Giurisprudenza - Edilizia ed urbanistica

Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, sent.  25 marzo 2002, n. 141, sulla competenza in materia di rilascio delle concessioni edilizie

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia nelle persone dei magistrati:
Vincenzo Sammarco – Presidente
Enzo Di Sciascio – Consigliere, relatore
Oria Settesoldi - Consigliere
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A

sui ricorsi n. 594/00 e n. 220/01 proposti rispettivamente dalla Superbeton s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dalla stessa Superbeton s.p.a., nonché dalla Calcestruzzi Nord Est, in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Franco Zambelli e Viviana de Grisogono, con domicilio eletto presso la seconda in Trieste, via S. Lazzaro 2, come da mandati a margine dei ricorsi;
c o n t r o
il Comune di Roveredo in Piano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Federico Rosati, con domicilio eletto presso di lui in Trieste, via Donota 3, come da deliberazioni giuntali n. 135 del 27.7.2000 e n. 20 del 14.2.2002 e da mandato a margine dell’atto di costituzione;
per l'annullamento
con il ricorso n. 594/00 dell’atto sindacale prot. n. 13706 del 1°.8.2000 con cui si dà comunicazione del parere negativo della Commissione edilizia sull’istanza del 27.6.2000 della ricorrente, volta ad ottenere un’autorizzazione edilizia in precario, nelle more di approvazione del P.R.P.C., per l’installazione di un impianto mobile per betonaggio, nonché del medesimo parere, espresso dalla Commissione edilizia con verbale del 26.7.2000 voto n. 928;
con il ricorso n. 220/01 dei seguenti provvedimenti:
1. dell’ordinanza sindacale n. 4 del 6.2.2001 di sospensione dei lavori abusivamente iniziati;
2. della presupposta relazione di sopralluogo dell’Ufficio tecnico comunale del 2.2.2001;
3. dell’ordinanza sindacale n. 7 del 14.2.2001 di ingiunzione a demolire opere edilizie abusive;
4. dell’atto sindacale prot. n. 03375 del 23.2.2001 con cui si dà comunicazione del parere negativo della Commissione edilizia sull’istanza del 6.2.2001 della ricorrente, volta ad ottenere un’autorizzazione edilizia in precario, nelle more di approvazione del P.R.P.C., per l’installazione di un impianto mobile per betonaggio, nonché del medesimo parere, espresso dalla Commissione edilizia con verbale del 21.2.2001 voto n. 1016;
per il risarcimento
nel ricorso n. 220/01 dei danni derivanti dagli illegittimi atti, oggetto di gravame;
Visti i ricorsi, ritualmente notificati e depositati presso la Segreteria generale con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 22 febbraio 2002 la relazione del consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresì i procuratori delle parti costituite;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O
La ricorrente Superbeton. s.p.a., già in possesso di autorizzazione comunale all’esercizio di una discarica, rappresenta che le è stata assentita dalla Regione la gestione di una cava di ghiaia, situata a fianco della stessa, oggetto anche di successivi provvedimenti di ampliamento e recupero ambientale, con termine fissato nel 2006.
  Per l’utilizzo del materiale scavato, da lavorare prevalentemente in territorio regionale, la stessa ricorrente ha più volte richiesto al Comune intimato un’autorizzazione edilizia in precario per l’installazione di un impianto di tipo mobile, in grado di miscelare gli inerti con il legante ed immettere la miscela nelle autobetoniere, che procedono al confezionamento dell’impasto.
La domanda del 27.6.2000 è stata rigettata con l’atto sindacale in epigrafe ed il presupposto parere della Commissione edilizia, di cui si chiede l’annullamento con il ricorso n. 594/00, deducendo:
1. violazione dell’art. 81 della L.R. 19.11.1991 n. 52 e s.m.i. ed eccesso di potere per difetto di presupposto e di motivazione ed illogicità nell’assunto che il diniego impugnato si fonderebbe, richiamando altro precedente diniego, sul contrasto con strumenti urbanistici, che non sarebbe un ostacolo ma un presupposto per il rilascio dell’autorizzazione edilizia in precario, onde porlo a base della negativa determinazione sarebbe illogico ed immotivato;
2. violazione dell’art. 81 della L.R. 19.11.1991 n. 52 e s.m.i. ed eccesso di potere per difetto di presupposto, di motivazione e di istruttoria ed illogicità sotto il profilo che sarebbe illegittimo negare la sussistenza del carattere della precarietà in base alla durata dell’attività estrattiva, che dipende dalla Regione e non dal Comune, senza specificare in quale senso andrebbe inteso il carattere precario nella fattispecie ed in relazione al fatto che l’autorizzazione richiesta può durare al massimo tre anni, nonché senza esperire alcuna indagine circa la durata effettiva dell’attività estrattiva;
3. violazione dell’art. 81, 3° comma, della L.R. n. 52/91 ed eccesso di potere per difetto di presupposto e di motivazione in quanto la natura e la collocazione del progettato intervento, con impianti non infissi al suolo e situati in area già degradata, avrebbero escluso una qualsiasi alterazione ambientale e indotto all’accoglimento, a meno di puntuale motivazione in contrario, della domanda;
4. incompetenza dovendosi ritenere che il rilascio del provvedimento abilitativo richiesto spetti al dirigente competente e non al Sindaco e che, in ogni caso, trattandosi di una scelta discrezionale, non avrebbe dovuto essere sentita la Commissione edilizia;
5. eccesso di potere per errore nei presupposti in quanto la struttura installanda, per sua natura, non avrebbe bisogno di alcun titolo autorizzativo, né sarebbe necessario pertanto uniformarsi al parere della C.E.C.;
Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, controdeducendo.
Espongono le ricorrenti Superbeton s.p.a., proprietaria e Calcestruzzi Nord Est, locataria delle aree di che trattasi, nel ricorso n. 220/01, di aver provveduto senza meno alla loro sistemazione e all’installazione dei macchinari, chiedendo quindi nuovamente l’autorizzazione in precario in data 6.2.2001 e vedendosi, nella stessa data, sospendere i lavori con ordinanza sindacale ed ingiungere quindi, in data 14.2.2001, la demolizione delle opere realizzate e quindi, in data 21.2.2001, rigettare la domanda.
Chiedono pertanto l’annullamento degli atti impugnati, deducendo:
1. incompetenza in quanto l’adozione sia dell’ordine di sospensione dei lavori che dell’ingiunzione a demolire e del diniego di autorizzazione edilizia in precario rientrerebbero nelle competenze dei dirigenti e non del Sindaco, a’sensi dell’art. 107 del D. Lgs. 18.8.2000 n. 267;
2. violazione dell’art. 13 della L.R. 20.3.2000 n. 7 in quanto illegittimamente sarebbe mancata la comunicazione ai destinatari dell’ordine di sospensione dei lavori e dell’ingiunzione a demolire della comunicazione dell’avvio del procedimento;
3. violazione dell’art. 98 della L.R. n. 52/91 e s.m.i. ed eccesso di potere per difetto di presupposti nell’assunto che, essendo stato l’intervento edilizio completamente eseguito, mancherebbe il presupposto per la sospensione dei lavori, da escludere altresì perché esso, in quanto soggetto ad autorizzazione o a denunzia di inizio dell’attività, sarebbe, al più, sanzionabile solo in via pecuniaria;
4. violazione dell’art. 108 della L.R. n. 52/91 e s.m.i. ed eccesso di potere per vizio del procedimento nell’assunto che la presentazione della domanda di autorizzazione edilizia in precario, di cui si dà atto espressamente, avrebbe dovuto arrestare la procedura demolitoria, almeno fino a quando non si fosse provveduto su di essa;
5. violazione degli artt. 101, 108 e 41 bis della L.R. n. 52/91 e s.m.i. ed eccesso di potere per illogicità in quanto l’ingiunzione a demolire sarebbe stata assunta nel presupposto che le opere abusive non sarebbero previste nel piano di coltivazione della cava e conseguente ripristino ambientale, di cui alle relative autorizzazioni regionali, il che contrasterebbe con le disposizioni in rubrica, in base alle quali dovrebbero sanzionarsi gli interventi in contrasto con il P.R.G.C. e non con le norme regolatrici dell’attività estrattiva, dato che i provvedimenti che su esse si fondano non possono essere regolati dagli strumenti urbanistici che inoltre, nel caso di specie, consentirebbero espressamente le strutture di lavorazione del materiale inerte (art. 22 NN. TT. AA.);
6. violazione dell’art. 101, 5° comma, della L.R. n. 52/91 e s.m.i. in quanto l’ingiunzione a demolire, pur prevedendone l’acquisizione coattiva in caso di inottemperanza, non conterrebbe la precisa individuazione dell’area di sedime dei manufatti abusivi e di quella di pertinenza urbanistica;
7. violazione dell’art. 78, 2° comma, della L.R. n. 52/91 e s.m.i. considerato che l’intervento richiesto avrebbe potuto essere assentito, al più, con un’autorizzazione, onde non sarebbe stato consentito l’intervento della Commissione edilizia;
8. eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità poiché non sarebbe dato comprendere entro quali limiti il diniego di autorizzazione edilizia in precario impugnato richiami i motivi addotti con il precedente diniego, oggetto del ricorso n. 594/00 tenendo conto che se il richiamo è al contrasto con lo strumento urbanistico, esso non avrebbe costituito, di per sé, un ostacolo a che il provvedimento richiesto fosse assentito, e considerato altresì che sussisterebbero i restanti presupposti per il rilascio, in quanto l’attività estrattiva, cui detti interventi costituivano, nella specie, indispensabile complemento, per il suo carattere temporalmente limitato, sarebbe da ritenersi in sé precaria, onde non sarebbe spiegata la contraria conclusione sul punto, contenuta nell’atto impugnato, tenuto altresì conto della durata al massimo triennale del provvedimento richiesto e la natura e la collocazione del progettato intervento, con impianti non infissi al suolo e situati in area già degradata, avrebbero escluso una qualsiasi alterazione ambientale e indotto all’accoglimento, a meno di puntuale motivazione in contrario, della domanda.
 Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, controdeducendo.
 D I R I T T O
 I ricorsi, in quanto connessi, vanno riuniti e contestualmente decisi.
 Ritiene il Collegio di esaminare prioritariamente le censure di incompetenza, proposte in entrambi i gravami.
 Esse sono infondate.
 Dev’essere, infatti, innanzitutto rilevato che le disposizioni del Testo unico sull’ordinamento degli enti locali invocate dalla ricorrente non sono applicabili alla Regione Friuli Venezia Giulia.
 Invero, a norma dell’art. 1, 2° comma, del medesimo T.U. 18.8.2000 n. 267 “le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle regioni a statuto speciale … se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”.
 In proposito va osservato che in base alla L.R. 19.11.1991 n. 52 e s.m.i., sono attribuiti alla competenza del Sindaco il rilascio della concessione e dell’autorizzazione edilizia (artt. 79, 1° comma e 82, 1° comma) e quindi anche dell’autorizzazione in precario, che ha per oggetto interventi soggetti a concessione o autorizzazione (art. 81, 1° comma) nonché la sospensione dei lavori (art. 98, 5° comma) e l’ingiunzione a demolire (art. 101, 2° comma).
 Queste disposizioni sono espressione della potestà legislativa in materia urbanistica ma, nella parte in cui individuano gli organi competenti, anche di quella in materia di ordinamento degli enti locali, che lo Statuto regionale (art. 4, rispettivamente al n. 12 e al n. 1 bis) riserva all’esclusiva competenza regionale, potestà che sono state in fatto esercitate con la citata normativa, onde sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1, 2° comma, del T.U. n. 267/00 e le sue disposizioni cedono a quelle della Regione.
 Se anche, in inconcessa ipotesi, si volesse propendere per l’applicabilità della disciplina statale il risultato non sarebbe diverso, sia in base alle norme vigenti, sia per considerazioni di fatto.
 In diritto osserva il Collegio, ribadendo quanto già stabilito da questo Tribunale amministrativo (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia 27.10.2001 n. 649) pronunzia da cui non vede ragione di discostarsi, che il principio della separazione fra funzione di indirizzo e controllo politico e funzione di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, cui consegue la separazione fra la competenza degli organi politico e dei dirigenti, non è formulato, nell’ordinamento degli enti locali, in termini drastici e assoluti, per la necessità di ammettere, nell’ordinamento degli uffici, l’intermediazione dello statuto, principale strumento di autonomia, costituzionalmente protetta, dell’ente.
 Invero, a’sensi dell’art. 1, 3° comma, primo periodo, del T.U. n. 267/00 “la legislazione in materia di ordinamento degli enti locali e di disciplina dell’esercizio delle funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per la loro autonomia normativa” onde detto limite non può ricavarsi aliunde, in base a principi generali derivati da altre leggi, e ciò, come ricorda anche il successivo 4° comma, in base all’art. 128 Cost., secondo cui “le Province ed i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni”.
 Il secondo periodo dell’art. 1, 3° comma, citato disciplina il caso in cui dette leggi, di carattere generale e specificamente dirette alla disciplina delle funzioni degli enti locali, sopravvengano e contengano nuove disposizioni di principio, incidenti sull’autonomia degli enti, stabilendo che “l’entrata in vigore di nuove leggi che enunciano tali principi abroga le norme statutarie con esse incompatibili. Gli enti locali adeguano gli statuti entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore delle leggi suddette”.
 Per quanto concerne il principio, che qui ne occupa, della separazione fra indirizzo politico e gestione amministrativa, ciò significa, tenendo presente che l’art. 1, 3° comma, del T.U. n. 267/00 è stato originariamente introdotto dall’art. 1, 2° comma, della L. 3.8.1999 n. 265, che possono incidere sull’autonomia statutaria comunale, con effetto abrogativo, solo principi ricavabili da leggi, del tipo sopra ricordato, successive alla menzionata L. n. 265/99, e cioè nuove rispetto ad essa.
 Significa inoltre che la formulazione del principio in parola, così come contenuta in norme anteriori a detta data, indubbiamente applicabili agli enti locali (anche se, per la verità, non volte a disciplinare le loro funzioni quanto piuttosto il pubblico impiego in generale) ma che non si proponga espressamente l’enunciazione dei limiti, che ne derivano all’autonomia dell’ente locale, compito riservato alle menzionate leggi generali, quali l’art. 2 della legge delega 23.10.1992 n. 421, e l’art. 3 del D. Lgs. 3.2.1993 n. 29, non sono di per sé idonee a stabilire i confini fra le competenze dell’organo politico e della dirigenza nei predetti enti.
 Una simile conclusione, del resto, si ricava anche da un esame interno delle predette disposizioni e del loro rapporto con la normativa del testo unico.
 La prima delle norme citate, pur affermando, infatti, l’obbligo di separazione fra i compiti di direzione politica e quelli gestionali dei dirigenti e annoverandolo fra i principi fondamentali delle leggi dello Stato e le norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica non ne definisce esattamente la portata, in quanto gli “autonomi poteri” da conferire ai dirigenti devono essere stabiliti “nell’ambito delle scelte di programma degli obiettivi e delle direttive fissate dal titolare dell’organo” e cioè da scelte dei titolari dell’indirizzo politico (art. 2, 1° comma, lett. g).
 La seconda invece è molto più precisa nel contenuto, conferendo ai dirigenti la competenza all’adozione di “tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno” ma avvertendo – richiamo superfluo, perché è noto che le leggi ordinarie, anche se contengono principi fondamentali, possono essere abrogate da altre leggi ordinarie – che la legge può, purché con norma espressa e specifica, modificare le attribuzioni dei dirigenti.
 Questo sembra il risultato che intende proporsi il T.U. n. 267/00, impegnato nel difficile compito di equilibrare il rispetto di altri principi fondamentali dell’ordinamento con quello dell’autonomia, costituzionalmente garantita, degli enti locali, che trova espressione massima nello statuto.
 Allo scopo è sufficiente citare l’art. 6, che recita:
1. “I comuni e le province adottano il proprio statuto.
2. Lo statuto, nell’ambito dei principi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente….”
In altre parole i limiti fissati all’autonomia statutaria devono risultare, anche quando si tratta di principi, espressamente dal testo unico.
Il D. Lgs. n. 267/00 pertanto si pone come norma derogatoria dell’art. 3 del D. Lgs. n. 29/93 (come poi trasfuso nell’art. 4 del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165) e ciò indipendentemente da ogni esame di merito, perché disciplina autonomamente il rapporto fra potere di indirizzo e controllo all’art. 107 (ed altresì disciplina, all’art. 1, 2° comma, in modo del tutto diverso dalla L. n. 421/00, come si è visto, il rapporto fra le sue disposizioni e le attribuzioni delle Regioni a statuto speciale).
Il 2° comma di detta disposizione essenzialmente riproduce l’art. 3, 2° comma, del D. Lgs. n. 29/93, con una sostanziale differenza.
Esso invero stabilisce che “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi, che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico – amministrativo degli organi di governo dell’ente” e quindi elenca una serie di atti specifici di competenza dei dirigenti “secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente”.
Osserva il Collegio che tali ultimi atti, esemplificativamente elencati, in tanto potranno essere adottati dai dirigenti in quanto non ricompresi fra le funzioni degli organi di governo dell’ente dallo statuto, e l’attribuzione espressa a detti organi significa che i provvedimenti in questione sono considerati annoverabili fra le funzioni di indirizzo, in base alla valutazione astratta di un atto normativo.
L’attribuzione di competenze ai dirigenti non è perciò immediata e automatica, ma impone necessariamente la mediazione delle disposizioni statutarie.
Spetta invero allo statuto specificare le attribuzioni degli organi (art. 6, 2° comma, D. Lgs. n. 267/00).
La centralità dello statuto è dimostrata, a contrario, dal fatto che l’eventuale sua difformità, nel disciplinare l’ordinamento del personale, ivi compreso quello dirigenziale, dal D. Lgs. n. 29/93, applicabile, nella suddetta materia, anche agli enti locali (art. 88) è sanzionata, per quanto riguarda la disciplina della dirigenza, non con l’abrogazione delle disposizioni statutarie contrastanti, ma con un semplice obbligo di adeguamento (art. 111).
La questione della competenza all’adozione dei provvedimenti impugnati va perciò risolta, fermo restando il carattere tranchant dell’esistenza di una normativa regionale, espressione di potestà esclusiva, in base allo statuto del comune di Roveredo in Piano, che attribuisce al Sindaco sia il rilascio delle concessioni e autorizzazioni edilizie (art. 45, 1° comma, lett. h) sia le ordinanze in applicazione di norme legislative, quali sono quelle di sospensione dei lavori e di ingiunzione a demolire (art. 7, 1° comma).
A queste considerazioni in diritto va aggiunto, come si è anticipato, un necessario esame della situazione di fatto.
Il Comune di Roveredo in Piano ha 4624 abitanti e pertanto ha un apparato amministrativo proporzionato alle sue dimensioni, in cui non esiste personale di qualifica dirigenziale, ma solo responsabili dei vari servizi.
Vi è il Segretario comunale, cui peraltro né la legge (art. 97 T.U. n. 267/00) né lo statuto (artt. 52, 53, 54, 55, 56) attribuiscono funzioni quali quelle qui in contestazione.
Nemmeno esse sono attribuite dalla legge (art. 108 del T.U. n. 267/00) al Direttore generale di Comuni eventualmente convenzionati.
E’ previsto, peraltro in via meramente eventuale, dallo statuto (art. 57) un Vicesegretario, il cui compito si esaurisce nella sostituzione, quando necessario, del Segretario.
La censura di incompetenza è, pertanto, prima che infondata in diritto, priva di presupposto in fatto e l’attenzione alle norme statutarie, prima ancora che una dovuta considerazione dell’autonomia dell’ente locale, è la premessa di una necessaria valutazione della multiforme realtà di detti enti, cui non si possono, oltre un certo limite, indifferenziatamente imporre schemi uniformi.
Venendo ora all’esame delle altre censure del ricorso n. 594/00 esse sono del pari infondate.
Invero il primo e il secondo motivo, unitariamente considerati, se ben colgono che il mero richiamo all’abusività dell’intervento non può fondare il diniego di un’autorizzazione in precario, la quale l’assume invece a presupposto, non convincono là dove censurano la parte della motivazione del diniego stesso, di per sé idonea a sorreggerlo, che contesta il carattere transitorio delle esigenze, che si intendono soddisfare con l’eccezionale provvedimento richiesto.
Sembra al Collegio che non possa essere seriamente contestato che l’intervento, contrario alle disposizioni urbanistiche vigenti in zona, in quanto proposto come strettamente collegato alle necessità dell’attività di cava, gestita in loco dalla ricorrente e dalla sua avente causa, non possa assumere quel carattere precario, previsto dall’art. 81 della L.R. n. 52/91, che ne possa limitare “nel massimo di un anno” l’operatività dell’eccezionale autorizzazione richiesta, essendo chiaramente destinato a funzioni, destinate a esplicarsi in un ambito pluriennale.
Né vale obiettare che l’autorizzazione in precario può estendere la sua validità fino a un triennio: è chiaro, dal dettato della norma, che essa non può durare più di un anno, cessato il quale bisogna produrre una nuova domanda, diretta a richiederne la proroga per un ulteriore anno, in base a “comprovati motivi”, che vanno autonomamente valutati dal Comune.
Se l’efficacia temporale viene prorogata, ciò non può avvenire che per un ulteriore anno, al termine del quale va richiesta, se del caso, deducendo autonomi motivi, un’ulteriore proroga, con domanda valutabile di per sé dal Comune.
Se anche questa viene assentita allo spirare del termine l’autorizzazione perde ogni validità.
Essendo questo il procedimento, è chiaro che, se il Comune ravvisasse fin dall’inizio il sussistere di esigenze soddisfabili in un ambito triennale, non potrebbe rilasciare l’autorizzazione edilizia in precario, chiestagli per un anno, senza commettere un illecito, in quanto da un lato violerebbe l’obbligo di assentirla solo quanto essa sopperisca a necessità temporanee, esauribili in un intervallo annuale e, dall’altro, vincolerebbe fin dall’inizio l’esito della valutazione sulle domande di proroga, che deve rimanere discrezionale.
Condivide pertanto il Collegio l’operato dell’amministrazione che ha riscontrato, fondandosi sul parere della Commissione edilizia, l’assenza del carattere precario del manufatto autorizzando, in quanto inscindibilmente collegato ad un’attività estrattiva destinata a svolgersi per un arco di tempo ultrannuale, in base alla stessa relazione accompagnatoria della relativa domanda, il che la dispensava da ulteriore istruttoria.
Non assumono quindi autonomo rilievo le circostanze segnalate con il terzo motivo di gravame, del tutto irrilevanti una volta constatata la stabilità delle esigenze cui la costruzione doveva sopperire.
Concorda infine il Collegio sulle ragioni di infondatezza del quinto motivo di gravame, dato che il progetto configura un intervento che, di per sé, richiederebbe la concessione edilizia, onde legittimamente è stata udita la C.E.C.
Del pari infondato è il ricorso n. 220/01, per quanto concerne i motivi diversi da quello di incompetenza, già esaminato.
Invero in diritto non è condivisibile la censura, di cui al secondo motivo di gravame, di omessa comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dell’ordine di sospensione dei lavori e dell’ingiunzione a demolire, in quanto il primo ha carattere cautelare e fa le veci della comunicazione di avvio del procedimento demolitorio, ed il secondo svolge la stessa funzione nei confronti dell’atto di accertamento dell’inottemperanza o, comunque, dell’acquisizione coattiva dell’opera abusiva da parte del Comune, onde entrambi consentono, oltre all’impugnazione, il contraddittorio procedimentale in termini prefissati.
Il terzo motivo, che, sulla base dell’avvenuto completamento del manufatto abusivo, contesta il presupposto dell’ordine di sospensione dei lavori, è infondato in fatto, in quanto il verbale del 2.2.2001, che ne sta alla base, ha constatato l’esistenza di opere tuttora in corso.
Non può venire condiviso il quarto motivo, in quanto l’ulteriore domanda di autorizzazione edilizia in precario, presentata dalle ricorrenti, non ha il carattere di richiesta di sanatoria, del resto non prevista dall’ordinamento in presenza di un’opera che è sempre stata difforme dal P.R.G.C.
Sembra al Collegio un fuor d’opera il quinto motivo, perché l’ingiunzione impugnata si regge con il richiamo alla precedente ordinanza di sospensione dei lavori, che ha constatato l’esistenza di “opere non assentite”, il che costituisce presupposto sufficiente, a’sensi dell’art. 101, 2° comma, della L.R. n. 52/91 perché ne debba essere ingiunta la demolizione.
Le eventuali e indimostrate improprietà di qualche altro passo dell’atto non incidono sul fatto che, in base alla norma precitata “il Sindaco, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione … ne ingiunge l’esecuzione”.
Nella specie la conformazione e dimensione delle opere abusive richiedeva la concessione edilizia, onde l’atto impugnato si appalesa doveroso.
Non vede il Collegio come possa sostenersi che un manufatto, per la cui realizzazione è stata chiesta, sia prima che successivamente all’esecuzione, autorizzazione edilizia in precario, che ne presuppone la contrarietà allo strumento urbanistico, sussistente in particolare perché ogni intervento nell’area è subordinato a piano attuativo, possa essere ritenuta dai ricorrenti come conforme allo strumento stesso.
Va disatteso anche il sesto motivo di gravame, in quanto la giurisprudenza di questo Tribunale amministrativo ha chiarito, fin da tempi risalenti (cfr. T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 30.10.1992 n. 406; 10.10.1993 n. 529) che, almeno in questa Regione, l’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione ha carattere costitutivo dell’acquisizione al patrimonio del Comune dell’opera abusiva, dal momento che l’art. 108 della L.R. n. 52/91 consente al proprietario di presentare, fino alla sua adozione, domanda di concessione in sanatoria, il che non sarebbe compatibile con un già avvenuto trasferimento al Comune della proprietà.
E’ pertanto legittimo che la precisa individuazione dell’area da acquisire assieme all’opera stessa sia demandata a detto successivo provvedimento e non sia contenuta nell’atto di ingiunzione a demolire.
E’ da rigettare il sesto motivo, in quanto si è già più sopra chiarito che il manufatto abusivamente realizzato, per la sua natura e consistenza, non poteva essere assentito con una semplice autorizzazione.
Del pari privo di giuridico pregio è il successivo ottavo motivo, in quanto il provvedimento di rigetto della domanda di autorizzazione in precario, con il suo richiamo alle motivazioni di quello, oggetto del ricorso n. 594/00, ha inteso respingere l’istanza dei ricorrenti anche per il carattere affatto precario dell’opera da assentire, elemento di per sé sufficiente a sorreggerlo e per il quale valgono le considerazioni più sopra esposte in sede di esame del predetto gravame.
In conclusione entrambi i ricorsi, siccome infondati, debbono essere rigettati.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sui ricorsi in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, li riunisce e li rigetta.
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese e competenze giudiziali, che liquida in complessivi euro 5164 (cinquemilacentosessantaquattro) a favore dell’amministrazione intimata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 22 febbraio 2002.
Vincenzo Sammarco - Presidente
Enzo Di Sciascio – Estensore
Depositata nella segreteria del Tribunale  
il 25 marzo 2002
 
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