Consiglio di stato, sezione V , sent. n. 3852 del 7 luglio 2000
sulla inidoneità di una richiesta di un mutuo per la realizzazione
di un’opera pubblica come copertura finanziaria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso
in appello nr.7753 del 1994, proposto dal Comune di……, in persona del
sindaco
in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Paolo Scaparone e Fabio
Lorenzoni,
presso
il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Alessandria, n.130,
CONTRO
la Regione……,
in persona del presidente in carica della giunta regionale,
rappresentata
e difesa dagli avv.ti Mario Sorniotto Grella e Enrico Romanelli, presso
il
quale
è elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria, n.5,
per la riforma
della
sentenza del T.A.R. del Piemonte, sezione II, 26 ottobre 1993. n.311
Visto
il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio della Regione …………,
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Alla pubblica
udienza del 7 marzo 2000, relatore il consigliere Marcello Borioni, uditi
gli
avv.ti
Loria, su delega dell'avv. Lorenzoni, e Romanelli;
Ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con deliberazione
24 ottobre 1989, n.476 il consiglio comunale di …….. incaricava
l'arch.
…………….. della progettazione concernente la ristrutturazione delle sedi
comunali
per l'eliminazione delle barriere architettoniche, prevedendo nella convenzione
allegata
in cento milioni il compenso dovuto, da sostenere mediante la futura contrazione
di un
mutuo.
In data
19 ottobre 1990 perveniva all'ente un "preliminare di parcella" per £.43.404.080,
delle
quali veniva pagato un acconto di £.10.000.000, utilizzando le disponibilità
di
bilancio.
Con successiva
deliberazione 19 dicembre 1991, n.141, il consiglio comunale approvava
un atto
transattivo, avente per oggetto il pagamento dell'onorario professionale.
L'atto
veniva
annullato dal Comitato regionale di controllo con determinazione 9 marzo
1992,
n.487,
impugnata dal Comune davanti al T.A.R. del Piemonte.
Il T.A.R.
rigettava il ricorso con sentenza 26 ottobre 1993, n.311, che il Comune
ha
appellato,
contestandone la motivazione e la conclusione.
Si è
costituita la Regione ………., che ha resistito all'appello, del quale ha
chiesto il
rigetto.
Alla pubblica
udienza del 7 marzo 2000, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L'appello
del Comune di …………è infondato.
Con l'atto
controverso il Comitato regionale di controllo ha annullato la deliberazione
19
dicembre
1991, n.141, con la quale il consiglio comunale di ……… aveva approvato
un
atto transattivo
relativo al compenso spettante all'arch. …………. per la
progettazione
di lavori per la ristrutturazione delle sedi municipali.
La precedente
deliberazione consiliare 24 ottobre 1989, n.476, nell'approvare la bozza
di
convenzione
relativa all'incarico conferito all'arch. ……., impegnava "l'onere di
£.10.000.000
derivante dal presente provvedimento, al cap.1086 (770) del bilancio
1989...".
Nell'art.9 della convenzione si legge che "il saldo delle competenze professionali
sarà
liquidato a presentazione di regolare parcella... e finanziata congiuntamente
allo
stanziamento
previsto per l'opera".
L'amministrazione
appellante sostiene che la previsione dell'accensione di un mutuo
costituiva
un'idonea copertura finanziaria e, pertanto, la successiva deliberazione
di
approvazione
della transazione avrebbe soltanto modificato il finanziamento
originariamente
stabilito. Pertanto a torto il Co.Re.Co. avrebbe ritenuto che con essa
sia
stato
posto in essere un riconoscimento di debito.
Questa
tesi non può essere condivisa.
Va premesso
che la previsione della copertura finanziaria di provvedimenti che
comportano
spesa in tanto risponde ai principi di buon andamento dell'amministrazione
(art.97
della Costituzione) e di sana finanza pubblica (art.81 della Costituzione;
art.3A
del Trattato
istitutivo della Comunità Europea) in quanto presenti il requisito
della
effettività.
In questo
senso già era orientato il T.U. 3 marzo 1934, n.383, che non si
limitava ad
imporre
l'indicazione, nelle "deliberazioni che importino spese", l'ammontare delle
spese e
dei "mezzi
per farvi fronte" (art.284, comma I) ma richiedeva la "registrazione del
relativo
impegno
di spesa" previo l'accertamento della "disponibilità del fondo sul
relativo articolo"
(art.327,
commi I e II).
Queste
prescrizioni, ancora più pregnanti alla luce dei principi costituzionali
e comunitari
dinanzi
citati, escludono che il previsto finanziamento del saldo delle competenze
professionali
mediante il mutuo da accendersi per la realizzazione dell'opera costituisca
una idonea
copertura finanziaria. In ogni caso, sarebbe stata necessaria, per intrinseca
coerenza
con i principi predetti, una circostanziata valutazione, contestuale all’adozione
del provvedimento
comportante la spesa, idonea a dimostrare in concreto sia
1'attendibilità
della previsione circa la contrazione del mutuo sia la possibilità
dell'amministrazione
di fare fronte alle spese per l'ammortamento. Non risulta che ciò
sia
avvenuto.
Il fatto,
poi, che l'accensione del mutuo non sia stata possibile a causa della
sopravvenuta
ridotta capacità di indebitamento conseguente all'entrata in vigore
del D.L.
12 gennaio
1991, n.6, convertito in legge 15 marzo 1991, n.80 - come indicato nella
nota
10 febbraio
1992, n.2418, con la quale il Comune ……….. ha fornito chiarimenti
all'organo
di controllo- non aggiunge né toglie nulla alla irritualità
dell'operato
dell'amministrazione,
ma conferma semmai l'inadeguatezza di forme di copertura riferite
ad entrate
di futura e incerta acquisizione.
Tanto
sarebbe sufficiente per disattendere la tesi dell'amministrazione appellante
e
condividere
l'indirizzo dell'organo di controllo, che ha ravvisato nella citata deliberazione
consiliare
n.141/1991, un atto diretto a riconoscere un debito derivante da un
provvedimento
adottata in mancanza di una idonea copertura finanziaria.
A ciò
si aggiunge che la deliberazione consiliare 24 ottobre 1989, n.476, avente
per
oggetto
il conferimento dell'incarico professionale, è stata adottata dopo
l'entrata in
vigore
della legge 24 aprile 1989, n.144, il cui art.23 prevede, al comma 3, che
"a tutte
le amministrazioni
provinciali, ai comuni ed alle comunità montane l’effettuazione
di
qualsiasi
spesa è consentita esclusivamente se sussistano la deliberazione
autorizzativa
nelle
forme previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva, nonché
l'impegno
contabile
registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non esista il ragioniere,
sul
competente
capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati";
lo
stesso
art.23 al comma 4 stabilisce che "nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione
di beni
o servizi
in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio
intercorre,
ai fini
della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato
fornitore e
l’amministratore
o il funzionario che abbiano consentita la fornitura."
Da tale
disciplina, che, come emerge da quanto esposto in precedenza, conferma
ed
avvalora
un criterio già rinvenibile nella norme contabili contenute nel
T.U. n.383/1934,
discende
che l'obbligazione avente per oggetto l'acquisizione di beni o servizi
è riferibile
all'amministrazione
soltanto se all'atto dell'assunzione dell'obbligazione la copertura
finanziaria
è certa, attuale e tradotta in un formale impegno di spesa sul relativo
stanziamento.
Ciò
che presuppone l'accertamento della capienza nel "competente capitolo"
e, qualora la
spesa
gravi su più esercizi, il rispetto delle norme per l'assunzione
degli impegni futuri. In
mancanza,
secondo la disciplina citata, l'obbligazione non si perfeziona in capo
all'amministrazione.
Risulta,
quindi, confermato che l'atto transattivo approvato con la deliberazione
consiliare
19 dicembre 1991, n.141, presenta i caratteri propri del riconoscimento
di
debito.
Ed è
corretta anche l'affermazione che si trattava di una obbligazione sorta
anteriormente
all'entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n.142 (12 giugno 1990),
poiché,
a tal fine, non è rilevante la data in cui il professionista ha
presentato gli
elaborati
progettuali (19 ottobre 1990) e la parcella, ma quella in cui la prestazione
professionale
è stata ordinata (deliberazione consiliare 24 ottobre 1989, n.476).
La conseguenza
è che, contrariamente a quanto si sostiene nell’appello, la fattispecie
non rientrava
nella previsione dell'art.12 bis, comma 3, della legge 15 marzo 1991, n.80,
che consente
la regolarizzazione delle situazione debitori "per le opere, le forniture
di beni
e servizi,
le prestazioni ordinate o per le pendenze comunque costituite in epoca
successiva
al 12 giugno 1990" prevedeva l'applicazione delle disposizioni dell'art.23
del
D.L. 2
marzo 1989, n.66. Rientrava, invece, nel disposto dei commi 1 e 2 dello
stesso
art.12
bis, che fissava "in via definitiva" al 15 luglio 1991 "il termine, perentorio
ed a pena
di decadenza,
per l'adozione della deliberazione di riconoscimento di debiti fuori bilancio"
(comma
1) per "le opere, le forniture di beni, di servizi, di prestazioni ordinate
o per
pendenze
comunque costituite in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge
8
giugno
1990, n.142" (comma 2).
Sicché
esattamente l'organo di controllo ha rilevato che con la deliberazione
consiliare 19
dicembre
1991, n.141, con la quale "si intende riconoscere un debito formatosi prima
dell’entrata
in vigore della legge n.142/1990 e non riconosciuto entro il mese di luglio
1991".
Neppure
può convenirsi con l'ulteriore tesi dell'amministrazione appellante,
secondo cui,
anche
se fosse esatto quanto affermato dal Co.Re.Co., la fattispecie andrebbe
ricondotta
nell’ambito dell’art.12 bis, comma 4, della legge n.80/1991, secondo il
cui
disposto
i termini previsti nei comuni precedenti non si applicano per il riconoscimento
di
alcune
specifiche situazioni debitorie. Secondo l'amministrazione, i debiti derivanti
da
transazione,
pur se non esplicitamente contemplati dalla norma, dovrebbero ritenersi
compresi
per "estensione analogica" nella previsione sub lett. a), che concerne
i debiti
derivanti
da "sentenze passate in giudicato".
Va replicato
che il citato comma 4 dell'art.12 bis presenta un'evidente natura derogatoria
ed eccezionale
rispetto alla disciplina generale posta dal comma 1. Vanno, dunque,
escluse
interpretazioni non aderenti alla sua formulazione letterale, tanto più
che le
fattispecie
derogatorie sono individuate in modo analitico e puntuale. A ciò
si aggiunge
che il
ricorso al metodo analogico presuppone che gli elementi essenziali delle
situazioni
poste
a raffronto siano coincidenti e riconducibili alla logica ispiratrice della
disciplina
positiva.
E’ sufficiente ad escludere tale omogeneità la considerazione che
l'autorità del
giudicato
rende certa e intangibile l'obbligazione, al cui adempimento l'amministrazione
è
vincolata.
La transazione scaturisce, invece, dall'esercizio del potere dispositivo
ed, in tal
caso,
l'obbligazione trova fonte diretta ed esclusiva in una autonoma scelta
negoziale
delle
parti. A ciò si aggiunge che, la tesi prospettata nell'appello,
se condivisa,
consentirebbe
facili aggiramenti del termine "perentorio ed a pena di decadenza" posto
"in via
definitiva" dal citato art.12 bis, comma 1, sicché anziché
armonizzarsi cade in
chiaro
contrasto con la sistematica e la finalità della disciplina citata.
Per le
ragioni esposte l'appello va rigettato.
Le spese
e gli onorari del grado di giudizio, liquidati in dispositivo, seguono,
come di
regola,
la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l'appello.
Condanna
il Comune di …….. al pagamento di L.4.000.000 in favore della Regione
……. per
spese del grado di giudizio.
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