Consiglio di Stato, sez. V, Sent. 1 marzo 2003 n. 1145, sull’illegittimità
dell’esclusione di un’impresa da una gara di appalto giustificata dal solo
riferimento ad una sentenza di condanna nei confronti legale rappresentante
della società
FATTO
1. Con delibera consiliare n. 78 del 20 agosto 1998, il Comune di Massa
Lubrense indiceva una procedura di gara ristretta per la
scelta di uno o più partner privati ai fini della costituzione
di una società mista a prevalente capitale pubblico per la gestione,
su
base novennale, dei servizi di igiene ambientale (smaltimento dei rifiuti
solidi urbani – r.s.u.). Con la stessa delibera veniva
approvato l’avviso di gara, affidando al Sindaco la nomina dei componenti
della Commissione incaricata di valutare le offerte
pervenute.
Con successiva delibera di Giunta n. 657 del 2 novembre 1998 veniva
approvato lo schema di lettera di invito e si stabiliva di
invitare alla licitazione privata, per la costituzione della società
mista sopraindicata, le ditte di cui all’elenco allegato alla
delibera stessa.
Nella seduta del 9 febbraio 1999, come da verbale n. 2, la Commissione
giudicatrice disponeva l’esclusione dell’offerta della
ricorrente, in quanto dall’esame della documentazione di cui al punto
D2 della lettera di invito risultava a carico del legale
rappresentante della stessa, sig. Raffaelina Ciampa, una sentenza irrevocabile
di condanna, emessa dal Pretore di Pescara in
data 15 giugno 1997, per violazione dell’art. 27 del DPR 915/82, afferente
la materia oggetto dell’appalto.
Nella medesima seduta la Commissione disponeva, altresì, l’esclusione
di altre quattro offerte (per motivi diversi).
Nella riunione del 23 febbraio 1999, la Commissione valutava l’offerta
della società cooperativa CoopLat, unica rimasta in gara,
stante la previsione del bando che consentiva l’aggiudicazione anche
in presenza di un’unica offerta valida.
Con delibera di Giunta n. 158 del 26 febbraio 1999, il Comune di Massa
Lubrense prendeva atto dei verbali di gara e, seguendo
l’indicazione della Commissione giudicatrice, dava mandato al Sindaco
per prendere contatti con la società CoopLat ai fini della
definizione dei necessari accordi prima della formalizzazione della
costituzione della società mista, in modo anche da superare
alcuni rilievi e riserve formulati dalla stessa Commissione giudicatrice.
Con delibera n. 351 del 7 giugno 1999, l’Amministrazione comunale sceglieva
quindi definitivamente la menzionata cooperativa
quale partner privato per la costituzione della società mista,
avendo giudicato esaustive tutte le specificazioni, in merito ai
rilievi sollevati dalla Commissione esaminatrice, fatte pervenire dalla
CoopLat con nota del 25 maggio 1999, e dava anche atto
dell’effettuazione del servizio da parte della stessa ditta cooperativa,
nelle more del perfezionamento degli atti relativi alla
costituenda società mista.
2. I sopraindicati deliberati formavano oggetto delle impugnative proposte
dall’attuale appellante con i primi due ricorsi (nn.
4380/99 e 5669/99) avanzati dinanzi al TAR della Campania.
Con l’ultimo dei ricorsi proposti in prime cure (n. 10804/00) la ditta
Ciampa insorgeva, invece, contro l’affidamento diretto della
gestione del servizio in argomento, di raccolta e trasporto dei rifiuti
solidi urbani, alla neo-costituita società mista Terra delle
Sirene s.p.a.
3. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, il Tribunale amministrativo
napoletano, dopo aver disposto incombenti
istruttori, respingeva i tre gravami riuniti, giudicando, in particolare,
legittima l’esclusione dalla gara dell’odierna ricorrente,
alla stregua della diretta attinenza del reato contravvenzionale (di
cui all’art. 27 del DPR 915/82) commesso dal legale
rappresentante della ditta Ciampa alla specifica attività di
gestione dei rifiuti, e ritenendo comunque infondate le censure
relative all’inadeguata professionalità della Commissione di
gara, nonché quelle attinenti all’offerta CoopLat e quelle circa
l’affidamento diretto del servizio alla società mista Terra
delle Sirene s.p.a.
4. La Antonino Ciampa s.r.l. ha interposto l’appello in trattazione
avverso la prefata pronunzia, contestandone l’impianto
argomentativo sotto vari profili.
5. L’Amministrazione comunale intimata, la ditta scelta per entrare
a far parte, come partner privato, della nuova società mista,
nonché quest’ultima, in proprio, si sono tutte costituite in
giudizio per resistere all’appello, insistendo per il rigetto del gravame
alla luce anche della specificità del reato a suo tempo commesso
dal legale rappresentante della ditta appellante.
Le parti hanno depositato memoria.
Alla pubblica udienza del 7 gennaio 2003 il ricorso in appello è
stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello merita accoglimento, nei sensi appresso specificati.
2. Occorre dare conto, in via preliminare, prima di concentrare l’attenzione
sul corredo motivazionale del provvedimento di
esclusione della ditta ricorrente dalla procedura selettiva in questione
- finalizzata, come accennato in narrativa, alla scelta del
partner privato di minoranza della società per azioni a prevalente
capitale pubblico (comunale) per la gestione del servizio di
raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani - della censura dedotta
dalla ditta Ciampa, anche in questo grado di giudizio, in
ordine alla composizione, e non da ultimo alla adeguata professionalità,
della Commissione giudicatrice.
Il Giudice amministrativo di prime cure ha disatteso la doglianza, muovendo
dalla premessa che la disciplina relativa alle
procedure di appalto pubblico di servizi (d.lg. 157/95) – richiamata
nell’odierno caso di selezione del socio privato di minoranza
di una s.p.a. mista – nulla prevede, a differenza della disciplina
dei lavori pubblici, in merito alla composizione della
Commissione.
In mancanza di una previsione normativa cogente di dettaglio, varrebbero
comunque i principi generali desumibili dall’art. 97
Cost. (buon andamento, imparzialità) e dal Capo I della legge
241/90, nel senso che la composizione della Commissione
giudicatrice di cui si discute dovrebbe sempre assicurare un adeguato
livello di professionalità dei suoi componenti, ma
l’esercizio del potere discrezionale di scelta in capo alla stazione
appaltante, in ordine alla effettiva composizione della
Commissione, andrebbe valutato non in base a rigidi schemi precostituiti,
bensì secondo criteri elastici di logicità e
proporzionalità.
Nel caso di specie non emergerebbero, ad avviso dei primi Giudici, "elementi
di convincimento idonei a fondare la censura
sollevata da parte ricorrente in termini peraltro piuttosto generici".
3. In effetti, la procedura di nomina della Commissione di gara sembra
risultare immune dalle censure dedotte da parte
dell’appellante, nel senso che, nei limiti della sindacabilità
della questione da parte dell’attuale Giudice, il raggiungimento di un
livello complessivamente sufficiente di adeguatezza professionale non
pare revocabile in dubbio, non potendosi dimenticare, a
tacer d’altro, che la scelta è avvenuta, per la maggior parte
dei componenti, in base a sorteggio e, non da ultimo, in esito alla
richiesta – rivolta, rispettivamente, all’Ordine degli avvocati, all’Ordine
dei dottori commercialisti ed al Comune di Napoli - di
designazione di tre terne di nominativi di qualificati esperti della
materia.
Il motivo di censura, dedotto con il secondo mezzo di appello, non riveste
dunque apprezzabile pregio.
4. Venendo ora alla contestata esclusione dell’offerta dell’attuale
ricorrente, nella seduta del 9 febbraio 1999, come da verbale n.
2, la Commissione giudicatrice appositamente nominata disponeva, in
effetti, tale misura espulsiva in quanto dall’esame della
documentazione di cui al punto D2 della lettera di invito risultava
a carico del legale rappresentante della stessa, sig. Raffaelina
Ciampa, una sentenza irrevocabile di condanna, emessa dal Pretore di
Pescara in data 15 giugno 1997, per violazione dell’art. 27
del DPR 915/82, afferente la materia oggetto dell’appalto.
Il TAR, confermando il proprio avviso già espresso in sede cautelare,
si è schierato nel senso della legittimità dell’esclusione,
alla
stregua – in particolare – della diretta attinenza della richiamata
fattispecie contravvenzionale alla specifica attività di gestione
dei rifiuti (trattandosi dell’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione
per omessa comunicazione nei termini ivi stabiliti
del quantitativo, della natura e della destinazione finale dei rifiuti
trattati).
La valutazione discrezionale compiuta al riguardo dalla stazione appaltante
(nella motivazione di cui al predetto verbale la
Commissione esaminatrice accennava al profilo della diretta attinenza
del reato all’oggetto dell’attività da svolgersi da parte
della costituenda società) risultava quindi, sempre ad avviso
dell’Organo di prime cure, coerente e logica, e pertanto immune dai
vizi denunziati con il ricorso introduttivo, non risultando pertinenti,
in senso contrario, i rilievi della reclamante circa la natura
solo contravvenzionale del reato e l’asserita intervenuta abrogazione
del reato in argomento da parte del d.lg. 22/97 (non
potendosi in quest’ultimo caso ritenersi preclusa, per la sola depenalizzazione
del fatto-reato a suo tempo commesso, l’incidenza
negativa della subita condanna penale sul requisito generale di ordine
soggettivo dell’impresa, non irrazionalmente apprezzata
dalla stazione appaltante).
5. In realtà, le argomentazioni prospettate dalla parte attrice
sono degne di positiva considerazione.
E’ evidente che è controversa la possibilità di escludere
dalla partecipazione alle gare, ai sensi di legge, i concorrenti nei cui
confronti sia stata pronunziata una condanna, con sentenza passata
in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla loro moralità
professionale.
Orbene, la Sezione ha di recente messo in luce al riguardo, seppur precipuamente
in ordine a fattispecie relative ad appalti di
lavori pubblici, come nella sua ampiezza ed elasticità il concetto
di moralità professionale presupponga la realizzazione di un
reato pienamente idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione
coi principi deontologici della professione, tenendo
presente che la valutazione de qua non deve cristallizzarsi in criteri
astratti e automatici, dovendosi invece essa adattare alle
peculiarità del caso concreto, riferite tanto alle caratteristiche
dell’appalto, quanto al tipo di condanna ed alle concrete modalità
di commissione del reato (cfr. Cons. Stato, V, 18 ottobre 2001, n.
5517 e 25 novembre 2002, n. 6482).
Nella specie, la stazione appaltante, come può evincersi dalle
stringata formula assunta a verbale, non ha dato in alcun modo
conto della disamina di alcuni pur rilevanti connotati concreti della
fattispecie penale chiamata in causa, circa, a titolo di
esempio, la natura dei fatti addebitati, la natura contravvenzionale
del reato, l’irrogazione di una pena solo pecuniaria di certo
non particolarmente cospicua, le vicende relative al soggetto condannato,
non da ultimo la rilevanza concreta del precedente
penale sull’affidabilità del servizio del svolgere.
Ma non risulta accettabile, data doverosa attenzione alle peculiari
connotazioni della fattispecie in argomento, che l’esclusione
dalla gara si sia basata solamente su un freddo e semplice richiamo
del tipo di reato e della sua attinenza alla materia
dell’appalto, senza dunque dare adeguata contezza di aver proceduto
ad un prudente apprezzamento delle ragioni che, nel
concreto, precludevano l’eventuale affidamento del servizio in ragione
del "precedente penale" stesso.
L’esclusione della reclamante doveva conseguire ad un esercizio minimo
di autonoma valutazione del giudicato penale a carico e
non, automaticamente, alla sua mera esistenza e classificazione, come
risulta, invece, essere illegittimamente avvenuto alla
stregua del verbale delle operazioni della Commissione di gara n. 2
del 9 febbraio 1999.
I margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere
discrezionale dell’Amministrazione appaltante di valutare una
condanna penale ai fini dell’esclusione da una gara d’appalto, evidentemente
ampliati dal mancato rinvenimento nella normativa
vigente di parametri fissi e predeterminati ai quali attenersi ai fini
di detta valutazione (cfr., in tema, Cons. Stato, VI, 30
gennaio 1998, n. 125), non consentono comunque al pubblico committente
di prescindere dal dare contezza di aver effettuato la
suddetta disamina e dal rendere conoscibili gli elementi posti alla
base della eventuale definitiva determinazione espulsiva.
Diversamente opinando, soggetti come l’attuale appellante, ad esempio,
vedrebbero (in automatico) definitivamente precluso,
causa una pregressa infrazione formale non particolarmente grave, l’esercizio
di attività contrattuale con la Pubblica
amministrazione nel campo di eminente esplicazione della propria libera
iniziativa economica.
Tali argomentazioni non trovano smentita nel, pur non disconoscibile,
tecnicismo e nella oggettiva qualificazione sostanziale che
contraddistinguono le trasgressioni in materia di attività di
smaltimento dei rifiuti, per le quali sembrerebbe qualificante non la
gravità della sanzione ma la natura del reato sotto l’aspetto
sostanziale, volendosi evitare l’affidamento del servizio a coloro che
abbiano commesso reati (non necessariamente delitti) lesivi degli stessi
interessi collettivi che, in qualità di aggiudicatari,
sarebbero chiamati a tutelare (cfr. Cons. Stato, V, 27marzo 2000, n.
1770).
Anche tale affermazione di principio, pur condivisibile nella sostanza
e nelle finalità, non può essere, infatti, portata ad estreme
conseguenze, nella sua applicazione. Così, ancora una volta,
non si può sottacere che, nella fattispecie in argomento, la sentenza
del Pretore di Pescara, divenuta irrevocabile il 15 giugno 1997, ha
accertato ai danni della (allora) legale rappresentante della
ditta Ciampa la violazione meramente formale delle prescrizioni contenute
nell’autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti,
fattispecie contravvenzionale peraltro punibile con l’arresto sino
a tre mesi o con l’ammenda sino a £ 5.000.000, ma che nel caso
concreto, concesse le attenuanti generiche, è stata sanzionata
con una pena pecuniaria di appena £ 600.000 (a tal riguardo non
può incidere l’eventuale aggravamento della pena edittale che
si sarebbe avuto con l’introduzione del decreto Ronchi di cui al
d.lg. 22/97).
Anche in questo caso, in definitiva, pur dovendosi riconoscere la sussistenza
di un legame oggettivo tra fattispecie penale e
materia oggetto dell’appalto, non poteva accedersi ad una valutazione
di compromissione della moralità professionale della
società ricorrente postulata del tutto acriticamente (e immotivatamente)
dalla stazione appaltante, senza che cioè si desse
conto, nel dettaglio, della fattispecie punita, della sanzione irrogata
e dell’atteggiamento soggettivo colposo che, come minimo,
doveva aver contraddistinto la condotta realizzante la fattispecie
contravvenzionale (art. 42, ultimo comma, cod. pen.).
La censura, in definitiva, merita adesione e riveste portata assorbente.
6. Appurata l’illegittimità, nei termini sopra evidenziati, della
disposta esclusione della ditta Ciampa, ne viene come
conseguenza il travolgimento, per effetto caducante, di tutti i successivi
atti procedurali relativi all’individuazione del partner
privato ai fini della costituzione della società mista a prevalente
capitale pubblico locale di cui in premessa.
7. Per il resto l’impugnata decisione merita comunque conferma, con
riferimento, in particolare, alle ulteriori doglianze proposte
circa la mancata esclusione dalla procedura della CoopLat, non potendosi
contestare tra l’altro – anche alla luce degli atti di causa
– la serietà e la congruità economica dell’offerta della
medesima CoopLat, nonché la rispondenza, nei margini ammessi di
sindacabilità, del relativo progetto-offerta ai contenuti minimi
imposti dalla legge di gara.
8. Non è, infine, oggetto di specifica doglianza, in sede di
appello, il giudizio di infondatezza espresso dal Tribunale territoriale
in merito alla censura proposta con l’ultimo dei ricorsi esperiti dall’odierna
appellante in primo grado, relativamente
all’affidamento diretto del servizio alla neo-costituita società
mista Terra delle Sirene.
Il Tribunale di prima istanza, conformandosi ad un ben noto e saldo
orientamento giurisprudenziale, si è al riguardo limitato ad
affermare che è legittimo l’affidamento diretto del servizio
pubblico locale alla società mista a partecipazione pubblica
maggioritaria, appositamente creata ai sensi dell’articolo 22, lett.
e), della legge 142 del 1990 (ora art. 113 t.u. 267/00), quale
speciale forma di gestione di tale servizio, implicante logicamente
l’affidamento come atto esecutivo dello scopo stesso della
complessiva operazione (e della società ad hoc costituita).
9. Va, pertanto, formulato, in riforma della sentenza impugnata, un
responso di accoglimento relativamente alle doglianze
espresse in prime cure circa la legittimità della esclusione
disposta ai danni dell’appellante, con tutti gli effetti che ne
conseguono sulla procedura selettiva.
Le spese di lite, relative ad entrambi i gradi di giudizio, possono
essere, nondimeno, integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo
accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie
il ricorso di primo grado proposto dalla ricorrente avverso
l’esclusione dalla procedura selettiva.
Spese compensate tra le parti, con riferimento ad entrambi i gradi di
giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2003, dal Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con
l’intervento dei seguenti Magistrati:
Alfonso Quaranta Presidente
Raffaele Carboni Consigliere
Giuseppe Farina Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Gerardo Mastrandrea Consigliere est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Gerardo Mastrandrea F.to Alfonso Quaranta
Depositata in segreteria in data 1 marzo 2003.
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