Giurisprudenza - Edilizia ed urbanistica |
Tar Lazio, sez. seconda ter, sent. 4246 del 18 maggio 2001, sul potere dell’ufficio tecnico comunale di accertare gli abusi edilizi costituenti reato REPUBBLICA ITALIANA
Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Anguillara Sabazia. Vista la memoria prodotta dallo stesso Comune a sostegno della propria difesa; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 26 ottobre 2000 il relatore Consigliere Paolo Restaino e uditi, altresì, l’avv. Carlucci, per delega dell’avv. Grande per la ricorrente e l’avv. Bigagli per l’amministrazione resistente. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: Deduce la ricorrente come motivi di gravame la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 7 L. 28.2.85 n. 47 (e disposizioni successive) nonché eccesso di potere per carente, erronea ed incompleta valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Il preteso abuso è stato accertato a seguito di sopralluogo effettuato dall’Ufficio Tecnico del Comune di Anguillara Sabazia in violazione dell’art. 4 comma IV L. 47/85 che demanda agli Ufficiali ed Agenti di P.G. l’accertamento delle violazioni in materia urbanistico edilizia. Viene altresì denunciata la violazione del successivo art. 7 della stessa legge che riconduce le opere sanzionabili perché eseguite in assenza di concessione a quelle che costituiscono un organismo edilizio (o parte di esso) rilevante in sé ed autonomamente utilizzabile, mentre nel caso di specie la presenza di una canna fumaria di ridotte dimensioni non può avere destinazione autonoma, né comporta alcun aumento di cubatura rispetto all’immobile su cui insiste. Viene pertanto dedotta anche la omessa valutazione di presupposti di fatto. Rileva infine la istante che ella si è avvalsa della normativa introdotta in materia di condono, effettuando in data 29.12.94, il pagamento di lire 2.000.000 dell’oblazione e presentando il 21.1.95 la relativa domanda con conseguente non attuabilità, nelle more, di interventi da parte del Comune. Il contraddittorio è stato istituito nei confronti del Comune di Anguillara Sabazia che, costituitosi in giudizio, sostiene nella propria memoria di difesa la infondatezza delle censure svolte nel ricorso, mentre, con documentazione successivamente dallo stesso depositata, viene allegato il provvedimento comunale con cui è stata dichiarata priva di effetti la domanda di sanatoria presentata dalla attuale ricorrente per l’abuso di cui trattasi. Alla udienza del 26 ottobre 2000 la causa è passata in decisione. La disposizione richiamata dalla ricorrente (il quarto comma dell’art. 4 della legge n. 47/1985) intende soltanto statuire l’obbligo di “ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria” di dare immediata comunicazione, nei casi di presunte violazioni urbanistico-edilizie, all’Autorità giudiziaria, al Presidente della Giunta Regionale ed al Sindaco, ma non preclude allo stesso organo (e quindi al Comune), cui il primo comma dello stesso art. 4 attribuisce l’esercizio della vigilanza sulla attività urbanistico-edilizio ed al quale spetta in ogni caso, anche ai sensi dello stesso quarto comma della legge in questione, la verifica della regolarità delle opere (di presunta irregolarità edilizia) e la adozione dei provvedimenti conseguenti una volta che abbia avuto cognizione di tali abusi (anche ad opera, per ipotesi, di esposti o denunce di proprietari di immobili limitrofi), di procedere ad accertamenti “in loco” servendosi dei propri uffici tecnici e di emanare i conseguenti provvedimenti idonei a reprimere l’abuso edilizio accertato, sulla base degli esiti di tali accertamenti. Risultano infondati, ad avviso del Collegio, anche i successivi rilievi con i quali la ricorrente intende denunciare la errata valutazione dei presupposti di fatto e la errata applicazione delle disposizioni della stesa legge n. 47/1985 che sanzionano le opere edilizie realizzate senza concessione, ad un intervento, quale quello da lei eseguito, riducentesi nella semplice installazione di una canna fumaria sull’edificio di sua proprietà che, per le sue dimensioni e la sua destinazione di utilizzazione, sarebbe da ritenersi effettuabile senza il preventivo rilascio di concessione edilizia. Va precisato al riguardo che nel sistema di cui alla legge n. 47/1985, che tipicizza le violazioni edilizie in ragione della natura, finalità e caratteristiche degli interventi eseguiti prevedendo la applicazione di distinte e corrispondenti misure sanzionatorie per la repressione dei rispettivi abusi, devono ritenersi sottratte al regime della concessione edilizia soltanto quelle opere che siano riconducibili (anche in applicazione di previsioni normative dettate da disposizioni diverse da quelle della citata legge n. 47/1985) o al regime della autorizzazione comunale ovvero a quello, estremamente semplificato, della c.d. “denuncia di inizio di attività” che consente la esecuzione di particolari interventi su edifici preesistenti mediante la presentazione della medesima d.i.a. al Comune. Sono dunque solo tali interventi che possono essere realizzati senza concessione edilizia poiché a giudizio del legislatore nella ipotesi di esecuzione degli stessi in preesistenti edifici e posti in un rapporto di stretto collegamento con la costruzione cui accedono, può ritenersi proprio dalla presenza dell’edificio principale, assorbito l’impatto o la alterazione (sempre che sia di modesta proporzione) che il nuovo intervento arreca al preesistente assetto edilizio. Ora, per quanto concerne la canna fumaria installata dalla ricorrente sull’edificio di sua proprietà risulta evidente, per le dimensioni della stessa e la conformazione, in particolare del comignolo, di eccessiva e sproporzionata mole e consistenza ponderale e per la conseguente alterazione, di palese evidenza, che arreca alla costruzione su cui è stata installata ed alla sua sagoma, che la stessa si presenta, nello spazio interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza, come un visibile prolungamento completativo degli elementi costituenti la sagoma di una fiancata e della sovrastante copertura a tetto spiovente dell’edificio preesistente, già realizzato. La stessa canna fumaria non può perciò considerarsi, come sostiene la ricorrente, un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile. Quanto infine alle considerazioni che la stessa istante riferisce alla avvenuta presentazione di una domanda di condono che inibirebbe allo stato ogni intervento repressivo del Comune, va osservato che quest’ultimo ha depositato in giudizi la propria determinazione n. 1204/99 adottata in data 3.8.1999 con cui la domanda che la istante aveva presentato per ottenere il condono “ex lege” n. 724/1994 è stata dichiarata priva di effetti per attuale inesistenza del suo oggetto essendo già intervenuta la demolizione della stessa opera abusiva. Non sussiste dunque, sotto ogni profilo, alcuna possibilità di accoglimento delle censure svolte nel ricorso che va, per tale ragione, rigettato. Le spese vanno poste, nella misura nel dispositivo indicata, a carico della ricorrente. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune resistente, delle spese di giudizio che si liquidano nella complessiva misura di L. 2.000.000=(due milioni) comprensive degli onorari di difesa. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 26 ottobre 2000, con l'intervento dei Magistrati: Gianni Leva Presidente Paolo Restaino Consigliere est. Giulio Amadio Consigliere |
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