poi previsto che:
- il personale del ruolo unico regionale comandato agli enti locali per l’esercizio delle funzioni delegate, e compreso nell’apposito contingente, sarebbe stato trasferito, con il corrispondente posto di pianta organica ed il relativo finanziamento, agli enti medesimi;
- sarebbero stati inoltre trasferiti agli enti locali i posti vacanti del medesimo contingente, con i relativi finanziamenti;
- gli enti locali destinatari dei trasferimenti avrebbero douto adeguare la propria pianta organica secondo quanto previsto dal 4° comma dell’art. 6 del d.P.R. 3 maggio 1987 n. 268;
- al personale trasferito, con la qualifica funzionale posseduta, avrebbero continuato ad applicarsi le disposizioni dell’art. 150 della legge regionale 21 agosto 1989 n. 51 (riguardanti il trattamento di fine servizio), con oneri a carico della Regione Toscana che avrebbe provveduto direttamente all’erogazione;
- al personale trasferito l’Amministrazione regionale avrebbe altresì corrisposto l’assegno di mobilità nei termini e nelle misure di cui all’art. 22 della legge regionale 9 aprile 1990 n. 41;
- la Giunta regionale avrebbe dovuto adottare d’ufficio, previo confronto con le organizzazioni sindacali e d’intesa (in ordine alla ripartizione dei posti) con gli enti interessati, i provvedimenti di trasferimento del personale e dei posti vacanti entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge;
- al termine delle operazioni di trasferimento, il contingente di cui al 2° comma dell’art. 30 sarebbe stato soppresso.
In applicazione della normativa sopra richiamata i ricorrenti sono stati trasferiti all’ente locale presso il quale erano stati a suo tempo comandati.
Avverso gli atti di trasferimento ripropongono in sede di appello innanzi tutto le censure di contrasto della normativa regionale con norme statutarie e costituzionali.
Con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 64, commi 1 e 2, dello Statuto, nonché dell’art. 123 della Costituzione, in quanto non sarebbero stati previamente consultati gli enti destinatari della delega.
E’ sufficiente rilevare in proposito che la disciplina generale del potere della Regione di delegare le proprie funzioni, cui fanno riferimento le norme statutarie sopra citate, è stata dettata con la legge regionale 30 aprile 1973 n. 30 . La legge regionale n. 81 del 1994 non modifica in alcun modo tale disciplina generale, né ha per oggetto la delega agli enti locali di qualche specifica materia, ma si limita a trasferire un contingente di personale regionale per l’esercizio di funzioni che sono già state precedentemente oggetto di delega. 
Gli enti locali non sono quindi certamente rimasti estranei alle procedure di trasferimento del personale regionale: sono stati consultati in occasione dell’approvazione delle singole leggi di delega, hanno optato per il regime del comando del personale, hanno espresso in concreto (ai sensi dell’art. 64, 4° comma, dello Statuto) l’assenso sui singoli comandi, hanno concordato con la Regione il contingente e l’attribuzione delle mansioni specifiche del personale a suo tempo comandato (come previsto dall’art. 13, comma 2, della l. reg. 30 aprile 1973 n. 30), sono stati consultati al momento dell’emanazione della legge regionale n. 62 del 1989 e, infine, hanno espresso la loro intesa  circa il definitivo trasferimento (ai sensi dell’art. 32, 7° comma, della legge n. 81 in questione). 
Con il secondo motivo d’appello i ricorrenti lamentano che – in violazione dell’art. 62 dello Statuto (il quale prevede un ruolo organico regionale unico), nonché dell’art. 123 della Costituzione – sarebbe stato istituito un contingente separato e distinto per il personale comandato ad esercitare le funzioni delegate presso gli enti locali.
Anche tale censura deve essere disattesa poiché nell’ambito del ruolo organico regionale, che resta comunque unico, la formazione di due contingenti di personale risponde esclusivamente al fine pratico di individuare il personale che deve essere trasferito agli enti locali, ma tale personale, fino al trasferimento, continua ad appartenere – appunto –  al suddetto ruolo unico.
Per quanto riguarda la doglianza (terzo motivo di appello) che l’art. 32 della legge regionale n. 81 del 1994 in questione si porrebbe in contrasto  anche con l’art. 64, 3° comma, dello Statuto regionale il quale, per il comando del personale presso gli enti locali, prevede il consenso del dipendente interessato, deve osservarsi che il trasferimento del personale regionale per l’esercizio delle funzioni delegate era già previsto dall’art. 50 della legge regionale n. 51 del 1989 (poi in parte abrogato dalla legge n. 81 del 1994), il quale disciplinava la mobilità conseguente alla delega di funzioni in attuazione del d.P.R. n. 268 del 1987. Tale decreto, all’art. 6, nello stabilire le modalità del trasferimento, non faceva alcun riferimento ad un preventivo consenso individuale da parte di ciascuno degli interessati, come a tale consenso non faceva alcun riferimento la legge regionale 11 settembre 1989 n. 62. Il trasferimento, quindi, non è stato disposto, come sostengono i ricorrenti, “autoritariamente”, ma sulla base di disposizioni contenute in un accordo collettivo nazionale, e quindi negoziate, e previo confronto con le organizzazioni sindacali. D’altra parte, i dipendenti trasferiti erano in posizione di comando, dietro propria richiesta e con la consapevolezza che il comando era funzionale al trasferimento,  già prima che entrasse in vigore la legge regionale n. 62 del 1989.
Quanto al dedotto contrasto dell’art. 32 in questione con gli artt. 32-35 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (quarto motivo di appello), non può non condividersi l’affermazione del T.A.R. che queste ultime norme non sono applicabili al personale delle Regioni. Infatti, l’art. 32, comma 5°, del d.lgs. n. 29, nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore della legge regionale n. 81 del 1994, prevedeva che “… Le Regioni, in armonia con la disciplina di cui al comma 1 dell’art. 35, disciplinano la mobilità del proprio personale, anche in relazione alla delega di funzioni agli enti locali, dopo la consultazione delle associazioni regionali degli enti interessati”. Le Regioni, quindi, potevano darsi una propria disciplina della mobilità che semplicemente fosse “in armonia” con le disposizioni del d.lgs. n. 29, nulla vietando che peculiari fattispecie – quali la mobilità del personale adibito all’esercizio delle funzioni delegate – trovassero una regolamentazione ad hoc.
Con il quinto ed il sesto motivo di appello i ricorrenti ripropongono la doglianza di violazione degli artt. 118 e 128 Cost., affermando che il trasferimento “in blocco” di tutto il personale di cui trattasi, disposto dal censurato art. 32, precluderebbe sostanzialmente alla Regione l’esercizio dei poteri di controllo, sostituzione ed avocazione concernenti l’attività delegata nei confronti degli enti locali minori, la cui autonomia organizzativa risulterebbe in ogni caso violata. Anche a prescindere dalla rilevanza o meno della questione di legittimità costituzionale sollevata, tale motivo appare infondato. Sebbene le norme costituzionali invocate siano quelle di cui agli artt. 118 e 128, gli appellanti – sostenendo che il richiamo al d.P.R. n. 268 del 1987 da parte dell’art. 32 in questione sarebbe “… a dir poco incongruo e, comunque, illegittimo, essendo confliggente con le disposizioni sulla mobilità del personale dettate dal d.lgs. 29/93… aventi valenza di principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 Cost.” – in realtà deducono la violazione dell’art. 117 Cost. In proposito è sufficiente rilevare – fatto salvo quanto già precedentemente osservato circa l’applicabilità delle norme sulla mobilità contenute nel d.lgs. n. 29 del 1993 –  che all’accordo sindacale per il triennio 1985-87, recepito con il d.P.R. n. 268 del 1987,  hanno partecipato anche gli enti locali, tramite le organizzazioni rappresentative, così prestando il loro consenso ad ogni disposizione contrattuale, ivi comprese le norme di cui all’art. 6, 4° comma. Nessuna violazione dell’autonomia organizzativa degli enti locali può quindi ravvisarsi nell’art. 32 della legge regionale in esame, che tali norme ha ripreso ed attuato.
Quanto al settimo motivo, che ripropone la censura di violazione dell’art. 3 Cost., devono essere pienamente condivise le argomentazioni con le quali il T.A.R. ha ritenuto tale questione infondata; la situazione dei ricorrenti, comandati da lungo tempo presso gli enti locali per l’esercizio delle funzioni delegate, non è infatti omogenea o assimilabile a quella degli altri dipendenti regionali. D’altra parte, l’art. 32 della legge regionale n. 81 del 1994 assicura al personale trasferito lo stesso trattamento giuridico ed economico di cui beneficiano i dipendenti regionali, con particolare riferimento all’indennità di fine servizio ed al regime pensionistico. Ai medesimi è anche corrisposto l’assegno di mobilità di cui all’art. 22 della l. reg. 9 aprile 1990 n. 41.
Per le stesse considerazioni deve essere disatteso l’ottavo motivo (violazione degli art. 3 e 97 Cost.), non potendosi ravvisare alcuna incidenza negativa delle disposizioni censurate sul buon andamento delle Amministrazioni interessate.
L’infondatezza delle censure di illegittimità costituzionale sopra esaminate comporta l’infondatezza delle censure di illegittimità derivata rivolte, con il nono motivo, ai provvedimenti applicativi.
Relativamente ai vizi propri di tali determinazioni,  può sinteticamente osservarsi che la sentenza impugnata non si presta a rilievi di sorta in quanto:
a) non sussiste, in violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, il denunciato difetto di motivazione della delibera di trasferimento (decimo motivo di appello), poichè il riferimento all’avvenuto confronto con le organizzazioni sindacali è  sufficiente a dar conto del soddisfacimento degli adempimenti procedimentali imposti dalla legge;
b) la legge n. 241 del 1990 non è stata nemmeno violata con riferimento all’art. 7, ossia alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento (dodicesimo motivo), in quanto con gli atti applicativi della legge regionale n. 81 del 1994 non si è iniziato un nuovo procedimento di trasferimento del personale interessato, ma si è invece proseguito un procedimento che inizia con il collocamento del personale interessato nel contingente di organico per l’esercizio delle funzioni delegate (provvedimento del 5 dicembre 1994, a suo tempo comunicato agli interessati) e si conclude con la soppressione dai ruoli regionali del contingente medesimo;
c) gli appellanti non possono nemmeno dolersi della circostanza che il finanziamento dei posti trasferiti agli enti locali non sia avvenuto contestualmente al trasferimento (undicesimo motivo) e che sia stato frazionato nel tempo (tredicesimo motivo); tale contestualità non è infatti prevista dall’art. 32, il quale invece  stabilisce una sequenza procedurale dalla quale si evince che il finanziamento dei posti in questione può essere definitivamente trasferito dal bilancio regionale a quello degli enti delegati solo al momento della cancellazione del personale dal ruolo regionale;
d) non è ravvisabile, infine, alcuna contraddittorietà tra la previsione di un eventuale rientro nei ruoli regionali del personale trasferito agli enti locali e la soppressione dello speciale contingente (dedotta con il quattordicesimo motivo), atteso che l’ipotesi del rientro nel ruolo regionale è subordinata ad un processo di riordinamento delle funzioni che dovrebbe essere disciplinato con nuovo atto legislativo e, per gli aspetti che riguardano il personale, sulla base di specifici accordi con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
L’appello deve dunque essere respinto.
Le spese possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2000 e il 20 marzo 2001 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori:
Presidente f.f.   Pietro FALCONE 
Consigliere    Cesare LAMBERTI
Consigliere    Filoreto D’AGOSTINO
Consigliere     Dedi RULLI
Consigliere    Maria Grazia CAPPUGI, est.
 
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