Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 3997 del 17 luglio 2002, sui
rapporti tra l’aggiudicazione ed il contratto di appalto stipulato
R E P U B B L I C
A I T A L I A
N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso iscritto al n.r.g. 6770/2001 proposto dal Consorzio Nazionale
di Cooperative di Produzione e Lavoro “Lavoro, Patria e Famiglia”, in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti
Ferdinanzo Scotto e Aniello Mele, elettivamente domiciliato in Roma, via
Giuseppe Mercalli n. 13, presso Gianmarco Grez;
contro
lo I.A.C.P., Istituto Autonomo Case Popolari, della Provincia di Benevento,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dagli Avv.ti Mario Chiusolo e Pierpaolo Forte, domiciliato - ai sensi dell’art.
35, II comma, R.D. 26.6.1924, n. 1054 - presso la Segreteria di questa
Sezione;
per l’annullamento
della sentenza del T.A.R. Campania, Sezione I, 30.3.2001, n. 1428.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatore, all’udienza del 18 dicembre 2001, il Consigliere Ermanno
de Francisco;
Uditi altresì i difensori costituiti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Viene in decisione l’appello avverso la sentenza indicata in epigrafe,
che ha respinto il ricorso dell’odierno appellate avverso la determina
n. 86 del 13.11.2000, con la quale il Direttore generale dello I.A.C.P.
di Benevento ha annullato la determina del Presidente della giuria di gara
del 23.3.1999, di aggiudicazione della gara di appalto per la costruzione
di una scuola elementare con annesso asilo nido in Benevento, località
Pace Vecchia, in favore del Consorzio ricorrente ed ha ritenuto inefficace
e privo di ogni effetto il contratto di appalto stipulato in data 13 luglio
1999, rep. n. 4675; nonché avverso ogni altro atto o provvedimento
preordinato, collegato, connesso e conseguente lesivo degli interessi del
ricorrente, ivi incluse le relazioni del D.L., del progettista e del Presidente
della commissione di gara, di estremi ignoti.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – Questo, in breve, è stato l’antefatto della causa, per
quale risultante dalla sentenza di primo grado e dall’atto impugnato.
“La stazione appaltante ha ritenuto di dover annullare l’aggiudicazione
sul rilievo che le offerte proposte dalle ditte partecipanti sarebbero
state falsate …, risultando tutte, ivi inclusa quella aggiudicataria, riferite
solo a una parte delle categorie di lavori necessarie a realizzare l’opera,
mentre erano mancanti di quelle relative al … capitolo 1/S, costituente
quasi il 20 % dell’appalto”, che è “relativo alle strutture in fondazioni
ed elevazione nel corpo delle aule della scuola, per un ammontare di £
775.163.633” (la base di gara era di oltre 5 miliardi di lire, il ribasso
di aggiudicazione del 25,6 %).
L’errore, che fu comune a tutti gli offerenti, era dovuto alla stessa
S.A. che, nella lista delle categorie di lavori – inviata ai concorrenti
ai sensi dell’art. 5 della legge 2 febbraio 1973, n. 14 – aveva “omesso,
per mero errore materiale, l’intero capitolo 1/S”, di cui si è detto.
“Nessuna delle imprese partecipanti ha fatto rilevare tale manifesto
errore che poteva essere facilmente riscontrabile”; sicché lo I.A.C.P.
– dato che “i ribassi offerti dalle imprese partecipanti non sono riferiti
a tutte le categorie dei lavori costituenti il complesso dell'opera da
realizzare, ma solo da una parte di essi” e “rilevato che negli appalti
a misura, a differenza di quelli a corpo, il rischio della quantità
dei lavori occorrenti per la esecuzione dell'opera grava sul committente
e, di conseguenza, l'importo per la realizzazione di tutte le altre opere
in c.a. è a carico di questo Ente” – autoannullava l’aggiudicazione,
“rilevato che sussistono validi e legittimi motivi di interesse pubblico
all’annullamento della gara e [a] provvedere ad un nuovo esperimento”.
Il T.A.R. ha ravvisato un legittimo esercizio dei propri poteri di
autotutela da parte dello I.A.C.P. di Benevento che, con l’atto qui impugnato,
ha annullato l’aggiudicazione in favore del Consorzio ricorrente della
gara per la costruzione dell’opera di cui alla narrativa che precede, nonostante
i lavori fossero iniziati dal 28 giugno 1999.
L’appellante propone quatto motivi di gravame: 1) error in iudicando;
violazione e falsa applicazione artt. 7 e 10 L. 7.8.1990, n. 241; violazione
dei principi del giusto procedimento; difetto assoluto di istruttoria;
travisamento; 2) error in iudicando; violazione art. 25 L. 1.2.1994, n.
109; violazione L. 2.2.1973, n. 14; difetto di motivazione; contraddittorietà;
perplessità dello iter logico-giuridico; superficialità dell’istruttoria;
3) violazione art. 26 L. 1034/1971; error in procedendo; error in
iudicando; omesso esame di un punto decisivo della controversia; difetto
assoluto di motivazione; 4) error in procedendo e in iudicando; violazione
art. 35 del D.Lgs. n. 80/98 e art. 2043 c.c.; omessa valutazione di un
punto decisivo della controversia; difetto di motivazione.
2. – L’appello è fondato.
2.1. – Può prescindersi dall’esame delle censure relative alla
violazione degli artt. 7 e 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art.
26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, per come novellato dall’art. 9
della legge 21 luglio 2000, n. 205.
Le prime, infatti, sono censure meramente formali che risultano assorbite
da quelle di maggior spessore sostanziale che vengono accolte con la presente
decisione.
I rilievi circa il ricorso al citato art. 26, comma 4, censurano il
fatto che il T.A.R. abbia ritenuto di adottare un modello semplificato
di sentenza in luogo di quella ordinaria, operando una scelta che, in sé,
è neutra ai fini del gravame, dovendo il giudice superiore verificare
in ogni caso se la sentenza gravata sia o meno esatta (art. 26, comma 6).
2.2. – Tra le residue censure riproposte in questo grado, sono invece
fondate quelle mediante le quali si sostiene che l’Ente pubblico appellato
abbia fatto uso illegittimo dei propri poteri di autotutela, a distanza
di oltre un anno dalla data della stipula del contratto di appalto e per
porre rimedio ad un errore progettuale addebitabile esclusivamente a responsabilità
della medesima stazione appaltante.
Giova premettere che è fuor di dubbio la sussistenza, in astratto,
del potere di annullamento d’ufficio in autotutela dell’aggiudicazione,
pur se in epoca successiva alla stipulazione del contratto di appalto con
l’aggiudicatario e quando siano in corso i lavori da parte di questo.
L’errore del giudice di primo grado è, invece, quello di aver
desunto in via acriticamente automatica dalla astratta sussistenza del
predetto potere la correttezza del suo concreto esercizio; e di avere in
tal modo pretermesso di accertare se, nel caso di specie, sussistessero
in fatto e fossero stati correttamente esternati dalla motivazione dell’atto
impugnato sia un’interesse pubblico concreto ed attuale all’esercizio del
potere di autotutela, sia la sua prevalenza sul consolidato affidamento
dell’aggiudicatario alla conservazione degli effetti del provvedimento
di aggiudicazione.
Ritiene il Collegio che non ricorrono – né, comunque, sono stati
adeguatamente esternati dalla motivazione del provvedimento – i ricordati
presupposti per il corretto esercizio del potere di autotutela, avuto riguardo
alle specifiche peculiarità del caso di specie.
Infatti, né il provvedimento impugnato, né la sentenza
di primo grado hanno considerato adeguatamente: 1) il fatto che l’erroneità
dei termini quantitativi dell’offerta è dipesa esclusivamente da
un errore della stazione appaltante nella predisposizione (della seconda
colonna) del modulo denominato “lista delle categorie di lavoro e forniture
previste per l’esecuzione dell’appalto”, di cui all’art. 5 della legge
2 febbraio 1973, n. 14; 2) che l’errore è emerso solo dopo quasi
un anno e mezzo dalla consegna dei lavori e per effetto del loro stato
di avanzamento; 3) che, proprio perché si trattava di un “manifesto
errore che poteva essere facilmente riscontrabile sia dall’elaborato del
progetto, che dal c.s. d’appalto e dall’invito di gara”, esso bene avrebbe
potuto essere scoperto dalla stessa stazione appaltante, mediante l’impiego
della medesima diligenza richiesta all’appaltatore; 4) che, alla stregua
di quanto appena rilevato, è incongruo ammettere che la parte che
ha dato causa ad un errore in quantitate, senza peraltro rendersene conto
per un lungo lasso di tempo, possa limitarsi ad invocare presuntivamente,
a carico di controparte, la violazione del dovere di correttezza e buona
fede oggettiva, sub specie di omessa informazione e/o protezione del corretto
assetto del rapporto.
Alla stregua di una corretta valutazione dei ricordati elementi di
fatto, ed in assenza di una prova non meramente presuntiva della mala fede
soggettiva dell’appaltatore (che, per il provvedimento impugnato, avrebbe
agito “al fine di trarne certamente … un ingiusto ed oneroso vantaggio”),
l’Amministrazione non può limitarsi – come è invece accaduto
- ad affermare la sussistenza di un “interesse pubblico all’annullamento
della gara e [a] provvedere ad un nuovo esperimento”, senza dimostrare
che tale interesse sia concretamente prevalente rispetto alla tutela dell’ormai
consolidato e legittimo affidamento dell’aggiudicatario al mantenimento
degli effetti dell’aggiudicazione.
Poiché tale dimostrazione è del tutto assente nel provvedimento
impugnato, quest’ultimo risulta illegittimo e va perciò annullato.
2.3. – Per effetto della presente statuizione, è ripristinata
anche la conseguenziale efficacia del contratto di appalto che venne stipulato
in conseguenza della ricordata aggiudicazione.
Resta il fatto che tale contratto è affetto dalle conseguenze
del rilevato errore dell’Amministrazione nell’indicazione dei quantitativi
dei lavori indicati nella colonna due del ricordato modulo di cui all’art.
5, comma 2, lettera b), della legge n. 14/1973; il che si riscontra dalla
sua stessa lettura, stante che i prezzi unitari, moltiplicati per le misure
ivi indicati, danno un totale difforme, per difetto, rispetto al totale
che sarebbe risultato in caso di esatta indicazione dei quantitativi dei
lavori richiesti.
È tuttavia in sede di attuazione del rapporto contrattuale che
dovrà verificarsi se trattisi di error in quantitate che debba considerarsi
essenziale, ai sensi dell’art. 1429 del codice civile, ovvero passibile
di mera rettifica e conseguente manutenzione del rapporto.
Per questa ragione non v’è luogo, in questa sede ed allo stato,
a condanna al risarcimento di danni: né ai sensi dell’art. 1218
cod.civ., in caso di perdurante validità dell’appalto (ivi incluso,
in quest’ipotesi, il danno da fermo lavori); né dell’art. 1338 cod.civ.,
per il caso di suo annullamento (ove applicabile).
3. – In conclusione, l’appello va accolto in ordine alla domanda di
annullamento della determina del Direttore generale dello I.A.C.P. di Benevento
13.11.2000, n. 86, di cui alla narrativa in fatto che precede.
La domanda di risarcimento dei danni allo stato non può trovare
accoglimento, dato che l’annullamento dell’impugnato provvedimento che
aveva caducato l’aggiudicazione in favore di parte appellante implica la
perdurante vigenza del rapporto contrattuale di appalto e, con essa, l’assenza
di ogni danno che possa ascriversi alla sua illegittima caducazione (salvi
ovviamente restando l’esercizio degli ordinari rimedi contrattuali e delle
eventuali azioni di risarcimento del danno da inadempimento che possano
spettare alle parti in dipendenza del contratto d’appalto stipulato secondo
la predetta aggiudicazione).
Invero la pronuncia di annullamento recata dalla presente decisione
realizza, allo stato, il pieno reintegro della situazione giuridica di
parte appellante ed è pertanto integralmente satisfattiva per quest’ultima.
Il Collegio ravvisa la ricorrenza di giusti motivi per disporre l’integrale
compensazione delle spese del doppio grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione IV – accoglie l’appello
e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, annulla la determina
n. 86 del 13.11.2000 del Direttore generale dello I.A.C.P. di Benevento,
di cui in narrativa; nulla, allo stato, per i danni.
Spese del doppio grado del giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 18 e 20 dicembre 2001, dalla
Sezione Quarta del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunita
in camera di consiglio con l’intervento dei signori:
Gaetano Trotta - Presidente
Raffaele M. De Lipsis - Consigliere
Cesare Lamberti - Consigliere
Dedi Rulli - Consigliere
Ermanno de Francisco - Consigliere estensore.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
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