T. A. R. per la Puglia, Bari, sez. II, 7 aprile 2003 n. 1608, sul
risarcimento danni in materia edilizia
per il risarcimento del danno
conseguente ai seguenti provvedimenti:
1) decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 16/2/90;
2) ordinanza del Comune di Monopoli 11/4/90, n. 10995;
3) diniego del Comune di Monopoli 31/10/90, prot. 1612;
(omissis)
FATTO
Con atto notificato il 18 – 19 luglio 2001 e depositato il successivo
giorno 27, la ricorrente propone
l’epigrafato ricorso.
Si sono costituite entrambe le parti evocate in giudizio chiedendo il
rigetto della domanda risarcitoria.
In particolare, il Comune eccepisce l’intervenuta prescrizione del diritto
azionato.
Con memoria depositata il 18/2/02 il Ministero per i Beni e le attività
culturali, oltre ad insistere per il
rigetto del gravame, solleva eccezione d’inammissibilità del
medesimo.
All’udienza del 13 marzo 2003 il ricorso è stato trattenuto per
la decisione.
DIRITTO
La ricorrente postula, con l’odierno ricorso, il risarcimento dei danni
asseritamente conseguenti sia
alla sospensione dei lavori edili disposta con decreto del Ministero
per i Beni Culturali ed Ambientali
del 16/2/90 che al rifiuto opposto dal Comune di Monopoli di assentire
l’approvazione di un nuovo
progetto di variante e di nuove concessioni in corso d’opera.
Giova una breve esposizione dei fatti per come resa possibile alla stregua
delle rappresentazioni
fattuali e documentali esibite in corso di causa.
Il Comune di Monopoli, in data 2/5/89, rilasciava alla società
Cala Corvino le concessioni edilizie prot.
34780/87,005572/88, 33802/88 – pratica n. 9362 (progetto di ampliamento
e ristrutturazione del
complesso alberghiero Cala Corvino) e prot. 19645/89 – pratica 9935
(variante di progetto).
In data 17/1/90 la ricorrente instava il Comune per ottenere il rilascio
di una seconda variante in
corso d’opera.
Nelle more dell’istruttoria accadeva che il Ministro per i Beni Culturali
ed Ambientali (ritenendo l’area
in questione gravata da vincoli paesaggistici rinevenienti dal D.M.
1/8/85) disponeva la sospensione
dei lavori di costruzione del complesso alberghiero Cala Corvino (decreto
del 16/2/90, notificato il
successivo giorno 6) ed invitava il Sindaco del Comune di Monopoli
a provvedere per l’immediata
ripristino dello stato dei luoghi; ordine al quale l’Autorità
comunale pedissequamente si conformava
con provvedimento n. 10995 del 12/4/90.
La soc. Cala Corvino impugnava dinanzi al Tribunale Regionale Amministrativo
per la Puglia – sede di
Bari – l’ordinanza comunale n. 10995/90 ed in uno con questa anche
gli atti presupposti (id est,
decreto ministeriale di sospensione dei lavori).
Il Tribunale, in sede cautelare, così statuiva sulla domanda
incidentale di sospensione degli atti
gravati (ordinanza n. 382/90 del 26/4/90):
"Considerato che allo stato non risulta dimostrata l’esistenza di vincoli
paesaggistici sull’area in
questione, che non rinvengano dal D.M. 1/8/85, pubblicato sulla G.U.
supp. del 6/2/86 e sulla cui
inefficacia si è già pronunciato, ancorché in
sede cautelare, questo Tribunale Amministrativo, ma con
pronunce confortate dai successivi pronunciati della Corte Costituzionale
– sentenze 258/85 e 153/86 –
e dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato; Rilevato, altresì,
che dalla sospensione dei lavori
effettuati sulla base di concessione edilizia rilasciata dalla competente
Autorità Comunale la società
ricorrente risentirebbe danni gravissimi ed irreparabili, comprovati
dalle promesse di vendita esibite,
dagli investimenti in corso, superiori a lire 17 miliardi, con rilevanti
esposizioni bancarie, cui la
istante non potrebbe altrimenti far fronte; Accoglie la domanda incidentale
di sospensione".
Il decreto ministeriale era impugnato, altresì, autonomamente
ed in via principale dal Comune di
Monopoli (ricorso del 5/6/90).
Accadeva poi che l’Amministrazione comunale, con atto n. 1612 del 31/10/90,
scontava
negativamente l’istanza del 17/1/90 che la Cala Corvino aveva inoltrata
per ottenere il rilascio di una
seconda variante in corso d’opera. Queste le ragioni del diniego:
1) "gli interventi modificativi dello stato dei luoghi sono impediti
dalle disposizioni dell’art. 2, comma
secondo, l.r. 11/5/90, n. 30 ricadendosi nella fascia di metri 300
dal demanio marino e peraltro
interessando alcune pere addirittura la zona demaniale";
2) "per le modificazioni interne potrà farsi luogo al rilascio
di concessione edilizia solo quando sarà
intervenuta definitiva decisione di merito del TAR Puglia (e/o del
Consiglio di Stato in grado d’appello
se eventualmente proposto) di annullamento del decreto di vincolo dell’area
di pertinenza, emesso dal
competente Ministero dei Beni Ambientali, per il quale allo stato v’è
solo decisione di sospensione".
Detto rifiuto, per quanto consta agli atti di causa, restava inoppugnato.
In seguito, il Comune intimato - dopo integrazioni procedimentali di
parte – perveniva alla
determinazione (atto n. 1612, del 22/11/91) di rilasciare la postulata
concessione edilizia in variante
(instata il 17/1/90) per la parte afferente le modifiche interne all’organismo
edilizio in costruzione.
Con riguardo, invece, alle sollecitate opere di ampliamento (pure richieste
in variante e rifiutate
inizialmente anch’esse con il provvedimento del 31/10/90) l’Amministrazione
intimata, una volta
acquisito anche il nulla osta da parte della Capitaneria di Porto (atto
n. 1 del 17/1/91), ne autorizzava
l’esecuzione con concessione in variante n. 27713 del 23/1/92 denegando
contestualmente il proprio
assenso relativamente a quegli interventi comunque interessanti le
aree demaniali nonché i
camminamenti o gallerie sotterrane. Anche tale ultimo diniego, per
quanto risulta agli atti del ricorso,
restava inoppugnato.
Ciò premesso, è accaduto che il giudizio involgente la
legittimità del decreto ministeriale del 16/2/90
si concludesse (sentenza del Consiglio di Stato n. 1111 del 16 maggio
– 8 luglio 1997) con il definitivo
annullamento dell’atto impugnato (caducazione della sospensione dei
lavori siccome ordinata dal
ministero sulla base del D.M. 1/8/85 quest’ultimo riconosciuto dal
giudice amministrativo, ancorché
legittimo, inefficace per omessa pubblicazione nelle forme di rito).
Di qui, l’odierno ricorso col quale la ricorrente si ripropone di conseguire
la tutela risarcitoria
dell’interesse legittimo siccome leso dal comportamento asseritamente
illegittimo delle
Amministrazioni intimate.
In particolare, la Società afferma che "la sospensione dei lavori
di costruzione del complesso
alberghiero Cala Corvino, disposta dal decreto del 16/2/90 del Ministro
per i BB. CC. e AA. ed il rifiuto
– protrattosi sino al 13 gennaio 1992 – del Comune di Monopoli alla
richiesta in variante del 17/1/90
basata sul decreto del 16/2/90, hanno provocato ingiusti danni alla
Cala Corvino". A suo dire, il
comportamento tenuto dal Ministero nonché quello palesato dal
Comune sull’istanza di concessione in
variante nonostante fosse stata già sospesa da parte del TAR
l’ordinanza comunale del 22/4/90
avrebbe paralizzato per circa due anni l’attività di realizzazione
del complesso alberghiero e quella
della sua commercializzazione causando, in particolare, la crisi degli
accordi di commercializzazione
delle unità abitative che la Cala Corvino aveva affidato in
esclusiva alla "Domina s.p.a. con scrittura
privata del 12/4/89. Questi danni sono stati denunciati dalla ricorrente
in complessive £
15.016.555.192, di cui £ 11.001.822.074 per danno emergente e
£ 4.014.733.118 per lucro cessante.
In limine, il tribunale dispone lo stralcio dagli atti processuali -
su richiesta messa a verbale dell’avv.
Belviso - della memoria conclusiva prodotta dalla difesa del Comune
di Monopoli perché depositata
fuori termine.
La questione, in punto di diritto, involge l’accertamento della pretesa
risarcitoria:
1) consequenziale all’annullamento del decreto ministeriale;
2) inerente al rifiuto che il Comune di Monopoli ha opposto al rilascio
della concessione edilizia in
variante siccome basato sul decreto del 16/2/90.
Preliminarmente, il Collegio respinge - limitatamente alla trattazione
del precedente punto 1) -
l’eccezione di prescrizione (sollevata, in parte qua, dal Comune resistente
con l’atto di costituzione in
giudizio).
Ed invero, l’annullamento del decreto ministeriale di sospensione dei
lavori (causativo del danno
ingiusto, pregiudiziale all’introduzione - proposizione del giudizio
risarcitorio) è sopraggiunto
definitivamente soltanto con il deposito della sentenza del Consiglio
di Stato 16 maggio – 8 luglio
1997, n. 1111 (momento, questo, che coincide con il dies a quo di decorrenza
del termine per la
proposizione dell’istanza risarcitoria). Pertanto, alla data di notifica
del presente ricorso (valevole
anche come momento interruttivo della prescrizione) il termine quinquennale
di prescrizione del diritto
al risarcimento (strumentale e sussidiario alla piena tutela della
posizione d’interesse legittimo
siccome lesa dall’azione amministrativa) non era ancora maturato.
In limine, va respinta anche l’eccezione d’inammissibilità siccome
sollevata dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato.
La difesa erariale muovendo dal presupposto che l’annullamento del decreto
ministeriale è stato
causato da un ricorso giurisdizionale proposto da un soggetto diverso
e distinto dall’odierna ricorrente
(in primo grado dal Comune di Monopoli ed in appello da un cittadino
elettore del Comune medesimo)
conclude nel senso di ritenere inammissibile la proposta domanda in
quanto "il risarcimento del danno
da lesione dell’interesse legittimo è possibile in presenza
dei previsti presupposti di fatto allorquando
il presupposto di diritto, vale a dire l’annullamento giudiziario dell’atto
lesivo, sia stato determinato
dalla iniziativa processuale del presunto danneggiato"; sicché,
nella fattispecie che occupa "la società
ricorrente avrebbe potuto avanzare richiesta di risarcimento danni
qualora avesse essa dato causa alla
pronuncia d’annullamento da parte del giudice amministrativo".
La tesi, nei termini prospettati, non è condivisa dal Collegio.
Per la proposizione dell’azione risarcitoria davanti all’autorità
giudiziaria è, infatti, necessario e
vincolante in sede di decisone sulla domanda di risarcimento del danno
un contestuale accertamento
circa l’illegittimità del provvedimento.
La necessità del previo e/o contestuale annullamento dell’atto
si spiega in ragione di ciò:
1) il rischio di elusione del termine di decadenza laddove si consentisse
al soggetto di invocare
l’illegittimità dell’atto non già nella sua sede naturale
(giudizio di legittimità) bensì all’esito di una
pronuncia di accertamento;
2) l’inesistenza nell’ordinamento positivo di un potere di disapplicazione
da parte del giudice
amministrativo degli atti di natura non regolamentare;
3) la circostanza che la mancata impugnazione del provvedimento lesivo
potrebbe costituire elemento
valutabile, ex art. 1227 Cod. civ., a carico del creditore per escludere
o limitare il risarcimento del
danno;
4) la preferenza accordata dall’ordinamento alla tutela reintegratoria
e ripristinatoria relegandosi
quella risarcitoria ad ipotesi residuale e sussidiaria;
5) la necessità di evitare comportamenti non improntati a leale
collaborazione ordinamentale da parte
di chi pretermette la tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo
allo scopo di tentare
operazioni speculative nei confronti dell’erario.
Orbene, il suddetto accertamento da luogo, però, soltanto ad
un evento giuridico (ripristino della
legalità) rispetto al quale il danno patrimoniale è configurabile
esclusivamente in presenza di una
condotta antigiuridica (da non confondersi con l’illegittimità
dell’atto previamente acclarata)
produttiva di - ontologicamente distinte - conseguenze economiche per
la cui riparazione
l’ordinamento attribuisce al soggetto danneggiato una situazione giuridica
nuova (sia pure nascente
dalla lesione della situazione soggettiva originaria), cioè
il diritto al risarcimento oggetto di
autonomo, separato accertamento giudiziario.
Da quanto sopra esposto ne consegue, per un verso, che l’accertamento
in punto d’illegittimità
dell’atto non esaurisce l’ambito del giudizio sull’azione di risarcimento;
per l’altro, che il giudizio
risarcitorio ha un oggetto diverso e più ampio di quello impugnatorio
dovendosi verificare la
sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie dell’illecito civile:
nesso psichico (dolo o colpa
dell’amministrazione apparato), danno – evento (vulnus al bene della
vita ), rapporto di causalità
adeguata (nesso di pertinenza tra il fatto e l’evento).
In questi termini ricostruita la problematica del risarcimento del danno
da illegittimità
provvedimentale deve ritenersi che l’annullamento previo dell’atto
amministrativo lesivo
dell’interesse giuridicamente rilevante (danno ingiusto) costituisce
l’antecedente logico giuridico (in
termini di ammissibilità) per la proposizione della domanda
risarcitoria atteggiandosi la pregiudiziale
amministrativa, nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, a mero,
ancorché indefettibile,
presupposto di fatto in sussistenza del quale è consentito introdurre
la separata, autonoma
(contestuale o successiva) azione per danni. Di qui, la logica conseguenza
secondo cui è del tutto
irrilevante la circostanza che la lesione da cui è occasionata
la tutela abbia avuto origine dal
comportamento tenuto da un soggetto diverso e distinto dal danneggiato
atteso che i fatti in senso
stretto producono effetti per l’ordinamento a prescindere dalla considerazione
che ricevono
nell’ordinamento l’eventuale provenienza umana del fatto e la sua volontarietà.
L’effetto, infatti, è
strettamente collegato all’evento e non importa per la sua produzione
se il fatto è volontario o
involontario, imputabile ad un soggetto giuridico o non riferibile
ad alcuno.
Peraltro, diversamente opinando ed aderendo alla tesi di parte resistente
si perverrebbe a soluzioni
inique, affatto incongrue e sicuramente in contrasto con l’effettività
della tutela giurisdizionale in
quanto si finirebbe per escludere dall’area della risarcibilità
tutti i danni consequenziali alla
caducazione dell’atto lesivo quante volte detta caducazione dipenda
dall’esercizio del potere di
autotutela decisoria da parte dell’Amministrazione oppure di annullamento
straordinario da parte del
Governo ai sensi dell’art. 138, del D.Lvo n. 267/00 ovvero l’illegittimità
dell’atto sia stata dichiarata
all’esito di un ricorso straordinario (non giurisdizionale) al Presidente
della Repubblica.
Nel merito del ricorso - con riguardo sempre al punto 1) della trattazione
- il Collegio considera
dirimente ai fini decisori la circostanza che l’ordine comunale di
ripristino dello stato dei luoghi
(notificato il 12/4/90) ed il decreto ministeriale presupposto di sospensione
dei lavori (notificato il
precedente 6/4/90) sono stati a loro volta sospesi in sede giurisdizionale
con ordinanza del TAR Puglia
– sede di Bari - n. 382, del 26/4/90.
E’ noto che nel giudizio amministrativo la tutela inibitoria, espressa
soprattutto attraverso la
sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato siccome incisivo
su posizioni soggettive
riconducibili all’area degli interessi oppositivi, costituisce di regola
forma normale e privilegiata di
tutela unitamente a quella ripristinatoria (annullamento dell’atto)
rispetto alle quali la tutela
risarcitoria opera come completamento del sistema di protezione delle
situazioni soggettive ex artt.
2, 24 e 113 Cost. solo in presenza di un conclamato, ulteriore illecito
(imputabile al suo autore)
siccome produttivo di un danno patrimoniale (danno evento, conseguenza
dell’antigiuridicità della
condotta la quale non si esaurisce nell’illegittimità dell’atto
lesivo dell’interesse giuridicamente
rilevante – posizione soggettiva posseduta - ma postula un ulteriore
e distinto vulnus al bene della vita
inteso questo come interesse apprezzabile in termini economici e suscettivo,
quindi, di ristoro sotto il
profilo del danno emergente e/o mancato utile).
Orbene il tribunale, investito della domanda incidentale di sospensione
degli effetti degli atti in
parola, ha ravvisato nell’esecuzione di quest’ultimi la causazione
di "danni gravissimi ed irreparabili"
nella sfera patrimoniale della società Cala Corvino; danni enucleati
dagli impegni formalmente assunti
dalla ricorrente ed analiticamente individuati dalla Sezione nelle
promesse di vendita, negli
investimenti in corso superiori a 17 miliardi e nelle rilevanti esposizioni
bancarie.
Appare del tutto evidente, dunque, che a far epoca dal 26/4/90 (e fino
alla pronuncia definitiva
sopraggiunta con sentenza n. 1532, del 1994 con la quale il tribunale
ha dichiarato perento il ricorso)
sia l’ordinanza comunale che il decreto ministeriale presupposto non
sono stati, comunque, in grado di
arrecare, ex sé, più alcun nocumento economico – patrimoniale
alla società ricorrente. Tali atti,
infatti, pur ancora assistiti dalla presunzione di legittimità,
sono stati paralizzati (nel periodo di
tempo preso in considerazione ai fini di causa) nei loro pregiudizievoli
effetti dall’ordinanza del TAR
n. 382/90; circostanza, questa, che ha finito col rimuovere (sia pure
interinalmente) ogni ostacolo a
che le presupposte concessioni edilizie (mai annullate) ri-esplicassero
(quanto meno con riferimento al
periodo di tempo preso in considerazione dalla ricorrente ai fini risarcitori)
la propria forza giuridica
(id est, ius aedificandi.). Ne consegue, che i danni su cui si controverte
(nella specie, quelli
asseritamente conseguenti al fermo biennale dei lavori e direttamente
imputati al decreto ministeriale
nonché al pedissequo provvedimento comunale) non possono essere
imputati (nella loro interezza) alle
amministrazioni intimate in quanto difetta il vincolo di consequenzialità
immediata e diretta che lega
il fatto al danno – evento patrimoniale. Ed invero, l’originario nesso
di causalità s’è interrotto nel
momento stesso in cui il verificarsi dei danni patrimoniali è
risultato il prodotto di fatti estranei al
comportamento dei soggetti agenti: id est, decisione spontanea della
società ricorrente – rilevante ex
art. 1227, secondo comma Cod. civ. - di non proseguire l’attività
edilizia nonostante l’attuale
efficacia dei titoli concessori in suo possesso.
In definitiva, la presenza della misura cautelare assume, nella circostanza,
un valore decisivo ai fini
dell’ammissibilità stessa dell’azione risarcitoria. Ed invero,
siccome la produzione del danno
all’interesse sostanziale del privato (fisiologicamente protetto in
sede cautelare) deriva, di norma,
dall’esecuzione dell’atto e l’azione risarcitoria si collega al danno
(oggi, a seguito della L. n. 205/00,
al pregiudizio) e non all’evento lesivo costituito dall’atto illegittimo
ne consegue che dalla presenza o
dall’assenza della misura interinale dipende l’ammissibilità
o meno della ulteriore tutela risarcitoria.
Le considerazioni che precedono inducono, dunque, alla reiezione in
parte qua dell’istanza risarcitoria.
Sul punto 2) - istanza risarcitoria per i danni conseguenti al rifiuto
opposto dal Comune di Monopoli al
rilascio della concessione edilizia in variante basato sul decreto
del 16/2/90; richiesta
successivamente evasa in senso favorevole alla ricorrente con concessioni
edilizie n. 1612 del
22/11/91 e n. 27713 del 23/1/92 - il Collegio reputa inaccoglibile
la domanda.
In disparte ogni considerazione sulla circostanza, di per sé
già dirimente, che il rifiuto opposto dal
Comune con provvedimento del 31/10/90 è rimasto agli atti inoppugnato
talché neppure sarebbe stata
rimossa la c.d. pregiudiziale amministrativa (annullamento previo del
provvedimento asseritamente
lesivo in funzione di accertamento del danno ingiusto) decisiva, in
punto solutivo della questione,
appare ad avviso della Sezione l’eccezione - siccome sollevata dal
Comune di Monopoli con l’atto di
costituzione in giudizio - di intervenuta prescrizione del diritto
azionato in giudizio.
Ed invero, a far epoca dall’opposto rifiuto (1990) ovvero, al più
tardi, a decorrere dal rilascio (1992)
delle concessioni edilizie - cui potrebbe ricollegarsi l’esercizio
implicito di poteri di auto-annullamento
del precedente diniego con effetto accertativo del danno lesione -
e fino alla data di notificazione
dell’odierno ricorso (18 – 19 luglio 2001) sono trascorsi abbondantemente
i cinque anni entro i quali, ai
sensi dell’art. 2947 Cod. civ., il creditore avrebbe dovuto far valere
il proprio diritto. Né, peraltro,
risulta dedotta in atti apposita controeccezione mirante a paralizzare
l’eccezione avversaria.
In conclusione, il ricorso in esame va respinto.
La novità della questione (risarcimento del danno da lesione
di interesse legittimo) è giusta causa per
disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari -
Sezione II, respinge, nei sensi in
motivazione, il ricorso n. 1456/01 proposto dalla società Cala
Corvino s.r.l. e meglio in epigrafe
specificato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 13 marzo 2003
con l’intervento dei Magistrati:
Piero MOREA Presidente
Doris DURANTE Componente
Giuseppe ROTONDO Componente, Est.
Depositata in segreteria in data 7 aprile 2003.
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