Giurisprudenza - Edilizia ed urbanistica |
T. A. R. Lazio, sez. II bis, sent. n. 6750 del 20 luglio 2001, , sulla necessità di un provvedimento esplicito sulla domanda di sanatoria di un abuso edilizio REPUBBLICA ITALIANA
per l'annullamento del silenzio-rifiuto formatosi ex art.31, comma 7, della legge n.1150 del 1942 sulla istanza(20.12.2000) di concessione edilizia in sanatoria presentata ex art.13 L. n.47/1985; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti tutti della causa; Alla Camera di Consiglio del 26 aprile 2001 data per letta la relazione del magistrato Evasio Speranza e uditi gli avvocati delle parti come da relativo verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: Avendo il ricorrente presentato domanda di concessione edilizia in sanatoria per il manufatto suindicato, il comportamento inerte dell’A.ne sulla medesima domanda integrerebbe il silenzio rifiuto di cui all’art.31, comma 7, della L.U. n.1150/1942. Secondo il ricorrente, attesi il vincolo di pertinenzialità dell’opera rispetto all’immobile adibito ad esercizio commerciale, il bassissimo impatto edilizio, la facile rimovibilità del gazebo in ferro e l’utilizzo stagionale del telo di copertura, la domanda in parola era pienamente accoglibile. Il ricorrente ha concluso chiedendo che il Tribunale ordini al Comune di Roma di provvedere sull’istanza ex art.13 lgge n.47/1985 entro 30 giorni, con nomina di un Commissario ad acta che provveda in luogo della A.ne eventualmente inadempiente, con condanna della medesima al risarcimento del danno causato al ricorrente con il suo comportamento omissivo nella misura di lire cinquemilioni o nella diversa misura ritenuta di giustizia. Il Comune di Roma ha depositato all’udienza 26.4.01 una nota(23.4.2001, prot. n.28331) con la quale il Dipartimento IX – II U.O. Servizio Amministrativo – Ufficio Contenzioso - comunica alla Avvocatura comunale che la domanda del ricorrente di concessione in sanatoria è in corso di istruttoria. II. Il ricorso, come accennato, è diretto contro il silenzio rifiuto serbato dal Comune convenuto sulla istanza della ricorrente ex art.13 della legge n.47 del 1985. Il ricorso appare fondato nei termini di cui appresso. L’art.13 della legge da ultimo citata consente al responsabile dell’abuso edilizio di chiedere la concessione e/o la autorizzazione in sanatoria qualora l’opera realizzata sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della domanda. Alla facoltà di sanatoria postuma riconosciuta al privato corrisponde l’obbligo del Comune di adottare un provvedimento esplicito. Infatti, il cennato art.13 prescrive che “sulle richieste di concessione o autorizzazione in sanatoria il Sindaco si pronunzia entro sessanta giorni” ed aggiunge che trascorso detto termine “ la richiesta si intende respinta”. La qualificazione legale tipica del comportamento omissivo del Sindaco costituisce il presupposto per l’immediata tutela davanti al giudice amministrativo, onde ottenere la declaratoria dell’obbligo di pronunciarsi espressamente in ordine alla conformità o meno alla vigente regolamentazione urbanistico-edilizia delle opere realizzate in difetto o in difformità rispetto al prescritto titolo abilitativo. La prevalente giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale, ha posto in rilievo che il contenzioso instaurato non investe la legittimità del mancato rilascio della autorizzazione o concessione in sanatoria – posto che al riguardo difetta una esplicita determinazione del Sindaco assistita da idonea motivazione, in ordine alla quale possa utilmente instaurarsi il sindacato del giudice adito – ma l’accertamento dei presupposti cui l’art.13 della legge n.47/1985 riconduce l’obbligo di esprimersi sull’interesse del cittadino alla riconduzione nell’ambito della legalità delle opere abusive(cfr. T.A.R. Lazio, Sezione II, 15.2.92,n.1798 e 6.3.91,n.456). La sussistenza di una posizione differenziata di interesse legittimo alla conclusione, con una determinazione esplicita, del procedimento di sanatoria degli abusi edilizi disciplinato dall’art.13 della legge n.47/1985 è avvalorata dalla sopravvenuta disciplina dettata dall’art.2 della legge n.241 del 1990. E’ noto che tale disposizione stabilisce che nel caso sia di procedimento iniziato d’ufficio, che in quello su istanza di parte, la “ pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo con un provvedimento espresso”. Ciò comporta, sul piano processuale, la possibilità del privato di tutelare l’interesse all’adozione dell’atto conclusivo del procedimento, al fine di ottenere una pronunzia che accerti la violazione di tale dovere ed ponga all’A.ne l’obbligo specifico di pronunciarsi. Nel caso in esame, la ricorrente ha documentato la presentazione, in data 20 dicembre 2000, della domanda di concessione in sanatoria sulla quale il Comune resistente non ha provveduto esplicitamente, come confermato dalla suindicata nota comunale 23.4.2001(la quale, tra l’altro, mentre nello “oggetto” fa corretto riferimento alla domanda del ricorrente del 20.12.2000, nel testo fa poi riferimento ad una istanza del ricorrente presentata “in data 22.03.2001”, prot.n.19676, peraltro non documentata dal Comune) e sulla quale si è formato, per espressa tipizzazione legale del comportamento omissivo dell’Amministrazione, un silenzio rifiuto immediatamente impugnabile. Quanto alla domanda di risarcimento del danno formulata dal ricorrente, essa deve essere respinta in quanto non accompagnata dalla dimostrazione dell’effettivo danno patrimoniale subito e del nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati in sede giudiziale(cfr.C.d.S, VI, 14.1.2000,n.244), tanto più che nella specie la domanda di concessione è a sanatoria di un’opera già realizzata in precedenza senza titolo dal ricorrente, né l’illegittimità del silenzio rifiuto qui impugnato, che comporta soltanto l’obbligo per l’A.ne di pronunciarsi sulla istanza di concessione in sanatoria e di concludere il procedimento con un provvedimento espresso(qualunque sia il contenuto del medesimo), è assimilabile all’annullamento di un provvedimento di diniego di concessione edilizia in cui il giudice ha la possibilità di esaminare e valutare le ragioni poste dall’A.ne a giustificazione del diniego riconosciuto illegittimo. In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al silenzio serbato dall’A.ne sulla domanda del ricorrente 20.12.2000 che va in conseguenza annullato e, per l’effetto, va dichiarato l’obbligo del Comune resistente di concludere con un provvedimento espresso il procedimento iniziato con la predetta istanza 20 dicembre 2000, mentre il ricorso stesso va respinto per il resto. Ai sensi dell’art.21bis della legge n.1034 del 1971, introdotto dalla legge 21 luglio 2000,n.205, il quale stabilisce che “In caso di accoglimento totale o parziale del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina all’amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni” ed altresì che “ Qualora l’amministrazione resti inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa”, la Sezione assegna al Comune convenuto il termine di giorni trenta per l’adozione del provvedimento espresso sulla istanza di sanatoria del ricorrente, come precisato in dispositivo. Le spese di giudizio, tenuto conto dell’esito complessivo del ricorso, sono liquidate nella misura di cui in dispositivo. Assegna al Comune di Roma, per l’adozione del provvedimento espresso sulla suindicata istanza di sanatoria del ricorrente, il termine di giorni trenta decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione(se anteriore), con avvertimento che, qualora l’amministrazione medesima resti inadempiente oltre il termine anzidetto, questo Tribunale disporrà la nomina, su richiesta di parte, di un commissario che provvederà in luogo e vece della stessa amministrazione. Condanna il Comune di Roma al pagamento delle spese di giudizio che sono liquidate, in favore del ricorrente, nella complessiva somma di lire un milione, ivi compresi onorari e competenze. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 26 aprile 2001. Evasio SPERANZA PRESIDENTE(f.f.), est. |
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