Cassazione, Sez. un., 19667 del 22 dicembre 2003, sulla giurisdizione
della Corte dei Conti su un Consorzio per la gestione di un acquedotto,
con nota di Simona Falconieri
La sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 19667/2003
realizza una storica svolta nella disciplina giuridica degli Enti Pubblici
Economici, virando in senso opposto rispetto all’orientamento consolidato
della Cassazione espresso nella sentenza 1282 del 1982.
Le sezioni unite dichiarano la giurisdizione della Corte dei Conti
anche per gli atti, non autoritativi, di amministratori e dipendenti degli
EPE, che siano stati posti in essere nell’esercizio dell’attività
imprenditoriale.
La Corte riconosce, infatti, che, anche un atto tradizionalmente
imprenditoriale quale l’investimento di capitali comporta responsabilità
amministrativa in ordine ai danni posti in essere con lo stesso.
Ciò che rileva è infatti la ragione posta alla base del
controllo spettante alla Corte dei Conti. Si legge nella ampia e dettagliata
motivazione, ricca di richiami giurisprudenziali, che la privatizzazione
della pubblica amministrazione e la generale evoluzione dello Stato in
tal senso, non possono privare di tutela i pubblici interessi comunque
sottesi all’esplicazione delle attività.
A tal proposito le sezioni unite (30 marzo 2001 n.71) avevano già
recepito la nozione oggettiva di “servizio pubblico” , caratterizzato dal
funzionale soddisfacimento diretto dei bisogni di interesse generale, non
rilevando le modalità di concreto esercizio dell’interesse stesso.
Nel 2002, poi, le sezioni Unite (8229/02) avevano chiarito che la responsabilità
non è limitata alla sola attività provvedimentale , ma a
tutti i comportamenti omissivi o commissivi dai quali derivi danno per
lo Stato o per l’ente Pubblico.
La sentenza in commento trae ,inoltre, ampie ulteriori argomentazioni
dal dettato dell’art. 1 della L. 20/94 (disciplina della Corte dei Conti),
norma, in particolare all’ultimo comma, che data appunto la sua ampia formulazione
deve riferirsi anche agli enti pubblici economici.
Il discrimen fra competenza del giudice ordinario e della Corte dei
Conti è la qualità del soggetto passivo e quindi la natura
delle risorse finanziarie delle quali si avvale.
Pare utile leggere tale sentenza in raccordo con Tar Toscana sez. II,
17 settembre 2003 n. 5101, sull'utilizzazione dell'ingiunzione fiscale
da parte delle ASL e la loro natura di Enti Pubblici Economici -
e disciplina conseguente - di cui sempre su questo sito.
OMISSIS (……)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 22 marzo 2001 il P.G. presso la sezione giurisdizionale
della Corte dei conti per l'Abruzzo convenne in giudizio il presidente
e gli altri componenti del consiglio d'amministrazione del Consorzio comprensoriale
del Cxx per la gestione delle opere acquedottistiche, i dipendenti dello
stesso ente Donato Dx1 e Luca Francesco Paolo Rx2 nonché il prof.
Luigi Px, e ne chiese la condanna al pagamento, in favore del Consorzio,
della somma di lire 4.511.200.000, oltre accessori.
A sostegno della domanda dedusse che con deliberazione del 10 marzo
1999 il consiglio di amministrazione di detto Ente aveva affidato alla
società P. & Partners - Corporate Finance, della quale il Px
era presidente, un incarico di consulenza finanziaria, seguito dalla sottoscrizione
di un contratto di investimento di capitali, di ritenuto sicuro alto rendimento,
l'operazione - che aveva comportato il trasferimento all'estero di ingenti
fondi del Consorzio, non più rientrati - era stata condotta in modo
tutt'altro che limpido e con danno grave per il Consorzio stesso, tant'è
che in sede penale si era proceduto contro il Px, in stato di detenzione
domiciliare, in ordine al reato di truffa aggravata; agli effetti in esame,
questi doveva considerarsi funzionario di fatto dell'Ente.
Nella pendenza del giudizio il Px ha proposto regolamento di giurisdizione
con il quale chiede dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario;
il geol. Elio Bitritto, anch'egli convenuto, controricorre con contestuale
ricorso incidentale, adesivo al ricorso principale; resiste il Procuratore
regionale, che chiede invece dichiararsi la giurisdizione della Corte dei
conti; gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva; il
P.G. presso questa Corte suprema, nella persona del dottor Vincenzo Maccarone,
ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario; entrambi
i ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere
riuniti giacché investono il medesimo processo.
2. Il ricorso incidentale dell'intimato Elio Bitritto, parte del giudizio
promosso dal Procuratore regionale della Corte dei conti, è rituale:
ancorché il regolamento di giurisdizione non costituisca mezzo di
impugnazione, esso comporta nondimeno la necessità di concentrare
in unico giudizio tutte le questioni attinenti alla giurisdizione, con
la conseguenza che l'intimato, che intenda proporre a sua volta tale regolamento,
deve farlo nelle forme e nel termine del ricorso incidentale ai sensi dell'art.
371 c.p.c., anche al quale rinvia l'art. 41 stesso codice (v. Cass., nn.
11436/1992 e 1945/2002).
3. Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente, nel dedurre,
in relazione agli artt. 37 e 41 c.p.c., la violazione degli artt. 93, 113
e 114 d.lgs. 267/2000 e dell'art. 13 r.d. 1214/1934, afferma che la giurisdizione
appartiene al giudice ordinario sulla duplice premessa che il suddetto
Consorzio costituisce un ente pubblico economico, e che i fatti, che hanno
dato luogo al giudizio di responsabilità, attengono all'attività
imprenditoriale dell'Ente, e richiama al riguardo la giurisprudenza di
queste Sezioni Unite.
Analoghe considerazioni e richieste svolge il ricorrente incidentale.
Mentre il P.G. presso questa Corte afferma a sua volta la giurisdizione
del giudice ordinario richiamando anch'egli la giurisprudenza in tal senso
formatasi, il Procuratore regionale controricorrente sollecita invece -
dopo aver qualificato come "scriteriato ed irresponsabile" l'investimento
finanziario all'estero operato dal Consorzio - un riesame di tale indirizzo,
sostiene che la giurisdizione appartiene alla Corte dei conti ed a fondamento
della propria tesi osserva: l'art. 7 della l. 97/2001 ha senso solo se
si riconosce a detta Corte ampia competenza giurisdizionale a conoscere
dei danni erariali arrecati da dipendenti di pubbliche amministrazioni,
compresi gli enti pubblici economici; il provvedimento amministrativo è,
oggi, uno solo dei possibili atti che le pubbliche amministrazioni possono
adottare per il perseguimento dei propri fini, giacché ad esso si
accompagnano modelli procedimentali più vicini al diritto privato;
è quindi necessario accogliere una nozione oggettiva di attività
amministrativa e ritenere che essa si qualifichi tale in quanto consista
nello svolgimento di una pubblica funzione o di un pubblico servizio, indipendentemente
dalla riconducibilità dell'atto emesso all'ambito del diritto privato
o del diritto pubblico; lo strumento del diritto privato consente una maggiore
efficienza dell'azione amministrativa; le esigenze del buon andamento e
dell'imparzialità dell'amministrazione, come disciplinate dall'art.
97 Cost., riguardano allo stesso modo l'attività volta all'emanazione
di provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici
disciplinati dal diritto privato, e per conseguenza l'attività amministrativa
è configurabile anche quando l'amministrazione persegua le proprie
finalità istituzionali mediante un'attività sottoposta in
tutto od in parte alla disciplina prevista per i rapporti tra soggetti
privati, come ha affermato anche il Consiglio di Stato (Adunanza plenaria
4/1999 del 22 marzo 1999); lo stesso legislatore comunitario, nella fondamentale
definizione di "organismo di diritto pubblico" (ad es. art. 1 direttiva
92/50/CEE), prescinde dalla forma giuridica adottata per fondarsi invece
sul duplice dato sostanziale del soddisfacimento di bisogni di interesse
generale non aventi carattere industriale o commerciale, nonché
dell'influenza dominante, diretta od indiretta, da parte delle pubbliche
autorità; nello stesso senso è la sentenza n. 35 del 5 febbraio
1992 della Corte costituzionale; allorquando la natura di un ente è
pubblica, nel senso di pubblicità del fine perseguito - ed a prescindere
dalla veste giuridica adottata -, ed è pubblica la natura dei finanziamenti,
lì vi è spazio per le funzioni anche giurisdizionali della
Corte dei conti.
4. Dallo statuto in atti - che può essere direttamente esaminato
dalla Corte, giudice anche del fatto in sede di giurisdizione, ed al quale
del resto si richiamano tanto il Procuratore regionale (pag. 43 controricorso)
che il Bitritto - risulta (art. 1) che il Consorzio comprensoriale del
Cxx per la gestione delle opere acquedottistiche è stato costituito,
tra i Comuni di cui all'allegato A dello statuto, ai sensi dell'art. 25
l. 8 giugno 1990, n. 142; esso è dotato di personalità e
di autonomia imprenditoriale (comma 4 stesso art. 1), ha per oggetto la
gestione del servizio idrico e può compiere operazioni immobiliari,
industriali, commerciali, finanziarie e mobiliari (art. 3).
L'art. 25 della citata l. 142/1990 (ora art. 31, primo comma, d.lgs.
18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali)
dispone che i Comuni e le Province, per la gestione associata di uno o
più servizi e l'esercizio associato di funzioni, possono costituire
un consorzio secondo le norme, in quanto compatibili, previste per le aziende
speciali di cui al precedente art. 23 (ora art. 114 t.u. 267/2000): questo
a sua volta stabilisce che dette aziende (uno dei possibili enti gestori
di servizi pubblici ai sensi dell'art. 22, terzo comma, lett. c) stessa
legge, ora art. 113 citato t.u.) sono enti strumentali dell'ente locale
dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e
di proprio statuto, approvato dal Consiglio comunale o provinciale.
Alla stregua di tale quadro normativo, non è seriamente contestabile
la natura di ente pubblico economico del Consorzio in questione - come,
del resto, questa Corte suprema ha affermato, in un caso del tutto analogo,
con sentenze 9879/1997 e 124/2000 - dal che segue che, per costante giurisprudenza,
la giurisdizione della Corte dei conti è limitata alla responsabilità
connessa all'esercizio di poteri autoritativi o di funzioni pubbliche,
ricadendo invece quella relativa all'attività gestionale nella giurisdizione
ordinaria (tra le altre, Cassazione, Sezioni Unite 1282/1982; 6179/1983;
644/1985; 2489/1988; 5792/1991; 11560/1992; 12654/1997; 334/1999; 1193/2000;
9689/2001): se seguito, tale indirizzo comporterebbe l'affermazione, nella
fattispecie in esame, della giurisdizione del giudice ordinario giacché
i fatti, oggetto del giudizio di responsabilità, attengono allo
svolgimento di un'operazione finanziaria, e dunque all'attività
imprenditoriale dell'ente.
5. Il riesame della questione, sollecitato dal controricorrente Procuratore
regionale, deve muovere dalla distinzione, per gli effetti che ne derivano
in tema di riparto di giurisdizione, tra enti pubblici non economici ed
enti pubblici economici.
Riguardo ai primi, queste Sezioni Unite sin dalla sentenza n. 363 del
1969 hanno riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti in materia
di responsabilità degli amministratori e dipendenti di detti enti,
ancorandola alla immediata efficacia precettiva dell'art. 103, secondo
comma, Cost. nonché alla compresenza di due elementi, qualificanti
la nozione di contabilità pubblica: uno soggettivo, che attiene
alla natura pubblica del soggetto - ente od amministrazione - al quale
l'agente sia legato da un rapporto di impiego o di servizio; l'altro oggettivo,
che riflette la qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto della
gestione nell'ambito della quale si è verificato l'evento, fonte
di responsabilità.
Riguardo, invece, agli enti pubblici economici, con la citata sentenza
1282/1982 - la prima che ebbe a pronunciarsi nel senso sopra cennato -
queste Sezioni Unite, dopo aver ribadito che la giurisdizione della Corte
dei conti sussiste allorquando ricorrano i due predetti elementi, soggettivo
ed oggetto, ritennero tuttavia di escluderla, in relazione a detti enti,
riguardo alle attività che si collocano nell'ambito dell'esercizio
imprenditoriale, loro proprio.
Nel richiamare la precedente sentenza 363/1969, già citata,
le Sezioni Unite precisarono che il requisito della natura pubblica dell'ente
va riferito agli enti pubblici non economici, poiché gli enti pubblici
economici, pur perseguendo finalità di carattere pubblico, normalmente
svolgono la loro attività nelle forme del diritto privato (artt.
2093 e 2201 c.c.) e in tale svolgimento sono soggetti alla disciplina dell'imprenditore
privato; aggiunsero che alla natura, agli scopi ed al modo di operare degli
enti pubblici economici mal si addice il rigore del controllo della contabilità
pubblica in senso stretto, ed osservarono che detti enti sono sottratti
al controllo della Corte dei conti a norma dell'art. 1 l. 20 marzo 1975,
n. 70.
Tali argomentazioni furono riprese ed arricchite dalle pronunce successive
le quali, a conferma della limitazione della giurisdizione della Corte
dei conti, riguardo agli enti pubblici economici, all'esercizio di poteri
autoritativi, richiamarono anche: l'art. 409, n. 4, c.p.c.; il carattere
solo tendenziale e non assoluto della giurisdizione della Corte dei conti
in materia contabile (affermazione, questa, in linea con la giurisprudenza
della Corte costituzionale, la quale ha più volte osservato che
la concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse
fattispecie di responsabilità amministrativa, richiede l'interpositio
legislatoris: in tale senso, tra le altre, Corte costituzionale 24/1993
e 327/1998); la necessità della violazione di una specifica regola
di condotta imposta da una norma regolatrice del maneggio e della gestione
del denaro pubblico; il carattere estrinseco del fine pubblico degli enti
in questione.
6. La soluzione del quesito deve muovere dalla evoluzione della nozione
di pubblica amministrazione, a ragione sottolineata dal controricorrente.
Già gli artt. 2093 e 2201 c.c. disponevano, e dispongono rispettivamente,
che le norme del quinto libro del codice si applicano agli enti pubblici
inquadrati nelle associazioni sindacali (limitatamente alle imprese da
essi esercitate quanto agli enti non inquadrati), e che gli enti pubblici,
i quali hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale,
sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese.
In anni più recenti il processo cosiddetto di privatizzazione
ha subito un'accelerazione, anche al fine di assicurare alla P.A. una maggiore
efficienza, e ciò sotto due profili: dal lato della forma giuridica,
per la quale si menziona qui, esemplificativamente, l'art. 15 d.l. 11 luglio
1992, n. 333, convertito dalla l. 8 agosto 1992, n. 359 (che ha disposto
la trasformazione in società per azioni di enti pubblici economici
quali l'Iri, l'Eni, l'Ina e l'Enel) e l'art. 113 d.lgs. 267/2000, già
art. 22 l. 142/1990 (il quale prevede che i servizi pubblici locali possano
essere gestiti anche a mezzo di società per azioni od a responsabilità
limitata).
Dal punto di vista, invece, del modus operandi, l'art. 241/1990 dispone
che l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio
dei diritti dei terzi e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse,
accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale
del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione
di questo; a tali accordi si applicano, se non diversamente previsto, i
principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto
compatibili (v. al riguardo Cassazione, Sezioni Unite, n. 9130/1994); l'art.
2, comma 2, del d.lgs. 29/1993 dispone a sua volta che, salvo eccezioni,
i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono
disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II del libro IV del
codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa;
la disciplina privatistica trova applicazione, per espressa disposizione
di legge speciale (art. 1, ultimo comma, l. 186/1988), ad un ente pubblico
considerato non economico, quale l'Agenzia spaziale italiana (Cassazione,
Sezioni Unite, 19 gennaio 2001, n. 11).
I riflessi sugli equilibri costituzionali, indotti dal processo di
privatizzazione (momento successivo ed eventuale del quale, e che qui peraltro
non rileva, è la dismissione: d.l. 332/1994 convertito in l. 474/1994),
sono stati esaminati dalla Corte costituzionale la quale - provvedendo
con sentenza 28 dicembre 1993, n. 466 sul conflitto di attribuzioni tra
la Corte dei conti ed il Governo della Repubblica - ha affermato che spetta
a detta Corte il controllo sulla gestione delle società per azioni
derivanti dalla trasformazione dell'Iri e degli altri enti di cui sopra
fin quando permanga una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello
Stato al capitale azionario di tali società, osservando tra l'altro
che le ragioni, che stanno alla base del controllo spettante alla Corte
dei conti sugli enti pubblici economici sottoposti a trasformazione, non
possono considerarsi superate in conseguenza del solo mutamento della veste
giuridica degli stessi enti, e che il controllo verrà a perdere
la propria ragione d'essere solo nel momento in cui il processo di privatizzazione
avrà assunto connotati sostanziali tali da determinare l'uscita
delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica (sostanzialmente
nello stesso senso è la definizione di impresa pubblica contenuta
nell'art. 2 della direttiva 80/723/CEE del 25 giugno 1980).
In precedenza (sentenza 5 febbraio 1992, n. 35) la stessa Corte costituzionale,
investita di un giudizio concernente le società finanziarie regionali
siciliane, aveva avuto occasione di osservare che «lo sviluppo di
questo tipo di amministrazione indiretta si collega ad una generale evoluzione
dello Stato nell'epoca contemporanea, in base alla quale quest'ultimo tende
a utilizzare crescentemente, soprattutto nel campo dei servizi pubblici
e del rapporto d'impiego pubblico, moduli di azione e di organizzazione
propri del diritto privato»: servizi pubblici in ordine ai quali,
in un regolamento di giurisdizione proposto ai sensi dell'art. 33 d.lgs.
80/1998, queste Sezioni Unite (sentenza 30 marzo 2001, n. 71) hanno rilevato
che il legislatore ha recepito la nozione non soggettiva ma oggettiva di
essi, caratterizzati dall'elemento funzionale del soddisfacimento diretto
di bisogni di interesse generale.
L'evoluzione, alla quale si è fatto cenno, rende labile, agli
effetti della pronuncia sul regolamento di giurisdizione in esame, la distinzione
tra enti pubblici non economici ed enti pubblici economici, e nel contempo
non del tutto coerenti i criteri di riparto di cui al consolidato orientamento
giurisprudenziale: riguardo ai primi, infatti, queste Sezioni Unite (sentenza
11/2001 citata), nell'affermare che spetta alla Corte dei conti di giudicare
in ordine alla responsabilità amministrativo-contabile degli amministratori
dell'Agenzia spaziale italiana, qualificata appunto come ente pubblico
non economico, hanno considerato a tal fine irrilevante l'utilizzo di strumenti
privatistici - come detto disposti per tale ente da una norma speciale
- aggiungendo che il termine agenzia designa, ad imitazione di modelli
anglosassoni, un organo della P.A. non inserito nella struttura ministeriale
ed utilizzato in quei settori di attività amministrativa per i quali
ad una riforma in senso privatistico degli enti pubblici si è preferita
la realizzazione di entità sempre pubbliche, ma tali da consentire
una gestione manageriale dei pubblici interessi in modo più agile
e penetrante.
Sempre con riferimento al giudizio di responsabilità nei confronti
dell'amministratore di un ente pubblico non economico, queste Sezioni Unite
(sentenza 8229/2002) hanno affermato che tale responsabilità non
è limitata alla sola attività provvedimentale, ma comprende
tutti i comportamenti, commissivi od omissivi, imputabili a dolo o colpa
grave, dai quali sia derivato un danno per lo Stato o l'ente pubblico.
Stante tale innovativo quadro, può conclusivamente affermarsi,
condividendosi quanto argomentatamente sostenuto dal controricorrente,
che l'amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando
esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei
limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità
istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto od in parte
dal diritto privato.
Ancorché in forme privatistiche, gli enti pubblici economici
- soggetti pubblici per definizione e che perseguono fini del pari pubblici
attraverso risorse di eguale natura - svolgono dunque anch'essi attività
amministrativa, rispetto alla quale tali forme costituiscono nient'altro
che lo strumento a tali fini utilizzabile ed utilizzato.
7. In tema di competenza giurisdizionale nei giudizi di responsabilità
nei confronti di amministratori e dipendenti pubblici, incisive innovazioni
normative sono state introdotte negli anni '90 del secolo scorso.
La materia è tuttora regolata dal r.d. 2440/1923, recante nuove
disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità
generale dello Stato, il quale attribuì alla Corte dei conti (art.
83) la giurisdizione sulla responsabilità dei funzionari, di cui
ai precedenti artt. 81 e 82 (responsabilità, rispettivamente, contabile
ed amministrativa), giurisdizione ribadita dall'art. 52 r.d. 1214/1934,
recante il t.u. delle leggi sulla stessa Corte, e dall'art. 19 d.P.R. 3/1957,
t.u. delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello
Stato.
Sempre nel 1934 il t.u. della legge comunale e provinciale (r.d. 383)
ripartì invece la giurisdizione, quanto alla responsabilità
per danni arrecati da amministratori e dipendenti degli enti locali, tra
Corte dei conti e giudice ordinario, ma le norme relative (artt. 251-265)
furono poi abrogate dall'art. 64, lett. c), l. 142/1990, sull'ordinamento
delle autonomie locali, la quale, all'art. 58 primo comma, dispose che
per gli amministratori ed il personale degli enti locali si osservano le
disposizioni vigenti in materia di responsabilità civile degli impiegati
dello Stato.
L'art. 31 l. 335/1976, recante principi fondamentali e norme di coordinamento
in materia di bilancio e contabilità delle Regioni, riservò
del pari alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità nei confronti
degli amministratori e dei dipendenti della regione, di cui agli artt.
18 e 30 stessa legge.
L'art. 1, primo comma, d.l. 453/1993, convertito, con modificazioni,
dalla l. 19/1994, ha istituito in tutte le regioni, ove non già
esistenti, sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, e l'art. 1, ultimo
comma, della legge in pari data n. 20 - disposizioni in materia di giurisdizione
e controllo della Corte dei conti, così come modificato dal d.l.
543/1996, convertito, con modificazioni, dalla l. 639/1996 - ha disposto
che la Corte dei conti giudichi sulla responsabilità amministrativa
degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato
cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza,
limitatamente, tuttavia, ai "fatti commessi successivamente alla data di
entrata in vigore della presente legge".
L'art. 274, lett. g), del d.lgs. 267/2000 (t.u. delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali) ha abrogato la l. 142/1990, della quale peraltro riproduce,
all'art. 93, primo comma, l'art. 58 sopra citato.
Infine, la l. 97/2001 ha stabilito (art. 7) che la sentenza penale
di condanna nei confronti dei dipendenti indicati nel precedente art. 3
(di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione
pubblica) debba essere comunicata al competente Procuratore regionale della
Corte dei conti perché promuova l'eventuale procedimento di responsabilità
per danno erariale nei confronti del condannato.
A seguito della sentenza 55/1966 della Corte costituzionale, dichiarativa
della illegittimità costituzionale delle norme sulla composizione
ed il funzionamento dei consigli di prefettura, i relativi giudizi sono
stati attribuiti alla Corte dei conti (Cassazione 2616/1968).
8. Il processo di privatizzazione dell'amministrazione pubblica, del
quale s'è detto, non ha comportato una corrispondente e normativa
riduzione della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei conti
nella materia che qui interessa; al contrario, è stata attuata,
dalle leggi degli anni '90, una espansione di tale sfera.
Se significativo in tal senso è anche il quinto comma dell'art.
11 della l. 241/1990 (il quale riserva alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo le controversie in materia di formazione, conclusione
ed esecuzione degli accordi procedimentali e sostitutivi, previsti dallo
stesso articolo), decisiva è però la considerazione complessiva
di tale evoluzione legislativa, la quale evidenzia il processo di omologazione
delle condotte che radicano la giurisdizione contabile, intenti di semplificazione
e razionalizzazione del sistema e, appunto, il progressivo ampliamento
di tale giurisdizione in materia di responsabilità, ampliamento
non a caso accompagnato o seguito dal nuovo assetto strutturale della Corte
dei conti di cui alla menzionata l. 19/1994.
Particolarmente rilevanti appaiono, in tale contesto, l'abrogazione,
ad opera della l. 142/1990, della distinzione, ai fini del riparto di giurisdizione,
tra responsabilità formale degli amministratori e dipendenti degli
enti locali e generica responsabilità amministrativa (vedasi, sul
punto, Cassazione, Sezioni Unite 5789/1991), ed il superamento, introdotto
dalla l. 20/1994 e successive modifiche, della responsabilità contrattuale
quale limite della giurisdizione della Corte dei conti.
L'ambito della quale, ristretto per il passato, nella materia che qui
interessa, a tale responsabilità (amministrativa o contabile, quest'ultima
relativa agli agenti contabili, a coloro, cioè, che hanno il maneggio
di denaro o di altri valori dello Stato), investe dunque, ora, anche la
responsabilità extracontrattuale, peraltro nei soli confronti di
amministratori od enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (così
l'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994, citata).
Prima di tale legge proprio questa Corte ebbe a sollevare, con due
ordinanze del 13 giugno 1991, la questione di costituzionalità dell'art.
30 l. 335/1976, nella parte in cui correlava la responsabilità patrimoniale
degli amministratori e dipendenti delle regioni alla incidenza del danno,
derivante dalla violazione di obblighi di funzione o di servizio, sull'erario
dell'ente regione e non anche dello Stato o di altro ente pubblico: questione
che fu dichiarata infondata dalla Corte costituzionale (sent. 24/1993)
sul rilievo che è jus receptum che i pubblici dipendenti, per i
danni cagionati nell'esercizio delle loro attribuzioni a terzi, rispondo
a titolo di responsabilità extracontrattuale dinanzi al giudice
ordinario, e che la devoluzione della giurisdizione alla Corte dei conti
richiede l'interpositio legislatoris: ora intervenuta con e nei limiti
di cui all'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994.
Data l'ampia formulazione della norma, deve ritenersi che essa faccia
riferimento anche agli enti pubblici economici, oltre che a quelli non
economici ed alle amministrazioni: depongono in tal senso la lettera e
la ratio di essa, ed il rilievo che, allorquando il legislatore ha invece
inteso introdurre delle limitazioni o delle distinzioni, lo ha fatto, come
nel quasi coevo art. 1, secondo comma, d.lgs. 29/1993.
Se, in ordine alla giurisdizione, che continua ad essere attribuita
al giudice ordinario, sulla responsabilità extracontrattuale di
amministratori e dipendenti pubblici od enti pubblici, quel che rileva,
ai sensi dell'art. 2043 c.c., è che la condotta dell'agente sia
contrassegnata da dolo o colpa ed abbia prodotto un danno ingiusto ad essa
causalmente collegato (v. da ultimo, Cassazione 9260/1997, 1045/1999, 3132/2001
e 3983 e 7630/2003), altrettanto è a dirsi per la stessa responsabilità
dei medesimi soggetti in danno invece di amministrazioni ed enti diversi
da quelli di appartenenza, devoluta invece alla Corte dei conti.
Il discrimen tra le due giurisdizioni risiede infatti unicamente nella
qualità del soggetto passivo, e, pertanto, nella natura - pubblica
o privata - delle risorse finanziarie di cui esso si avvale, avendo il
legislatore del 1994 inteso più incisivamente tutelare il patrimonio
di amministrazioni ed enti pubblici, diversi da quelli cui appartiene il
soggetto agente - e così, in definitiva, l'interesse pubblico -,
con l'attribuzione della relativa giurisdizione alla Corte dei conti, presso
la quale (a differenza di quanto invece avviene, salvo eccezioni che qui
non interessano, per il giudice ordinario), è istituito il procuratore
regionale abilitato a promuovere i relativi giudizi nell'interesse generale
dell'ordinamento giuridico (Cassazione 12827/1982 e 9780/1998).
La devoluzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla responsabilità
amministrativa extracontrattuale, nei limiti anzidetti, degli amministratori
e dipendenti pubblici appare particolarmente significativa perché,
per i relativi giudizi, non si pongono quei problemi di conflitti di interesse
e di condizionamenti che ricorrono invece riguardo alla responsabilità
amministrativa contrattuale degli stessi soggetti: per la quale questa
Corte suprema (sentenza 9780/1998) manifestò il timore che la "finora
timida attività giudiziaria dell'ente danneggiato nei confronti
dei pretesi responsabili" (amministratori o dipendenti dello stesso ente)
potesse risolversi in un sostanziale esonero da responsabilità,
rimettendo peraltro al legislatore la soluzione del problema.
Per i giudici di responsabilità extracontrattuale, così
attribuiti al giudice contabile, sono sicuramente inutilizzabili gli argomenti
(artt. 2093 e 2201 c.c., art. 409, n. 4, c.p.c., assenza di controlli,
inesistenza di norme pubblicistiche) come sopra addotti a sostengo del
riparto di giurisdizione all'interno della categoria degli enti pubblici
economici, di cui al risalente indirizzo sopra richiamato, non avendo il
legislatore ritenuto di attribuire altresì rilevanza alle modalità
della condotta del soggetto agente - e, in concreto, se essa violi norme
di diritto pubblico o di diritto privato -, se non per i riflessi che esse
comportano in tema di elemento soggettivo: indagine, peraltro, questa,
che attiene ai limiti interni della giurisdizione e che, dunque, non rileva
in questa sede.
Né può trascurarsi di considerare che l'argomento tratto
dal citato art. 409, n. 4, è contrastato dal n. 5 della stessa norma
e dalla successiva legislazione speciale (art. 68 d.lgs. 29/1993 e successive
modifiche), la quale ha devoluto al giudice ordinario tutte le controversie
relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni,
salvo le eccezioni previste dalla legge, devoluzione che non ha di certo
inteso incidere anche sulla materia in esame della giurisdizione sulla
responsabilità.
Orbene, la norma innovativa di cui all'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994
ha una sua evidente ricaduta anche in tema di responsabilità contrattuale:
se, infatti, nella responsabilità extracontrattuale in danno di
amministrazioni od enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, le
modalità della condotta (violatrice di norme tanto di diritto pubblico
che di diritto privato) del soggetto agente sono giuridicamente irrilevanti
quanto alla giurisdizione, a maggior ragione esse lo sono divenute allorquando
il danno sia stato cagionato alla stessa amministrazione di appartenenza,
non essendo pensabile che il legislatore abbia voluto tutelare in misura
meno incisiva quest'ultima.
Non a caso, del resto, l'art. 1 l. 20/1994 fa riferimento al "comportamento"
degli amministratori e dipendenti pubblici soggetti a giudizio di responsabilità,
nonché al "fatto dannoso" ed al "danno": è, dunque, l'evento
verificatosi in danno di un'amministrazione pubblica il dato essenziale
dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non, o non più,
il quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si colloca
la condotta produttiva del danno stesso.
Deve, pertanto, affermarsi che sono attribuiti alla Corte dei conti
i giudizi di responsabilità amministrativa, per fatti commessi dopo
l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994, anche nei confronti
di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (restando invece
per tali enti esclusa la responsabilità contabile, per la quale
l'art. 45 r.d. 1214/1934 dispone che la presentazione del conto costituisce
l'agente dell'amministrazione in giudizio e, dunque, presuppone l'applicabilità
di norme pubblicistiche, generalmente escluse, invece, per detti enti).
Non rileva in senso contrario a tale conclusione la mancata conversione
in legge del d.l. 47/1995 - che all'art. 1, quarto comma, prevedeva espressamente
la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di tali soggetti -
dovendosi ritenere che essa sia derivata proprio dalla consapevolezza della
non necessità di introdurre una norma, resa inutile dalla introduzione
della giurisdizione contabile anche sulla responsabilità extracontrattuale
e dagli effetti da essa prodotti anche in tema di responsabilità
contrattuale.
Pur non avendo inteso ampliare la competenza giurisdizionale di detta
Corte, come lo stesso controricorrente puntualmente osserva, l'art. 7 l.
97/2001 si inserisce tuttavia coerentemente nell'ambito delle sostanziali
innovazioni legislative, di cui s'è detto.
La soluzione raggiunta è anche conforme alla costante giurisprudenza
delle sezioni penali di questa Corte, le quali hanno più volte affermato
che la trasformazione di amministrazioni pubbliche in enti pubblici economici
e poi in società per azioni non ne fa venir meno la natura pubblicistica
(Cassazione, sezione prima penale, 10027/2000, Aalam, per l'Ente Ferrovie
dello Stato, e Cassazione sezione sesta penale, 20118/2001, Di Bartolo,
per l'Ente poste), con il conseguente persistere, per i rispettivi dipendenti,
della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Conclusivamente: così come, con il d.lgs. 80/1998 e la l. 205/2000,
la giurisdizione amministrativa esclusiva è stata attribuita per
blocchi di materia (essendo stato trasferito il criterio di riparto dal
soggetto all'oggetto, come queste Sezioni Unite hanno precisato con sentenza
40/2000), allo stesso modo ha, in definitiva, inteso operare il legislatore
relativamente alla giurisdizione in materia di responsabilità amministrativa
degli amministratori e dipendenti pubblici, e sia pure attraverso un iter
non altrettanto organico, ma al fine di dare concreta e puntuale applicazione
al secondo comma dell'art. 103 Cost., alla stregua del quale le norme ordinarie
sopra indicate devono essere interpretate.
9. Il Px, non amministratore né dipendente del Consorzio, ma
presidente della società che curò l'investimento finanziario
in questione, è stato citato in giudizio quale funzionario di fatto
del Consorzio stesso: sul punto, l'atto di citazione evidenzia il suo «ruolo
di esclusivo dominus assoluto dell'operazione da lui condotta in assenza
di alcuna seria valutazione e conoscenza dei fatti da parte degli organi
di amministrazione del Consorzio, che si erano spogliati di ogni possibilità
di scelta e di intervento anche in conseguenza della delega a rappresentare
l'Ente con procura illimitata, conferita ad un funzionario ignaro di questioni
finanziarie, a firmare impegni e contratti di cui paradossalmente ignorava
il contenuto essendo redatti in lingua a lui sconosciuta».
A tale riguardo, e con il secondo motivo del proprio ricorso, lo stesso
Px, nel denunciare la violazione degli artt. 2472, 2487, 2392 e 2394 c.c.
e dell'art. 93 t.u. 267/2000, rileva che egli non ha mai agito in proprio,
ma solo quale presidente della società, e che non ricorrono i presupposti
per potersi ravvisare un rapporto di servizio con il Consorzio.
Il motivo è inammissibile.
L'atto di citazione non ha infatti trascurato di considerare la qualità
rivendicata dal ricorrente, ma afferma che, nonostante essa, il Px è
egualmente assoggettabile alla giurisdizione contabile per le ragioni sopra
esposte.
Essendo lo stesso atto ispirato a criteri giuridici in astratto del
tutto esatti, l'accertamento della effettiva sussistenza dei relativi presupposti
involge una questione di fatto che dovrà essere esaminata e decisa
dal giudice investito dalla competenza giurisdizionale.
10. Dichiara, pertanto, la giurisdizione della Corte dei conti essendo
stati commessi i fatti, di cui all'atto di citazione, successivamente all'entrata
in vigore dell'art. 1, primo comma, l. 20/1994 e successive modifiche che
non deve provvedersi sulle spese del presente procedimento, essendo, il
resistente vittorioso, parte di esso in senso soltanto formale.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, dichiara la giurisdizione della Corte dei conti.
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