Giurisprudenza - Edilizia ed urbanistica

C.G.A., Sez. Giur, Sent. 20 gennaio 2003 n. 1, sulla necessità dell'avviso ex art. 7 della legge 241 del 1990 prima dell’annullamento di una concessione

                                              FATTO

Con atto in notar Caprio del 27.8.1984 l'appellante acquistava dal sig. Ponzio Concetto un edificio in Aci Catena costituito da: a)
locale scantinato adibito a discoteca, b) piano rialzato adibito a locale ristorante, e) appartamento a piano rialzato, d) area
pilastrata adibita a parcheggio. 

Con l'atto di trasferimento il venditore si obbligava a portare a termine la pratica di agibilità relativa alla unità immobiliare
dell'edificio, che era già in corso.

Il venditore, stante che la concessione edilizia originaria non prevedeva per il locale scantinato la destinazione d'uso a discoteca,
presentava a proprie cure e spese domanda di sanatoria edilizia ex L. n. 47/85, anche in ordine al mutamento della destinazione
d'uso, oltreché per altre parti dell'edificio non trasferite all'appellante, realizzate abusivamente.

Il Comune di Aci Catena con provvedimento n. 2384 del 13.9.1989, rilasciava al sig. Ponzio ed alla sig.ra Rapisarda la
concessione in sanatoria e successivamente il certificato di agibilità.

Dopo circa sette anni, la Polizia di Stato accertava la alterazione e la contraffazione di alcune attestazioni di versamento della
oblazione prodotte dal sig. Ponzio ai fini della chiesta sanatoria.

Di tale circostanza la Polizia, con nota del 29.11.1996, notiziava il Sindaco di Acicatena.

A seguito di tale comunicazione il Sindaco annullava la concessione edilizia in sanatoria ed il certificato di agibilità relativo alle
unità immobiliari della sig.ra Rapisarda, con provvedimento n. 8026 dell'11.12.1996.

Avverso detto provvedimento proponeva ricorso al TAR la odierna appellante, eccependo: a) violazione dell'art. 7 L. 7.8.1990 n.
241, come recepito in Sicilia dagli artt. 8 e 9 L.R. 30.4.1991 n. 10; b) eccesso di potere per travisamento dei fatti - Mancanza di
motivazione in ordine alla valutazione dell'interesse pubblico all'annullamento della concessione in sanatoria.

Il TAR, con la decisione impugnata, rigettava il ricorso, ritenendo in ordine al primo motivo di gravame che non sussisteva per
l'Amministrazione alcun obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento che invece si sarebbe tradotto in un
aggravamento della azione amministrativa, stante la natura vincolata dal provvedimento emesso.

In ordine al secondo motivo di ricorso la sentenza del primo giudice, ometteva ogni valutazione sulle ragioni dedotte dalla
ricorrente.

Avverso la sentenza la sig.ra Rapisarda ha proposto appello, riproponendo, come motivi della illegittimità della sentenza, le
censure già mosse con il ricorso, denunciando la erroneità della sentenza della quale chiede l'annullamento.

Alla pubblica udienza del 13 luglio 2000, sentito l'avv. Pietro Allotta, per delega dell'avv. Pietro Paterniti La Via, la causa veniva
assunta in decisione.

                                             DIRITTO

L'appello è fondato in ordine al primo motivo di censura con il quale è stata eccepita la violazione degli artt. 8 e 9 della L.R.
30.4.1991 n. 10.

Con l'art. 7 della L. 241/90, recepito dalla Regione Siciliana dall'art. 8 della L.R. n. 10/1991, è stato introdotto il principio della
democraticità delle decisioni amministrative e dell'accessibilità dei documenti amministrativi, sistema che comporta la
valutazione della adeguatezza dell'istruttoria in relazione alla misura in cui il destinatario dell'atto conclusivo sia posto in grado di
contraddire.

Deve altresì rilevarsi che la comunicazione di avvio è mirata a consentire la partecipazione dell'interessato al procedimento al
fine di apportare alla istruttoria ogni elemento utile ai fini del giudizio: di conseguenza tale esigenza non ricorre soltanto in sede
di atti aventi natura di determinazione discrezionale, ma è configurabile sin dal momento in cui la Amministrazione procede in
via istruttoria al fine di acquisire idonei elementi conoscitivi per la formazione della sua volontà (Cons. Stato sez. VI, 30.12.1996
n. 1791).

Ciò premesso il Collegio osserva che la giurisprudenza, alla quale ritiene di aderire, ha più volte ribadito che l'Amministrazione,
ogni qualvolta emani un atto di autotutela è tenuta a dare il preventivo avviso di avvio del procedimento al soggetto interessato,
tranne nei casi in cui sussistano particolari esigenze di celerità, che comunque debbono essere esplicitamente richiamate nel
provvedimento, o quando l'interessato sia stato comunque posto in condizioni di partecipare al provvedimento (C. di Stato, sez.
V, 9.12.1997 n. 1486).

Rileva il Collegio che nel caso in esame non sussiste nessuna delle due ipotesi derogative.

La sentenza impugnata ha premesso la corretta giurisprudenza secondo la quale l'omessa comunicazione dell'avvio del
procedimento amministrativo costituisce vizio soltanto nel caso in cui il soggetto avvisato possa provare che, nel caso di sua
partecipazione al procedimento, avrebbe potuto presentare osservazioni "con la ragionevole possibile incidenza causale sull'atto
terminale", nonché la giurisprudenza, secondo cui il principio di partecipazione del privato al procedimento amministrativo "ha
senso giuridico solo quando l'adozione del provvedimento finale implichi il compimento di valutazioni discrezionali o per lo meno
l'accertamento di circostanze di fatto suscettibili di vario appezzamento".

Sulla base di tali premesse in diritto, certamente condivisibili e condivise dal Collegio in via di principio, la sentenza ha
affermato che nella fattispecie, in conseguenza del raggiro operato dal soggetto richiedente la sanatoria, il rilascio della stessa è
avvenuto in carenza del presupposto del pagamento della oblazione, "che non è sanabile successivamente con una tardiva
integrazione delle somme".

Con ciò la sentenza sembra aver evocato una ipotesi di provvedimento vincolato, e avere escluso che la ricorrente, se avesse
partecipato al procedimento, avrebbe potuto addurre motivi idonei alla formazione di una diversa volontà dell'Amministrazione.

La tesi sostenuta dalla sentenza impugnata non è condivisa dal Collegio.

Infatti preliminarmente è opportuno osservare che, come è regola generale per gli atti di autotutela, l'annullamento di una
concessione edilizia comporta la esistenza di concrete ed attuali ragioni di interesse pubblico.

Da tale premessa deriva che l'annullamento in autotutela di una concessione edilizia ha natura discrezionale, anche se in
determinati casi l'onere della motivazione in relazione all'interesse pubblico appare affievolito, in particolare quando le specifiche
circostanze del fatto fanno escludere il concretarsi di un affidamento in testa al titolare della concessione.

Ma nella fattispecie non ricorre detta ipotesi, proprio per le peculiarità del caso, relativo al ritiro di una concessione in sanatoria,
sanata soltanto sotto il profilo della destinazione d'uso, annullamento avvenuto dopo oltre sette anni dal rilascio, nel corso dei
quali la titolare ha esercitato tutti i diritti e le facoltà derivanti dalla concessione, mai incorrendo in violazioni urbanistiche o di
qualsiasi tipo, e, peraltro, investendo sugli immobili energie economiche e di lavoro, con l'avvio di una notevole attività,
compatibile con la destinazione d'uso asseverata con la concessione in sanatoria.

Altra peculiarità del caso, destinata ad avere indubbia valenza in ordine alla valutazione circa la sussistenza o meno di ragioni di
interesse pubblico che potessero presiedere alla volontà dell'Amministrazione all'annullamento della concessione, è costituita dalla
estraneità della appellante ai raggiri, peraltro ancora in via di accertamento presso la competente autorità giudiziaria in sede
penale, operati dal richiedente la sanatoria.

E' opportuno rilevare al riguardo che la sanatoria e pertanto la relativa oblazione, riguardavano in gran parte la esecuzione di
opere abusive di esclusiva proprietà del Ponzio Concetto e solo in minima parte, limitata al mutamento della destinazione d'uso,
l'immobile acquistato dall'appellante dal suddetto sig. Ponzio.

In tale situazione di fatto, appare evidente al Collegio che l'eventuale intervento nel procedimento amministrativo del titolare
della concessione edilizia in sanatoria, bene avrebbe consentito di presentare osservazioni "con la ragionevole possibile incidenza
causale sull'atto terminale", presupposto evocato in sentenza in linea di principio per legittimare l'intervento del privato nel
procedimento amministrativo.

Il Collegio rileva infine, in coerenza con la giurisprudenza formatasi in materia, che non è corretta la tesi secondo cui l'art. 7 L.
241/90, per la Sicilia art. 8 L.r. n. 10/91, non sarebbe applicabile agli atti vincolati.

Infatti la ratio e la finalità della partecipazione al procedimento sussiste ogni qualvolta i presupposti del provvedimento da
adottare implichino un accertamento, nella fattispecie imprescindibile sia sotto il profilo della valutazione dei fatti ascrivibili
all'appellante, che in ordine alla dovuta valutazione delle ragioni di interesse pubblico sulla cui omissione l'appellante si è
diffusamente e fondatamente intrattenuto con il secondo motivo di ricorso, riproposto in appello.

Ritiene conclusivamente il Collegio che nella fattispecie l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 8 L.r. n.
10/91, costituisce vizio della procedura che comporta la nullità del provvedimento sindacale impugnato.

Sussistono valide ragioni per compensare tra le parti le spese del giudizio.

                                              P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie
l’appello in epigrafe e per l’effetto annulla la sentenza del TAR Sicilia, sezione staccata di Catania, sez. I, n. 101/99 del
9.12.1998.

Compensa tra le parti le spese di entrambi i giudizi.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di
consiglio del 13 luglio 2000, con la partecipazione dei signori: Claudio Varrone, Presidente, Raffaele Carboni, Giorgio Giaccardi,
Antonio Andò, Vittorio Mammana, estensore, componenti.

Depositata il 20 gennaio 2003.

 

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