Cons. Stato, sez. IV, sent. 23 ottobre 2003 n. 6666, sull’inefficacia
relativa del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione
e sui criteri risarcitori
FATTO
Con sentenza n. 8902 del 30 novembre 2001 il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Lazio, Sezione III,
accoglieva il ricorso incidentale col quale l’ATI di cui era mandataria
Tecnis S.p.a. aveva contestato la legittimità
dell’ammissione alla gara a licitazione privata per l’affidamento dei
lavori di sistemazione idrogeologica di versante in
frana in località "Ivancich" del comune di Assisi (da aggiudicarsi
col criterio del prezzo più basso mediante offerta a
prezzi unitari, su un importo a base d’asta per £. 24.247.392.730)
della Tor di Valle S.p.a. e, per conseguenza,
dichiarava improcedibile il ricorso presentato da quest’ultima avverso
l’aggiudicazione in favore della
controinteressata.
Tale sentenza è stata riformata da questa Sezione con decisione
n. 5363 del 18 giugno – 9 ottobre 2002, la quale,
in accoglimento dell’appello proposto dalla Tor di Valle, ha così
disposto: a) ha dichiarato inammissibile il ricorso
incidentale proposto dalla Tecnis; b) ha accolto il ricorso di primo
grado proposto dalla Tor di Valle e, per l’effetto,
ha annullato gli atti ivi impugnati (ritenendo, quindi, illegittima
l’aggiudicazione disposta in favore dell’ATI Tecnis
S.p.a. – Si. Gen. Co. S.r.l.); c) ha rinviato ogni decisione sulla
domanda di risarcimento del danno all’esito delle
determinazioni dell’Amministrazione.
Più in particolare, questa Sezione, con la citata decisione n.
5363/2002, rilevava che nell’atto di appello Tor di
Valle, nella sua qualità di seconda classificata nell’ambito
della procedura di gara in controversia, aveva riproposto
l’istanza risarcitoria - da soddisfarsi in forma specifica o per equivalente
- già avanzata in prime cure e che la
medesima aveva precisato, nella memoria del 12 giugno 2002 - allegando
documentata relazione tecnica - che i
lavori, affidati alla Tecnis il 14 giugno 2001 (da ultimarsi in 36
mesi decorrenti da quella data) erano in fase di stallo
(come dimostrato dal fatto che l’emissione del primo S.A.L., per un
importo di lavori inferiore al 10% dell’opera, era
prevista non prima del mese di luglio del 2002), donde la richiesta
di risarcimento in forma specifica con
aggiudicazione dei lavori ed immissione nel cantiere; rilevava, infine,
che, in alternativa, l’equivalente del
pregiudizio sofferto era stato quantificato da Tor di Valle nel 10%
dell’importo contrattuale (riferito in realtà al
prezzo a base d’asta e non a quello di aggiudicazione).
In tale contesto, questa Sezione, con la decisione in argomento (n.
5363/2002), disponeva di verificare se
effettivamente sussistessero le condizioni tecnico-operative per l’eventuale
immissione dell’impresa Tor di Valle
nell’area di cantiere, con subentro all’aggiudicataria ATI Tecnis.
Della relativa verificazione la decisione incaricava il Provveditorato
regionale alle Opere Pubbliche per l’Umbria, il
quale veniva invitato a chiarire - con documentata relazione da produrre
entro trenta giorni dalla comunicazione o
notificazione della decisione - l’effettivo andamento dei lavori affidati
a Tecnis e la praticabilità operativa del
subentro di Tor di Valle.
In data 13 dicembre 2002 il Provveditorato ha provveduto al deposito
della relazione.
Con istanza ritualmente notificata alle controparti in data 18 marzo
2003 l’appellata Tecnis S.p.a. ha chiesto la
fissazione dell’udienza di merito della causa, a seguito del deposito
della relazione da parte del Provveditorato
regionale alle Opere Pubbliche.
Prima dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie,
con le quali hanno ulteriormente ribadito ed
illustrato le proprie tesi difensive.
All’udienza del 10 giugno 2003 la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
Come esposto nella parte narrativa del fatto, questa Sezione, con decisione
n. 5363/2002, in accoglimento
dell’appello proposto dalla Tor di Valle S.p.a. avverso la sentenza
del T.A.R. Lazio, Sez. III, n. 8902/2001, ha così
statuito:
ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale proposto dall’ATI
Tecnis avverso la mancata esclusione della Tor di
Valle dalla gara a licitazione privata per l’affidamento dei lavori
di sistemazione idrogeologica del versante in frana
"Ivancich" del comune di Assisi;
ha accolto il ricorso principale proposto dalla Tor di Valle e, per
l’effetto, ha annullato gli atti di gara impugnati e,
quindi, l’aggiudicazione disposta in favore della prima graduata, ATI
Tecnis S.p.a. – Si. Gen. Co. S.r.l.;
ha rinviato ogni decisione sulla domanda di risarcimento del danno,
riproposta dall’appellante Tor di Valle, ricorrente
in primo grado, all’esito delle determinazioni dell’Amministrazione
e, all’uopo, ha contestualmente incaricato il
Provveditorato regionale alle Opere Pubbliche per l’Umbria di verificare
se effettivamente sussistessero, come
richiesto dalla Tor di Valle, le condizioni tecnico-operative per l’eventuale
immissione dell’impresa medesima
nell’area di cantiere, con subentro all’aggiudicataria ATI Tecnis,
invitando il Provveditorato medesimo a depositare
una documentata relazione sull’effettivo andamento dei lavori affidati
alla Tecnis e sulla praticabilità operativa del
subentro di Tor di Valle all’aggiudicataria.
Alla luce della suddetta pronuncia di questa Sezione la materia del
contendere risulta, pertanto, circoscritta
all’esame della domanda risarcitoria riproposta nell’atto di appello
dalla Tor di Valle, nella sua qualità di seconda
classificata nell’ambito della procedura di gara in controversia, da
soddisfarsi in forma specifica o per equivalente,
vale a dire nella valutazione della praticabilità del subentro
di Tor di Valle alla Tecnis, quale risarcimento in forma
specifica, ovvero, in caso negativo e in via subordinata, nella determinazione
dei criteri per provvedere al
risarcimento del danno per equivalente, quantificato dalla Tor di Valle
nel 10% dell’importo contrattuale.
Tutto ciò in esito all’accertamento, affidato dalla citata decisione
al Provveditorato regionale alle Opere Pubbliche,
sull’andamento del lavori e sulla praticabilità del subentro
della Tor di Valle, accertamento cui, peraltro, il
Provveditorato ha tempestivamente provveduto (in data 13 dicembre 2002)
tramite il deposito della relazione
richiesta.
Ciò premesso, appare al Collegio estranea all’oggetto del presente
giudizio, avente ad oggetto la domanda di
risarcimento del danno, la questione, sollevata dalla parte appellata
(nell’istanza di prosecuzione del giudizio e
fissazione di udienza), relativa alla sussistenza o meno in capo all’appellante
società Tor di Valle dei requisiti di
qualificazione per eseguire i lavori oggetto dell’appalto de quo, dal
momento che tale questione inerisce al giudizio
di annullamento che, invece, come si è detto, si è ormai
definitivamente concluso.
E, infatti, per quanto riguarda la questione dell’ammissibilità
dell’offerta di Tor di Valle, seconda classificata, la
summenzionata decisione di questa Sezione n. 5363/2002 ha statuito
- in riforma della sentenza impugnata che lo
aveva accolto - l’inammissibilità del ricorso incidentale di
primo grado, con cui la controinteressata aggiudicataria,
ATI Tecnis, aveva, appunto, proposto tale questione, deducendo che
la ricorrente non avrebbe dovuto essere
ammessa alla gara per mancanza dei requisiti di qualificazione.
Tale parte o capo di sentenza, inerente al giudizio di annullamento,
è, quindi, ormai coperto dal giudicato e non
può essere rimesso in discussione nel diverso - anche se processualmente
connesso - giudizio di risarcimento del
danno.
Prima di passare ad esaminare funditus l’odierna materia del contendere,
appare, tuttavia, necessario fare qualche
breve cenno alla problematica, di notevole rilevanza pratica, relativa
alle conseguenze giuridiche determinate
dall’annullamento giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione
sulla sorte del contratto stipulato
dall’Amministrazione.
Com’è noto, sussiste al riguardo un acceso contrasto giurisprudenziale.
La giurisprudenza del giudice ordinario ritiene che l’annullamento con
effetti ex tunc degli atti amministrativi
emanati in vista della conclusione del contratto – deliberazione di
contrattare, bando, aggiudicazione – incida sulla
sua validità, in quanto priva l’Amministrazione della legittimazione
e della capacità stessa (art. 1425 c.c.) a
contrattare, determinando l’annullabilità del contratto; siffatto
annullamento, però, può essere pronunciato solo su
richiesta dell’Amministrazione contraente, la quale sarebbe l’unica
parte interessata ai sensi dell’art. 1441 c.c.,
secondo cui <<l’annullamento del contratto può essere
domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito
dalla legge>> (cfr. Cass., Sez. II, 8 maggio 1996, n. 4269; Cass.,
Sez. I, 28 marzo 1996, n. 2842; Cass., Sez. II,
21 febbraio 1995, n, 1885).
Altro orientamento del giudice ordinario propende, invece, per la tesi
della nullità per mancanza del consenso (cfr.
Cass., Sez. III, 9 gennaio 2002, n. 193).
Viene, poi, riconosciuta la nullità del contratto nel caso di
incompetenza assoluta dell’organo stipulante (cfr. Cass.,
9 ottobre 1961, n. 2058; Cass., 10 aprile 1978, n. 1668).
La posizione del giudice amministrativo non coincide con quella del
giudice ordinario.
L’orientamento prevalente del giudice amministrativo, infatti, afferma
la tesi della caducazione automatica (così
Cons. St., Sez. V, 25 maggio 1998, n. 677, in un caso di annullamento
in autotutela dell’aggiudicazione; id., 30
marzo 1993, n. 435, che afferma il travolgimento automatico del contratto
per effetto dell’annullamento
giurisdizionale dell’aggiudicazione; Cons. St., Sez. VI, 14 gennaio
2000, n. 244, muovendo dal principio di
conservazione degli atti, per cui la graduatoria della gara conserva
i suoi effetti per il caso in cui venga meno la
prima aggiudicazione, afferma che l’annullamento dell’aggiudicazione
in favore del primo graduato comporta
l’aggiudicazione automatica in favore del secondo graduato; di recente,
Cons. St., Sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218;
Cons. St., Sez. VI, 14 marzo 2003, n. 1518).
Il profilo della caducazione automatica è stato, poi, di recente
approfondito dalla VI Sezione di questo Consiglio
(cfr. dec. 5 maggio 2003, n. 2332), che ha ripreso la tesi, di matrice
dottrinaria, della inefficacia del contratto per
mancanza legale del procedimento, vale a dire per carenza del presupposto
legale di efficacia del contratto
costituito dalla fase di evidenza pubblica mancanza legale del procedimento),
riconducendone l’effetto al principio
generale, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via
necessaria, secondo cui simul stabunt, simul
cadent .
Altro orientamento della VI Sezione di questo Consiglio ritiene accoglibile
l’impostazione tradizionale relativa alla
normale efficacia caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione sul
contratto conseguente, ma con il
temperamento costituito dalla salvezza dei diritti dei terzi in buona
fede in applicazione analogica degli artt. 23,
comma 2 e 25, comma 2, del codice civile, applicabili alla Pubblica
amministrazione in quanto persona giuridica ex
art. 11 dello stesso codice (cfr. Cons. St., Sez. VI, 30 maggio 2003,
n. 2992).
Secondo un orientamento dei giudici amministrativi di primo grado, invece,
nella fattispecie si sarebbe in presenza
di un’ipotesi di nullità per violazione di norme imperative
ex artt. 1418, primo comma c.c. (c.d. nullità virtuale o
extratestuale: cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. I, 29 maggio 2002, n.
3177; TRGA Bolzano, 12 febbraio 2003, n.
48; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 28 gennaio 2003, n. 394; TAR Sicilia,
Catania, Sez. II, 7 maggio 2002, n. 802).
Per la tesi della nullità si è, poi, di recente pronunciata
la V Sezione di questo Consiglio (cfr. dec. 13 novembre
2002, n. 6281), che, però, ha esaminato il caso particolare
della carenza di potere della P.A. (rinegoziazione, dopo
la gara, delle condizioni economiche previste in sede di aggiudicazione).
Ad avviso del Collegio, la tesi tradizionale dell’annullabilità
relativa del contratto, a ben vedere, finisce col
vanificare la tutela del soggetto controinteressato, il quale, pur
avendo ottenuto ragione davanti al giudice
amministrativo, ove il contratto sia stato già concluso, resta
privo di alcun risultato praticamente utile, non
essendo in grado di soddisfare la propria aspirazione finale ad essere
il contraente; il contratto, infatti, sarebbe
impugnabile dinanzi al giudice ordinario su iniziativa della sola Amministrazione
soccombente nel giudizio
amministrativo ed avrebbe una sua vita autonoma, preclusiva di ogni
utilità dell’annullamento dell’aggiudicazione in
sede giurisdizionale amministrativa, che non sia quella legata alla
possibilità di richiedere il risarcimento del danno
per equivalente.
Sul piano del buon senso, poi, appare iniquo che l’Amministrazione sia
l’unico soggetto legittimato a lamentare la
violazione delle norme ad evidenza pubblica per ottenere l’annullamento
del contratto quando le illegittimità
accertate in tale procedimento di regola non sono subite da essa Amministrazione,
ma sono da questa provocate.
Senza dire che tale opzione ermeneutica potrebbe finire per risolversi
in una facile elusione del principio di
effettività della tutela giurisdizionale da parte dell’Amministrazione,
mediante l’immediata stipula del contratto pur
in presenza di violazioni della par condicio e di illegittimità
degli atti di gara, se si considera che il più delle volte
ben difficilmente l’annullamento dell’aggiudicazione può essere
pronunciato prima della stipulazione del contratto.
La tesi della nullità del contratto, del pari, non convince,
in quanto la nullità configura una patologia del contratto
consistente in un vizio genetico che lo inficia ab origine , mentre
nella specie trattasi di una vicenda sopravvenuta
all’annullamento giurisdizionale dell’atto conclusivo della procedura
di gara.
Accogliere la tesi della nullità del contratto, poi, significherebbe
consentire la proposizione della relativa azione
dichiarativa in ogni tempo - stante l’imprescrittibilità della
medesima (art. 1422 c.c.) - da parte di chiunque vi
abbia interesse e anche la rilevabilità ex officio (art. 1421
c.c.), a prescindere, quindi, da una previa rituale e
tempestiva impugnazione, da parte dei soli soggetti legittimati a ricorrere,
dell’atto amministrativo viziato
(deliberazione di contrattare, bando, aggiudicazione) nel termine di
decadenza proprio del giudizio amministrativo.
Ma ciò, a ben considerare, finirebbe per pregiudicare alquanto
la certezza dei rapporti giuridici, atteso che
esporrebbe il contratto, magari a distanza di molto tempo dalla sua
conclusione ed in corso di avanzata
esecuzione, al rischio di venire travolto con effetto retroattivo ad
iniziativa di chiunque vi abbia interesse.
Per gli stessi motivi non convince la tesi della caducazione automatica
dell’intero contratto a seguito
dell’annullamento dell’aggiudicazione (o di altri atti della serie
procedimentale) da parte del giudice amministrativo,
caducazione automatica che, del resto, non trova appigli nella lettera
della legge e contrasta con il principio della
soggezione del contratto alla disciplina del diritto comune.
La tesi che appare preferibile, ad avviso del Collegio, è quella
della mancanza del requisito della legittimazione a
contrarre.
E, invero, la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa,
di atti della fase della formazione, attraverso i
quali si è formata in concreto la volontà contrattuale
dell’Amministrazione, dà luogo alla conseguenza di privare
l’Amministrazione stessa, con efficacia ex tunc, della legittimazione
a negoziare; in sostanza, l’organo
amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a
cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del
procedimento costitutivo della volontà dell’Amministrazione,
come la deliberazione di contrattare, il bando o
l’aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato injure,
privo della legittimazione che gli è stata conferita
dai precedenti atti amministrativi (cfr. Cass., 20 novembre 1985, n.
5712).
La categoria che viene in gioco in tal caso non è l’annullabilità,
ma l’inefficacia. E, infatti, nei contratti ad evidenza
pubblica gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica
sono indipendenti quanto alla validità; i primi
condizionano, però, l’efficacia dei secondi, di modo che il
contratto diviene ab origine inefficace se uno degli atti
del procedimento viene meno per una qualsiasi causa (cfr. Cass., 5
aprile 1976, n. 1197).
Di mancanza del presupposto o della condizione legale di efficacia,
invece, deve parlarsi a proposito della
fattispecie della mancata approvazione del contratto, che afferisce
sostanzialmente alla fase dell’integrazione
dell’efficacia del procedimento contrattuale e non incide sulla perfezione
del contratto; l’approvazione, infatti,
opera quale condicio juris e consiste in un atto amministrativo esterno
al contratto ed alla sua struttura,
condizionante l’efficacia giuridica di questo e non la sua esistenza.
La mancata approvazione rende il contratto
non più eseguibile, così da liberare il privato contraente,
come ovviamente l’Amministrazione, da ogni obbligo (cfr.
Cass., 12 novembre 1992, n. 12182).
E, invece, l’inefficacia sopravvenuta derivante dall’annullamento degli
atti di gara ovvero del provvedimento di
aggiudicazione, sia in sede giurisdizionale, che amministrativa o in
via di autotutela (sempre che, in tal caso ne
ricorrano tutti i presupposti sostanziali) è relativa e può
essere fatta valere solo dalla parte che abbia ottenuto
l’annullamento dell’aggiudicazione.
Più problematica appare, invece, la posizione dell’Amministrazione.
Di regola il contratto rimane vincolante inter partes, nonostante l’intervenuto
annullamento dell’aggiudicazione in
sede giurisdizionale, fino all’adozione di apposite iniziative da parte
degli interessati.
Tuttavia, appare meritevole di protezione anche l’interesse dell’Amministrazione
a rimuovere gli effetti di situazioni
ormai riconosciute illegittime. In tale eventualità, tuttavia,
la P.A. può determinare l’inefficacia del contratto, ma
attraverso il procedimento di annullamento degli atti di gara in via
di autotutela, applicando i principi garantistici in
materia (avviso di avvio del procedimento; congrua motivazione; adeguata
valutazione dell’interesse pubblico e
dell’affidamento del contraente).
Per quanto, più in particolare, riguarda la tutela dei soggetti
che abbiano ottenuto ragione dinanzi al giudice
amministrativo tramite l’annullamento dell’atto di aggiudicazione,
nei casi in cui il contratto sia già stato concluso,
ritiene il Collegio preferibile la posizione dottrinale orientata nel
senso dell’applicazione della normativa dettata dal
codice civile a proposito delle associazioni e fondazioni, in quanto
esprimente principi generali, applicabili anche alla
Pubblica amministrazione, quale persona giuridica ex art. 11 c.c.,
soggetta, quindi, oltre che alle norme di diritto
pubblico, anche alle norme civilistiche essenziali che disciplinano
le persone giuridiche (cfr., in tal senso, anche se
nell’ambito della teoria della inefficacia del contratto per difetto
di un presupposto o di una condizione di efficacia
del contratto, Cons. St., Sez. VI, n. 2992 del 2003 cit.).
Secondo tali principi, l’annullamento della deliberazione formativa
della volontà contrattuale dell’ente "non
pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad
atti compiuti in esecuzione della deliberazione
medesima" (art. 23 e 25 c.c.).
Questo criterio, invero, consente di tutelare la posizione del contraente
di buona fede, ma allo stesso tempo
consente di dare pieno riconoscimento alle ragioni di colui che abbia
ottenuto l’annullamento di atti della fase di
formazione (e segnatamente, dell’aggiudicazione) laddove possa essere
esclusa la buona fede del contraente,
travolgendo in tal caso detto annullamento la fattispecie contrattuale
nella sua interezza.
Ciò detto, un argomento sistematico in favore della tesi della
inefficacia sopravvenuta può, a ben vedere, trarsi
dalla legge 21 dicembre 2001 n. 443 ("Delega al Governo in materia
di infrastrutture ed insediamenti produttivi
strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività
produttive", c.d. legge obiettivo), la quale, all’art. 1, comma
2, contiene una delega al Governo ad emanare disposizioni volte a definire
un quadro normativo finalizzato alla
celere realizzazione di infrastrutture pubbliche e private e insediamenti
produttivi strategici e di preminente
interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo
del Paese, indicando, tra gli altri, il seguente
principio e criterio direttivo (lettera n): <<previsione, dopo
la stipula dei contratti di progettazione, appalto,
concessione o affidamento a contraente generale, di forme di tutela
risarcitoria per equivalente, con esclusione
della reintegrazione in forma specifica; …>>.
La delega, com’è noto, è stata attuata con l’art. 14 del
D.Lgs. n. 190 del 2002, con cui, appunto, si esclude che
l’annullamento dell’aggiudicazione comporti la caducazione (si parla
espressamente di "risoluzione") del contratto
nelle more stipulato dalla P.A..
Ora, se il legislatore, in applicazione di una facoltà riconosciuta
dalla direttiva 89/665 (art. 2, par. 5 e 6) - che
postula il principio in forza del quale, di regola, la stipulazione
del contratto non preclude affatto la reintegrazione
in forma specifica, anche se gli Stati membri potrebbero introdurre
norme interne con tale contenuto - ha
avvertito la necessità di stabilire una apposita norma derogatoria
di tale principio in un particolare settore, allora
significa che, in linea generale, la stipulazione del contratto non
è di ostacolo alla tutela in forma specifica della
parte interessata, assicurata attraverso la verificazione del contratto
e la conseguente possibilità di subentro.
D’altronde, il riferimento del legislatore delegato (anche se per escluderla)
alla risoluzione del contratto
conseguente all’annullamento della procedura sembra far propendere
per il rifiuto della categoria della invalidità e
per l’adesione a quella della perdita di efficacia del contratto.
Tanto premesso, deve osservarsi che, secondo una massima che si iscrive
nel filone della caducazione automatica
<<l’annullamento dell’aggiudicazione di una gara pubblica elide
il vincolo negoziale sorto con l’adozione del
provvedimento rimosso, con la conseguenza che restituisce in pieno
alla potestà di diritto pubblico della stazione
appaltante la scelta fra l’avvalersi della procedura espletata, ovvero
procedere ad una nuova gara previa revoca
degli atti che vi hanno dato luogo, a fronte della quale non sono rinvenibili
posizioni di diritto soggettivo in capo
agli altri partecipanti alla gara, ancorché costoro si trovino
in posizione utile per subentrare all’aggiudicatario
rimosso>> (cfr. Cons. St., Sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244; id., 19
dicembre 2000, n. 6838).
Ora, appare poco condivisibile una soluzione che lasci alla piena discrezionalità
del soggetto soccombente nel
giudizio di annullamento dell’aggiudicazione (la Pubblica amministrazione)
la decisione sulle sorti del contratto.
Preferibile, invece, appare quell’indirizzo che, pur ritenendo che il
prius nella materia in esame (appalti) sia sempre
costituito dalla reintegrazione in forma specifica, anche mediante
l’adempimento parziale, ammette, tuttavia, che il
debitore (l’Amministrazione) possa denunciarne la gravosità
– o anche l’impossibilità - rimettendosi comunque sul
punto all’apprezzamento del giudice (cfr. Cons. St., V, 6 marzo 2002,
n. 1373).
Ed è nel solco di tale orientamento che pare iscriversi la pronuncia
in esame, n. 5363/2002 - della quale la
presente costituisce il seguito - che ha sì devoluto prioritariamente
all’Amministrazione un accertamento obiettivo
sull’effettivo andamento dei lavori affidati all’originaria aggiudicataria
Tecnis e sulla praticabilità operativa del
subentro di Tor di Valle, ma poi si è riferita alle determinazioni
della stessa Amministrazione come presupposto della
valutazione, riservata, invece, all’esclusiva competenza del Collegio
giudicante, della domanda risarcitoria avanzata
dalla Tor di Valle medesima.
E, del resto, il carattere esclusivo della giurisdizione amministrativa
sulle controversie in materia di procedure di
aggiudicazione, espressamente sancito dall’art. 6 della legge n. 205
del 2000 e dall’art. 33 del D. Lgs. n. 80 del
1998, è sintomatico di una tendenza ad un controllo giurisdizionale
più incisivo e pieno sui rapporti giuridici, anche
di tipo contrattuale o paritetico, originati da atti a contenuto provvedimentale
contestati innanzi al G.A..
In tale contesto, il potere del G.A. di condannare l’Amministrazione
al risarcimento del danno, anche mediante la
reintegrazione in forma specifica, appare indicativo della volontà
legislativa di collegare alla tradizionale tutela di
annullamento una tutela più intensa ed effettiva della situazione
giuridica fatta valere, realizzata attraverso il
ripristino, ove possibile, della situazione giuridica e materiale alterata
dall’attività illegittima dell’Amministrazione.
Da tale punto di vista, ad avviso di questo Collegio, deve, anzi, in
via assolutamente pregiudiziale, affermarsi che
la giurisdizione esclusiva e la tutela reintegratoria specifica (considerata
non come eventuale o eccezionale,
essendo, invece, sussidiaria, rispetto ad essa, quella risarcitoria
per equivalente, praticabile solo quando quella
restitutoria non possa essere conseguita con successo: cfr., in tal
senso, Cons. St., Sez. IV, 29 aprile 2002, n.
2280, in tema di danni da occupazione illegittima e da irreversibile
trasformazione del fondo), previste dalla
normativa poc’anzi citata determinano, in punto di giurisdizione, che
anche il giudizio sulla sorte del contratto a
seguito di vizi del procedimento di scelta del contraente debba spettare
al giudice amministrativo (così anche
Cons. St., Sez. VI, dec. n. 2332 del 2003 cit.); in tale prospettiva,
la rimozione del contratto si connette non
tanto ad un giudizio civilistico sul rapporto negoziale, bensì
ad una forma di tutela reintegratoria in forma specifica,
la quale, in sede di giurisdizione esclusiva, deve necessariamente
comprendere anche statuizioni dichiarative o
costitutive concernenti la sorte (validità o efficacia) del
contratto stipulato.
Quanto ai limiti che può trovare il principio della tutela ripristinatoria,
consistente nella reintegrazione in forma
specifica del danno ingiusto causato dalla Pubblica amministrazione,
intesa come istituto speciale del diritto
processuale amministrativo, essi sono stati individuati da questa Sezione
(cfr. IV Sez., dec. 14 giugno 2001, n.
3169) nella speciale rilevanza dell’interesse pubblico, sotto l’aspetto
della eccessiva onerosità per il pubblico
interesse e per la collettività.
Tuttavia, prima di passare ad esaminare più da vicino il problema
dell’accertamento del danno patrimoniale
risarcibile, occorre premettere che nella specie, ai fini della fondatezza
nell’ an della domanda risarcitoria, sussiste
la responsabilità della P.A., in quanto l’evento dannoso (mancata
aggiudicazione dell’appalto dei lavori) può dirsi
imputabile al comportamento negligente e, pertanto, colposo dell’Amministrazione
appaltante; e, infatti, come
accertato nella citata decisione n. 5363/2002, l’adozione e l’esecuzione
dell’atto illegittimo (aggiudicazione alla
controinteressata ATI Tecnis) è avvenuta in violazione delle
regole di imparzialità e correttezza che
l’Amministrazione stessa si era data in sede di gara nella lex specialis
a pena di esclusione (cfr. pag 18 dec. cit.).
Tanto premesso, per quanto riguarda la domanda di reintegrazione in
forma specifica proposta in via principale
dalla Tor di Valle, deve dirsi che la stessa appare infondata.
E, infatti, come si è visto, ostativa a tale forma di tutela
deve ritenersi la eccessiva onerosità per l’interesse
pubblico e la collettività (che è quella che sopporta
gli oneri dell’azione amministrativa: cfr. Cons. St., Sez. IV,
dec. n. 3169 del 2001 cit.), nonché, ad avviso del Collegio,
l’impossibilità (totale o parziale) della reintegrazione in
forma specifica (arg. ex art. 2058 c.c.).
Ora, come emerge dalla relazione tecnica depositata dal Provveditorato
in data 13 dicembre 2002, <<non poche
sono le difficoltà di carattere tecnico operative>> derivanti
da un eventuale subentro (quali "il fermo dei lavori,
nonché la duplicazione dei tempi necessari alla ripetizione
dei monitoraggi prodromici alla scelta dei macchinari di
scavo dei collettori principali e delle perforazioni in microtunnelling":
v. pag. 14 relazione cit.) e <<certamente si
andrebbe incontro ad un prolungamento, anche di non poca entità,
dei tempi di esecuzione>>, con tutte le
conseguenze <<che potrebbero derivare per un’opera che è
finalizzata al consolidamento di una vasta area
soggetta a movimenti franosi>> (cfr. pag. 13 relazione cit.; l’appalto
de quo, infatti, concerne lavori di
sistemazione idrogeologica di un versante in frana).
E, ad avviso del Collegio, tanto basta per far ritenere sicuramente
preminente, nel necessario giudizio di
bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco, l’interesse pubblico
e della collettività alla rapida conclusione dei
lavori, a fronte dell’interesse privato dell’originaria ricorrente,
odierna appellante, a che l’iniziativa non abbia
seguito a favore dell’aggiudicataria.
La domanda di reintegrazione in forma specifica riproposta in via principale
dalla società appellante è, dunque,
infondata.
Ciò detto, occorre ora esaminare la domanda di risarcimento del
danno per equivalente, proposta in via
subordinata dalla società ricorrente in primo grado ed odierna
appellante nell’eventualità del mancato accoglimento
della domanda di reintegrazione in forma specifica (subentro).
Ai fini della liquidazione di tale danno si può, a ben vedere,
utilizzare lo strumento previsto dall’art. 35, comma 2,
del D.Lgs n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della L. n. 205
del 2000, che consente al giudice
amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione
(l’art. 7 cit. ha aggiunto anche il gestore del
servizio pubblico) deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento
della somma entro un congruo termine,
prevedendo che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi
nuovamente al giudice per la
determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza.
La possibilità di limitarsi alla fissazione dei criteri è
un utile strumento di semplificazione posto a disposizione del
giudice amministrativo, che tiene conto dell’obiettiva complessità
delle operazioni di liquidazione del danno in
questa materia e che comunque persegue finalità di accelerazione
e di economia processuale, in sintonia con
l’intero impianto della legge n. 205 del 2000.
Si dispone, pertanto, che l’Amministrazione provveda a liquidare una
somma a favore della società Tor di Valle a
titolo sia di danno emergente (costi di partecipazione alla gara) che
di lucro cessante (mancato utile), secondo i
criteri appresso indicati, entro il termine massimo di sessanta giorni
dalla data di comunicazione, o, se anteriore, da
quella di notifica, della presente decisione.
In particolare, il risarcimento del danno dovuto alla Tor di Valle S.p.a.
dovrà computarsi come segue:
A) quanto al danno emergente:
A1) spese o costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la
partecipazione alla procedura di aggiudicazione
(cfr. art. 2, comma 7, della direttiva del Consiglio delle Comunità
Europee del 25 febbraio 1992, 92/13/CEE).
Non sono, invece, nella specie liquidabili, quale voce di danno emergente,
per difetto assoluto di qualsiasi prova al
riguardo (anche se la giurisprudenza sovente ha reputato che possano
venire in rilievo) ex artt. 2697 c.c. e 115
c.p.c. (applicabili anche al processo amministrativo avente ad oggetto
diritti soggettivi, come quello al
risarcimento del danno ingiusto), l’inutile immobilizzazione di risorse
umane e mezzi tecnici.
A2) Quanto al pregiudizio per la perdita di chance legata all’impossibilità
di far valere, nelle future contrattazioni, il
requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, può, ad
avviso del Collegio, procedersi in via equitativa alla
liquidazione di tale voce del danno emergente nella misura del 3% del
prezzo offerto dalla Tor di Valle in sede di
aggiudicazione.
Non sono imputabili, invece, le spese legali sostenute a fronte dei
giudizi intrapresi, in quanto la relativa
liquidazione è oggetto di autonoma statuizione giurisdizionale.
B) Quanto al lucro cessante, vale a dire l’utile economico che sarebbe
derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso
di aggiudicazione non avvenuta per illegittimità dell’azione
amministrativa - generalmente reputato pari al 10% del
valore dell’appalto, criterio cui fa riferimento la giurisprudenza
in applicazione analogica dell’art. 345 della legge 20
marzo 1865, n. 2248, allegato F, sulle opere pubbliche, ora sostanzialmente
riprodotto dall’art. 122 del regolamento
emanato con D.P.R. n. 554/99, che quantifica in tale misura il danno
risarcibile a favore dell’appaltatore in caso di
recesso della P.A. (ciò sia allo scopo di ovviare ad indagini
alquanto difficoltose ed aleatorie sia allo scopo di
cautelare la P.A. da eventuali richieste di liquidazioni eccessive)
- la giurisprudenza riconosce la spettanza nella
sua interezza dell’utile di impresa nella misura del 10% qualora l’impresa
possa documentare di non aver potuto
utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento
di altri servizi. Nel caso in cui, invece,
tale dimostrazione non sia stata offerta – come nella specie è
avvenuto – è da ritenere che l’impresa possa aver
ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento
di altri analoghi lavori (o servizi o forniture),
così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità;
in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via
equitativa, in misura pari al 5% dell’offerta dell’impresa (cfr. Cons.
St., 8 luglio 2002, n. 3796; Cons. St., Sez. V,
24 ottobre 2002, n. 5860; v. pure Cons. St., Sez. V, 18 novembre 2002,
n. 6393, che esclude l’utilizzo dell’art.
345 L. n. 2248/1865 all. F ove non sia fornito un principio di prova
sulle opportunità alternative alle quali
l’interessato ha dovuto rinunciare).
La misura del 5%, del resto, corrisponde alla percentuale di utile dichiarato
dalla Tor di Valle in sede di offerta (5%
dell’importo netto contrattuale d’appalto).
C) Sulle somme liquidate ai sensi delle lettere A) e B), che riguardano
tutte il risarcimento del danno e che
consistono, perciò, in un debito di valore, deve riconoscersi
la rivalutazione monetaria, secondo gli indici Istat, da
computarsi dalla data della stipula del contratto da parte dell’impresa
che è rimasta illegittimamente aggiudicataria
e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest’ultima
che costituisce il momento in cui, per
effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma
in debito di valuta).
D) Sulle somme progressivamente e via via rivalutate, sono altresì
dovuti gli interessi nella misura legale secondo il
tasso vigente all’epoca della stipulazione del contratto, a decorrere
dalla data della stipulazione medesima e fino a
quella di deposito della presente decisione; ciò in funzione
remunerativa e compensativa della mancata tempestiva
disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del
danno.
E) Su tutte le somme dovute ai sensi delle precedenti lettere decorrono,
altresì, gli interessi legali dalla data di
deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.
La condanna al risarcimento deve essere pronunciata esclusivamente nei
confronti delle Amministrazioni
soccombenti, Ministero dei Lavori Pubblici (ora delle Infrastrutture
e Trasporti) e Provveditorato regionale alle
Opere pubbliche per l’Umbria, in considerazione del comportamento che
ha dato causa all’illecito.
In conclusione, in base alle considerazioni che precedono, l’appello
va accolto per quanto di ragione e, per
l’effetto, in riforma del capo della sentenza impugnata relativo alle
questioni risarcitorie, devono essere condannati
il Ministero dei Lavori Pubblici (ora delle Infrastrutture e Trasporti)
ed il Provveditorato regionale alle Opere
pubbliche per l’Umbria, in solido fra loro, al risarcimento dei danni
subiti dalla società Tor di Valle a causa della
mancata aggiudicazione dei lavori de quibus, nella misura e secondo
i criteri sopra indicati.
Quanto alle spese di questa parte del giudizio, in considerazione dell’esito
della lite e delle questioni trattate,
appare equo disporre che esse siano interamente compensate nei confronti
dell’A.T.I. Tecnis S.p.a. – Si.Gen.Co
S.r.l., mentre per il resto appare giusto che siano poste interamente
a carico delle Amministrazioni soccombenti, in
solido tra loro, liquidandole come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente
pronunziando sul capo della sentenza
appellata relativo alle questioni risarcitorie ed in accoglimento dell’appello
sul punto proposto dalla Tor di Valle
S.p.a., così provvede:
condanna il Ministero dei Lavori Pubblici (ora delle Infrastrutture
e Trasporti), nonché il Provveditorato alle Opere
pubbliche per l’Umbria, in solido fra loro, al risarcimento dei danni
subiti dalla Tor di Valle S.p.a. a causa della
mancata aggiudicazione dei lavori, nella misura e secondo i criteri
di cui in motivazione, provvedendo alla
liquidazione ed al pagamento di tali danni entro il termine massimo
di sessanta giorni dalla comunicazione, o se
anteriore, dalla notifica, della presente decisione;
dichiara compensate le spese della presente fase di giudizio nei confronti
della Tecnis S.p.a.; pone, invece, le
stesse a carico delle Amministrazioni soccombenti, in solido tra loro,
complessivamente liquidandole in euro
3.000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2003 dal Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di
Consiglio con l'intervento dei Signori:
Gaetano TROTTA Presidente
Costantino SALVATORE Consigliere
Filippo PATRONI GRIFFI Consigliere
Vito POLI Consigliere
Nicola RUSSO Consigliere rel. est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Depositata in Segreteria il 23 ottobre 2003.
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