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Giurisprudenza
- Appalti
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Ai sensi dell’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 9 ottobre 2002 n. 231, le associazioni di categoria degli imprenditori (nella fattispecie Assobiomedica), è legittimata ad esperire davanti al giudice amministativo, in sede di giuridzione esclusiva,un’azione inibitoria, per ottenere una pronuncia con cui si ordina all’Amministrazione la cessazione del suo comportamento illegittimo e l’astensione da esso per il futuro, ovvero, se non è già in atto una condotta abusiva, la si inibisce in via preventiva. Il decreto
legislativo 9 ottobre
2002, n. 231, è espressione dei principi fissati nella direttiva
comunitaria
2000/35/CE, finalizzata a contenere entro limiti ragionevoli - in
chiave di
tutela del regolare svolgimento delle operazioni di mercato - il
fenomeno dei
ritardi nel pagamento delle obbligazioni. Le relative disposizioni
nazionali
trovano attuazione ad ogni pagamento previsto a titolo di corrispettivo
in una
transazione commerciale, senza alcuna particolare limitazione di
carattere
soggettivo e quindi anche per contratti di cui è parte una
Pubblica
Amministrazione (art. 2 del d.lgs. n. 231/02: “i contratti,
comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e
pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o
prevalente, la
consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di
un prezzo”). Va,
conseguentemente, disposta l’inibitoria
nei confronti dell’amministrazione, affinchè non adotti
clausole che,
condizionando la partecipazione alla gara, impongano termini di
pagamento a
150 giorni dalla fattura, decorrenti “dalla data risultante dal timbro
di
ricezione della fattura apposto dall’A.S.L. e che il pagamento si
consideri
effettuato nella data di emissione del mandato di pagamento”, con tassi
di
interesse per il ritardato pagamento pari al tasso ufficiale di
riferimento
(TUR), aumentato di soli 0,25 punti, in quanto le stesse si porrebbero
in
contrasto con i principi contenuti nella direttiva 29 giugno 2000, n.
2000/35/CE (“Lotta contro i ritardi di pagamento delle transazioni
commerciali”), tra cui l’automatica decorrenza degli interessi alla
scadenza
del termine legale di pagamento, individuabile in giorni 30 dal
ricevimento
della fattura (art. 4, comma 2, lettere a, b, c) e la determinazione
del saggio
di mora con riferimento “al saggio d’interesse del principale strumento
di
rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua
più recente
operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di
calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti
percentuali”
(art. 5, comma 1). T.A.R.
per il Piemonte, sent. n. 3292 del 26 ottobre 2007, sulla
legittimazione dell'associazione di categoria ad ottenere l'inibitoria
davanti al T.A.R. una inibitoria per clausole del bando di gara
che prevedono condizioni inique di pagamento ai sensi del decreto
legislativo 9 ottobre
2002, n. 231 che disciplina i i ritardi di pagamento delle transazioni
commerciali SENTENZA sul ricorso n. 1553/2006 proposto da ASSOBIOMEDICA, con sede
legale in
Milano, via Giovanni da Procida n. contro l’Azienda Sanitaria Locale 14 di Omegna,
in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. prof.
Paolo
Scaparone e dall’avv. Cinzia Picco ed elettivamente domiciliata presso
lo
studio dei medesimi in Torino, via San Francesco d’Assisi n. 14, per
l’accertamento della
grave iniquità, ai sensi dell’art. 7 delle condizioni generali
concernenti la
data del pagamento o le conseguenze del relativo ritardo finora
utilizzate dall’amministrazione
resistente e, conseguentemente, per inibirne l’uso, nonché
per l’adozione delle
misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle
violazioni
accertate e, conseguentemente, ordinare la pubblicazione del
provvedimento su
uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei
casi in cui la
pubblicità del provvedimento possa contribuire a correggere o
eliminare gli
effetti delle violazioni accertate. Con
richiesta di misure cautelari; Visto
il ricorso e la relativa documentazione; Visti
gli atti di motivi aggiunti e i documenti con essi depositati; Visti
gli atti di costituzione in
giudizio dell’amministrazione intimata e dei controinteressati; Relatore
alla udienza pubblica dell’11 aprile 2007 il referendario Giorgio Manca
e uditi
l’avv. Della Valle per la società ricorrente e l’avv. Scaparone
per l’amministrazione
intimata; Ritenuto
e considerato
in fatto e in diritto quanto segue. FATTO 1.- La ricorrente ASSOBIOMEDICA,
associazione nazionale di categoria
delle imprese operanti nel settore dei prodotti delle tecnologie
biomediche e
diagnostiche, espone di aver ricevuto numerose segnalazioni da parte
delle
imprese associate, relative al comportamento illegittimo tenuto
dall’Azienda
Sanitaria intimata, in sede di contrattazione privata per la fornitura
di beni
e servizi del settore biomedico e genetico, come si evincerebbe dagli
atti di
diverse gare già svolte, aggiungendo, da un lato, che le imprese
associate
hanno manifestato il totale disappunto per la previsione di clausole
fortemente
inique a danno della fornitrice e, dall’altro, che, in particolare
l’Azienda
convenuta pretende di concludere contratti di fornitura di prodotti e
servizi in
cui è previsto un termine di pagamento a 150 giorni dalla
fattura. Inoltre l’Azienda
imporrebbe, anche, che il termine di pagamento debba decorrere “dalla
data
risultante dal timbro di ricezione della fattura apposto dall’A.S.L. e
che il
pagamento si consideri effettuato nella data di emissione del mandato
di
pagamento” ed intenderebbe concludere contratti che prevedano un tasso
di
interesse, per ritardato pagamento, pari al tasso ufficiale di
riferimento
(TUR) aumentato di soli 0,25 punti. Poiché
queste condizioni
contrattuali realizzerebbero un abuso della posizione contrattuale
dell’amministrazione
intimata ai danni delle società fornitrici, l’associazione
ricorrente chiede l’accertamento,
in epigrafe indicato, e l’adozione delle misure idonee a correggere o
eliminare
gli effetti dannosi delle violazioni accertate e, conseguentemente,
ordinare la
pubblicazione della sentenza su uno o più quotidiani, nazionali
o locali. Espone,
infine, di aver proposto
la medesima azione davanti al Tribunale di Verbania in composizione
monocratica
che, con sentenza n. 406/2006, ha declinato la giurisdizione in favore
del
giudice amministrativo. 2.- Con il ricorso in epigrafe, a sostegno
delle domande deduce i seguenti
motivi: 1° Violazione di legge ed eccesso di
potere per
abuso di posizione dominante e lesione della libertà negoziale. 2° Eccesso di potere per violazione
dell’art.
50, comma 8, legge n. 833/1978 e dell’art. 7 D.Lgs. n. 231/2002 nella
parte in
cui non si è tenuto conto della prassi commerciale. 3° Eccesso di potere per violazione
dell’art. 5
D.Lgs. n. 231/2002: iniquità della clausola relativa al tasso di
interesse. 3.- Con atto, depositato il 4 gennaio 2007,
si è costituita in
giudizio l’A.S.L. n. 14 di Omegna, la quale, con la memoria, depositata
il 31
marzo 2007, eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo,
osservando che la normativa contenuta nel D.Lgs. n. 231 del 2002
presuppone l’esistenza
di un rapporto contrattuale, e anche l’azione collettiva prevista
dall’art. 8
del citato D.Lgs. è diretta a inibire l’uso di condizioni
generali di contratto
gravemente inique, applicabili esclusivamente nella fase successiva
alla gara,
della stipulazione ed esecuzione del contratto con la pubblica
amministrazione.
Da ciò la conclusione che la giurisdizione sulla controversia in
oggetto spetti
al giudice civile. Inoltre, l’azione proposta sarebbe inammissibile in
quanto
il ricorso non ha per oggetto l’impugnativa di alcun atto
amministrativo
specifico ed attuale. Infine, si precisa che il ricorso in epigrafe non
rientrerebbe neanche nella giurisdizione esclusiva prevista dall’art. 6
della
legge 21 luglio 2000, n. 205, poiché tale giurisdizione riguarda
le sole
procedure di affidamento di contratti pubblici e non si estende alle
controversie sulla esecuzione del contratto. Solleva
inoltre altre tre
eccezioni di rito. Con la prima, sulla premessa che nel presente
giudizio si
applichi l’art. 23 bis della legge n. 1034/1971, chiede che il ricorso
sia
dichiarato improcedibile poiché depositato oltre il termine
dimidiato, di
quindici giorni dall’ultima notifica. Con la seconda eccepisce il
difetto di
interesse a ricorrere in capo all’associazione ricorrente, per la
ragione che
il ricorso non propone alcuna censura in relazione alla fase del
procedimento
di selezione del contraente e quindi non ricaverebbe alcuna
utilità pratica
dall’ipotetico suo accoglimento. Infine, con la terza contesta la
legittimazione ad agire della ricorrente, poiché l’Assobiomedica
non ha
dimostrato di possedere il requisito cui l’art. 8, comma 1, del D.Lgs.
n.
231/2002, subordina l’esperibilità dell’azione inibitoria
collettiva, cioè
essere tra le «associazioni
di categoria degli imprenditori
presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL)». 4.- All’udienza
pubblica dell’11 aprile 2007 il ricorso è stato trattenuto in
decisione. DIRITTO 1.- Deve essere esaminata, in via
preliminare, l’eccezione del difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata
dall’amministrazione
resistente. 1.1.- L’eccezione non può essere
accolta. Secondo
principi consolidati in materia di riparto, al fine di stabilire
se la controversia rientri nella giurisdizione amministrativa occorre,
in primo
luogo, verificare la natura della situazione giuridica azionata; ed
eventualmente, qualora si accerti che si tratta di diritto soggettivo,
appurare
se la controversia sia ascrivibile ad uno dei casi in cui il giudice
amministrativo esercita la giurisdizione esclusiva. L’art.
8, comma 1, del
decreto legislativo 9 ottobre 2002 n. 231, dispone che «Le
associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), prevalentemente in
rappresentanza
delle piccole e medie imprese di tutti i settori produttivi e degli
artigiani,
sono legittimate ad agire, a tutela degli interessi collettivi,
richiedendo al
giudice competente: a) di
accertare la grave iniquità, ai sensi dell’articolo 7, delle
condizioni
generali concernenti la data del pagamento o le conseguenze del
relativo
ritardo e di inibirne l’uso; b) di
adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi
delle
violazioni accertate; c) di
ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più
quotidiani a
diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità
del
provvedimento possa contribuire a correggere o eliminare gli effetti
delle
violazioni accertate». La disposizione
attribuisce, a
tutela degli interessi collettivi, la legittimazione ad agire alle
associazioni
di categoria degli imprenditori, per ottenere dal giudice i
provvedimenti di
cui alle tre lettere contenute nella stessa disposizione. In
particolare, dalla
lettura del punto a) del comma 1, emerge la facoltà delle
associazioni di
esperire un’azione inibitoria, che porta, in caso di accoglimento della
domanda, alla pronuncia di una sentenza con cui si ordina al
soccombente la
cessazione del suo comportamento illegittimo e l’astensione da esso per
il
futuro, ovvero, se non è già in atto una condotta
abusiva, la si inibisce in
via preventiva. Nel caso di specie, si dovrebbe ordinare
all’amministrazione
intimata di astenersi dall’includere, nei propri bandi di gara o nei
propri
capitolati speciali, quelle condizioni ritenute gravemente inique. L’art. 8 cit. riconoscendo
espressamente la legittimazione ad agire delle associazioni di
categoria
risolve il problema di come garantire la tutela giurisdizionale a
interessi
c.d. adespoti, cioè interessi che non hanno altrimenti un
titolare, non essendo
riconducibili alla sfera giuridica di un soggetto dell’ordinamento. La
legge in
tal modo crea un meccanismo per cui, attraverso il riconoscimento
dell’azione,
l’interesse di categoria viene ricollegato ad un centro di riferimento
di tali
interessi rappresentato dall’ente esponenziale, che ne diventa
titolare. L’oggetto
della situazione giuridica tutelata è ricavabile dallo stesso
art. 8 cit., ed è
costituito dal diritto dell’associazione degli imprenditori a impedire
che
siano predisposte e utilizzate condizioni generali di contratto da
reputare,
sulla scorta dei criteri scolpiti dall’art. 7 del D.Lgs. n. 231/2002,
gravemente inique. Che si tratti di diritto soggettivo, e non di
interesse
legittimo, emerge non solo dalla lettera della legge che, come detto,
appare incentrata
sul problema del riconoscimento di tutela ad interessi collettivi, ma
anche dal
rilievo che nessun potere amministrativo, che possa incidere sulla
situazione
giuridica tutelata, è presente sia nella disciplina specifica
dettata dall’art.
8 cit., sia nella generale disciplina della materia dei ritardi di
pagamento
nelle transazioni commerciali regolata dal decreto legislativo n. 231
del 2002. Deve essere chiarito, a
questo
proposito, che con ciò non si intende fare riferimento ai poteri
amministrativi
che le amministrazioni pubbliche esercitano nell’ambito dei
procedimenti di
affidamento di contratti pubblici, in particolare nella predisposizione
dei
capitolati speciali d’appalto o di qualunque altra regola che
disciplini il
rapporto contrattuale con l’aggiudicatario. L’esercizio di tali poteri,
infatti, se si traduce nella violazione delle norme che ci occupano,
può e deve
essere censurato attraverso l’impugnazione degli atti del relativo
procedimento
di gara; e la situazione giuridica tutelata è, pacificamente, in
tali casi, di
interesse legittimo. Con l’azione inibitoria
può
essere chiesta al giudice, da un lato, la cessazione degli effetti
lesivi di
atti o di comportamenti posti in essere dalla parte convenuta;
dall’altro lato,
che sia sancita la proibizione a che tali atti o comportamenti siano
replicati
in futuro. Così è anche per l’azione riconosciuta
dall’art. 8 cit., come
accennato dianzi. Ma quando l’azione inibitoria, come nel caso di
specie, si
presenta sganciata dalla specifica impugnazione di atti amministrativi,
e
quindi al di fuori di ipotesi di esercizio di poteri amministrativi,
essa
svolge la funzione di tutela del diritto soggettivo riconosciuto alle
associazioni di categoria dall’art. 8 (cioè del diritto al non
uso di
condizioni generali di contratto inique). Ne deriva come conseguenza
che
la controversia, non riguardando la tutela di interessi legittimi, non
rientra
nella giurisdizione amministrativa generale di legittimità. 3.-
E’ da verificare, allora, muovendo dalla
premessa acquisita (che, cioè, si tratti di domanda giudiziale
diretta a porre
rimedio alla lesione di un diritto soggettivo), se la controversia
rientri
nella giurisdizione esclusiva definita dagli articoli 6 e 7 della legge
21
luglio 2000, n. 205. Osserva la difesa
dell’amministrazione
intimata che l’art. 6 cit. riguarda esclusivamente la fase del
procedimento di
scelta del contraente e, in questo ambito, si radica, secondo la
disciplina del
giudizio amministrativo, solo mediante l’impugnazione di atti di tali
procedimenti
(che, come rilevato più volte, nel caso concreto manca). Tuttavia, la questione deve
essere affrontata alla luce dell’art. 7 della legge n. 205/2000, che ha
sostituito l’art. 33 del D.Lgs. n. 80 del 1998, ed ha definito la
giurisdizione
esclusiva con riguardo a «tutte le
controversie in materia di pubblici servizi» (comma 1), e in
particolare a
quelle «aventi ad oggetto le
procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi
e
forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle
norme
comunitarie o della normativa nazionale o regionale» (comma
2, lettera d),
dell’art. 33 cit.). Nel caso in esame non è dubbio che
l’eventuale accoglimento
della domanda comporti l’ordine, rivolto all’amministrazione intimata,
di non
inserire le clausole contrattuali inique negli atti di gara relativi
all’aggiudicazione
dei contratti di sua pertinenza, condizionando e limitando, pertanto,
l’ambito
delle scelte discrezionali dell’amministrazione appaltante nella fase
della
predisposizione del regolamento contrattuale, elemento fondamentale
della
procedura di evidenza pubblica sia perché sui suoi contenuti i
concorrenti
modulano le offerte, sia perché costituisce lo schema per il
contratto da
stipulare con l’aggiudicatario. L’azione inibitoria rivela quindi un
contenuto
di tutela che incide sulle (future) procedure di affidamento indette
dall’A.S.L.
convenuta. Occorre a questo punto
stabilire se ricorra l’ulteriore condizione indicata dall’art. 33 cit.,
ossia
che si tratti di procedure di gara finalizzate allo svolgimento e alla
erogazione di un servizio pubblico. La risposta al quesito non
può che essere
positiva, non essendo revocabile in dubbio che il servizio sanitario
nazionale,
di cui le aziende sanitarie locali sono i principali soggetti
istituzionali,
sia da qualificare servizio pubblico (basti, in tal senso, il richiamo
alla
lettera e) del medesimo art. 33, comma 2, come sostituito dall’art. 7
della
legge n. 205/2000). 4.-
Non influiscono sulla soluzione accolta le
statuizioni ricavabili dalle note sentenze della Corte Costituzionale
n. 204
del 2004 e n. 191 del 2006, sia per la ragione che la materia dei
servizi
pubblici non è stata interessata dalla scrittura della norma
dell’art. 33 cit.,
sia perché – come più volte si è messo in evidenza
– la controversia in esame
si qualifica per il collegamento con i poteri amministrativi in materia
contrattuale spettanti all’amministrazione resistente. 5.-
Non sembra condivisibile, in questa
prospettiva, neanche l’obiezione sollevata dalla difesa
dell’amministrazione
basata sulla circostanza che il ricorso non ha per oggetto
l’impugnazione di
atti o provvedimenti relativi a procedimenti in corso. Nell’ambito
della
giurisdizione esclusiva, quando la situazione giuridica tutelata
è costituita
dal diritto soggettivo, l’azione è proponibile davanti al
giudice
amministrativo indipendentemente dalla impugnazione di un provvedimento
amministrativo di cui si predichi la lesività, e il suo
contenuto di tutela può
essere rappresentato dall’accertamento e dalla dichiarazione della
avvenuta
lesione del diritto e/o dalla condanna dell’amministrazione convenuta. 6.-
Da considerare infine che l’art. 140 del
Codice del consumo, emanato con decreto legislativo 6 settembre 2005,
n. 206,
che si occupa di tipologie di azione inibitoria del tutto simili a
quella
prevista dall’art. 8 del D.Lgs. 231/2002 espressamente fa salva la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di
servizi
pubblici, non escludendo pertanto la possibilità che tali azioni
siano esperite
davanti al g.a., ove ne ricorrano le condizioni. 7.-
Ma la conclusione cui si è appena giunti non
è ancora sufficiente per poter ritenere ammissibile l’azione
introdotta con il
ricorso in epigrafe. L’azione inibitoria, come detto, può
comportare (e nel caso
di specie sicuramente, se accolta, comporterebbe) la imposizione
all’amministrazione
di una regola di comportamento cui attenersi nella futura azione
amministrativa. Sul punto va subito sgombrato il terreno da una
possibile
obiezione, tanto suggestiva quanto infondata. Si potrebbe infatti
argomentare
che l’azione inibitoria si traduce in un’azione di adempimento (o di
condanna
ad un facere specifico) nei confronti
della p.a. azione che finirebbe con incidere nell’esercizio di poteri
prettamente discrezionali, quali quelli di cui l’amministrazione
è titolare,
nella sua funzione di stazione appaltante, al fine di conseguire il
soddisfacimento dei bisogni dell’amministrazione, in relazione agli
interessi
pubblici che ha in cura. L’azione inibitoria dunque, in questa
prospettiva,
sarebbe inammissibile anche se inserita nella giurisdizione esclusiva,
poiché
tale giurisdizione trasfigurerebbe in giurisdizione di merito (in
materie in
cui la legge non la prevede). Tuttavia, una soluzione del
tipo di quella prospettata trascurerebbe un punto fondamentale, che
attiene al
concetto stesso di discrezionalità amministrativa. Il potere
discrezionale
opera in uno spazio libero da norme e, nell’ambito di questo, consente
la
scelta tra le diverse soluzioni possibili, in relazione all’interesse
pubblico
tutelato e agli altri interessi pubblici e privati secondari presenti
nella
concreta vicenda amministrativa. Il che significa che esso è,
per definizione,
limitato dalla presenza di norme che escludono la legittimità di
una determinata
scelta, ipotesi che nel caso di specie ricorre per effetto delle norme
che,
anche nei confronti della pubblica amministrazione, disciplinano le
condizioni
delle transazioni commerciali, con la conseguenza che il comportamento
imposto
alla p.a. riguarderebbe aspetti vincolati dell’attività
amministrativa, in
quanto interamente regolati da norme. 8.-
Il ricorso in epigrafe appartiene, dunque,
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi
dell’art. 33
del d.lgs. n. 80/1998 (sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del
2000). Si pone allora il problema
se
al presente giudizio si applichi l’art. 23 bis della legge n. 1034 del
1971,
come invocato dall’amministrazione intimata, con la conseguente regola
del
dimezzamento dei termini processuali, salvo quelli per la proposizione
del
ricorso. La difesa dell’amministrazione rileva, infatti, che il
deposito del
ricorso è avvenuto oltre il termine (dimezzato rispetto a quello
ordinario) di
quindici giorni dall’ultima notifica. Per cui il ricorso sarebbe
improcedibile. L’art. 23 bis cit. non
è
tuttavia applicabile al presente giudizio. Come recentemente ha
chiarito l’Adunanza
Plenaria (Cons. Stato, 30 luglio 2007, n. 9), aderendo ad un filone
giurisprudenziale che era già pervenuto alle medesime
conclusioni (Cons. Stato,
sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194), l’ambito di applicazione dell’art. 23 bis l. Tar
deve essere individuato sulla scorta di una stretta interpretazione
letterale
delle sue disposizioni, imposta dalle conseguenze che derivano,
sull’ordinario
svolgimento del processo, dalle regole speciali dettate dall’art. 23
bis cit.,
anche alla luce delle evidenti implicazioni sul diritto di difesa di
cui all’art.
24 Cost.. In specie, per quel che interessa il presente giudizio, dalla
norma
che dimezza il termine di deposito del ricorso. Inoltre, la norma
processuale
richiamata «trova la sua ragione d’essere
nell’esigenza che i giudizi in talune materie di particolare interesse,
strategico o finanziario, dello Stato e delle comunità vengano
definiti con
sollecitudine e con priorità rispetto alle generalità
delle controversie». Applicando tali principi alla fattispecie
in
esame, occorre in primo luogo rilevare che la lettera dell’art. 23 bis
cit.
considera esclusivamente i giudizi introdotti da ricorsi «aventi
ad oggetto … i provvedimenti relativi alle procedure di
aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi …»
(lettera c)). Con il ricorso in epigrafe, come
più volte osservato, non si propone, invece, l’impugnazione di
provvedimenti ma
si chiede la tutela di un diritto soggettivo. In secondo luogo, e
conseguentemente, poiché la domanda giudiziale in esame non
concerne atti di
procedimenti contrattuali in corso, neppure ricorre la ratio
acceleratoria dei
giudizi sottesa allo speciale regime processuale previsto dall’art. 23
bis. 9.- Anche
le altre eccezioni di rito proposte
dall’amministrazione resistente sono infondate: - quanto all’asserito difetto
di interesse a ricorrere in capo all’associazione ricorrente, per la
ragione
che il ricorso non propone alcuna censura in relazione alla fase del
procedimento di selezione del contraente, basti ribadire che il ricorso
non è
diretto ad ottenere l’annullamento di provvedimenti ma a tutelare gli
interessi
collettivi riconosciuti in capo all’associazione ricorrente per effetto
dell’art.
8 del d.lgs. n. 231 del 2002; - quanto al difetto di
legittimazione ad agire della ricorrente,
l’Assobiomedica ha dimostrato la sua adesione a Confindustria, che
è
sicuramente tra le associazioni di imprenditori rappresentate in seno
al
C.N.E.L., come richiesto dalla legge per la proposizione dell’azione
inibitoria
collettiva. 10.- Passando al
merito del ricorso, considerato che
il secondo motivo è prospettato dall’associazione ricorrente in
via meramente
subordinata, il Collegio ritiene di dover iniziare dall’esame congiunto
del
primo e del terzo. Sostiene
la ricorrente - con tali motivi - che la prassi
ripetuta in diverse gare indette dall’A.S.L. n. 14 di Omegna, di
prevedere
clausole che impongono termini di pagamento a 150 giorni dalla fattura,
decorrenti “dalla data risultante dal timbro di ricezione della fattura
apposto
dall’A.S.L. e che il pagamento si consideri effettuato nella data di
emissione
del mandato di pagamento”, con tassi di interesse per il ritardato
pagamento
pari al tasso ufficiale di riferimento (TUR), aumentato di soli 0,25
punti, si
porrebbe in contrasto con i principi contenuti nella direttiva 29
giugno 2000,
n. 2000/35/CE (“Lotta contro i ritardi di pagamento delle transazioni
commerciali”), tra cui l’automatica decorrenza degli interessi alla
scadenza
del termine legale di pagamento, individuabile in giorni 30 dal
ricevimento
della fattura (art. 4, comma 2, lettere a, b, c) e la determinazione
del saggio
di mora con riferimento “al saggio d’interesse del principale strumento
di
rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua
più recente
operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di
calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti
percentuali” (art.
5, comma 1). Tali
previsioni normative, interamente recepite dall’ordinamento
nazionale in virtù del decreto legislativo 231/2002, sarebbero
state derogate
illegittimamente dalla stazione appaltante, che avrebbe imposto - quale
condizione di partecipazione alla gara - clausole recanti condizioni di
pagamento ad essa molto più favorevoli, con violazione di quanto
espressamente
disposto dall’art. 4, comma 4, e 5, comma 1, del decreto legislativo
231/2002,
con abuso di posizione dominante e lesione della libertà
contrattuale in danno
dei fornitori. I motivi sono fondati. È
opportuno premettere che il decreto legislativo 9
ottobre 2002, n. 231, è espressione dei principi fissati nella
direttiva
comunitaria 2000/35/CE, finalizzata a contenere entro limiti
ragionevoli - in
chiave di tutela del regolare svolgimento delle operazioni di mercato -
il
fenomeno dei ritardi nel pagamento delle obbligazioni. Le relative
disposizioni
nazionali trovano attuazione ad ogni pagamento previsto a titolo di
corrispettivo in una transazione commerciale, senza alcuna particolare
limitazione di carattere soggettivo e quindi anche per contratti di cui
è parte
una Pubblica Amministrazione (art. 2 del d.lgs. n. 231/02: “i
contratti, comunque denominati, tra
imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano,
in via
esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di
servizi,
contro il pagamento di un prezzo”). Quanto
agli effetti della richiamata disciplina
normativa, essa ha carattere cogente, salva la possibilità di
diverso accordo
tra le parti nei limiti di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 231/02, ove si
prevede
la nullità dell’accordo derogatorio quando “avuto
riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o
dei
servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti e ai
rapporti
commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza,
risulti
gravemente iniquo in danno del creditore”, il che si riscontra in
relazione
a pattuizioni che “senza essere
giustificate da ragioni obiettive” abbiano “come
obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità
aggiuntiva a spese del creditore”. Con l’ulteriore precisazione
che, per
poter parlare di accordo tra le parti, è necessario che la
formazione della
volontà contrattuale sia libera per entrambi i contraenti, il
che deve
escludersi ove le clausole peggiorative, oltre che essere state
unilateralmente
predisposte da una delle parti, siano state imposte all’altra quali
condizioni
di partecipazione alla gara. Proprio quest’ultima è la
situazione riscontrabile
nella fattispecie in quanto l’Azienda resistente ha preteso che le
imprese
interessate a partecipare alla gara sottoscrivessero, a pena di
esclusione, l’impegno
a ricomprendere, tra le pattuizioni del contratto da stipulare
all’esito
eventualmente favorevole della gara, clausole fortemente peggiorative
rispetto
alla disciplina legale inerente le condizioni di pagamento della
fornitura, con
la conseguente grave iniquità
del contenuto delle disposizioni sui termini di pagamento e sul tasso
di
interesse per il ritardato pagamento, previste dall’A.S.L. n. 14 di
Omegna
nelle procedure di gara. Per quanto
sopra, da un lato si deve accertare la detta grave iniquità e,
dall’altro, si
deve pronunciare l’inibitoria del loro uso in futuro. 11.- Quanto,
invece, alle due richieste, concernenti,
rispettivamente, l’adozione di misure idonee a correggere o a eliminare
gli
effetti dannosi delle violazioni accertate e l’ordine della
pubblicazione della
presente sentenza su uno o più quotidiani, nazionali o locali,
deve rilevarsi
che l’associazione ricorrente non ha fornito alcun elemento probatorio,
in
ordine ai menzionati effetti dannosi, direttamente ricollegabili alle
violazioni delle norme del d.lgs. n. 231/2002, imputate
all’amministrazione intimata,
per cui tali richieste non possono essere accolte. 12.- Considerata
la novità delle questioni
affrontate, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale
compensazione tra
le parti delle spese del presente giudizio. Per
Questi Motivi Il Tribunale
Amministrativo per il Piemonte,
Seconda Sezione, pronunciandosi sul ricorso in epigrafe: a) lo accoglie, relativamente alla
prima
richiesta e, per l’effetto: - accerta
la grave iniquità delle clausole contrattuali concernenti
i termini di pagamento e il tasso di interesse sui ritardati pagamenti,
predisposte dall’A.S.L. n. 14 di Omegna; - inibisce
alla A.S.L. n. 14 di Omegna di farne uso; b) lo rigetta, relativamente alle
altre due
richieste, in motivazione indicate. Compensa
tra le parti le
spese del giudizio. Ordina che la presente
sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così
deciso in Torino, nella camera di consiglio
dell’11 aprile 2007, con l’intervento dei magistrati: Giuseppe
Calvo
Presidente Ivo
Correale
Referendario Giorgio
Manca
Referendario,
estensore Il
Presidente
L’Estensore Il Direttore
Segreteria II Sezione
Depositata
in Segreteria a sensi di
Legge
il 26 ottobre 2007
Il
Direttore Segreteria II Sezione
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