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Giurisprudenza
- Appalti
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Corte
Costituzionale,
sent. n. 401 del 23 novembre 2007, il codice dei contratti e le
competenze
regionali REPUBBLICA
ITALIANA IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO LA
CORTE COSTITUZIONALE composta
dai signori: - Franco
BILE
Presidente - Giovanni Maria
FLICK Giudice - Francesco
AMIRANTE
” - Ugo
DE
SIERVO ” - Paolo
MADDALENA
” - Alfio
FINOCCHIARO
” - Alfonso
QUARANTA
” - Franco
GALLO
” - Luigi
MAZZELLA
” - Gaetano
SILVESTRI
” - Sabino
CASSESE
” - Maria Rita
SAULLE
” - Giuseppe
TESAURO
” - Paolo Maria
NAPOLITANO
” ha
pronunciato
la seguente SENTENZA nei
giudizi di
legittimità costituzionale degli articoli 4, commi 2 e 3; 5; 6,
comma 9,
lettera a); 7, comma 8; 10, comma 1;
11, comma 4; 48; 53, comma 1; 54, comma 4; 55, comma 6; 56; 57; 62,
commi 1, 2,
4, 7; 70; 71; 72; 75; 81; 82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2
(e
disposizioni di cui alla Parte II, Titolo I e Titolo II, cui si
rinvia); 93;
98, comma 2; 112, comma 5, lettera b);
113; 118, comma 2; 120, comma 2; 121, comma 1;122, commi da 1 a 7; 123;
124,
commi 2, 5 e 6; 125, commi 5, 6, 7, 8, 14; 130, comma 2, lettera c); 131; 132; 141; 153; 197; 204; 205;
240, commi 9 e 10; 252, commi 3 e 6; 253, commi 3, 10, 11 e 22, lettera
a), e 257, comma 3, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana e Veneto, della
Provincia autonoma di Trento e delle Regioni Piemonte, Lazio e Abruzzo
notificati il 4 luglio e il 30 giugno 2006, depositati in cancelleria
il 5, il
6, il 7 e il 10 luglio 2006 ed iscritti ai numeri 84, 85, 86, 88, 89 e
90 del
registro ricorsi 2006. Visti gli
atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri; udito nell'udienza
pubblica del 23 ottobre 2007 il Giudice relatore
Alfonso Quaranta; uditi gli
avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana, Luigi Manzi e
Vittorio Domenichelli per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon e
Luigi Manzi
per la Provincia autonoma di Trento, Emiliano Amato e Anita Ciavarra
per la
Regione Piemonte, Vincenzo Cerulli Irelli per la Regione Lazio, Sandro
Pasquali
e Vincenzo Cerulli Irelli per la Regione Abruzzo e l'avvocato dello
Stato
Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto
in fatto 1.— Con ricorso notificato il 30
giugno
2006 e depositato il successivo 6 luglio (ricorso n. 85 del 2006), la
Regione
Veneto ha impugnato gli artt. 4, commi 2 e 3; 5, commi 1, 2, 4, 7, e 9;
6,
comma 9, lettera a); 7, comma 8; 10,
comma 1; 11, comma 4; 53, comma 1; 54, comma 4; 55, comma 6; 56; 57;
62, commi
1, 2, 4 e 7; 70; 71; 72; 75; 81; 82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 91, commi
1 e 2 (e
disposizioni di cui alla Parte II, Titolo I e Titolo II, cui si
rinvia); 93;
98, comma 2; 112, comma 5, lettera b);
113; 118, comma 2; 120, comma 2; 122, commi da 1 a 7; 123; 125, commi
5, 6, 7,
8, 14; 130, comma 2, lettera c); 131;
132; 141; 153; 197; 204; 205; 240, commi 9 e 10; 252, commi 3 e 6; 253,
commi
3, 10, 11 e 22, lettera a); 257,
comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), per violazione degli artt. 76, 117, secondo,
terzo,
quarto, quinto e sesto comma, e 118 della Costituzione, nonché
del principio di
leale collaborazione. 1.1.— La ricorrente premette che
il
predetto d.lgs. n. 163 del 2006 è stato emanato in attuazione
della delega
conferita al Governo con l'art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62
(Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), ai
fini
dell'attuazione della direttiva
2004/17/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del
Consiglio, che
coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di
energia,
degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e
della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004
del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di
forniture e di
servizi. La predetta legge n. 62 del 2005
ha
conferito, inoltre, al Governo una ulteriore e distinta delega avente
ad
oggetto la adozione di «testi unici delle disposizioni dettate in
attuazione
delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al
fine di
coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse
materie,
apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la
semplificazione e la
coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa» (art.
5, comma 1). 1.2.— Sempre in via preliminare,
la
ricorrente sottolinea come il settore dei contratti pubblici relativi a
lavori,
servizi e forniture rientri nell'ambito delle competenze della Regione,
ai
sensi degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo
comma, Cost. La ricorrente afferma, richiamando
il
contenuto della sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale,
come non
esista una materia relativa ai lavori pubblici, «i quali vanno
qualificati a
seconda dell'oggetto al quale afferiscono»; pertanto, tali lavori
possono, di
volta in volta, rientrare nell'ambito della potestà legislativa
esclusiva
statale, ovvero concorrente, ovvero ancora residuale delle Regioni
«come nel
caso di lavori concernenti infrastrutture di interesse esclusivamente
regionale
o locale». Dal descritto riparto di
competenze «deriva
la imprescindibile e fondamentale distinzione tra “lavori pubblici di
interesse
nazionale” e “lavori pubblici di interesse regionale”». Tale distinzione varrebbe, sempre
nella
prospettiva regionale, anche per i contratti aventi ad oggetto servizi
o
forniture, trattandosi di contratti strumentali alla esecuzione e alla
gestione
di lavori e di opere pubbliche ovvero di contratti indispensabili al
funzionamento di enti ed apparati. In particolare, si osserva come
rientrerebbero nella potestà legislativa residuale relativa alla
organizzazione
amministrativa i contratti per servizi e forniture posti in essere
dalla
Regione «per esigenze del proprio apparato». Nell'ambito delle competenze
regionali
ricadrebbero anche i contratti conclusi da altri enti territoriali
«nei limiti
in cui la Regione può determinarne le funzioni, in applicazione
dei principi di
cui all'art. 118, primo e secondo comma, Cost.». 1.3.— Svolte le premesse sin qui
riportate,
la ricorrente assume, innanzitutto, la illegittimità
costituzionale dell'art.
4, comma 2, seconda parte, limitatamente alle parole
«programmazione di lavori
pubblici», «organizzazione amministrativa»,
«compiti e requisiti del
responsabile del procedimento», per violazione dell'art. 117 Cost. Per quanto attiene alla
«programmazione di
lavori pubblici», si sottolinea come la stessa non sia una
materia in senso
proprio ma un «modo di esercizio delle competenze», che
deve essere
disciplinato «di volta in volta con fonti statali o regionali a
seconda
dell'attinenza dell'attività di programmazione ad ambiti di
competenza dello
Stato o delle Regioni». Si conclude, pertanto, nel senso che la
programmazione
di lavori pubblici di interesse regionale rientra nella competenza
residuale
regionale. In relazione alla materia
«organizzazione
amministrativa», la ricorrente pone in evidenza che tale materia,
con
riferimento agli enti non statali, come riconosciuto dalla stessa
giurisprudenza costituzionale (si cita la sentenza numero 17 del 2004),
è
oggetto di potestà legislativa regionale residuale e non
concorrente
(sottolineandosi come il Governo, sul punto, abbia, altresì,
disatteso le
considerazioni svolte dal Consiglio di Stato, Sezione consultiva per
gli atti
normativi, Adunanza del 28 settembre 2006, n. 355). Infine, per quanto riguarda i
«compiti e
requisiti del responsabile del procedimento», si rileva come non
si tratti,
anche in questo caso, di un aspetto oggetto di potestà
legislativa concorrente,
attenendo essi ai profili organizzativi «che sono lasciati alla
libera
regolazione del legislatore regionale». 1.4.— La ricorrente assume, poi,
la
illegittimità dell'art. 4, comma 3, per violazione dell'art. 76
Cost. – in
relazione agli artt. 1, comma 6, e 5, comma 5, della legge n. 62 del
2005 – e
dell'art. 117, quinto comma, Cost. La difesa regionale sottolinea
che, con
riferimento ai contratti «di rilevanza comunitaria», il
Governo era stato
delegato ad emanare solamente «le norme occorrenti per dare
attuazione alle
direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B», tra
le quali sono
indicate le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (art. 1, comma 1, della
legge n.
62 del 2005). Sul piano dei rapporti con
l'ordinamento
comunitario, si evidenzia come l'art. 117, quinto comma, Cost.
attribuisca alle
Regioni, nelle materie di loro competenza, il potere di dare attuazione
ed
esecuzione agli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di
procedura
stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di
esercizio del
potere sostitutivo in caso di inadempienza. Tali modalità sono
state
determinate con la legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e
sulle
procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), la quale prevede
che le
Regioni hanno il potere di dare immediata attuazione alle direttive
comunitarie
in tutte le materie di loro competenza, con possibilità dello
Stato di
svolgere, in caso di inadempimento regionale, un intervento
esclusivamente
sostitutivo di natura preventiva, suppletiva e cedevole. La legge delega n. 62 del 2005 (in
particolare, l'art. 1, comma 6) consentiva, in ragione della
sussistenza di
ambiti materiali di pertinenza regionale, l'attuazione delle direttive
comunitarie nei limiti previsti dalla legge n. 11 del 2005. Invero, l'art. 4, comma 4, del
d.lgs. n.
163 del 2006 contiene una norma in linea con quanto consentito dalla
legge n.
11 del 2005; sennonché, questa «è insanabilmente
contraddetta dal precedente
comma 3 dello stesso art. 4, che vincola le Regioni al rispetto
incondizionato
di una serie di norme, fatte rientrare in oggetti di legislazione
statale
esclusiva». Da qui, l'assunta illegittimità costituzionale
del predetto comma 3
dell'art. 4, in quanto il Governo, con riferimento ai contratti di
«rilevanza
comunitaria», non si sarebbe limitato a prevedere norme statali
con esclusivo
carattere suppletivo e cedevole. Per quanto attiene, invece, ai
«contratti
di interesse regionale “sotto soglia”», si assume la violazione
dell'art. 76
Cost, atteso che il vincolo a dettare soltanto norme suppletive e
cedevoli, pur
non derivando dall'art. 117, quinto comma, Cost., era imposto dall'art.
5,
comma 5, della legge delega n. 62 del 2005. Tale norma, attraverso il
rinvio
all'art. 1, comma 6, infatti, stabiliva che il Governo, nell'adottare
testi
unici di raccolta delle norme di attuazione comunitarie e le norme
meramente
interne sulle stesse materie, avrebbe dovuto emanare esclusivamente
norme
suppletive e cedevoli. 1.5.— La ricorrente formula, poi,
una serie
di censure nei confronti dell'art. 4, comma 3, per violazione dell'art.
117,
commi 2, 3 e 4, nella parte in cui stabilisce che le Regioni non
possono
prevedere una disciplina diversa in una serie di settori di seguito
indicati. A) Innanzitutto, si contesta
l'inclusione
del «subappalto» nell'ambito applicativo della norma
censurata, atteso che il
collegamento con la tutela della concorrenza sarebbe così labile
che se fosse
sufficiente a radicare la potestà legislativa statale
«determinerebbe una
espansione abnorme della stessa “tutela”». Ciò in quanto
«nelle relazioni
economico-contrattuali non vi è un elemento che non possa in
astratto essere
riguardato sotto il profilo concorrenziale». Nell'ottica della
difesa
regionale, il subappalto apparterrebbe piuttosto «alle
modalità attraverso le
quali viene raggiunto il risultato “economico” al quale è
preordinato il
contratto». B) Per quanto concerne, invece,
l'«attività
di progettazione» di opere e impianti, «per come è
intesa nel Codice», alla
luce anche del parere reso dal Consiglio di Stato, sopra richiamato, si
sottolinea come la stessa attenga alla materia «governo del
territorio»,
comprensiva delle materie urbanistica ed edilizia. C) In relazione al riferimento,
contenuto
sempre nella norma in esame, ai «piani di sicurezza», si
osserva che, come
riconosciuto anche dal Consiglio di Stato nel citato parere, gli stessi
attengono alla materia concorrente «sicurezza sul lavoro»
(che è, tra l'altro,
indicata nel secondo comma dello stesso art. 4 come, appunto, materia
concorrente) per ciò che concerne la riduzione al minimo dei
rischi di
infortuni dei lavoratori impiegati nell'appalto, al «governo del
territorio»,
per la parte relativa alla progettazione esecutiva, nonché,
infine, alla
«istruzione professionale». D) Per quanto attiene alla
«stipulazione e
all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione,
direzione
dei lavori, contabilità e collaudo, ad eccezione di profili di
organizzazione e
contabilità amministrative», si sottolinea che tali
settori coinvolgono aspetti
organizzativi e procedurali dell'azione amministrativa e andrebbero,
pertanto,
inclusi, a seconda dell'oggetto, tra le materie di competenza
concorrente o
residuale; nella specie, si puntualizza, non verrebbero in rilievo la
stipulazione e l'esecuzione come regolate dal codice civile e dunque
rientranti
nell'ambito della materia dell'ordinamento civile. E) In relazione all'inclusione
dell'istituto del collaudo nell'ambito della norma censurata, si
osserva come
non sussisterebbe alcun titolo in grado di giustificare «il
condizionamento
statale su una disciplina regionale che, regolando la materia, preveda
l'adozione di atti finalizzati ad assicurare comportamenti uniformi
delle
stazioni appaltanti nella realizzazione dei lavori pubblici di
interesse regionale». F) Per quanto attiene, infine, ai
«contratti relativi alla tutela dei beni culturali», si
deduce che, pur essendo
la materia relativa alla tutela dei beni culturali distinta dalla
«valorizzazione», essa attiene anche ad aspetti della
disciplina che non
assolvono «ad una funzione di salvaguardia, come è ad
esempio, per la
determinazione della cauzione, per l'organizzazione amministrativa
degli
interventi, per il responsabile dei procedimenti, o per la stessa
approvazione
dei progetti». Né, si aggiunge, sarebbe possibile svolgere
il giudizio di
prevalenza a favore della competenza statale, in quanto ciò
sarebbe vietato
dall'art. 118, terzo comma, Cost., il quale proprio con riferimento
alla tutela
dei beni culturali, impone alla legge statale di disciplinare
«forme di intesa
e di coordinamento». 1.6.— La Regione Veneto assume,
altresì, la
incostituzionalità dell'art. 4, comma 3, nella parte in cui, con
norma di
«autoqualificazione», prevede che le Regioni «non
possono prevedere una
disciplina diversa da quella del presente Codice», anziché
«non possono
prevedere una disciplina contrastante con i principi desumibili dal
presente
Codice, in relazione alla tutela della concorrenza», per asserita
violazione
degli artt. 76, 117, secondo, terzo, quarto e quinto comma, Cost., e
del
principio di ragionevolezza. In particolare, si contesta che lo
Stato,
anche in presenza della materia della tutela della concorrenza,
«possa
vincolare le Regioni con un insieme di norme, dettagliate ed
eterogenee, tutte
indiscriminatamente accomunate dal vincolo della
inderogabilità». A tale proposito, dopo avere
sottolineato
che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che gli interventi
nella
predetta materia debbono essere improntati al rispetto dei canoni della
proporzionalità e della adeguatezza, la Regione ritiene che per
i contratti
sopra soglia le finalità di tutela della concorrenza siano
già garantite dalla
normativa comunitaria; per questi motivi «per i contratti di
interesse
regionale (…) una disciplina nazionale che si interponga tra quella
comunitaria
e quella regionale appare di regola sproporzionata rispetto al fine,
salvi casi
eccezionalissimi, che il legislatore statale dovrebbe avere l'onere di
prospettare e di dimostrare». Per quanto attiene, invece, ai
contratti
sotto soglia, si sottolinea come «le esigenze di tutela della
concorrenza
appaiono attenuate, dovendo tutt'al più, in circostanze
particolari, come ad
esempio l'affidamento di una concessione comportante un valore
economico molto limitato»,
rispondere a condizioni di trasparenza senza che sia necessario fare
ricorso a
procedure di gara. In definitiva, la ricorrente
ritiene che,
per ricondurre a costituzionalità la previsione generale
dell'art. 4, comma 3,
sarebbe necessario ridurre la portata del vincolo imposto alle Regioni,
costringendole al rispetto dei soli principi fondamentali ricavabili
dalla
norme richiamate. 1.7.— Nel ricorso in esame si
assume,
altresì, il contrasto dell'art. 4, commi 2 e 3, con l'art. 76
Cost., in relazione
all'art. 25, comma 2, della legge n. 62 del 2005. Quest'ultima disposizione,
infatti,
prescriveva che il decreto legislativo dovesse essere emanato sentito
il parere
della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto
1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della
Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di
Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di
interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali). Invero, lo schema di decreto
legislativo è
stato effettivamente assoggettato al previo parere della Conferenza
unificata,
la quale, però, si è pronunciata su un testo che, in
reazione alle disposizioni
ora censurate, era «completamente differente» rispetto al
testo poi
definitivamente pubblicato. Infatti, l'art. 4, nella sua
versione
originaria, si limitava a richiamare genericamente i limiti
costituzionali
della potestà legislativa regionale ed individuava due soli
specifici ambiti di
disciplina (qualificazione e selezione dei concorrenti; svolgimento
delle
procedure di gara) riconducibili alla competenza legislativa esclusiva
statale
in materia di tutela della concorrenza. Successivamente il Governo,
nonostante «il
parere reso dalla Conferenza fosse (…) già fortemente
negativo», avrebbe
«completamente riscritto» la disposizione in esame
«in senso fortemente
limitativo della competenza normativa regionale», identificando
«ben cinque
ambiti di disciplina asseritamente riconducibili alla competenza
concorrente
(mentre il testo originario della norma nulla stabiliva sul punto), ed
elencando al comma 3 addirittura diciassette “oggetti” (rispetto ai
soli due
contenuti nel testo originario)» riservati alla competenza
statale esclusiva. In ragione delle considerazioni
sin qui
svolte, la ricorrente assume come il limite stabilito dall'art. 25
della legge
n. 62 del 2005 sia stato «sostanzialmente violato». 1.8.—
La ricorrente deduce, inoltre, la violazione, da parte
dell'art. 5, comma
1, del d.lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 117, sesto comma, 118 Cost.
e del
principio di leale collaborazione. La norma impugnata prevede che il
Governo
detti con regolamento la disciplina esecutiva e attuativa del Codice,
seguendo
un procedimento al quale partecipano il Consiglio superiore dei lavori
pubblici
e il Consiglio di Stato, ma non anche le Regioni. La incostituzionalità della
disposizione in
esame deriverebbe non soltanto dal fatto che l'art. 4, comma 3,
ricomprende tra
le materie statali esclusive settori ed oggetti che afferiscono invece
a
competenze regionali, ma anche dalla circostanza che, per le materie
trasversali di competenza legislativa statale, lo Stato può
intervenire
soltanto in via legislativa e non anche regolamentare, non sussistendo
motivi
per differenziare tra i vincoli espressi dai principi fondamentali e i
vincoli
espressi dalla disciplina delle materie trasversali. Né ad una
diversa
conclusione si può pervenire richiamando la giurisprudenza
costituzionale
(sentenza numero 88 del 2003) la quale ha ammesso in una materia
trasversale
(livelli essenziali delle prestazioni) che atti amministrativi
sviluppino e
ulteriormente determinino finalità ed obiettivi specifici,
già puntualmente
fissati dalla legge, con il coinvolgimento necessario delle Regioni.
Ciò in
quanto il rapporto tra legge e regolamento non può essere
assimilato a quello
esistente tra legge e atto amministrativo. Si assume, inoltre, che
«l'autonomia
politica» di cui godono le Regioni può essere
«limitata solo da atti
riconducibili direttamente o in via mediata al Parlamento, luogo della
rappresentanza nazionale», e non anche dal solo Governo e dalla
«maggioranza
che lo sostiene». In definitiva, pertanto, la norma
in esame
sarebbe illegittima, nella parte in cui prevede l'applicabilità
alle Regioni e
ai contratti di interesse regionale delle disposizioni regolamentari
riferite
ai settori che l'art. 4, comma 3, ascrive alla tutela della
concorrenza. 1.9.— In via subordinata, la
ricorrente
assume la violazione del principio di leale collaborazione. Infatti, si
osserva
come la materia della tutela della concorrenza interferisca con le
competenze
regionali sui lavori pubblici, sulla organizzazione amministrativa
propria e
degli enti da essa dipendenti, sulla disciplina delle funzioni
amministrative. Da qui la necessità che la
predetta materia
statale sia coordinata con le competenze regionali mediante il modulo
collaborativo dell'intesa (si richiama, tra le altre, la sentenza della
Corte
costituzionale numero 303 del 2003). È, a tal proposito,
significativo, si
aggiunge, che lo stesso decreto legislativo in relazione a taluni
aspetti
preveda l'adozione di norme regolamentari previa «intesa in sede
di Conferenza
unificata» (artt. 201, comma 3, 204, comma 3, 252, comma 3) o
«sentita la
Conferenza unificata» (art. 204, comma 4) ovvero «sentita
la Conferenza
Stato-Regioni» (art. 253, comma 10). 1.10.— In via ulteriormente
subordinata, la
Regione assume che la legge n. 11 del 2005 prevede alcune interferenze
statali
nel compito regionale di attuazione e «nessuna di esse consente
la adozione di
norme regolamentari vincolanti». Il primo tipo di intervento
statale
permette l'adozione di norme con funzione di «sostituzione
preventiva» delle
Regioni inadempienti: «ed anche ad ammettere che la “sostituzione
preventiva”
possa avvenire in via regolamentare, i conseguenti regolamenti dovranno
avere
pur essi il medesimo carattere suppletivo e cedevole», ciò
contrariamente a
quanto contenuto nella disposizione censurata. Un secondo tipo di intervento
statale
riguarda casi in cui la disciplina comunitaria afferisca sia a materie
regionali che a materie statali elencate nel secondo comma dell'art.
117 Cost. Quando vengono in rilievo
competenze
legislative esclusive statali di cui all'art. 117, secondo comma, Cost.
«il
Governo indica i criteri e formula le direttive ai quali si devono
attenere le
Regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze
di
carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della
programmazione
economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi
internazionali»
(art. 16, comma 4, legge n. 11 del 2005). La legge di attuazione
dell'art. 117,
quinto comma, Cost., pertanto, non contemplerebbe un «esproprio
di competenze
regionali, ma solo la prefissione di obiettivi rientranti nell'ambito
di
specifiche finalità». Il citato art. 16, comma 4,
stabilisce poi, che i criteri
e le direttive siano dettati: «a) con legge o con atto avente
forza di legge»;
b) ovvero, «sulla base della legge comunitaria, con i regolamenti
previsti
dall'articolo 11»; c) ovvero ancora «mediante deliberazione
del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del
Ministro
per le politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti
secondo le
modalità di cui all'articolo 8 della
legge 15 marzo 1997, n. 59». In definitiva, nelle materie del
secondo
comma dell'art. 117 Cost. che interferiscono con materie regionali
(quale
quella in esame) non sarebbe consentita l'adozione di norme
regolamentari. Infatti, i regolamenti previsti
dall'art.
11 della legge n. 11 del 2005 sono quelli specificamente autorizzati
dalla
legge comunitaria a dare attuazione alle direttive, con puntuale
prefissione di
principi e criteri direttivi, «qualora le direttive consentano
scelte in ordine
alle modalità della loro attuazione». Ma, sottolinea la
difesa regionale,
nessuna autorizzazione del genere sarebbe contenuta nella legge delega
n. 62
del 2005 che, anzi, quando non dà diretta attuazione alle
direttive, fa sempre
riferimento all'attuazione mediante decreti legislativi. Inoltre, la deliberazione del
Consiglio dei
ministri sopra indicata, con la quale si volessero stabilire criteri e
direttive ai fini di tutela degli interessi statali nelle materie
trasversali,
per essere valida, dovrebbe essere adottata previa intesa con la
Conferenza
unificata. La difesa regionale conclude sul
punto
ritenendo, pertanto, costituzionalmente illegittima la norma in esame
nella
parte in cui prevede che la potestà regolamentare valga anche
per i contratti
di interesse regionale di rilevanza comunitaria; in subordine, nella
parte in
cui non prevede che il regolamento sia adottato di intesa con lo Stato
ai sensi
dell'art. 8 della predetta legge n. 59 del 1997. A queste conclusioni la ricorrente
perviene
sulla base del rilievo secondo cui la legge n. 11 del 2005 non
può essere
derogata da una fonte primaria, essendo una legge di «diretta
attuazione
dell'art. 117 Cost.» (si cita la sentenza della Corte
costituzionale numero 12
del 2006). In secondo luogo, una deroga
così rilevante
a quanto prescritto dalla legge n. 11 del 2005 avrebbe richiesto uno
specifico
principio o criterio direttivo che nella specie manca. Da qui
l'ulteriore
contrasto della norma in esame con l'art. 76 Cost., avendo il Governo
ecceduto
la delega conferita «e potendo la Regione dolersi della
violazione, in quanto
si tratta del mancato rispetto di previsioni dirette a conformare la
propria
autonomia nella attuazione delle direttive comunitarie». 1.11.— La Regione Veneto censura,
per
violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 76 Cost., l'art. 5,
comma
2, del d.lgs.n. 163 del 2006 nella parte in cui rimette al regolamento
di
determinare le disposizioni di esso che, in quanto esecutive o
attuative di
disposizioni rientranti, ai sensi dell'art. 4, comma 3, in ambiti di
legislazione statale esclusiva, sono applicabili anche alle Regioni. La ricorrente sottolinea che una
autoqualificazione statale delle norme applicabili alle Regioni
«pur
potendosene apprezzare la ratio, non
può essere operata con un regolamento governativo, soprattutto
quando, come nel
caso, al regolamento è lasciato un margine di
discrezionalità assai ampio». Si
aggiunge che «la disposizione impugnata finisce con il rimettere
al regolamento
sia i limiti orizzontali della competenza della Regione (attraverso la
definizione “in negativo” dei suoi ambiti di competenza), sia i limiti
verticali (attraverso la posizione di vincoli più o meno
penetranti, destinati
ad operare all'interno delle materie regionali interferenti con quelle
statali)». Tale compito, nella prospettiva regionale, dovrebbe,
però, essere
assolto dalla legge o da un atto equiparato, come richiesto dall'art.
117,
terzo e quarto comma, Cost. e dal principio di legalità che
regola i rapporti
Stato-Regioni. 1.12.— Vengono poi impugnati dalla
stessa
Regione Veneto anche i commi 7 e 9 dell'art. 5, nella parte in cui
consentono a
tutte le stazioni appaltanti di adottare propri capitolati, oppure di
far
proprio il capitolato generale adottato dal Ministro delle
infrastrutture, per
contrasto con l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Ciò, in
quanto detti commi
– escludendo che la legge regionale possa prevedere l'approvazione di
un
apposito capitolato generale, oppure l'adozione da parte di tutte le
stazioni
appaltanti di schemi uniformi di capitolati speciali – lederebbe la
competenza
legislativa spettante alla Regione sui lavori pubblici «di
interesse regionale»
oltre che la competenza sulla organizzazione propria e degli enti da
essa
dipendenti. 1.13.— La Regione Veneto ha,
altresì,
impugnato l'art. 10, comma 1, nella parte in cui prevede che debba
esservi un
«responsabile del procedimento, unico per le fasi della
progettazione,
dell'affidamento, dell'esecuzione», in quanto tale norma avrebbe
un oggetto
rientrante nell'ambito della competenza residuale della Regione
relativa
all'organizzazione amministrativa, così come sostenuto dalla
stessa ricorrente
con riferimento all'art. 4, comma 2. Qualora la Corte costituzionale,
si
aggiunge, non dovesse condividere tale soluzione, si argomenta
l'illegittimità
costituzionale della norma in esame per il suo carattere dettagliato
che non
lascerebbe alcuna possibilità di adattamento: infatti, non si
comprende perché
le suddette fasi, essendo strutturalmente, funzionalmente ed
economicamente
autonome, debbano necessariamente avere un unico responsabile dei
procedimenti. 1.14.— L'art. 98, comma 2, viene,
invece,
impugnato, nella parte in cui stabilisce che «l'approvazione dei
progetti
definitivi da parte del consiglio comunale costituisce variante
urbanistica a
tutti gli effetti». La ricorrente, pur riconoscendo come la norma
afferisca
all'ambito materiale del governo del territorio, nondimeno contesta che
essa
«esprima una regola inderogabile assai pervasiva, che sottrae al
controllo
della Regione competente la verifica della variante urbanistica, con
conseguente
lesione delle competenze costituzionalmente ad essa spettanti»
(si cita la
sentenza della Corte costituzionale numero 206 del 2001). 1.15.— La ricorrente impugna anche
i commi
3 e 22, lettera a), dell'art. 253,
nella parte in cui essi prevedono, rispettivamente, che «per i
lavori pubblici,
fino all'entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 5,
continuano ad
applicarsi il decreto del Presidente
della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, il decreto
del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34,
e le altre disposizioni regolamentari vigenti che, in base al presente
Codice,
dovranno essere contenute nel regolamento di cui all'articolo 5, nei
limiti di
compatibilità con il presente Codice. Per i lavori pubblici,
fino all'adozione
del nuovo capitolato generale, continua ad applicarsi il decreto
ministeriale 19 aprile 2000, n. 145,
se richiamato nel bando» (comma 3); e che «in relazione
all'articolo 125
(lavori, servizi, forniture in economia) fino alla entrata in vigore
del
regolamento: a) i lavori in economia sono disciplinati dal decreto del Presidente della Repubblica 21
dicembre 1999, n. 554, nei limiti di compatibilità con le
disposizioni
del presente Codice» (comma 22, lettera a). Tali norme violerebbero, secondo
la
Regione, gli artt. 117, secondo, terzo, quarto e quinto comma, e 118
Cost., in
quanto rinviano alla disciplina regolamentare statale di attuazione
della
disciplina primaria già denunciata per tutti i lavori pubblici
di «interesse
regionale». 1.16.— In via
subordinata, la Regione Veneto impugna, infine, le seguenti
disposizioni contenute nel Codice: artt. 6, comma 9, lettera a); 7, comma 8; 11, comma 4; 53, comma
1; 54, comma 4; 55, comma 6; 56; 57; 62, commi 1, 2, 4, 7; 70; 71; 72;
75; 81;
82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2 (e disposizioni di cui alla
Parte
II, Titolo I e Titolo II, cui ivi si rinvia); 93; 112, comma 5, lettera
b); 113; 118, comma 2; 120, comma 2;
122, commi da 1 a 7; 123; 125, commi 5, 6, 7, 8, 14; 130, comma 2,
lettera c); 131; 132; 141; 153; 197; 204; 205;
240, commi 9 e 10; 252, commi 3, 6; 253, commi 10 e 11; 257, comma 3. Nel caso, infatti, di mancato
accoglimento
delle censure relative all'art. 4, comma 3, le norme sopra indicate
vengono
ritenute incostituzionali in quanto, pur se riferibili alla materia
tutela
della concorrenza, «presentano un carattere di estremo dettaglio
e di eccessiva
analiticità e comprimono dunque illegittimamente l'autonomia
normativa
regionale, prevedendo misure sproporzionate ed eccessive rispetto al
fine». In particolare, si assume la
illegittimità
costituzionale dell'art. 91, commi 1 e 2, nonché le disposizioni
di cui alla
Parte II, Titolo I e Titolo II, alle quali la predetta norma fa rinvio.
Al
riguardo, si osserva come, per quanto attiene in via generale ai
contratti di
importo inferiore alla soglia comunitaria, il legislatore statale
dovrebbe
limitarsi alla fissazione di principi fondamentali, volti ad assicurare
trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione ovvero
a regolare il
mercato e a favorire rapporti concorrenziali nell'ambito dello stesso,
senza
spingersi, come è avvenuto nel caso di specie, a porre
«una pervasiva
disciplina di dettaglio» (si cita la sentenza della Corte
costituzionale n. 345
del 2004). Per le medesime ragioni, e
cioè per la
esistenza di una regolamentazione eccessivamente analitica e
dettagliata, sono
censurate le seguenti disposizioni: – gli artt. 6, comma 9, lettera a), e 7, comma 8, «nella misura in cui,
per la loro eccessiva analiticità, precludono alle Regioni la
possibilità di
legiferare definendo procedure più snelle e compatibili con
l'organizzazione
propria delle sezioni regionali dell'Osservatorio dei contratti
pubblici»; – l'art. 11, comma 4, e gli artt.
da 81 a
88 relativi alla disciplina dei criteri di aggiudicazione, «che
per la loro
estrema analiticità non lasciano alcun effettivo spazio ad una
autonoma
disciplina di dettaglio di fonte regionale»; – l'art. 53, comma 1, nella parte
in cui
individua in modo tassativo ed esclusivo le tipologie di contratti, di
importo
inferiore alla soglia comunitaria, mediante i quali possono essere
realizzati i
lavori pubblici, tra l'altro in senso restrittivo rispetto alle
modalità
consentite dall'ordinamento comunitario; – gli artt. 54, comma 4, 56, 57,
62, commi
1, 2, 4 e 7, e 122, comma 7, «in quanto per la loro eccessiva
analiticità
precludono alle Regioni la possibilità di dettare una propria
autonoma
disciplina relativamente alla procedura negoziata, soprattutto con
riferimento
(anche in questo caso) al settore degli appalti sotto soglia»; – l'art. 55, comma 6, e 62, commi
1, 2 e 4,
nella parte in cui, «prevedendo la possibilità di limitare
il numero di
candidati idonei da invitare nelle procedure ristrette con riferimento
ai soli
“lavori di importo pari o superiore a quaranta milioni di euro”,
sembrano
precludere irragionevolmente alle Regioni la possibilità di
dettare una propria
disciplina dell'istituto della cosiddetta “forcella” anche con
riferimento ai
contratti sotto soglia»; – gli
artt. 75 e 113 «che dettano una pervasiva ed analitica disciplina
delle forme
di garanzia», nonché in correlazione, l'art. 252, comma
6»; – l'art. 93 «laddove pone
una dettagliata e
rigida disciplina dei livelli di progettazione»; – l'art. 112, comma 5, lettera b), in tema di verifica dei progetti; – l'art. 118, comma 2, che
disciplina «in
modo estremamente analitico il subappalto»; – gli artt. 120, comma 2, e 141,
in materia
di collaudo, data la estrema analiticità della disciplina ivi
contenuta, «di
cui è addirittura prevista l'ulteriore specificazione ad opera
del
regolamento»; – l'art. 122, commi da 1 a 6, e
gli artt.
70, 71, 72, in quanto applicabili agli appalti di importo inferiore
alla soglia
comunitaria in forza di specifici richiami ovvero della clausola
generale di
rinvio di cui all'art. 121, comma 1; analoga censura viene svolta, per
le
medesime ragioni, in relazione all'art. 252, comma 3, nonché
all'art. 253,
commi 10 e 11; – l'art. 123 «in
considerazione del fatto
che la “procedura ristretta semplificata” (ivi disciplinata) è
istituto che
trova applicazione agli appalti di lavori sotto soglia»; – l'art. 125, commi da 5 a 8 e 14,
che
disciplina le acquisizioni in economia di beni, servizi e lavori, per
il suo
carattere di eccessivo dettaglio; – l'art. 130, comma 2, lettera c), nella parte in cui prevede
l'affidamento dell'attività di direzione dei lavori a
«soggetti scelti con le
procedure previste dal presente Codice per l'affidamento degli
incarichi di progettazione»;
– l'art. 131, «che
regolamenta in termini
dettagliatissimi i piani di sicurezza»; – l'art. 132, «nella misura
in cui la
analitica disciplina delle varianti in corso d'opera, ivi contenuta,
non lascia
alcun autonomo spazio di intervento al legislatore regionale»; – l'art. 153, «che
regolamenta la fase di
raccolta e selezione delle proposte con riferimento all'istituto del project financing»; – gli artt. 197, 204 e 205,
«i quali, pur
se ipoteticamente riferibili alla materia “tutela dei beni culturali”
(di
competenza esclusiva dello Stato), presentano comunque un carattere di
estremo
dettaglio e di eccessiva analiticità, e comprimono dunque
illegittimamente
l'autonomia normativa regionale, prevedendo (…) misure sproporzionate
ed
eccessive rispetto al fine»; – l'art. 240, commi 9 e 10, in
quanto, pur
essendo gli artt. 239 e seguenti «certamente riconducibili ad una
materia di
esclusiva competenza statale che consente l'introduzione di limiti
più
penetranti rispetto a quelli ammessi relativamente alla tutela della
concorrenza e dei beni culturali», nondimeno i predetti commi 9 e
10
disciplinano «in modo eccessivamente analitico aspetti
prettamente
organizzativi dell'istituto dell'accordo bonario, precludendo alle
Regioni qualsiasi
possibilità di dettare sul punto una propria autonoma
disciplina»; – l'art. 257, comma 3, che per
l'anno 2006
cristallizza gli elenchi previsti dall'art. 23 della legge 11 febbraio
1994, n.
109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici). 1.17.— Nel ricorso la Regione
aveva,
inoltre, proposto istanza di sospensione ai sensi degli artt. 35 e 40
della
legge 14 marzo 1953, n. 87. 2.— Si è costituito il
Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello
Stato, il quale, in via preliminare, ha prospettato la
inammissibilità della
questione riferita alla violazione dei principi contenuti nella legge
delega
alla luce della giurisprudenza costituzionale che ritiene inammissibili
le
censure proposte dalla Regioni, con le quali non si adduce una lesione
diretta
delle proprie competenze (si citano le sentenze della Corte
costituzionale
numeri 287 del 2004 e 274 del 2003). 2.1.— In relazione alle altre
questioni, la
difesa statale sottolinea come la disciplina dei lavori pubblici — non
rappresentando questi ultimi una vera e propria materia — investa
diversi
ambiti materiali (si cita la sentenza della Corte costituzionale numero
303 del
2003). In particolare, si ritiene che gli aspetti relativi alla
qualificazione
e selezione dei concorrenti, alle procedure di gara, ai criteri di
aggiudicazione, al subappalto e alla vigilanza sul mercato affidata ad
un'autorità indipendente, atterrebbero alla tutela della
concorrenza
nell'accezione fatta propria dalla Corte costituzionale con le sentenze
numeri
272 e 14 del 2004. La natura trasversale della competenza in esame
giustificherebbe l'intervento del legislatore statale anche in ambiti
di
materia di competenza regionale sia concorrente che residuale,
«senza tuttavia
consumarsi tutto l'ambito, cosicché rimangono di regola spazi
non sensibili a
tale problematica nei cui confronti resta fermo il normale riparto di
competenze». L'Avvocatura generale dello Stato
ritiene,
inoltre, richiamando il parere del Consiglio di Stato n. 355 del 2006,
come,
accanto ai profili della concorrenza, «sussistano profili non
marginali
organizzativi, procedurali, economici e di altro tipo, quali la
progettazione,
la direzione dei lavori, il collaudo, i compiti e i requisiti del
responsabile
del procedimento, i quali, a seconda dell'oggetto, possono rientrare
(oltre che
nella competenza esclusiva statale) sia nella competenza concorrente
che in
quella residuale regionale: nel primo caso, l'attività
legislativa regionale
rimane soggetta ai principi fondamentali desumibili dal Codice; nel
secondo, la
legislazione regionale può esprimersi liberamente “fatta salva
la possibile
rilevanza di vincoli diversi” (dettati dall'esigenza di garantire la
trasparenza o dai principi della legge sul procedimento
amministrativo)». Infine, si osserva come la
disciplina dei
contratti pubblici intersechi, altresì, altre materie attribuite
alla
competenza esclusiva statale: ordinamento civile (con riferimento alla
esecuzione dei contratti), giurisdizione e norme processuale e
giustizia
amministrativa, con riferimento al contenzioso. 2.2.— Svolta questa premessa di
carattere
generale, la difesa erariale quanto alle censure riferite all'art. 4,
comma 2,
ritiene, innanzitutto, che la disciplina inerente la
«programmazione dei lavori
pubblici» e l'«approvazione dei progetti ai fini
urbanistici ed espropriativi»
rientra nell'ambito della materia concorrente del governo del
territorio (art.
117, terzo comma, Cost.). Quanto alla organizzazione
amministrativa
(«che, fatta eccezione per gli enti ed organismi statali,
compete, di regola,
alle Regioni») si sottolinea come, con la sua riconduzione ad
essa nell'ambito
del secondo comma dell'art. 4, il legislatore statale non avrebbe
inteso
sottrarre alle Regioni l'intera materia in esame, ma sottolineare che
«possono
sussistere particolari profili relativi a principi che devono essere
rispettati
dal legislatore regionale (quali la garanzia della trasparenza o la
presenza
del responsabile del procedimento)». 2.3.— Per quanto attiene alle
censure
specificamente rivolte nei confronti dell'art. 4, comma 3, si osserva
quanto
segue. Per gli appalti sotto soglia,
contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, compete allo Stato
«la
fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza,
parità di
trattamento e non discriminazione». Le procedure di affidamento
attengono,
invece, alla materia della tutela della concorrenza e non a profili
organizzativi, con la puntualizzazione, contenuta nella disposizione
censurata,
che per tali profili vale comunque la competenza esclusiva statale. Per quanto attiene al riferimento
contenuto
nella norma in esame alla progettazione, si assume che questa, nei suoi
molteplici aspetti di affidamento degli incarichi di progettazione, di
livelli
e contenuto della progettazione, di esecuzione dei progetti, rientra
«per molti
aspetti nella competenza esclusiva statale», venendo in rilievo:
«la tutela
della concorrenza; l'ordinamento civile; le opere dell'ingegno (tali
sono i progetti);
la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti
civili e sociali, che devono essere assicurati su tutto il territorio
nazionale, in quanto i livelli della progettazione mirano a garantire
l'esecuzione a regola d'arte di opere pubbliche che sono destinate ad
assicurare i diritti civili e sociali della collettività; la
tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, che si realizza
attraverso
una corretta progettazione». La difesa dello Stato precisa,
però, che dalla
competenza esclusiva statale debbano escludersi i profili relativi al
governo
del territorio afferenti alla competenza concorrente e «che sono
stati
correttamente richiamati dal comma 2 dell'impugnato art. 4
(programmazione di
lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed
espropriativi)». Quanto sin qui rilevato, varrebbe,
sempre
nella prospettiva dell'Avvocatura generale, per i piani di sicurezza,
in
relazione ai quali la competenza legislativa esclusiva statale sarebbe
relativa
soltanto alla loro formazione, mentre rientrerebbero nella competenza
concorrente gli aspetti contenutistici relativi alla normativa
antinfortunistica. In relazione all'assunto contrasto
con
l'art. 117, quinto comma, Cost., si sottolinea come il Codice abbia
mantenuto
ferma la competenza delle Regioni a dare attuazione alle direttive
comunitarie
nelle materie di loro competenza; in tali ambiti, infatti, per
l'espressa
previsione contenuta nell'art. 4, comma 4, le disposizioni del Codice
stesso
avrebbero natura cedevole applicandosi, sino a quando le Regioni non
introducano una loro normativa. Non fondata sarebbe, infatti,
secondo la
difesa erariale, anche la censura di asserita violazione del principio
di leale
collaborazione, atteso che, nella specie, il testo del decreto
legislativo è
stato sottoposto all'esame della Conferenza Stato-Regioni, non
assumendo
rilevanza la circostanza che non siano state accolte le richieste
regionali. In ogni caso, si aggiunge, non
sarebbe
individuabile «un fondamento costituzionale dell'obbligo di
procedure
legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni
(né risulta
sufficiente il sommario riferimento all'art. 11 della legge
costituzionale n. 3
del 2001» (si cita la sentenza della Corte costituzionale numero
196 del 2004).
2.4.— Per quanto riguarda le
censure
formulate nei confronti di ulteriori norme contenute nel d.lgs. n. 163
del
2006, l'Avvocatura generale sottolinea l'infondatezza delle stesse,
atteso che
in relazione ai profili ivi disciplinati lo Stato avrebbe agito
nell'esercizio
della propria competenza nelle materie tutela della concorrenza e
ordinamento
civile. 2.5.— In relazione
all'impugnazione
dell'art. 5, si osserva che la stessa si fonda sull'assunto secondo cui
l'art.
4 ricomprenderebbe ambiti materiali di competenza regionale, con la
conseguente
illegittimità della previsione di un potere regolamentare
statale che possa
esercitarsi in tali ambiti. Una volta invece che, alla luce delle
considerazioni sopra svolte, si ritenesse la conformità del
citato art. 4 al
riparto costituzionale delle competenze, ne conseguirebbe la
legittimità
dell'art. 5, che allo stesso art. 4 rinvia per l'individuazione dei
settori in
cui è possibile l'emanazione di regolamenti statali. Né sarebbero fondate le
ulteriori censure
rivolte sempre nei confronti dell'art. 5, per la mancata previsione di
procedure concertative con le Regioni, atteso che la richiamata
giurisprudenza
costituzionale (sentenza numero 196 del 2004) avrebbe affermato che non
sarebbe
individuabile un «fondamento costituzionale» in relazione a
tali procedure. 2.6.— Si conclude sottolineando
che non
sarebbero sussistenti le ragioni per disporre la sospensione
dell'efficacia
delle disposizioni impugnate alla luce della «giurisprudenza
applicativa
dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953». 3.— Con ricorso notificato il 30
giugno
2006 e depositato il successivo 7 luglio (ricorso n. 88 del 2006), la
Regione
Piemonte ha impugnato gli artt. 4, commi 2 e 3, e 5 del d.lgs. n. 163
del 2006,
per violazione degli artt. 117, 118 Cost., nonché «dei
principi di leale
collaborazione, sussidiarietà, adeguatezza,
proporzionalità». La ricorrente, dopo avere
ripercorso le
tappe principali che hanno portato all'emanazione del decreto
legislativo, ha
sottolineato come essa abbia una propria disciplina relativa
all'attività
contrattuale, recata dalla legge regionale 23 gennaio 1984, n. 8 (Norme
concernenti l'amministrazione dei beni e l'attività contrattuale
della
Regione), applicabile, in particolare, agli appalti al di sotto della
soglia
comunitaria. La stessa ricorrente sottolinea che la Regione stava per
approvare
un disegno di legge recante la disciplina unitaria in materia di
appalti di
servizi, forniture e lavori pubblici volta a determinare un quadro di
riferimento coerente con le direttive comunitarie e con i principi
fondamentali
e che tenesse conto delle peculiarità riferibili al territorio
regionale in
relazione a tutti gli aspetti riconducibili alla sfera di competenza
regionale.
Sennonché, il Codice in esame avrebbe «esaurito» la
regolamentazione della
materia, incidendo in ambiti propriamente riconducibili alla competenza
concorrente o residuale delle Regioni. La difesa regionale, sempre in via
preliminare, richiama il contenuto delle sentenze della Corte
costituzionale
numero 303 del 2003, in relazione alla competenza in materia di lavori
pubblici, e numero 345 del 2004, in relazione alla competenza statale
in
materia di tutela della concorrenza e ai suoi limiti. Evidenzia, inoltre, che nel
settore in
esame occorrerebbe distinguere tra contratti di amministrazioni o enti
statali
e contratti di interesse regionale e che la compresenza e l'intreccio
di
competenze statali e regionali richiederebbe necessariamente il
rispetto del
principio di leale collaborazione. 3.1.— Detto ciò, la
ricorrente deduce,
innanzitutto, la illegittimità dell'art. 4, comma 2, del d.lgs.
n. 163 del
2006, sottolineando come con tale norma il legislatore abbia definito,
in
maniera non corretta e in via unilaterale senza concertazione con le
Regioni,
quali siano le materie rientranti nell'ambito della competenza
concorrente. In
particolare, contesta che la disposizione impugnata abbia incluso, in
assenza
di esigenze unitarie, la materia della organizzazione amministrativa
rientrante, «tranne che per lo Stato e gli enti pubblici
nazionali»,
nell'ambito della competenza residuale regionale. 3.2.— La ricorrente ha impugnato
anche il
comma 3 dello stesso art. 4, nella parte in cui prevede che le Regioni,
«nel
rispetto dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione», non possono prevedere una disciplina
diversa da quella contenuta nel Codice in relazione ad una serie di
settori e
senza indicare quali siano le materie che vengono in rilievo. La difesa regionale ha
sottolineato come,
pur ammettendo che venga in considerazione la materia della tutela
della
concorrenza, la disposizione in esame non rispetterebbe i canoni di
ragionevolezza e proporzionalità (si citano le sentenze della
Corte
costituzionale numeri 272 e 14 del 2004) «in quanto determina
l'assoggettamento
indiscriminato alla normativa anche di dettaglio del Codice in
relazione a
tutti gli oggetti individuati dalla norma, per ciascuno dei quali
è ravvisabile
invece uno spazio in cui legittimamente può esprimersi
l'intervento normativo
regionale». Di conseguenza, «anche per gli ambiti della
qualificazione e
selezione dei concorrenti, procedure di affidamento, criteri di
aggiudicazione,
subappalto, ove il principio di tutela della concorrenza trova
più importante
esplicazione, sono pur sempre riscontrabili aspetti ove la più
puntuale
soddisfazione di peculiarità differenziate dei territori
regionali o di
esigenze dell'autonomia organizzativa dei diversi enti pubblici
può legittimamente
ed utilmente fondare l'esplicazione di normativa regionale. E
ciò
particolarmente rispetto ai contratti pubblici “sotto soglia”». Ad analoga conclusione si
perviene,
nell'ottica regionale, anche qualora si prenda in esame la materia
dell'ordinamento
civile. Nell'ambito della stipulazione ed
esecuzione dei contratti, infatti, oltre agli aspetti di direzione dei
lavori,
contabilità e collaudo che attengono all'organizzazione degli
enti, sarebbero
ravvisabili «spazi significativi che vanno ascritti
all'ordinamento ed
organizzazione amministrativa» che appartengono alla Regione, ad
eccezione di
quanto è riferibile allo Stato e agli enti pubblici nazionali. Si contesta, inoltre, l'inclusione
del
settore «piani di sicurezza» nell'ambito della competenza
legislativa esclusiva
statale, in quanto tale settore, dovendo garantire ai lavoratori
impiegati le
necessarie misure antinfortunistiche, afferisce alla materia
concorrente della
sicurezza del lavoro. Analoghe argomentazioni critiche
vengono
rivolte per l'inserimento nella disposizione in esame della
«attività di
progettazione» la quale, per quanto riguarda i lavori pubblici,
rientrerebbe
nell'ambito della materia del governo del territorio e, per quanto
attiene a
forniture e servizi, «non può che appartenere all'ente
titolare della
competenza sostanziale» e quindi ricadere «per i profili
non riguardanti lo
Stato e gli enti pubblici nazionali nella competenza legislativa
regionale in
materia di ordinamento ed organizzazione amministrativa». 3.3.— Infine, si censura l'art. 5
nella
parte in cui prevede che «lo Stato detta con regolamento la
disciplina
esecutiva e attuativa del presente Codice in relazione ai contratti
pubblici di
lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e,
limitatamente
agli aspetti di cui all'articolo 4, comma 3, in relazione ai contratti
di ogni
altra amministrazione o soggetto equiparato». La ricorrente assume che tale
norma sia
costituzionalmente illegittima per due ordini di motivi. Innanzitutto, perché, per
le ragioni
esposte, il comma terzo dell'art. 4, cui la disposizione in esame
rinvia, fa
riferimento a materie di competenza regionale, ragione per cui non
sarebbe
ammissibile un regolamento statale. In secondo luogo, perché
anche per le
materie di competenza legislativa esclusiva statale di tipo
trasversale, per
l'interferenza con competenze regionali, è necessario che la
formazione del
regolamento statale sia sottoposto a procedura di intesa in sede di
Conferenza
unificata, in ossequio al principio di leale collaborazione. 4.— Anche in questo giudizio si
è
costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio
dell'Avvocatura generale dello Stato. In particolare, in relazione alle
censure
concernenti l'art. 4, comma 2, fondate sulla inclusione nel suo ambito
di
applicazione delle materie «organizzazione amministrativa»
e «ordinamento», si
ribadiscono le argomentazioni già contenute nella memoria
depositata nel
giudizio promosso dalla Regione Veneto. Allo
stesso modo si ribadiscono i motivi già in precedenza dedotti
volti a
giustificare la non fondatezza delle doglianze relative agli artt. 4,
comma 3,
e 5. 5.— Con ricorso notificato il 4
luglio 2006
e depositato il successivo giorno 5 (ricorso n. 84 del 2006), la
Regione
Toscana ha anch'essa impugnato una serie di disposizioni contenute nel
d.lgs.
n. 163 del 2006. La ricorrente, dopo avere svolto
una ampia
premessa in ordine all'iter che ha
portato all'emanazione del Codice, ha sottolineato di aver dettato una
propria
disciplina organica in materia di appalti di servizi e forniture con la
legge
regionale 8 marzo 2001, n. 12 (Disciplina dell'attività
contrattuale
regionale), ed il relativo regolamento di attuazione adottato con
decreto del
Presidente della Giunta regionale 5 settembre 2001, n. 45, in relazione
agli
appalti della Regione medesima e degli enti regionali, e di apprestarsi
a
predisporre una legge unitaria in materia di appalti di servizi,
forniture e
lavori pubblici da applicarsi anche alle autonomie locali. Il Codice,
evidenzia
la ricorrente, «scardina quindi l'assetto normativo regionale
già costituito e
lascia ben pochi spazi alla futura regolamentazione della materia da
parte
della Regione medesima». 5.1.— La ricorrente deduce,
innanzitutto,
il contrasto del comma 2 dell'art 4, con gli artt. 117 e 118 Cost.,
nella parte
in cui includono tra le materie concorrenti la programmazione dei
lavori
pubblici, l'approvazione dei progetti, i compiti ed i requisiti del
responsabile del procedimento, i quali non sarebbero riconducibili,
nella
prospettiva della difesa regionale, nell'ambito della potestà
legislativa
ripartita. Allo stesso modo si osserva come
anche
l'organizzazione amministrativa appartenga, per gli enti diversi da
quelli
statali, alla potestà legislativa residuale delle Regioni (si
richiamano le
sentenze della Corte costituzionale numeri 17 e 2 del 2004). Né
sussisterebbero
ragioni unitarie in grado di giustificare l'assunzione in
sussidiarietà da
parte dello Stato. 5.2.—
È stato, altresì, impugnato il comma 3 dell'art. 4, nella
parte in cui
stabilisce che le Regioni non possono prevedere una disciplina diversa
da
quella dettata dal Codice con riferimento ai piani di sicurezza e
all'attività
di progettazione, per assunta violazione degli artt. 117 e 118 Cost. In particolare, in relazione
all'inclusione
nell'elenco di cui alla norma in esame anche dei piani di sicurezza, si
osserva
che questi attengono, come riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato
con il
citato parere numero 355 del 2006, alla materia concorrente della
sicurezza del
lavoro, in quanto «l'individuazione delle tipologie dei piani di
sicurezza e
degli appalti in relazione ai quali sia ritenuta necessaria la
predisposizione
dei piani medesimi, la determinazione dei contenuti minimi dei piani,
le
modalità di scorporo degli oneri per la sicurezza da sottrarsi
al ribasso di
gara non possono che essere finalizzati a garantire ai lavoratori
impiegati
nell'appalto condizioni tali da ridurre al minimo i rischi di
infortuni». In
altri termini, la disciplina dei piani è preordinata alla sola
individuazione,
analisi e valutazione dei rischi concreti in riferimento alle
lavorazioni
interessate, nonché all'individuazione di misure preventive e
protettive dirette
al contenimento dei rischi derivanti dalle lavorazioni medesime. In secondo luogo, la ricorrente
mette in
evidenza come i piani di sicurezza costituiscono parte integrante della
progettazione esecutiva delle opere e, come tali, sono destinati ad
avere anche
ricadute nell'ambito del governo del territorio rientrante nella
competenza
concorrente. Analoghe argomentazioni vengono
svolte con
riferimento all'attività di progettazione: tale attività,
sempre nella
prospettiva regionale, rientrerebbe nell'ambito della competenza
residuale
delle Regioni, non essendo indicato in nessuno degli ambiti materiali
di cui al
secondo e terzo comma dell' art. 117 Cost. In alternativa, si ritiene che la
progettazione dei lavori, in quanto «volta a portare alla
realizzazione di
opere sul territorio», sarebbe riconducibile alla materia
concorrente del
governo del territorio. La progettazione di forniture e servizi
dovrebbe,
invece, essere comunque attribuita alla competenza residuale regionale,
non
essendo riconducibile ad alcuna competenza statale costituzionalmente
prevista.
A ciò si aggiunge che la progettazione di forniture e servizi
«nella sostanza
viene a coincidere con la disciplina dei capitolati generali e
speciali,
strumenti diretti alla definizione degli aspetti giuridici e tecnici
dei
contratti e, come tali, da ricondursi necessariamente nella sfera di
autonomia
del singolo ente appaltante». Rimane estranea alla materia della
progettazione,
puntualizza la ricorrente, la disciplina degli affidamenti degli
incarichi di
progettazione, attratti nelle materie espressamente enucleate dalla
norma
censurata sotto la rubrica «Qualificazione e selezione dei
concorrenti» e
«Procedure di affidamento». 5.3.— L'art. 5, commi 1, 2 e 4,
viene
ritenuto illegittimo per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in
quanto,
autorizzando l'emanazione del regolamento per i settori indicati al
comma 3
dell'art. 4, invaderebbe competenze che spettano alle Regioni. Infatti,
tra
tali settori sono compresi anche le attività di progettazione e
i piani di
sicurezza, i quali sono, per le ragioni esposte, da ricondurre a
materie di
competenza concorrente o residuale delle Regioni, con conseguente
impossibilità
per lo Stato, stante la previsione del sesto comma dell'art. 117 Cost.,
di emanare
regolamenti. In via subordinata, qualora si
ritenessero
«legittimi i commi 1 e 2 dell'art. 5, sarebbe comunque
incostituzionale il
comma 4, il quale disciplina la procedura per l'adozione del
regolamento senza
prevedere alcun coinvolgimento regionale»: infatti,
«l'ampio e dettagliato
contenuto del regolamento va ad interferire con competenze regionali
per cui,
in attuazione del principio della leale collaborazione, sarebbe
necessario che
l'emanando regolamento fosse subordinato ad attività
concertative con le
Regioni». 5.4.— Viene impugnato l'art. 48
del d.lgs.
in esame, il quale prevede quanto segue: «1. Le stazioni
appaltanti, prima di
procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono
ad un
numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte
presentate,
arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico,
di comprovare,
entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa,
eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione
indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova
non sia
fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda
di
partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono
all'esclusione
del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione
provvisoria
e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti
di cui all'art.
6 comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da
uno a dodici mesi
dalla partecipazione alle procedure di affidamento. 2. La richiesta di cui al comma 1
è,
altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle
operazioni di
gara, anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in
graduatoria,
qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e
nel caso
in cui essi non forniscano la prova o non confermino le loro
dichiarazioni si
applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della
nuova soglia
di anomalia dell'offerta e alla conseguente eventuale nuova
aggiudicazione». Tali norme, secondo la ricorrente,
sarebbero in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, se la
scelta
del regime sanzionatorio «è logicamente riconducibile ad
una competenza di tipo
statale che assicuri uniformità in relazione ad un aspetto di
così notevole
rilevanza, non altrettanto può dirsi in riferimento agli altri
contenuti della
norma in questione». Infatti, si sottolinea che la percentuale
dei soggetti da
controllare, nonché le modalità procedurali con cui la
singola stazione
appaltante procede al suddetto controllo devono essere ricondotte
«nell'ambito
dell'autonomia organizzativa della stazione appaltante». Fermo restando il principio
dettato dall'art.
71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445
(Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa), in base al quale le amministrazioni
sono tenute
ad effettuare idonei controlli, anche a campione, sulle
autodichiarazioni rese
dai concorrenti, le modalità procedurali con cui questo
principio viene attuato
sono, secondo la ricorrente, «espressione di scelte autonome ed
organizzative
delle amministrazioni medesime». Le disposizioni impugnate mutuano
il loro
contenuto dall'art. 10, comma 1-quater,
della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori
pubblici), estendendolo anche ai settori delle forniture e dei servizi
senza,
però, «tenere in ragionevole conto le differenze e le
peculiarità che questi
settori hanno rispetto a quello dei lavori pubblici». Si osserva,
infatti, che
mentre il controllo sul possesso dei requisiti tecnico-organizzativi ed
economico-finanziari degli esecutori pubblici può ritenersi
soddisfatto in
tempi brevi con l'acquisizione delle attestazioni SOA, non altrettanto
può
dirsi per i settori delle forniture e dei servizi in relazione ai
quali,
mancando appositi organismi, il controllo viene svolto dalla stazione
appaltante «separatamente ed analiticamente con conseguente
dilatazione dei
tempi necessari alla conclusione dei controlli medesimi». Per
queste ragioni,
le singole stazioni appaltanti potrebbero decidere modalità
diverse di
controllo, al fine di limitare gli effetti negativi della sospensione
della
gara, «laddove la mancata conferma dei requisiti posseduti da un
concorrente, e
quindi la sua illegittima partecipazione non infici il procedimento di
gara nel
suo complesso». Si osserva, infatti, che, nel caso di
aggiudicazione con il
criterio del prezzo più basso, la valutazione della singola
offerta non dipende
da una comparazione tra le offerte medesime che rende ragionevole, come
nel
caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente
più
vantaggiosa, anticipare il momento del controllo. «Tutto
ciò senza tenere conto
– puntualizza la ricorrente – che, oltre ai requisiti
tecnico-organizzativi ed
economico-finanziari, i concorrenti dichiarano, ai fini della
partecipazione
alla gara, anche il possesso dei requisiti di ordine generale previsti
dall'art. 38 del Codice (…). Le stazioni appaltanti, quindi, si trovano
davanti
alla scelta o di effettuare una duplice procedura di controllo (durante
la gara
sui requisiti tecnico-economici e dopo l'aggiudicazione provvisoria sui
requisiti giuridici), ovvero di unificare i due procedimenti, con
conseguente
eccessiva dilatazione dei tempi della gara stessa ed a discapito del
generale
principio della semplificazione». Analoghe argomentazioni vengono
svolte con
riferimento al secondo comma dell'impugnato art. 48, nella parte in cui
lo
stesso impone alle stazioni appaltanti di controllare, oltre
all'aggiudicatario, anche il concorrente che segue in graduatoria. La
censura
si fonda sul fatto che, fermo il principio dell'obbligo di effettuare
controlli
a campione e puntuali, la determinazione delle modalità di
individuazione dei
concorrenti oggetto del controllo devono essere ricondotti nell'ambito
dell'autonomia organizzativa della singola stazione appaltante. In definitiva, in assenza di
esigenze
unitarie, la norma censurata sarebbe costituzionalmente illegittima in
quanto
prevede una «disciplina dettagliata ed autoapplicativa»
relativa al controllo
delle autodichiarazioni rese dai concorrenti, afferente alla materia
dell'organizzazione
amministrativa di competenza residuale delle Regioni, alle quali spetta
modulare il contenuto della predetta disciplina in maniera
differenziata per
meglio contemperare i vari interessi in gioco. 5.5.— La ricorrente impugna
anche l'art.
75, comma 1, nella parte in cui
prevede che «l'offerta è corredata da una garanzia, pari
al due per cento del
prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o
di
fideiussione, a scelta dell'offerente», per violazione dell'art.
117 Cost. In particolare – dopo avere
premesso che
detta disposizione vale anche per i contratti sotto soglia comunitaria,
ed
avere riconosciuto che le modalità di costituzione della
cauzione e i contenuti
specifici della stessa possono considerarsi attinenti a profili
concernenti
l'ordinamento civile – si osserva che la norma specificamente censurata
avrebbe
un contenuto riconducibile a profili organizzativi di competenza
residuale
regionale. Potrebbe, infatti, risultare «eccessivo» per
alcune procedure di gara
di importo limitato, da un lato, obbligare tutti i concorrenti alla
presentazione della cauzione provvisoria, dall'altro,
«appesantire l'attività
amministrativa degli uffici con gli adempimenti necessari concomitanti
e
successivi alla procedura di gara medesima». A ciò si
aggiunge che potrebbero
essere anche altre le modalità attraverso le quali assicurare la
serietà della
presentazione dell'offerta, come previsto, ad esempio, dalla legge
della
Regione Toscana n. 12 del 2001, che prescrive, tra le altre, la
costituzione
della cauzione provvisoria da parte del solo concorrente
aggiudicatario. Da qui la violazione, da parte
della norma
censurata dell'art. 117 Cost, in quanto non consentendo alle Regioni di
modulare la richiesta di cauzione in modo differenziato a seconda del
tipo di
procedura e di importo, violerebbe la competenza residuale delle
Regioni stesse
in materia di organizzazione. 5.6.— I commi 2, 3, 8 e 9,
dell'art. 84
vengono censurati nella parte in cui disciplinano la composizione ed il
funzionamento della Commissione aggiudicatrice nel caso in cui
l'aggiudicazione
avvenga con il criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, sia per le
procedure di importo superiore alla soglia comunitaria, sia, in
virtù del
richiamo operato dall'art. 121 del Codice, per le procedure di importo
inferiore. Tali commi violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost., in
quanto, in
assenza di esigenze unitarie, l'individuazione del numero dei
componenti (comma
2), della qualifica del presidente (comma 3) e dei commissari (comma
8), nonché
le modalità della loro scelta (commi 8 e 9), dovrebbero essere
ricondotte
nell'ambito organizzativo della singola stazione appaltante, che
può modularli
tenendo conto della complessità dell'oggetto della gara,
nonché dell'importo
della medesima. Nella «denegata
ipotesi» in cui si ritenga
che la disciplina ed il funzionamento della Commissione di
aggiudicazione
rientri nell'ambito delle procedure di affidamento e dunque della
tutela della
concorrenza, non ricorrerebbero nella specie i caratteri che connotano
tale
materia. In particolare, non sarebbe configurabile il carattere
macroeconomico
dell'intervento, né sarebbe rispettato il principio della
ragionevolezza ed
adeguatezza, che impone di limitare l'intervento statale stesso a
«disposizioni
di carattere generale» e non a disposizioni di dettaglio, quali
sarebbero
quelle in esame. Si assume, inoltre, anche la
violazione
dell'art. 76 Cost., in quanto i criteri direttivi posti dall'art. 25
della
legge n. 62 del 2005 non consentivano «l'emanazione di nuove
disposizioni se
non per ragioni di semplificazione», non ravvisabili certamente
nel caso di
specie. Tale eccesso di delega, secondo la ricorrente, si puntualizza,
si
tradurrebbe in una lesione delle competenze regionali. 5.7.— L'art. 88 viene censurato
nella parte
in cui, disciplinando in maniera dettagliata il procedimento di
verifica e di
esclusione delle offerte ritenute «anormalmente basse», si
porrebbe in
contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto il procedimento
attraverso
il quale provvedere alla verifica dell'offerta anomala in
contraddittorio con
l'impresa atterrebbe ai profili dell'organizzazione rientranti
nell'ambito
della competenza residuale delle Regioni per i contratti della Regione,
degli enti
regionali e locali. Né sarebbe possibile per lo
Stato evocare
il titolo di competenza rappresentato dalla tutela della concorrenza,
atteso
che la disciplina del procedimento con cui eseguire la verifica delle
offerte
anomale, da un lato, non avrebbe un impatto complessivo sull'economia
e,
dall'altro, sarebbe dettagliata e minuziosa, con conseguente
inosservanza dei
criteri dell'idoneità e della proporzionalità. 5.8.— La Regione Toscana impugna
gli artt.
121, comma 1, 122, commi 2, 3, 5 e 6, e 124, commi 2, 5 e 6,
assumendone il
contrasto con gli artt 76, 117 e 118 Cost. L'art. 121, comma 1, prevede che
ai
contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture di
importo
inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria si applicano le
disposizioni
della Parte I, della Parte IV e della Parte V nonché quelle
della Parte II del
Codice, in quanto non derogate dalle norme contenute nel Titolo II, in
cui è
inserita la norma impugnata. In definitiva, la disciplina di tutti i
contratti
pubblici sotto soglia verrebbe così assimilata a quella dei
contratti sopra
soglia, salva la previsione di tempi e pubblicazioni ridotte,
ancorché sia
stato introdotto l'obbligo generalizzato di pubblicazione di tutti i
bandi
nella Gazzetta Ufficiale. L'art. 122, ai commi 2, 3, 5 e 6,
disciplina in maniera dettagliata le modalità e i tempi di
pubblicità e di
comunicazione dei contratti di lavori pubblici sotto soglia. L'art. 124
regolamenta gli stessi aspetti, con riferimento agli appalti di servizi
e
forniture sotto soglia. Secondo la ricorrente, tali norme
si
porrebbero in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, in
mancanza
di esigenze unitarie, disciplinano profili che, per il loro contenuto
dettagliato e per la rilevanza economica assai modesta degli appalti,
non
potrebbero, alla luce della giurisprudenza costituzionale (si citano le
sentenze della Corte costituzionale numeri 272 e 14 del 2004) afferire
alla
materia della tutela della concorrenza. In particolare, per quanto attiene
all'art.
121, il legislatore statale avrebbe disciplinato in relazione agli
appalti
sotto soglia tutta una serie di istituti fino ad oggi attribuiti, senza
alcuna
censura da parte dello Stato, alla competenza legislativa regionale. La
ricorrente, a tale proposito, richiama l'obbligo di acquisire la
cauzione in
tutte le procedure di gara (art. 75), nonché il procedimento di
individuazione
delle offerte anormalmente basse (art. 86, commi 1 e 2). Il livello di
dettaglio sarebbe ancora più evidente «se si pensa al
procedimento per
l'acquisizione delle giustificazioni in relazione alle offerte anomale,
dettato
dall'art. 86, comma 5, laddove il legislatore si spinge a sancire
l'obbligo
inderogabile per i concorrenti di corredare l'offerta, sin dalla
presentazione,
delle giustificazioni delle voci di prezzo che concorrono a formare
l'offerta
stessa». Non sarebbe conforme ai criteri di ragionevolezza e
proporzionalità
far gravare sul concorrente, anche per le gare di rilevanza ed importo
modesto,
l'onere di «dettagliare nell'offerta i singoli elementi
costitutivi». In tale
ambito si potrebbe eventualmente posticipare la richiesta degli
elementi
giustificativi dell'offerta ad un momento successivo all'espletamento
della
gara «indirizzandola al solo concorrente aggiudicatario»,
con notevole
semplificazione del procedimento a vantaggio del concorrente e della
stazione
appaltante. Per quanto attiene agli artt. 122
e 124, si
censura il carattere dettagliato ed esaustivo con cui tali disposizioni
disciplinano le modalità di pubblicità e comunicazione
per gli appalti pubblici
sotto soglia, in relazione ai contratti di competenza della Regione,
degli enti
dipendenti e locali. Si osserva come, da un lato, gli appalti sotto
soglia non
avrebbero una valenza macroeconomica non incidendo in modo rilevante
sul
mercato, dall'altro, la materia della tutela della concorrenza
legittimerebbe
il legislatore statale a «vincolare il legislatore regionale solo
con
disposizioni di carattere generale». Infine, le norme censurate
non rispetterebbero
i criteri di proporzionalità ed adeguatezza: «una volta,
infatti, che il
legislatore statale ha posto la regola che tutte le procedure di gara
devono
essere pubblicizzate con forme e tempi adeguati, ben può essere
demandata
all'autonomia regionale la modulazione del procedimento nel dettaglio,
modulazione che potrà tener conto, se del caso, della maggiore o
minore
rilevanza economica dell'appalto». Ciò varrebbe
soprattutto per le forme di
pubblicità, atteso che la pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale comporterebbe per la stazione appaltante una
rilevante esposizione economica, che appare ragionevole soltanto
qualora
l'importo e la complessità della gara la giustifichino. Si
aggiunge, inoltre,
che, in relazione ai contratti sotto soglia, le leggi regionali hanno
da tempo
disciplinato il procedimento, ivi comprese le forme di
pubblicità e di
comunicazione, senza che lo Stato eccepisse alcunché. A conforto delle conclusioni
rassegnate si
fa riferimento a quanto affermato in argomento dal Consiglio di Stato
con il
più volte citato parere n. 355 del 2006. Non sussisterebbero, inoltre, le
esigenze
unitarie di cui all'art. 118 Cost. in grado di giustificare le norme
impugnate,
e comunque non sarebbe stato previsto alcun coinvolgimento della
Regione, in
contrasto con i principi stabiliti dalla Corte costituzionale con la
sentenza
numero 303 del 2003. Infine, si assume la violazione
dell'art.
76 Cost., in quanto i criteri direttivi posti dall'art. 25 della legge
n. 62
del 2005 non avrebbero consentito l'emanazione di una normativa
completa e
dettagliata anche per i contratti sotto soglia. Tale eccesso di delega
si
tradurrebbe in una lesione delle competenze regionali. 5.9.— La ricorrente ha,
infine, impugnato
l'art. 131, comma 1, nella parte in cui prevede che «il Governo,
su proposta
dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, delle
infrastrutture e dei trasporti, e delle politiche comunitarie, sentite
le
organizzazioni sindacali e imprenditoriali maggiormente
rappresentative,
approva le modifiche che si rendano necessarie al regolamento recato
dal decreto del Presidente della Repubblica 3
luglio 2003, n. 222, in materia di piani di sicurezza nei
cantieri
temporanei o mobili, in conformità alle direttive comunitarie, e
alla relativa
normativa nazionale di recepimento». Tale norma si porrebbe in
contrasto con
gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, rientrando la materia relativa ai
piani
di sicurezza nell'ambito della potestà legislativa concorrente
(sicurezza del
lavoro), dovrebbe ritenersi non legittima l'emanazione di un
regolamento. In via subordinata, qualora si
ritenesse
sussistente una competenza esclusiva dello Stato, la Regione assume che
non
sarebbe stato comunque garantito il necessario coinvolgimento dei
livelli di
governo regionali. 6.— Si è costituito il
Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello
Stato, prospettando, in relazione alle censure specificamente formulate
dalla
Regione Toscana, argomentazioni analoghe a quelle contenute nella
memoria
depositata per i ricorsi numeri 86 e 88 del 2006. 7.— Con ricorso notificato il 30
giugno
2006 e il successivo 10 luglio (ricorso numero 89 del 2006) la Regione
Lazio ha
impugnato l'art. 4, commi 2 e 3, e 5 del d.lgs. n. 163 del 2006, per
asserita
violazione degli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione. La ricorrente ricostruisce,
innanzitutto,
l'iter che ha condotto all'emanazione
del Codice, per poi svolgere le singole censure in ordine alle norme
impugnate. 7.1.— Quanto al censurato art. 4,
comma 2,
la Regione ricorrente assume, in primo luogo, che la materia relativa
all'organizzazione amministrativa non riguardante gli appalti di
spettanza
statale rientrerebbe nell'ambito della competenza residuale regionale,
con
conseguente violazione degli artt. 97 e 117 Cost., aggiungendo,
inoltre, in
relazione all'art. 97 Cost., che non si comprende «quali principi
in materia di
organizzazione amministrativa, oltre a quelli di imparzialità e
buon andamento
fissati dalla Costituzione, possano essere contenuti nel Codice,
così da
dequotare, in tale settore, la competenza regionale, da residuale a
concorrente». Per quanto attiene al riferimento
contenuto
nella norma in esame ai «compiti e requisiti del
procedimento», si sottolinea
come la Costituzione non contempli, tra le materie di competenza
esclusiva
dello Stato, quella relativa ai principi generali dell'azione
amministrativa o
del procedimento. Di conseguenza, «la questione se la disciplina
generale
dell'azione amministrativa o del procedimento possa essere oggetto di
legislazione regionale si trasforma tutt'al più in un problema
di rapporti tra
legislazione regionale e principi stabiliti (non dal Codice, ma) dalla
legge 7
agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), come modificata dalle
novelle
del 2005, nella parte in cui vengono espressamente riconosciuti come
direttamente attuativi del sistema costituzionale». Quanto sin qui detto viene
ritenuto valido
anche per la programmazione di lavori pubblici e per l'approvazione dei
progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, i quali
«rappresentano tipiche
manifestazioni di esercizio di amministrazione attiva che, nei casi di
appalti
di interesse regionale, non si vede come possano attrarre la competenza
statale
a dettare (attraverso il Codice) norme di principio per la
potestà normativa
regionale». Si osserva, inoltre, come la norma
in esame
rappresenti «un assoluto fuor d'opera rispetto alla delega
attribuita al
Governo dalla legge n. 62 del 2005, la quale non contiene alcuna
indicazione
circa la possibilità del Codice di incidere sul riparto delle
competenze
normative concorrenti di Stato e Regioni (men che mai, nei termini
attuati dal
Codice e fin qui descritti)». Infine, si assume la violazione
del
principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo
territoriali, che deve essere rispettato tutte le volte in cui si
verificano
interferenze e sovrapposizioni tra competenze statali e regionali. 7.2.— La Regione Lazio assume,
poi, il
contrasto dell'art. 4, comma 3, con gli artt. 76, 97, 117 e 118 Cost.,
nonché
con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e leale
collaborazione. La ricorrente, dopo avere
riportato il
contenuto della norma impugnata ed avere sottolineato che, secondo la
giurisprudenza costituzionale, gli appalti pubblici non costituiscono
una
materia omogenea (si cita la sentenza della Corte costituzionale numero
303 del
2003), delinea i tratti caratterizzanti della materia della tutela
della
concorrenza, così come definita dalla Corte costituzionale (si
citano le
sentenze numeri 345 e 14 del 2004). Si sottolinea, inoltre, sul punto,
che «la
disciplina degli appalti pubblici non è assorbita interamente
dalle esigenze di
tutela della concorrenza» né rientra integralmente nelle
materie
dell'ordinamento civile e del contenzioso, «essendo anche altro e
principalmente esercizio di attività di amministrazione attiva,
di cura in concreto
di interessi pubblici, a cominciare dalle procedure di aggiudicazione,
per
finire alle attività di progettazione, alla direzione dei lavori
ecc.; e in
tali ambiti, va riconosciuta alla Regione (…) una incomprimibile
competenza
normativa». Si conclude, infine, ritenendo che
l'art.
4, comma 3, atteso il suo contenuto dettagliato, non rispetterebbe i
canoni di
proporzionalità ed adeguatezza. Costituzionalmente illegittima
sarebbe la
norma in esame, anche nella parte in cui attribuisce alla competenza
legislativa esclusiva statale i piani di sicurezza, senza tenere conto
che il
terzo comma dell'art. 117 Cost. assegna alla legislazione concorrente
la
materia della tutela e sicurezza del lavoro. In relazione al riferimento alle
procedure
di affidamento, contenuto sempre nella disposizione in esame, si
osserva che le
procedure di aggiudicazione sono dei veri e propri procedimenti
amministrativi,
anzi «rappresentano storicamente il paradigma dell'azione
dell'amministrazione
in forme procedimentalizzate». Pur essendo indubbio che in tali
procedure
sussistano esigenze di tutela della concorrenza, si osserva come la
disciplina
di tali procedimenti dovrebbe avvenire secondo il criterio di riparto
indicato
dall'art. 29, comma 2, della legge n. 241 del 1990 «che sul punto
applica
fedelmente il nuovo impianto costituzionale, negando la competenza
esclusiva
dello Stato». Tale norma, infatti, prevede che «le Regioni
e gli enti locali,
nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie
disciplinate dalla
presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie
del
cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come
definite dai
principi stabiliti dalla presente legge». L'art. 4, comma 3, colliderebbe,
inoltre,
con l'art. 117, quinto comma, Cost., secondo il quale le Regioni nelle
materie
di loro competenza provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli
atti
dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da
legge
dello Stato. L'art. 16 della legge n. 11 del
2005
prevede che le Regioni possono dare immediata attuazione alle direttive
comunitarie, salvo il rispetto: a) dei principi fondamentali non
derogabili,
stabiliti dalla legge nazionale (legge comunitaria) nelle materie di
competenza
concorrente; b) dei criteri e delle direttive contenute in leggi
statali o in
regolamenti attuativi della legge comunitaria, nelle materie attribuite
alla
competenza esclusiva dello Stato. Rimane fermo il potere dello Stato,
puntualizza la ricorrente, di procedere all'attuazione delle direttive
comunitarie in ambiti materiali di competenza residuale delle Regioni,
nel caso
di inerzia regionale rispetto all'obbligo di attuazione; in questo
caso, però,
la disciplina statale risulta cedevole, rispetto alla sopravvenuta
disciplina
regionale (art. 11, comma 8, della citata legge n. 11 del 2005). Il Codice avrebbe violato tale
complessiva
impostazione: la legge statale, infatti, non avrebbe lasciato alle
Regioni
alcun margine di autonomia normativa, «coprendo con la propria
legislazione
vincolante e di dettaglio (anche per gli appalti sotto soglia) ambiti
materiali
pacificamente attribuiti dalla Costituzione alla potestà
normativa regionale
residuale e concorrente». Da quanto sopra emergerebbe,
inoltre, come
il Governo abbia ecceduto la delega conferita. I principi della delega
indicavano: a) la
necessità di compilare un unico testo normativo che recepisse le
due direttive
in materia di procedure di appalto, coordinando anche le altre vigenti
disposizioni ai principi del diritto comunitario; b) la
necessità di
semplificare le procedure di affidamento che non costituiscono diretta
applicazione delle normative comunitarie, ai fini di contenimento dei
tempi e
di massima flessibilità degli strumenti giuridici. In relazione al principio sub a), si osserva come, nelle
intenzioni del legislatore delegante, il recepimento delle direttive
avrebbe
dovuto seguire il descritto iter
attuativo previsto dall'ordinamento nazionale, senza alcuna forzatura
del
sistema di riparto delle competenze normative tra lo Stato e le Regioni. In relazione al principio sub b), «le finalità di semplificazione,
di flessibilità giuridica e di accelerazione delle procedure
appaiono
contraddette dall'impostazione accentrativa del Codice, che ha
trasformato, da
cedevole, in vincolante, la propria disciplina di dettaglio anche in
materie
pacificamente attribuite in Costituzione alla competenza normativa
delle
Regioni». Infine, si assume che sarebbe
stato violato
il principio di leale collaborazione, in quanto, pur vertendosi in
settori
caratterizzati da interferenze e sovrapposizioni di materie e pur in
presenza
del parere negativo della Conferenza unificata, il legislatore statale
avrebbe
«proceduto unilateralmente» alla formulazione delle norme
impugnate. 7.3.— Infine, si assume la
illegittimità
costituzionale dell'art. 5 per violazione degli artt. 76, 97, 117 e 118
Cost.,
nonché «per violazione dei principi costituzionali
relativi all'esercizio del
potere regolamentare e del principio di legalità». In particolare, si osserva che
«in forza
del parallelismo tra competenza legislativa e regolamentare, previsto
dall'art.
117, sesto comma, Cost. (…), laddove l'art. 4, comma 3, ha ascritto
alla
potestà legislativa esclusiva dello Stato materie che invece
debbono ritenersi
non ricadenti nell'art. 117, secondo comma, Cost. (…), il Codice ha
finito per
attribuire allo Stato, in quelle materie, un'indebita potestà
regolamentare di
attuazione delle norme del Codice, ampia e omnicomprensiva, vincolante
(e non
cedevole) anche per gli appalti pubblici di interesse regionale (in
relazione
al principio in base al quale i regolamenti governativi, compresi
quelli
delegati, non sono legittimati a disciplinare materie di competenza
regionale»
(si citano, tra le altre, le sentenze della Corte costituzionale numeri
302 del
2003, 408 del 1998, 482 del 1995). 8.— Si è costituito il
Presidente del
Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello Stato,
mediante una memoria dal contenuto analogo, in relazione alla censure
formulate
dalla Regione Lazio, a quello delle memorie depositate per gli altri
giudizi
sopra riportati. 9.— La Regione Abruzzo con ricorso
notificato in data 30 giugno 2006 e depositato il successivo 10 luglio
(ricorso
numero 90 del 2006) ha proposto le stesse questioni di
costituzionalità
contenute nel ricorso della Regione Lazio. 10.— Anche in questo giudizio si
è
costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio
dell'Avvocatura generale dello Stato, ribadendo le stesse
argomentazioni
contenute nelle altre memorie relative ai giudizi sopra riportati. 11.— Con ricorso notificato il 30
giugno
2006 e depositato il successivo 6 luglio la Provincia autonoma di
Trento
(ricorso numero 86 del 2006) ha impugnato l'art. 4, comma 3, e l'art.
5, commi
1, 2 e 4 del d.lgs. n. 163 del 2006, per asserita violazione dell'art.
8 (recte: 11), numeri 1, 17, 19, e
dell'art. 16 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 (Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), del decreto del Presidente della
Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige
in
materia di urbanistica ed opere pubbliche), degli artt. 2 e 4 del
decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti
legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la
potestà statale
di indirizzo e coordinamento), nonché dell'art. 117, terzo,
quarto e sesto
comma, Cost. in combinato disposto con l'art. 10 della legge
costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione). 11.1.— La Provincia ricorrente
premette di
essere dotata, ai sensi dell'art. 11, numero 17, dello statuto di
potestà
legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse
provinciale,
nonché in materia di ordinamento degli uffici provinciali
(numero 1) e di
assunzione diretta di servizi pubblici (numero 19). Nelle medesime
materie la
Provincia è anche titolare della competenza amministrativa. L'art. 1 del d.P.R. n. 381 del
1974 ha
trasferito alle Province autonome le «attribuzioni
dell'amministrazione dello
Stato in materia di urbanistica, di edilizia comunque sovvenzionata, di
utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di
prevenzione e pronto soccorso per calamità pubbliche, di
espropriazione per
pubblica utilità, di viabilità, acquedotti e lavori
pubblici di interesse
provinciale, esercitate sia direttamente dagli organi centrali e
periferici
dello Stato sia per il tramite di enti e di istituti pubblici a
carattere
nazionale o sovraprovinciali». L'art. 19 tiene ferma la
competenza statale
in ordine ad alcune categorie di opere pubbliche; tuttavia l'art. 2,
secondo
comma, dispone che «In caso di delega alle province di funzioni
concernenti la
realizzazione di opere pubbliche di competenza statale, le province
stesse
procederanno alle espropriazioni ed occupazioni necessarie in nome e
per conto
dello Stato sulla base della disciplina vigente per le opere pubbliche
di loro
competenza». E l'art. 19-bis
stabilisce che ai «fini dell'esercizio delle funzioni delegate
con il presente
decreto le province di Trento e di Bolzano, per il rispettivo
territorio,
applicano la normativa provinciale in materia di organizzazione degli
uffici,
di contabilità, di attività contrattuale, di lavori
pubblici e di valutazione
di impatto ambientale». La ricorrente sottolinea, inoltre,
come
abbia più volte legiferato in materia di lavori pubblici. Essa
richiama, a tal
proposito: la legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26 (Norme in
materia di
lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli
appalti);
la legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23 (Disciplina
dell'attività
contrattuale e dell'amministrazione dei beni della Provincia autonoma
di
Trento); la legge provinciale 14 settembre 1979, n. 7 (Norme in materia
di
bilancio e di contabilità generale della Provincia autonoma di
Trento). Nel ricorso si rileva, poi, come
la
Provincia abbia esercitato anche la propria potestà
regolamentare con
l'emanazione del decreto del Presidente della Giunta provinciale 30
settembre
1994, n. 12-10/Leg (Regolamento di attuazione della legge provinciale
10
settembre 1993, n. 26 concernente “Norme in materia di lavori pubblici
di
interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti”, come
modificata
dalla legge provinciale 12 settembre 1994, n. 6, recante “Disposizioni
modificative della normativa vigente in materia di lavori pubblici di
interesse
provinciale e in materia di edilizia abitativa”); nonché del
decreto del
Presidente della Giunta provinciale 22 maggio 1991, n. 10-40/Leg.
(Regolamento
di attuazione della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23,
concernente:
“Disciplina dell'attività contrattuale e dell'amministrazione
dei beni della
Provincia autonoma di Trento”). 11.2.— Tanto premesso, la
ricorrente
osserva che le censure formulate valgono sia per la materia dei lavori
pubblici, sia per i servizi e le forniture, la cui disciplina rientra
nell'ambito della potestà primaria della Provincia, attenendo –
ad eccezione
dei profili civilistici – all'ordinamento degli uffici. La difesa della Provincia
sottolinea come
l'art. 4, comma 5, contenga una clausola di salvaguardia (le
«Regioni a statuto
speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria
legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle
relative
norme di attuazione»), «che si adatta bene alla posizione
della Provincia di
Trento», in quanto l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 prevede un
regime di
separazione tra fonti statali e provinciali nelle materie di competenza
provinciale (qual è la materia dei lavori pubblici di interesse
regionale) imponendo
alle Province autonome l'adeguamento della propria legislazione alle
norme
legislative statali costituenti limiti ai sensi dello statuto speciale
e
prevedendo che, nel frattempo, continuino ad applicarsi le leggi
provinciali
preesistenti. Esisterebbero, però, nella
prospettiva
della ricorrente, altre norme che contrasterebbero con la predetta
clausola di
salvaguardia. In questo senso, susciterebbe perplessità
già il contenuto del
comma 1 dell'art. 4, che vincolerebbe le Province autonome al rispetto
anche
delle disposizioni relative a materie di competenza esclusiva statale
che,
«verosimilmente», sarebbero quelle di cui all'art. 117,
secondo comma, Cost., e
non quelle di competenza statale sulla base di quanto previsto dallo
statuto.
Ad ogni modo, tale comma sarebbe suscettibile di essere interpretato in
modo
conforme a Costituzione e allo statuto. Inoltre, si sottolinea,
l'attuazione
della disposizione in esame spetterebbe alla Provincia, la quale
provvederà
avendo riguardo agli effettivi contenuti statutari e non alla astratta
formulazione dell'art. 4, comma 1. Per queste ragioni la norma in esame
non
viene fatta oggetto di censura. 11.3.— In relazione al contenuto
dell'art.
4, comma 3, si premette come la competenza legislativa esclusiva
statale
troverebbe titolo nella tutela della concorrenza, ancorché i
settori in esame
eccederebbero tale ambito materiale. Inoltre, si osserva che tale
disposizione,
in sé considerata, potrebbe non essere lesiva delle attribuzioni
provinciali,
atteso che, da un lato, essa menziona soltanto le Regioni, dall'altro,
la
questione circa la sua effettiva capacità vincolante potrebbe
porsi in
occasione di un eventuale giudizio relativo a specifiche norme
legislative
provinciali. Sennonché, detta
lesività discenderebbe da
quanto previsto dal successivo art. 5. Quest'ultimo, infatti,
coinvolgerebbe
anche la Provincia di Trento, stabilendo, da un lato, al comma 1, che
il
regolamento statale si applica «limitatamente agli aspetti di cui
all'articolo
4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra
amministrazione»,
dall'altro, al comma 2, che il «regolamento indica quali
disposizioni,
esecutive o attuative di disposizioni rientranti ai sensi dell'articolo
4,
comma 3, in ambiti di legislazione statale esclusiva, siano applicabili
anche
alle Regioni e Province autonome». Di conseguenza, anche l'art. 4,
comma 3,
richiamato dall'art. 5, troverebbe applicazione nei confronti della
ricorrente.
In definitiva, pertanto, tali
norme,
disponendo l'applicazione alle Province autonome del secondo comma
dell'art.
117 Cost., incidono su ambiti materiali spettanti alle Province stesse
ai sensi
dello statuto e delle relative norme di attuazione. Ciò non sarebbe conforme a
Costituzione,
atteso che l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 consente
l'applicazione alle Regioni speciali e alle Province autonome di norme
contenute nel nuovo titolo V soltanto se più favorevoli e non,
come nella
specie, per restringere l'autonomia legislativa della ricorrente (si
citano le
sentenze della Corte costituzionale numeri 134 del 2006, 103 del 2003 e
536 del
2002). Si puntualizza che «con
ciò la Provincia
non può pretendere di escludere in toto
lo Stato dagli oggetti indicati dall'art. 4, comma 3, ma ciò
accadrà in base
alla ripartizione statutaria, e non in base al Titolo V. Lo Stato
può
interferire con le competenze provinciali solo sulla base di limiti
previsti
dallo stesso Statuto e secondo i meccanismi di cui al d.lgs. n. 266 del
1992,
non invece utilizzando i criteri riguardanti le Regioni
ordinarie». 11.4.— La ricorrente assume,
inoltre, la
illegittimità costituzionale dell'art. 5, commi 1 e 2, in quanto
tale norma
prevede il potere dello Stato di emanare regolamenti nelle materie di
cui
all'art. 4, comma 3. Ma detto articolo incide sulla materia dei lavori
pubblici
di interesse provinciale che lo statuto attribuisce alla competenza
primaria
della Provincia autonoma. Ciò non significa, si chiarisce, che
nei settori
indicati dal comma 3 dell'art. 4, la ricorrente non debba osservare
limiti, ma
che potranno venire in rilievo soltanto quelli propri della
potestà legislativa
primaria, e cioè il limite delle riforme
e degli obblighi internazionali, che dovranno essere
rispettati dalla
legislazione provinciale, la quale dovrà essere adeguata a
quella statale nei
sei mesi successivi secondo il meccanismo prefigurato dal d.lgs. n. 266
del
2002. Da qui la illegittimità
costituzionale
dell'art. 5, comma 2, nella parte in cui esso prevede che il
regolamento
indichi «quali disposizioni, esecutive o attuative di
disposizioni rientranti
ai sensi dell'articolo 4, comma 3, in ambiti di legislazione statale
esclusiva,
siano applicabili anche alle regioni e province autonome». In
proposito,
varrebbero anche le argomentazioni contenute nella sentenza della Corte
costituzionale numero 482 del 1995 che, sia pure con pronuncia
interpretativa
di rigetto in ragione della peculiarità delle disposizioni
all'epoca impugnate,
ha escluso che il regolamento dei lavori pubblici previsto dalla legge
n. 109
del 1994 potesse trovare applicazione nei confronti della Provincia
ricorrente. 11.5.— In via subordinata, si
rileva che,
qualora si dovesse ritenere che i settori indicati dall'art. 4, comma
3, siano
riconducibili non alla materia statutaria lavori pubblici di interesse
provinciale ma alla materia statale tutela della concorrenza, nondimeno
dovrebbe essere censurata «l'abnorme estensione» che tale
disposizione
attribuisce a tale materia, tenuto conto che la mera autoqualificazione
ad opera
del legislatore statale non sarebbe comunque vincolante (si cita ancora
la
sentenza numero 482 del 1995; a dimostrazione della
illegittimità della norma
in esame si richiama anche il parere n. 355 del 2006 del Consiglio di
Stato). La ricorrente fa leva sulla natura
trasversale della materia tutela della concorrenza, al fine di
dimostrare la
illegittimità della disposizione censurata, la quale occupa per
intero
determinati settori materiali (si cita, tra le altre, la sentenza della
Corte
costituzionale numero 272 del 2004). Infine, si contesta la norma
contenuta
nell'art. 4, comma 3, che vieta alle Regioni l'emanazione di
disposizioni
“diverse” rispetto a quelle contenute nel Codice. Infatti, se per “diverse” si
intende
“contrastanti”, la norma sarebbe illegittima per le ragioni esposte, e
cioè
perché qualifica come «vincolanti tutte le disposizioni
del Codice relative
agli ambiti indicati, in base ad una “rivendicazione” di competenza
statale
assoluta ed aprioristica». Ma, si aggiunge, l'espressione
impiegata
sembra destinata ad impedire in tali settori l'emanazione da parte
regionale di
«qualunque altra norma» e, dunque, persino di disposizioni
integrative e di
sviluppo rispetto a quelle statali. 11.6.— Da quanto esposto
deriverebbe la
illegittimità costituzionale anche dell'art. 5, commi 1 e 2:
«una volta che non
tutti gli oggetti indicati nell'art. 4, comma 3, sono di competenza
esclusiva
statale, la previsione del potere regolamentare statale risulta
illegittima,
per violazione dell'art. 117, sesto comma, dell'art. 2 del d.lg.s n.
266 del
1992 (che prevede l'intervento di sole legge statali in materie
provinciali) e
dei principi già da tempo fissati dalla giurisprudenza
costituzionale». 11.7.— Sempre in via subordinata,
si assume
la illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 3, e degli
artt. 5, commi 1
e 2, «in quanto sanciscono l'inderogabilità della
disciplina statale sugli
oggetti indicati anche in relazione ai contratti al di sotto della
soglia
comunitaria». In relazione a tali contratti,
infatti, è
legittima soltanto, come sottolineato dal Consiglio di Stato con il
citato
parere, la «fissazione di comuni principi, che assicurino
trasparenza, parità
di trattamento e non discriminazione, senza che però ricorra
l'esigenza (di
derivazione comunitaria) di estendere il grado di uniformità
alla disciplina di
dettaglio». Sul punto, si richiama anche la sentenza della Corte
costituzionale
numero 345 del 2004, che avrebbe riconosciuto «la
legittimità
dell'applicabilità alle Regioni dei soli principi desumibili
dalla normativa
nazionale di recepimento della disciplina comunitaria, là dove
impongono la
gara, fissano l'ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo,
limitano il
ricorso alla trattativa privata e collegano alla violazione
dell'obbligo
sanzioni civili e forme di responsabilità». 11.8.— Infine, si assume la
illegittimità
costituzionale dell'art. 5, comma 4, per violazione del principio di
leale
collaborazione. Anche, infatti, a volere ritenere
sussistente una competenza legislativa esclusiva statale in relazione
ai
settori indicati dall'art. 4, comma 3, sarebbe comunque necessario che
il
regolamento venisse adottato previa intesa con la Conferenza
Stato-Regioni. Ciò in quanto, attesa la
natura trasversale
della tutela della concorrenza, «le norme secondarie dettate
nell'esercizio di
tali competenze vanno ad intrecciarsi con le materie regionali,
condizionando
l'esercizio della relativa potestà legislativa». Si
verificherebbe una
situazione analoga a quella che, prima della riforma del titolo V,
caratterizzava la funzione statale di indirizzo e coordinamento, nel
senso di
creare una sorta di eccezione «alla normale gerarchia delle
fonti», con
conseguente possibilità che la legge regionale «rimane
vincolata a norme di
rango non legislativo». Sarebbe, pertanto, necessario
l'osservanza
del principio di leale collaborazione nella fase di adozione delle
norme
secondarie. 12.— Si è costituito il
Presidente del
Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello
Stato,
chiedendo che le censure prospettate vengano dichiarate inammissibili. Si sottolinea, infatti, che il
comma 5
dell'art. 4 contiene una clausola di salvaguardia, prevedendo che le
«regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la
propria
legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle
relative
norme di attuazione». La difesa erariale mette in
evidenza come
«di tale disposizione la stessa ricorrente prende atto, per cui
la censura
appare volta unicamente ad ottenere dalla Corte un “parere” in ordine
alla
inapplicabilità diretta alla provincia ricorrente delle
disposizioni del
Codice, circostanza peraltro enunciata a chiare lettere dal
provvedimento
impugnato». A ciò
si aggiunge che, diversamente dalle Regioni che hanno impugnato il
d.lgs. n.
163 del 2006, la Provincia autonoma si è limitata a censurare il
solo comma 3
dell'art. 4, che, diversamente da quanto previsto dal comma 2,
«non fa neanche
riferimento alle Province autonome, ad ulteriore conferma della
specificazione
contenuta nel citato comma 5». Sotto altro profilo, si sottolinea
come la
stessa ricorrente ammetta di essere sottoposta all'osservanza di
limiti,
specificando, però, che deve trattarsi unicamente dei limiti
statutari. A tal
proposito, l'Avvocatura generale rileva come l'art. 4 dello statuto
speciale
della Regione Trentino-Alto Adige preveda l'osservanza, anche nelle
materie di
competenza legislativa primaria, dei «principi dell'ordinamento
giuridico della
Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli
interessi
nazionali (…) nonché delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali
della Repubblica». Da quanto esposto consegue
l'applicabilità
alla ricorrente delle disposizioni rientranti nell'ambito della
competenza
legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza di
cui
all'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., la quale non potrebbe considerarsi «come sovrapposizione
di un nuovo
limite per Regioni e Province autonome (e in quanto tale inapplicabile
ai sensi
del citato art. 10 legge cost. n. 3 del 2001)». 13.— Nell'imminenza dell'udienza
pubblica,
tutte le Regioni, ad eccezione della Regione Piemonte, nonché la
Provincia
autonoma di Trento hanno depositato memorie, con le quali hanno
ribadito e
ampliato le argomentazioni contenute nei ricorsi introduttivi. Considerato
in diritto 1.— Le Regioni Veneto, Piemonte,
Toscana,
Lazio e Abruzzo, nonché la Provincia autonoma di Trento hanno
impugnato gli
artt. 4, commi 2 e 3; 5, commi 1, 2, 4, 7, e 9; 6, comma 9, lettera a); 7, comma 8; 10, comma 1; 11, comma
4; 48; 53, comma 1; 54, comma 4; 55, comma 6; 56; 57; 62, commi 1, 2, 4
e 7;
70; 71; 72; 75; 81; 82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2 (e
disposizioni
di cui alla Parte II, Titolo I e Titolo II, cui si rinvia); 93; 98;
112, comma
5, lettera b); 113; 118, comma 2;
120, comma 2; 121, comma 1; 122, commi da 1 a 7; 123; 124, commi 2, 5 e
6; 125,
commi 5, 6, 7, 8 e 14; 130, comma 2, lettera c); 131;
132; 141; 153; 197; 204; 205; 240, commi 9 e 10; 252,
commi 3 e 6; 253, commi 3, 10, 11 e 22, lettera a);
257, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), per asserita
violazione
degli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione e del principio di
leale
collaborazione; dell'art. 8 (recte:
11), numeri 1, 17, 19 e dell'art. 16 della legge costituzionale 26
febbraio
1948, n. 5 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), del decreto
del
Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto
Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), degli artt. 2 e 4
del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione
dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra
atti
legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la
potestà statale
di indirizzo e coordinamento), nonché dell'art. 117, terzo,
quarto e sesto
comma, Cost. in combinato disposto con l'art. 10 della legge
costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione). Ponendo i predetti ricorsi
questioni
analoghe, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi ai fini
di una
trattazione unitaria e di un'unica decisione. 2.— Nel procedere all'esame delle
questioni
di legittimità costituzionale proposte, appare opportuno, in via
preliminare,
ricostruire l'iter normativo che ha
portato all'emanazione del citato d.lgs. n. 163 del 2006 e dei
successivi
decreti correttivi. 2.1.— Con l'art. 25 della legge 18
aprile
2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), il
Governo è stato
delegato ad adottare «uno o più decreti legislativi volti
a definire un quadro
normativo finalizzato al recepimento della direttiva
2004/17/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e
del Consiglio, che coordina le procedure di appalto degli enti
erogatori di
acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e
servizi
postali, e della direttiva 2004/18/CE
del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio,
relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
di
lavori, di forniture e di servizi». Ciò nel rispetto, tra
gli altri, dei
seguenti principi e criteri direttivi: «a)
compilazione di un unico testo normativo recante le disposizioni
legislative in
materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive
coordinando
anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei principi del
Trattato
istitutivo dell'Unione europea; b)
semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono
diretta
applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il
contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti
giuridici»
(citato art. 25, comma 1). L'emanazione della legge di delega
e del
successivo decreto legislativo è stata, pertanto, imposta
soprattutto dalla
necessità di attuare nel nostro ordinamento le prescrizioni
sancite a livello
comunitario per il perseguimento di precise finalità. In particolare, l'adozione della
direttiva
2004/18/CE è stata guidata dall'esigenza di procedere alla
raccolta in un unico
testo – al fine di rispondere alle esigenze di semplificazione e di
modernizzazione formulate sia dalle amministrazioni aggiudicatrici che
dagli
operatori economici nel contesto delle risposte al Libro verde adottato
dalla
Commissione il 27 novembre 1996 – delle direttive del Consiglio
92/50/CEE del
18 giugno 1992, che coordinava le procedure di aggiudicazione degli
appalti
pubblici di servizi, 93/36/CEE del 14 giugno 1993, che coordinava le
procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, e 93/37/CEE del
14
giugno 1993, che coordinava le procedure di aggiudicazione degli
appalti
pubblici di lavori. La finalità perseguita con
la direttiva n.
2004/18/CE è stata, in primo luogo, quella di garantire che nei
singoli
ordinamenti nazionali l'aggiudicazione degli appalti per conto dello
Stato,
degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto
pubblico
avvenisse nel rispetto dei principi del Trattato ed, in particolare,
dei
principi della libera circolazione delle merci, della libertà di
stabilimento e
della libera prestazione dei servizi, nonché dei «principi
che ne derivano,
quali i principi di parità di trattamento, di non
discriminazione, di
riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di
trasparenza» (Considerando
numero 2 della citata direttiva 18 del 2004). Si è voluto,
infatti, assicurare
l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza anche mediante
«regole
dettagliate» volte a garantire «procedure di gara
concorrenziali a livello
della Unione europea» (Comunicazione interpretativa della
Commissione, relativa
al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o
solo
parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti
pubblici», del 1° agosto
2006). La stessa Corte di giustizia delle
Comunità
europee ha, inoltre, più volte sottolineato – sia pure con
riferimento a
particolari settori, ma con affermazioni di portata generale – che il
coordinamento a livello comunitario delle procedure di aggiudicazione
degli
appalti pubblici ha come fine essenziale «di proteggere gli
interessi degli
operatori economici stabiliti in uno Stato membro che intendano offrire
beni o
servizi alle amministrazioni aggiudicatrici stabilite in un altro Stato
membro
e, a tal fine, di escludere sia il rischio che gli offerenti nazionali
siano
preferiti nell'attribuzione di appalti sia la possibilità che
un'amministrazione aggiudicatrice si lasci guidare da considerazioni
non
economiche» (si veda, tra le altre, sentenza 27 novembre 2001,
nelle cause
riunite C-285/99 e C-286/99). Ne consegue che tale amministrazione
è tenuta ad
osservare «il principio di parità di trattamento degli
offerenti», nonché
l'«obbligo di trasparenza» al fine di garantire il rispetto
del «divieto di
discriminazione in base alla nazionalità» (sentenza 27
novembre 2001, cit.). Con la direttiva
2004/17/CE del 31 marzo 2004, il legislatore
comunitario – «in occasione di nuove modificazioni alla direttiva 93/38/CEE del Consiglio, del 14 giugno
1993» – ha
ritenuto opportuno, per motivi di chiarezza, procedere alla raccolta
delle
disposizioni previste dalla predetta direttiva in un unico testo. Il legislatore comunitario ha,
inoltre,
affermato che una delle ragioni principali per cui si è reso
necessario un
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti degli
enti
erogatori di acqua e di energia, nonché degli enti che
forniscono servizi di
trasporto e servizi postali, è stato «il carattere chiuso
dei mercati in cui
operano, dovuto alla concessione da parte degli Stati membri di diritti
speciali o esclusivi, per l'approvvigionamento, la messa a disposizione
o la
gestione di reti che forniscono il servizio in questione». In
questo ambito,
dunque, viene anche in rilievo un altro, ma connesso, aspetto relativo
alla
tutela della concorrenza: l'esigenza di prevedere misure di
liberalizzazione
dei settori sopra indicati finalizzate a garantire la graduale e
completa
apertura dei mercati alla libera concorrenza (vedi, sia pure con
riferimento ad
un settore diverso da quello in esame, la sentenza numero 336 del
2005). 2.2.— Al fine di dare attuazione
alla
suddetta normativa comunitaria e alla legge delega n. 62 del 2005, il
Consiglio
dei ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo recante il
«Codice
dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture». Su tale schema il Consiglio di
Stato,
Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza del 6 febbraio
2006, ha
reso il parere richiesto, proponendo talune modifiche e integrazioni. In relazione allo stesso schema,
la
Conferenza unificata Stato-Regioni ha espresso apposito parere,
lamentando la
violazione di specifiche competenze regionali e svolgendo, a tal fine,
osservazioni critiche in relazione ad una serie di disposizioni ivi
contemplate. Acquisiti i suddetti pareri,
unitamente a
quelli delle competenti commissioni parlamentari, il Governo ha emanato
il
decreto oggetto delle odierne impugnazioni. 2.3.— Successivamente – in
attuazione di
quanto prescritto dall'art. 25, comma 3, della legge n. 62 del 2005,
che
consente l'adozione di disposizioni correttive ed integrative del
Codice entro
due anni dalla sua entrata in vigore – il Governo ha predisposto uno
schema di
decreto correttivo trasmesso alla Conferenza unificata. Quest'ultima ha
chiesto
l'inserimento nel testo del Codice di una norma secondo la quale, fino
alla
data di entrata in vigore del decreto correttivo ed integrativo, si
applichino,
anche in deroga all'art. 4 dello stesso Codice, «le disposizioni
normative
delle Regioni e delle Province autonome in materia di appalti di
lavori,
servizi e forniture concernenti la stipulazione e l'approvazione dei
contratti,
il responsabile unico del procedimento, la pubblicazione dei bandi e le
procedure di affidamento degli appalti d'importo inferiore alla soglia
comunitaria, se non in contrasto con la normativa comunitaria». Anche su tale schema di decreto si
è
espresso il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti
normativi,
Adunanza del 28 settembre 2006, il quale ha, tra l'altro, suggerito di
non
inserire la norma richiesta in sede di Conferenza, ritenendo non
opportuno,
prima della decisione di questa Corte, apportare modificazioni agli
artt. 4 e 5
del d.lgs. n. 163 del 2006. All'esito della acquisizione, tra
l'altro,
dei predetti pareri è stato emanato il decreto legislativo 26
gennaio 2007, n.
6 (Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 12
aprile
2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori,
servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE, a
norma dell'articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62.
Legge
comunitaria 2004); tale decreto, in conformità al citato parere
del Consiglio
di Stato, non ha apportato modifiche agli artt. 4 e 5, né ha
inciso in modo
significativo sul contenuto delle altre disposizioni impugnate. 2.4.— Infine, è stato
predisposto dal
Governo un secondo schema di decreto correttivo in relazione al quale
hanno
espresso parere la Conferenza unificata e il Consiglio di Stato,
Sezione
consultiva per gli atti normativi, Adunanza del 6 giugno 2007.
All'esito del
suddetto procedimento è stato emanato il decreto legislativo 31
luglio 2007, n.
113 (Ulteriori disposizioni correttive e integrative del decreto
legislativo 12
aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi
a
lavori, servizi e forniture, a norma dell'articolo 25, comma 3, della
legge 18
aprile 2005, n. 62). Anche tale secondo decreto non ha inciso in modo
rilevante, salvo quanto verrà di seguito precisato in relazione
all'impugnazione dell'art. 84, sul contenuto delle disposizioni
censurate. 3.— Ciò chiarito, deve
rilevarsi, in via
preliminare, come le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163 del 2006,
per la
molteplicità degli interessi perseguiti e degli oggetti
implicati, non siano
riferibili ad un unico ambito materiale. Questa Corte ha già avuto
modo di affermare
che i lavori pubblici «non integrano una vera e propria materia,
ma si
qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono» e
pertanto possono
essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative
statali o regionali
(sentenza numero 303 del 2003). Non è, dunque, configurabile
né una materia
relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un ambito
materiale
afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale. Tali affermazioni non valgono
soltanto per
i contratti di appalto di lavori, ma sono estensibili all'intera
attività
contrattuale della pubblica amministrazione che non può
identificarsi in una
materia a sé, ma rappresenta, appunto, un'attività che
inerisce alle singole
materie sulle quali essa si esplica. Ne consegue che i problemi di
costituzionalità sollevati dalle ricorrenti devono essere
esaminati in rapporto
al contenuto precettivo delle singole disposizioni impugnate, al fine
di
stabilire quali siano gli ambiti materiali in cui esse trovano
collocazione. Ancora in via preliminare, appare
opportuno
precisare – alla luce delle osservazioni sin qui svolte – che non
è possibile
tracciare una netta linea di demarcazione che faccia unicamente perno
sul
profilo soggettivo, distinguendo le procedure di gara indette da
amministrazioni statali da quelle poste in essere da amministrazioni
regionali
o sub-regionali, per inferirne che solo le prime sarebbero di spettanza
statale, mentre le seconde rientrerebbero nell'ambito della
potestà legislativa
regionale. La perimetrazione delle sfere materiali di competenza non
può, infatti,
essere determinata avendo riguardo esclusivamente alla natura del
soggetto che
indice la gara o al quale è riferibile quel determinato bene o
servizio, in
quanto, come già sottolineato, occorre fare riferimento, invece,
al contenuto
delle norme censurate al fine di inquadrarlo negli ambiti materiali
indicati
dall'art. 117 Cost. 4.— Svolta questa premessa,
può passarsi
all'esame delle questioni di costituzionalità formulate con
riferimento a
ciascuna delle disposizioni del Codice oggetto d'impugnazione. 5.— In relazione all'impugnazione
dell'art.
4, comma 2, deve preliminarmente osservarsi che tale disposizione
contiene, in
realtà, due norme: la prima fa generico riferimento alla
potestà legislativa
statale di determinazione dei principi fondamentali nelle materie
disciplinate
dal Codice; la seconda fa riferimento, «in particolare», ad
una serie di
settori specifici individuati con riguardo a rilevanti aspetti
dell'attività
volta alla realizzazione di opere pubbliche. Orbene, per ciò che
concerne la prima parte
del comma oggetto di censura, è da porre in rilievo come essa si
limiti ad
affermare che, salvo quanto sarà puntualizzato di seguito a
proposito delle
Province autonome, relativamente «alle materie oggetto di
competenza
concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi
fondamentali
contenuti» nel Codice. Tale disposizione, per il suo
contenuto
generale, si sottrae alle censure proposte, in quanto è
incontestabile che
spetti alla legge dello Stato la fissazione dei principi fondamentali
nelle
materie di competenza concorrente. È pertanto solo con
riferimento specifico a
tali materie, e dunque alle singole disposizioni contenute nel Codice,
che, di
volta in volta, può venire in rilievo un problema di superamento
dei limiti
delle competenze statali nella determinazione dei principi fondamentali
destinati a regolare ciascuna di dette materie. Sotto tale aspetto assume, invece,
rilievo
la censura prospettata dalle ricorrenti con riguardo alla seconda parte
del
comma in esame, con cui il legislatore statale ha disposto, «in
particolare»,
che i principi fondamentali, che devono essere osservati dalle Regioni
e dalle
Province autonome, vertono «in tema di programmazione dei lavori
pubblici,
approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi,
organizzazione
amministrativa, compiti e requisiti del responsabile del procedimento,
sicurezza del lavoro». Nella prospettiva delle ricorrenti, tali
settori rientrerebbero,
invece, nell'ambito di materie di competenza residuale delle Regioni. 5.1.— Alla luce di quanto sopra,
prima di
valutare la riconducibilità a materie di competenza ripartita
delle specifiche
discipline richiamate «in particolare» dal comma in
questione, appare opportuno
prendere in esame le censure proposte con riferimento a parametri
diversi dagli
artt. 117 e 118 Cost., nonché al principio di leale
collaborazione. 5.2.— Innanzitutto, deve ritenersi
inammissibile la questione concernente la violazione dell'art. 97
Cost.,
prospettata dalle Regioni Lazio e Abruzzo. Secondo, infatti, un consolidato
indirizzo
della giurisprudenza costituzionale (vedi, tra le altre, le sentenze
numeri 116
del 2006; 383 del 2005; 287, 196, e 4 del 2004; 274 del 2003), le
Regioni sono
legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello
Stato
esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive
competenze.
Si è, tuttavia, ammessa la deducibilità di altri
parametri costituzionali soltanto
ove la loro violazione comporti una
compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente
garantite. Nel
caso di specie, la violazione lamentata, oltre ad essere generica, non
ridonda
nella lesione di competenze delle Regioni, con conseguente
inammissibilità
della questione. 5.3.— Quanto alle questioni
concernenti la
violazione dell'art. 76 Cost., proposte con diversità di
argomentazioni dalle
Regioni Lazio e Abruzzo, da un lato, e dalla Regione Veneto,
dall'altro, va
osservato che anche a volerle considerare
ammissibili, in quanto intese, alla luce dell'orientamento della
giurisprudenza
costituzionale sopra riportato, a far valere in via indiretta una
lesione delle
competenze della Regione, esse non sono comunque fondate. In particolare, le
ricorrenti Regioni Lazio e Abruzzo deducono la violazione della
citata norma costituzionale per asserito contrasto tra quanto previsto
dal
decreto legislativo e la delega contenuta nella legge n. 62 del 2005,
la quale
non conterrebbe alcuna disposizione circa la possibilità del
Codice di incidere
sul riparto delle competenze legislative concorrenti. Tale deduzione non può
trovare
accoglimento, dal momento che il Codice, sotto l'indicato aspetto, ha
fatto
diretta applicazione dei principi e delle disposizioni della
Costituzione e, a
tal riguardo, non era necessaria alcuna delega legislativa. È
infatti
indubitabile che il legislatore delegato, anche nel silenzio della
legge di
delega, sia tenuto comunque alla osservanza dei precetti
costituzionali,
indipendentemente, dunque, da ogni richiamo che di essi faccia la norma
delegante. Del pari non fondata deve
ritenersi la
censura di violazione dell'art. 76 Cost., prospettata dalla Regione
Veneto, per
asserita inosservanza dei cosiddetti limiti ulteriori della delega, in
quanto
non sarebbe stato rispettato il vincolo procedimentale previsto
dall'art. 25,
comma 2, della citata legge n. 62 del 2005, che imponeva di sentire il
parere
della Conferenza unificata. In particolare, la ricorrente lamenta che
tale
parere sarebbe stato richiesto ed acquisito in relazione ad uno schema
di
decreto legislativo diverso da quello poi adottato dal Consiglio dei
ministri
nella seduta del 23 marzo 2006. Sul punto, è bene chiarire,
in via
generale, come – nella perdurante assenza di una trasformazione delle
istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti
legislativi,
anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge
costituzionale n. 3 del 2001 (vedi sentenze numeri 423 e 6 del 2004) –
il
principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella
determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che
incidono su
materie di competenza regionale è costituito dal sistema delle
Conferenze. Esso
– disciplinato dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le
province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie
ed i
compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni,
con la
Conferenza Stato-città ed autonomie locali) – realizza
una forma di
cooperazione di tipo organizzativo e costituisce «una delle sedi
più
qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il
parametro
della leale collaborazione» (sentenza numero 31 del 2006). Chiarito ciò, deve,
però, ritenersi, per
quanto interessa in questa sede, che, in linea di massima, non sussiste
alcuna
violazione del principio di leale collaborazione nel caso in cui le
modifiche
introdotte allo schema di decreto legislativo successivamente alla sua
sottoposizione alla Conferenza unificata siano imposte dalla
necessità di
adeguare il testo alle modifiche suggerite in sede consultiva (vedi la
sentenza
numero 179 del 2001). In tale caso, non è necessario che il
testo modificato
torni nuovamente alla Conferenza per un ulteriore parere, anche
perché
altrimenti si innescherebbe un complesso e non definibile meccanismo di
continui passaggi dall'uno all'altro dei soggetti coinvolti. In ogni caso, anche per le norme
introdotte
dal Governo nello schema di decreto, senza che tale esigenza sia stata
stretta
conseguenza delle osservazioni svolte in sede consultiva, non
può ritenersi che
ciò determini una automatica violazione del principio di leale
collaborazione. Questa Corte ha, infatti,
già avuto modo di
affermare che «le procedure di cooperazione e di
concertazione» in sede di
Conferenza unificata possono «rilevare ai fini dello scrutinio di
legittimità
degli atti legislativi, solo in quanto l'osservanza delle stesse sia
imposta,
direttamente o indirettamente, dalla Costituzione» (sentenza
numero 437 del
2001). Pertanto, affinché il mancato coinvolgimento di tale
Conferenza, pur
previsto da un atto legislativo di rango primario, possa comportare un vulnus al principio costituzionale di
leale cooperazione, è necessario che ricorrano i presupposti per
la operatività
del principio stesso e cioè, in relazione ai profili che vengono
in rilievo in
questa sede, la incidenza su ambiti materiali di pertinenza regionale.
Nel caso
in esame, la ricorrente non ha neppure indicato quali siano le
specifiche
disposizioni, introdotte dal Governo ex
novo nel comma in esame, idonee ad incidere su competenze
regionali. In definitiva, pertanto, la
censura, a
prescindere dalla sua genericità, deve essere disattesa. 5.4.— Parimenti disattesa deve
essere la
censura, dedotta dalle Regioni Lazio e Abruzzo, di violazione del
principio di
leale collaborazione, sotto il profilo della mancata previsione di
adeguate
forme di coordinamento tra i diversi livelli territoriali coinvolti,
pur
vertendo la disposizione impugnata in settori caratterizzati da
interferenza e
sovrapposizioni di materie. Tale censura, a prescindere dalla
sua genericità,
non è comunque pertinente con riferimento alla disposizione
contenuta nel comma
2 dell'art. 4, dal momento che un eventuale problema di coordinamento,
nella
fase di attuazione, tra i livelli di governo coinvolti, potrebbe, in
ipotesi,
porsi esclusivamente rispetto a singole disposizioni contenute nel
Codice e non
già rispetto ad una norma recante un principio generale
attinente al riparto
delle competenze statali e regionali. 5.5.— Può ora passarsi
all'esame delle
questioni relative ai particolari settori indicati nella norma
impugnata
proposte per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Viene in rilievo, innanzitutto, la
«programmazione di lavori pubblici», il cui inserimento
nell'ambito della
disposizione in esame è stato specificamente censurato dalle
Regioni Veneto,
Toscana, Lazio e Abruzzo. In via preliminare, appare
opportuno
sottolineare che l'esigenza sottesa alla programmazione dei lavori
«è quella di
determinare le opere pubbliche che possono essere effettivamente e
completamente
realizzate, in base alle disponibilità finanziarie e secondo un
ordine di
priorità che si basa sulla valutazione dei costi e dei
benefici» (sentenza
numero 482 del 1995). Chiarito ciò, deve
rilevarsi – al di là del
contenuto facoltizzante della norma che specificamente disciplina il
settore in
esame (art. 128) e che non è oggetto di impugnazione – che
l'attività di
programmazione di tali lavori non essendo una materia a sé
stante, né
risultando riconducibile ad uno specifico ambito materiale, segue il
regime
giuridico proprio della realizzazione delle relative opere, le quali
possono
rientrare, a seconda dei casi, in settori di competenza esclusiva
statale o
residuale delle Regioni ovvero ripartita tra Stato e Regioni. Orbene, alla luce del contenuto
precettivo
della disposizione impugnata, appare evidente che nel contesto della
disposizione stessa il riferimento all'attività di
programmazione riguarda
soltanto quei procedimenti preordinati alla realizzazione delle opere
pubbliche, che esulino sia dalla competenza esclusiva dello Stato, sia
da
quella residuale delle Regioni, per rientrare, invece, in una delle
materie di
competenza concorrente individuate dal terzo comma dell'art. 117 Cost. Così interpretata, la norma
contenuta nel
comma in questione si sottrae alle censure di violazione degli artt.
117 e 118
Cost., atteso che non è profilabile la dedotta violazione di
competenze
regionali. 5.6.— Ad analoghe conclusioni di
rigetto
deve pervenirsi per quanto attiene alla censura, proposta dalle Regioni
Toscana, Lazio e Abruzzo, riferita alla «approvazione dei
progetti ai fini
urbanistici ed espropriativi». Deve, infatti, ritenersi che, come
risulta
dalla stessa formulazione letterale della norma, l'«approvazione
dei progetti»
è strettamente correlata a scopi di disciplina urbanistica e
dunque alla
pianificazione territoriale. Nella specie, inoltre, anche
l'espropriazione
viene in rilievo nella sua valenza strumentale all'acquisizione di
suoli
necessari per la realizzazione di opere pubbliche inserite in un
complessivo
contesto pianificatorio. In definitiva, l'ambito di incidenza della
norma in
esame è rappresentato dalla urbanistica, con conseguente
inclusione nella sfera
delle potestà legislative inerenti alla materia concorrente del
governo del
territorio. Questa Corte ha più volte affermato che, se è
pur vero che «la
parola “urbanistica” non compare nel nuovo testo dell'art. 117»,
nondimeno «ciò
non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più
ricompresa
nell'elenco del terzo comma», facendo parte, appunto, del governo
del
territorio (sentenza numero 303 del 2003; nello stesso senso vedi, ex multis, anche le sentenze numeri 383
e 336 del 2005). Ne consegue, pertanto, che non
può
ritenersi illegittima la norma in esame, nella parte in cui impone il
rispetto
dei principi fondamentali posti dallo Stato nella fase di
«approvazione dei
progetti ai fini urbanistici ed espropriativi». 5.7.— Deve essere ora esaminata la
questione derivante dal riferimento contenuto nel comma in esame alla
«organizzazione amministrativa» e ai «compiti e
requisiti del responsabile del
procedimento». La censura, proposta in termini
sostanzialmente analoghi da tutte le Regioni ricorrenti, investe questa
parte
della disposizione sotto il profilo secondo cui sia l'organizzazione
amministrativa, sia la disciplina del responsabile del procedimento,
attenendo
ad aspetti propri dell'organizzazione regionale, rientrerebbero nella
competenza residuale delle Regioni, sicché la disposizione in
esame recherebbe
un vulnus alle prerogative
legislative delle stesse. La questione non è fondata. Deve, innanzitutto, chiarirsi che
il
riferimento all'organizzazione amministrativa non può che
riguardare il settore
della realizzazione delle opere pubbliche, nonché quello delle
forniture o dei
servizi, e non certamente l'altro, più generale, concernente la
struttura ed il
funzionamento dell'ente Regione. Ciò è desumibile dalla
stessa formulazione
della disposizione impugnata, la quale – nell'indicare i singoli
settori per i
quali è richiamata la competenza dello Stato nella
determinazione dei principi
fondamentali – ha riguardo alla programmazione ed alla esecuzione dei
lavori
necessari per tale realizzazione. L'organizzazione dunque, cui la norma
si
riferisce, è quella propria dell'apparato o degli apparati
incaricati di
operare nel settore preso in considerazione e, in particolare, del
responsabile
del procedimento, di cui si prevede l'istituzione e non le
modalità
organizzative. La suddetta connessione tra l'organizzazione e i compiti
e
requisiti del responsabile del procedimento consente, con riferimento
al
settore in esame, di interpretare la norma in senso conforme a
Costituzione e
ritenere che essa non sia invasiva
della sfera di competenza legislativa residuale delle Regioni,
collocandosi
invece, in funzione strumentale, nell'ambito di procedimenti che
appartengono
alla competenza ripartita Stato-Regioni e seguendone, in conseguenza,
le sorti.
5.8.— Per esigenze di connessione,
deve
essere trattata ora la questione proposta dalla Regione Veneto in
riferimento
all'art. 10, comma 1, nella parte in cui prevede che «Per ogni
singolo
intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico, le
amministrazioni
aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7 agosto 1990 n. 241, un
responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione,
dell'affidamento, dell'esecuzione». I commi successivi (da 2 a 9)
disciplinano,
in particolare, la nomina e le funzioni di tale soggetto. La questione è
inammissibile. Innanzitutto, essa è
carente di validi
elementi argomentativi atti a sorreggerla. La ricorrente ha prospettato
la sua
censura nei confronti del solo comma 1, mentre avrebbe dovuto
coinvolgere anche
tutte le altre disposizioni concernenti la nomina e le attribuzioni del
responsabile unico del procedimento. Né si comprende, infine, se
la doglianza
concerne, in generale, la figura del responsabile del procedimento
ovvero la
sua unicità nel procedimento. Anche, tuttavia, se si volesse
prescindere
dalle suddette considerazioni, deve osservarsi che, sulla base di
quanto
poc'anzi precisato in ordine alla organizzazione degli uffici preposti
alla
realizzazione delle opere pubbliche, essa sarebbe in ogni caso non
fondata dal
momento che la previsione di un responsabile unico dei relativi
procedimenti
non reca un vulnus alle competenze
regionali. 6.— Le Regioni ricorrenti e la
Provincia
autonoma di Trento hanno, altresì, impugnato il comma 3
dell'art. 4 del Codice,
il quale così dispone: «Le Regioni, nel rispetto
dell'articolo 117, comma
secondo, della Costituzione, non possono prevedere una disciplina
diversa da
quella del presente Codice in relazione: alla qualificazione e
selezione dei
concorrenti; alle procedure di affidamento, esclusi i profili di
organizzazione
amministrativa; ai criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri
di
vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorità per la
vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attività
di
progettazione e ai piani di sicurezza; alla stipulazione e
all'esecuzione dei
contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione, direzione dei
lavori,
contabilità e collaudo, ad eccezione dei profili di
organizzazione e
contabilità amministrative; al contenzioso. Resta ferma la
competenza esclusiva
dello Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni
culturali,
i contratti nel settore della difesa, i contratti segretati o che
esigono
particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi,
forniture». 6.1.—
In via preliminare, deve essere esaminata la questione proposta dalla
Provincia
autonoma di Trento, con la quale si asserisce che la norma impugnata
sarebbe,
in particolare, in contrasto con le disposizioni dello statuto
speciale, che
attribuiscono nel settore in esame alla legge provinciale competenza
legislativa primaria. La questione è
inammissibile, per difetto
di interesse. L'art. 4, comma 5, del d.lgs. n.
163 del
2006 contiene, infatti, una clausola di salvaguardia secondo la quale
«Le
regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano
adeguano
la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti
e nelle
relative norme di attuazione». A tale fine, pertanto, opera il
meccanismo
prefigurato dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, secondo il quale
l'emanazione di nuove norme statali non determina una diretta
abrogazione di
leggi provinciali preesistenti, ma solo un obbligo di adeguamento entro
i sei
mesi successivi alla pubblicazione dell'atto legislativo statale nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio
termine da esso stabilito. Il mancato adempimento di siffatto
obbligo
può essere fatto valere dal Governo con ricorso contro le leggi
provinciali non
adeguate (vedi, tra le altre, la sentenza numero 302 del 2003). Il legislatore statale ha,
pertanto,
espressamente previsto una clausola che, per il suo contenuto puntuale
in
ordine al relativo ambito applicativo (vedi le sentenze numeri 384, 287
e 263
del 2005), è idonea ad escludere, come afferma la stessa difesa
dello Stato, il
vizio di costituzionalità della disposizione. Del resto, il
medesimo art. 4,
comma 3, fa espressamente riferimento alle sole «regioni» e
non anche alle
Province autonome. 6.2.— Per quanto attiene ai
ricorsi regionali,
deve, in primo luogo, essere esaminata la questione proposta dalla
Regione
Veneto, con la quale si deduce l'illegittimità costituzionale
della
disposizione impugnata, per violazione dell'art. 76 della Costituzione
– in
relazione agli artt. 1, comma 6, e 5, comma 5, della legge n. 62 del
2005 – e
dell'art. 117, quinto comma. Analoga censura è stata proposta
dalle Regioni
Lazio e Abruzzo, le quali deducono, in particolare, la violazione
dell'art.
117, quinto comma, Cost. sotto il profilo che, pur intervenendo in
ambiti
materiali «pacificamente attribuiti dalla Costituzione alla
potestà normativa
regionale residuale e concorrente», la disposizione impugnata non
lascerebbe
alcuno spazio alle Regioni nella fase di attuazione della normativa
comunitaria. In
particolare, si osserva che la legge delega (art. 1, comma 6) ha
attribuito
alla Regione il potere di dare attuazione alle direttive comunitarie
nei limiti
previsti dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e
sulle
procedure di esecuzione degli obblighi comunitari). Tale legge, in
attuazione
di quanto disposto dall'art. 117,
quinto comma, Cost., ha conferito il predetto potere in tutte le
materie di
competenza regionale, con possibilità dello Stato di svolgere,
in caso di
inadempimento della Regione, esclusivamente un intervento sostitutivo
di natura
preventiva, suppletiva e cedevole. La Regione Veneto assume, inoltre,
che la
norma impugnata violerebbe l'art. 76 Cost. «anche in relazione
alla disciplina
dei contratti di interesse regionale “sotto soglia”», in quanto
il vincolo a
dettare solo norme suppletive e cedevoli, pur non derivando dall'art.
117,
quinto comma, Cost., si imponeva al Governo per effetto dell'art. 5,
comma 5,
della legge n. 62 del 2005. Le questioni non sono fondate. L'art. 1, comma 6, della legge
delega n. 62
del 2005, al quale rinvia il comma 5 dell'art. 5, prevede,
in relazione a quanto disposto dalla citata norma
costituzionale, che i decreti legislativi eventualmente adottati nelle
materie
di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome
entrano in
vigore, quando in sede locale non sia stata emanata l'apposita
normativa di
attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per il
recepimento
della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere
dalla data
di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna
Regione
e Provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti
dall'ordinamento
comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei principi
fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. Lo stesso comma
6
prosegue disponendo che «A tale fine i decreti legislativi recano
esplicita
indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in
esse
contenute». Orbene, tale essendo il contenuto
delle
norme alle quali le ricorrenti fanno riferimento, deve escludersi che
esse
possano essere invocate a fondamento delle doglianze volte al
riconoscimento
della esistenza di un vincolo, per il legislatore delegato, di
introdurre la
clausola di cedevolezza di norme che, per le ragioni esposte,
intervengono a
disciplinare un settore rientrante, nei limiti di seguito precisati,
nell'ambito della competenza legislativa esclusiva statale. Ne consegue che la sussistenza di
un titolo
di legittimazione dello Stato a disciplinare, in via esclusiva, i
profili di
attività indicati dalla norma impugnata, consente allo Stato,
contrariamente a
quanto sostenuto, in particolare, dalle Regioni Lazio e Abruzzo,
l'adozione di
una normativa non soltanto di principio, ma anche di dettaglio, avente
carattere esaustivo. Per le medesime ragioni, come
sarà
precisato in prosieguo in sede propria, non può considerarsi
fondata la questione
relativa ai contratti sotto soglia comunitaria, in quanto, anche in
questo
caso, la sussistenza di titoli di competenza legislativa statale
esclude la
necessità di prevedere la clausola di cedevolezza. 6.3.— La stessa Regione Veneto ha,
inoltre,
dedotto la violazione dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 25,
comma 2,
della legge n. 62 del 2005, per inosservanza dei cosiddetti limiti
ulteriori
della delega, non essendo stato rispettato il vincolo procedimentale
previsto
dalla suindicata disposizione, che imponeva di sentire il parere della
Conferenza unificata. La questione non è fondata.
Possono, qui,
essere integralmente richiamate le osservazioni già svolte in
relazione alla
analoga questione prospettata con riferimento al comma 2 dello stesso
art. 4
del Codice (vedi punto 5.3). 6.4.— La Regione Veneto ha,
inoltre,
dedotto l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 4, comma
3, in quanto
esso stabilisce che le Regioni «non possono prevedere una
disciplina diversa da
quella del presente Codice», anziché «non possono
prevedere una disciplina
contrastante con i principi desumibili dal presente Codice, in
relazione alla
tutela della concorrenza». La questione è
inammissibile per
genericità, atteso che con la censura formulata non si
prospettano specifici
vizi di incostituzionalità, ma si tende all'introduzione nel
testo della
disposizione impugnata di una norma nuova e diversa. A ciò si
aggiunga che la
doglianza prospettata presenta anche profili di
contraddittorietà, in quanto si
richiama espressamente, da un lato, la tutela della concorrenza,
contemplata
nel secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, dall'altro,
facendosi
riferimento «ai principi» contenuti nel Codice,
implicitamente il contenuto del
terzo comma dello stesso art. 117. 6.5.— Allo stesso modo
inammissibile deve
ritenersi la questione, proposta
dalla medesima Regione Veneto, con la quale si lamenta che per i
«contratti
relativi alla tutela dei beni culturali» sarebbe possibile
individuare «aspetti
della disciplina che non assolvano ad una funzione di salvaguardia,
come è ad
esempio, per la determinazione della cauzione, per l'organizzazione
amministrativa degli interventi, per il responsabile dei procedimenti o
per la
stessa approvazione dei progetti». Sul
punto, appare opportuno premettere che questa Corte ha già avuto
modo di
affermare che la tutela dei beni culturali costituisce un ambito
materiale di
competenza legislativa statale, con possibilità per le Regioni
di integrare la
relativa normativa con misure diverse ed aggiuntive rispetto a quelle
previste
a livello statale (vedi, tra le altre, la sentenza numero 232 del 2005). Nel caso in esame, la
disposizione impugnata si limita a prevedere che «Resta ferma
la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare i contratti relativi
alla
tutela dei beni culturali» – regolati dagli artt. da 197 a 205
del Codice –
mentre la censura proposta dalla Regione ricorrente ha ad oggetto
aspetti
specifici di tale disciplina, in relazione ai quali manca persino
l'indicazione
della fonte normativa che li regolamenta e sulla quale, in definitiva,
dovrebbe
incidere la eventuale pronuncia di questa Corte. Di qui la inammissibilità
per genericità
della questione prospettata. 6.6.— Devono essere,
altresì, dichiarate inammissibili le questioni
— che si
esaminano in questa sede per ragioni di connessione — proposte dalla
stessa
Regione Veneto e concernenti specificamente gli artt. 197, 204 e 205,
contenuti
nella parte del Codice dedicata ai «contratti relativi ai beni
culturali». In particolare, la ricorrente
assume che
dette disposizioni «pur se ipoteticamente riferibili alla materia
“tutela dei
beni culturali” (di competenza esclusiva dello Stato), presentano
comunque un
carattere di estremo dettaglio e di eccessiva analiticità, e
comprimono dunque
illegittimamente l'autonomia normativa regionale, prevedendo (…) misure
sproporzionate ed eccessive rispetto al fine». La censura così specificata
ha carattere
del tutto generico. Le norme impugnate presentano,
infatti, un
contenuto non omogeneo, in quanto prevedono: la «Disciplina
comune applicabile
ai contratti pubblici relativi ai beni culturali» (art. 197), i
«Sistemi di
scelta degli offerenti» e i «criteri di
aggiudicazione» (art. 204), nonché i
limiti di ammissibilità delle «Varianti» (art. 205).
A fronte di tale complessa
disciplina, la Regione si è limitata ad indicare le disposizioni
censurate,
senza neanche specificarne il contenuto e soprattutto senza illustrare
—
tenendo conto della natura della competenza statale nel settore in
esame e dei
conseguenti spazi di intervento concessi alle Regioni — gli eventuali
profili
di contrasto con l'art. 117 della Costituzione. 6.7.— Quanto al ricorso proposto
dalla
Regione Piemonte, si contesta che,
pur se «per gli ambiti della qualificazione e selezione dei
concorrenti,
procedure di affidamento, criteri di aggiudicazione, subappalto»
sia
effettivamente riscontrabile la sussistenza di un titolo di competenza
riconducibile alla materia tutela della concorrenza, nondimeno il
legislatore
avrebbe violato i canoni della adeguatezza e ragionevolezza mediante
«l'assoggettamento indiscriminato alla normativa anche di
dettaglio del
Codice», nonostante sia ravvisabile invece uno spazio in cui
legittimamente può
ammettersi un intervento normativo regionale. A sua volta, la Regione
Veneto,
contesta, nello specifico, l'inclusione del subappalto nell'ambito
applicativo
della norma censurata, atteso che il collegamento con la tutela della
concorrenza sarebbe così labile che, se fosse sufficiente a
radicare la potestà
legislativa statale, «determinerebbe una espansione abnorme della
stessa
“tutela”». In secondo luogo, tutte le Regioni
ricorrenti lamentano, sotto vari profili, che ciascuna delle specifiche
attività indicate dalla norma impugnata possano farsi rientrare
nella
competenza esclusiva statale, ponendo in rilievo come talune tra quelle
richiamate appartengano, invece, alla competenza regionale residuale o
concorrente. Esse deducono, pertanto, la violazione degli artt. 76, 97,
117 e
118 della Costituzione. Le questioni così
prospettate non sono
fondate. Innanzitutto, deve precisarsi che
una parte
rilevante della disciplina prevista dal comma in esame trova sicura
legittimazione nella materia della tutela della concorrenza, che l'art.
117,
secondo comma, lettera e), della
Costituzione attribuisce alla potestà legislativa esclusiva
statale. Sul punto – anche al fine di
sgombrare il
campo da un equivoco in cui sono incorse alcune delle ricorrenti –
appare
opportuno soffermarsi sulla nozione di tutela della concorrenza allo
scopo di
chiarirne, per quanto può interessare questo giudizio, ambiti di
rilevanza,
natura e limiti di incidenza. In relazione al primo profilo, va
ricordato
come questa Corte abbia già avuto modo di affermare che la
nozione di
concorrenza, riflettendo quella operante in ambito comunitario, include
in sé
sia interventi «di regolazione e ripristino di un equilibrio
perduto», sia
interventi mirati a ridurre gli squilibri attraverso la creazione delle
condizioni per la instaurazione di assetti concorrenziali (sentenza
numero 14
del 2004; vedi anche, tra le altre, le sentenze numeri 29 del 2006 e
272 del
2004). Rientrano, pertanto, nell'ambito materiale in esame le misure di
garanzia del mantenimento di mercati già concorrenziali e gli
strumenti di
liberalizzazione dei mercati stessi. In questa sede viene, però,
soprattutto in
rilievo l'aspetto della tutela della concorrenza che si concretizza, in
primo
luogo, nell'esigenza di assicurare
la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori
economici del settore
in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle
merci, della
libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi
(articoli 3,
paragrafo 1, lettere c e g; 4,
paragrafo. 1; da 23 a 31; da 39 a
60 del Trattato che istituisce la Comunità europea, del 25 marzo
1957). Si tratta di assicurare l'adozione
di
uniformi procedure di evidenza pubblica nella scelta del contraente,
idonee a
garantire, in particolare, il rispetto dei principi di parità di
trattamento,
di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza. Sul piano interno, l'osservanza di
tali
principi costituisce, tra l'altro, attuazione delle stesse regole
costituzionali della imparzialità e del buon andamento, che
devono guidare
l'azione della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 97 Cost.
Deve, anzi,
rilevarsi come sia stata proprio l'esigenza di uniformare la normativa interna a quella comunitaria, sul
piano della disciplina del procedimento di scelta del contraente, che
ha
determinato il definitivo superamento della cosiddetta concezione
contabilistica, che qualificava tale normativa interna come posta
esclusivamente nell'interesse dell'amministrazione, anche ai
fini della corretta formazione della sua volontà negoziale. Va, inoltre, precisato che
l'osservanza
delle prescrizioni comunitarie ed interne di evidenza pubblica
garantisce il
rispetto delle regole dell'efficacia e dell'efficienza
dell'attività dei
pubblici poteri: la selezione della migliore offerta assicura, infatti,
la
piena attuazione degli interessi pubblici in relazione al bene o al
servizio
oggetto dell'aggiudicazione. In sintesi, la nozione comunitaria
di
concorrenza, che viene in rilievo in questa sede e che si riflette su
quella di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., è definita come concorrenza “per” il mercato, la quale
impone che il
contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino
il
rispetto dei valori comunitari e costituzionali sopra indicati.
Ciò ovviamente
non significa che nello stesso settore degli appalti, soprattutto
relativi ai
servizi a rete, non sussistano concomitanti esigenze di assicurare la
cosiddetta concorrenza “nel” mercato attraverso la liberalizzazione dei
mercati
stessi, che si realizza, tra l'altro, mediante l'eliminazione di
diritti
speciali o esclusivi concessi alle imprese (vedi considerando n. 3
della
direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/17/CE). In relazione al secondo profilo,
concernente
la natura della materia in esame, deve rilevarsi come la tutela della
concorrenza – se si eccettuano, in particolare, gli
aspetti della specifica normativa antitrust diretta a
reprimere i comportamenti anticoncorrenziali
delle imprese – abbia natura trasversale, non presentando i caratteri
di una
materia di estensione certa, ma quelli di «una funzione
esercitabile sui più
diversi oggetti» (sentenza numero 14 del 2004; si vedano,
altresì, le sentenze
numeri 29 del 2006; 336 del 2005 e 272 del 2004). Nello specifico
settore degli
appalti deve, però, ritenersi che la interferenza con competenze
regionali si
atteggia, in modo peculiare, non realizzandosi normalmente un intreccio
in
senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale,
bensì la prevalenza
della disciplina statale su ogni altra fonte normativa. Ne consegue che
la fase
della procedura di evidenza pubblica, riconducibile alla tutela della
concorrenza, potrà essere interamente disciplinata, nei limiti e
secondo le
modalità di seguito precisati, dal legislatore statale. Infine, per quanto attiene ai
limiti
interni, deve sottolinearsi come, pur non rientrando nei compiti di
questa
Corte stabilire in concreto la valenza economica degli interventi
statali
(sentenze numeri 14 e 272 del 2004), nondimeno spetti ad essa
effettuare uno
scrutinio di costituzionalità sui singoli atti legislativi dello
Stato, al fine
di stabilire se la scelta in concreto adottata sia ragionevole e
proporzionata
rispetto all'obiettivo prefissato, costituito, nella specie, dalla
più ampia
apertura del mercato degli appalti alla concorrenza. La ratio
di questo controllo risiede proprio nella natura della materia in
esame: essa,
infatti, non ha un ambito definito, ma si caratterizza per le
specifiche
finalità perseguite. In questa prospettiva, si giustifica un
controllo di
costituzionalità – guidato dai criteri della
proporzionalità e adeguatezza –
volto a saggiare «la congruità dello strumento utilizzato
rispetto al fine di
rendere attivi i fattori determinanti dell'equilibrio economico
generale»
(citata sentenza numero 14 del 2004). Allo scopo, pertanto, di
individuare gli
esatti confini della materia in esame, occorre svolgere un doppio
livello di
verifica: stabilire, innanzitutto, se l'intervento statale sia
astrattamente
riconducibile, nei modi anzidetti, ai principi della concorrenza nel
mercato o
della concorrenza per il mercato o ad entrambi; in secondo luogo,
accertare se
lo strumento utilizzato sia congruente rispetto al fine perseguito alla
luce
dei criteri di proporzionalità e della adeguatezza. Ciò
significa che,
contrariamente a quanto sostenuto da alcune delle ricorrenti, una volta
che sia
stata riconosciuta come riconducibile alla materia in questione la
normativa
statale, la stessa può avere anche un contenuto analitico. La
proporzionalità e
l'adeguatezza non si misurano, infatti, avendo riguardo esclusivamente
al
livello di dettaglio che connota quella specifica normativa. Se
così fosse si
verificherebbe una identificazione non consentita tra materie
concorrenti e
materie trasversali di competenza esclusiva che, invece, ricevono dalla
Costituzione una differente disciplina. Alla luce delle considerazioni
svolte, non
possono ritenersi assistite da fondamento le censure formulate dalla
Regione Piemonte. In relazione al primo livello di
verifica
sopra indicato, deve, infatti, rilevarsi che – avendo riguardo al fine
perseguito dal legislatore statale, di assicurare che le procedure di
gara si
svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali poste a presidio dei
principi
della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei
servizi,
della libertà di stabilimento, nonché dei principi della
trasparenza e della
parità di trattamento – le procedure di qualificazione e
selezione dei concorrenti,
le procedure di affidamento (esclusi i profili attinenti
all'organizzazione
amministrativa), i criteri di aggiudicazione, ivi compresi quelli che
devono
presiedere all'attività di progettazione ed alla formazione dei
piani di
sicurezza, nonché i poteri di vigilanza sul mercato degli
appalti, rientrano
nell'ambito della tutela della concorrenza di cui all'art. 117, secondo
comma,
lettera e), Cost. Con particolare
riferimento al subappalto, incluso anch'esso nell'ambito applicativo
della
norma in esame, deve rilevarsi che lo stesso costituisce un istituto
tipico del
rapporto di appalto, come tale disciplinato dal codice civile (art.
1656) e
inquadrabile nell'ambito dei contratti di derivazione. Sebbene
caratterizzato
da elementi di sicura matrice pubblicistica, detto istituto conserva la
sua
natura privatistica e rientra nell'ambito materiale dell'ordinamento
civile.
Nondimeno, esso, per taluni profili non secondari, assolve anche ad una
funzione di garanzia della concorrenzialità nel mercato e
quindi, anche per
questo aspetto, appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato. Chiarito ciò, deve,
inoltre, escludersi che
le procedure di affidamento, come invece sostenuto dalle Regioni Lazio
e
Abruzzo, essendo dei «veri e propri procedimenti
amministrativi», debbano
essere disciplinate secondo il riparto di competenze previsto dall'art.
29,
comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi),
secondo cui le «regioni e gli enti locali, nell'ambito delle
rispettive
competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel
rispetto
del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi
dell'azione amministrativa, così come definite dai principi
stabiliti dalla
presente legge». Il procedimento amministrativo non è una
vera e propria
materia, atteso che lo stesso, in relazione agli aspetti di volta in
volta
disciplinati, può essere ricondotto a più ambiti
materiali di competenza
statale o regionale (sentenza numero 465 del 1991), entro i quali la
disciplina
statale regola in modo uniforme i diritti dei cittadini nei confronti
delle
pubbliche amministrazioni. Nella specie, avendo riguardo alla censura
specificamente formulata, deve ribadirsi che la procedura di
affidamento –
volta allo scopo di garantire i predetti principi diretti a consentire
la piena apertura del mercato nel settore degli
appalti – è fondamentalmente riconducibile alla materia della
tutela della
concorrenza. Stabilito, alla luce delle
considerazioni
che precedono, che i settori sopra indicati, per le finalità che
ne connotano
la disciplina, rientrano nel suddetto ambito di materia, non è,
però,
possibile, sulla base del contenuto precettivo della norma impugnata,
svolgere
il secondo livello di verifica, volto a stabilire se siano stati
rispettati i
limiti interni alla materia stessa e dunque se l'intervento statale sia
effettivamente proporzionato ed adeguato rispetto all'obiettivo
perseguito. I
giudizi di proporzionalità ed adeguatezza non possono che
riferirsi, per loro
stessa natura, alle specifiche disposizioni che disciplinano il
settore. La
norma in esame, invece, ha soltanto una valenza di carattere generale,
limitandosi ad affermare che i singoli ambiti da essa richiamati
attengono alla
competenza legislativa esclusiva statale, con implicito rinvio poi alla
specifica disciplina contenuta nelle disposizioni che riguardano,
appunto, i
settori soltanto indicati dalla norma censurata. Ed è la
regolamentazione di
essi che potrà eventualmente formare oggetto di sindacato di
costituzionalità
da parte di questa Corte nei modi e nelle forme di rito. 6.8.— Le Regioni Veneto e Piemonte
contestano, altresì, l'inclusione nella disposizione in esame
del riferimento
alle fasi della stipulazione e dell'esecuzione dei contratti, ivi
comprese
quelle della direzione dell'esecuzione e della direzione dei lavori,
contabilità e collaudo, ad eccezione dei profili di
organizzazione e
contabilità amministrative. In particolare, la norma in esame
disciplinerebbe
settori che atterrebbero ad aspetti organizzativi e procedurali
dell'azione
amministrativa, i quali andrebbero inclusi, «a seconda
dell'oggetto, tra le
materie di competenza concorrente o residuale» (ricorso della
Regione Veneto n.
85 del 2006), ovvero investirebbe ambiti in cui sarebbero ravvisabili
«spazi
significativi che vanno ascritti all'ordinamento e organizzazione
amministrativa», che appartengono alla Regione ad eccezione di
quanto è
riferibile allo Stato e agli enti pubblici nazionali (ricorso della
Regione
Piemonte n. 88 del 2006). La questione non è fondata. È noto che
l'attività contrattuale della
pubblica amministrazione, essendo funzionalizzata al perseguimento
dell'interesse pubblico, si caratterizza per la esistenza di una
struttura
bifasica: al momento tipicamente procedimentale di evidenza pubblica
segue un
momento negoziale. Nella prima fase di scelta del
contraente
l'amministrazione agisce, come si è già sottolineato,
secondo predefiniti
moduli procedimentali di garanzia per la tutela dell'interesse
pubblico,
ancorché siano contestualmente presenti momenti di rilevanza
negoziale, dovendo
la pubblica amministrazione tenere, in ogni caso, comportamenti
improntati al
rispetto, tra l'altro, delle regole della buona fede. Nella seconda fase – che ha inizio
con la
stipulazione del contratto (si veda art. 11, comma 7, del Codice) – l'amministrazione si pone in una
posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non
nell'esercizio
di poteri amministrativi, bensì nell'esercizio della propria
autonomia
negoziale. Tale fase, che ricomprende
l'intera
disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l'istituto
del
collaudo – il quale è, tra l'altro, anche specificamente
disciplinato dal
codice civile (art. 1665 e seguenti), valendo per esso le
argomentazioni già
svolte a proposito del subappalto – si connota, pertanto, per la
normale
mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico,
sostituiti
dall'esercizio di autonomie negoziali. Ne consegue che la norma censurata
–
disciplinando aspetti afferenti a rapporti che presentano
prevalentemente
natura privatistica, pur essendo parte di essi una pubblica
amministrazione –
deve essere ascritta all'ambito materiale dell'ordinamento civile.
Sussiste,
infatti, l'esigenza, sottesa al principio costituzionale di
eguaglianza, di
garantire l'uniformità di trattamento, nell'intero territorio
nazionale, della
disciplina della fase di conclusione ed esecuzione dei contratti di
appalto
avente, tra l'altro – per l'attività di unificazione e
semplificazione
normativa svolta dal legislatore –, valenza sistematica. Né vale
obiettare,
come fa la Regione Veneto, che non potrebbe ritenersi sussistente il
titolo di
competenza rappresentato dall'ordinamento civile, in quanto non
verrebbero in
rilievo «la stipulazione e l'esecuzione regolate dal codice
civile». Sul punto,
è agevole osservare che l'ambito materiale in esame ricomprende
tutti gli
aspetti che ineriscono a rapporti di natura privatistica, in relazione
ai quali
sussistono le esigenze sopra indicate, senza che detti rapporti debbano
rinvenire la loro disciplina necessariamente sul piano codicistico. In
altri
termini, la sussistenza di aspetti di specialità, rispetto a
quanto previsto
dal codice civile, nella disciplina della fase di stipulazione e
esecuzione dei
contratti di appalto, non è di ostacolo al riconoscimento della
legittimazione
statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost. Quanto sin qui detto non
significa, però,
che, in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non
possano
residuare in capo alla pubblica amministrazione poteri pubblici
riferibili, tra
l'altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase
esecutiva.
D'altronde, la norma impugnata esclude espressamente dalla competenza
legislativa esclusiva dello Stato i «profili di organizzazione e
contabilità
amministrative», con la conseguenza che in questi ambiti, qualora
parte del
contratto non sia una amministrazione statale, sarebbe rinvenibile un
titolo di
legittimazione regionale. La riconducibilità,
pertanto, all'ambito
della materia dell'ordinamento civile ovvero a materie di competenza
regionale
potrà essere stabilita soltanto in relazione alle singole e
puntuali norme di
disciplina delle fasi attinenti alla conclusione ed esecuzione del
rapporto
contrattuale. 6.9.— Per completezza, allo stesso
modo, va
aggiunto che rientra nella competenza esclusiva dello Stato, in
relazione alle
materie della giurisdizione e della giustizia amministrativa, il
contenzioso
cui fa riferimento il comma 3, cui – sia pure genericamente – si
richiamano le
ricorrenti. In conclusione, pertanto, sotto
gli aspetti
fin qui esaminati, devono ritenersi non fondate le questioni di
legittimità
costituzionale prospettate con riguardo ai parametri costituzionali di
cui agli
artt. 117 e 118 della Costituzione. 6.10.— Resta da esaminare la
questione di
legittimità costituzionale promossa dalle Regioni Veneto,
Piemonte e Toscana con riguardo alla previsione,
contenuta nel comma in esame, secondo cui il vincolo delle Regioni
all'osservanza della disciplina del Codice (vale a dire, il divieto di
prevedere una disciplina diversa) riguarda anche le attività di
progettazione e
i piani di sicurezza. In particolare, si osserva che, da
un lato,
l'attività di progettazione rientrerebbe nell'ambito della
competenza residuale
delle Regioni (non essendo indicata in nessuno degli ambiti materiali
di cui al
secondo e terzo comma dello stesso art. 117 Cost.), ovvero la sola
progettazione di lavori (in quanto «volta a portare alla
realizzazione di opere
sul territorio») sarebbe riconducibile alla materia del governo
del territorio
(ricorso della Regione Toscana n. 84 del 2006); dall'altro, i piani di
sicurezza atterrebbero alla materia concorrente della sicurezza del
lavoro
ovvero (per la connessione che presentano con la fase della
progettazione
esecutiva delle opere) alla materia del governo del territorio. Analoga
censura
hanno proposto, con riferimento ai piani di sicurezza, le Regioni Lazio
e
Abruzzo. Per esigenze di connessione,
possono essere
trattate in questa sede anche le censure, sollevate dalla sola Regione
Veneto,
relative agli artt. 93 e 112, comma 5, lettera b). In
particolare, la ricorrente lamenta che le suddette norme,
disciplinando in maniera eccessivamente analitica, rispettivamente,
«i livelli
di progettazione» e la «verifica dei progetti»,
violerebbero l'art. 117,
secondo comma, lettera e), della
Costituzione. Le
questioni non sono fondate. In via preliminare, appare
opportuno
sottolineare che: l'art. 4, comma 3, stabilisce che
le
Regioni non possono prevedere una disciplina diversa da quella
contemplata dal
Codice in materia di progettazione; l'art. 93 disciplina in maniera
analitica i
livelli della progettazione per gli appalti e per le concessioni di
lavori,
stabilendo, tra l'altro, che la progettazione medesima si articola –
secondo
tre livelli di successivi approfondimenti tecnici – in preliminare,
definitiva
ed esecutiva; l'art. 112, comma 5, lettera b) – censurato anch'esso dalla Regione
Veneto – demanda ad un regolamento la disciplina delle modalità
di verifica dei
progetti, nel rispetto, tra l'altro, del criterio secondo il quale la
verifica
può essere effettuata dagli uffici tecnici delle stazioni
appaltanti ove il
progetto sia stato redatto da progettisti esterni o le stesse stazioni
appaltanti dispongano di un sistema interno di controllo di
qualità, ovvero da
altri soggetti autorizzati secondo i criteri stabiliti dal regolamento
stesso. Ai fini della delimitazione del thema decidendum, è necessario
sottolineare che in questa sede vengono in rilievo esclusivamente i
criteri che
presiedono allo svolgimento dell'attività di progettazione. In
particolare,
l'aspetto qualificante della predetta attività, previsto
dall'impugnato art.
93, attiene all'articolazione della progettazione, che questa Corte ha
ritenuto
essenziale «per assicurare, con il progetto esecutivo,
l'eseguibilità dell'opera»
e «indispensabile per rendere certi i tempi ed i costi di
realizzazione»
(sentenza numero 482 del 1995). E deve rilevarsi come la
previsione di
criteri uniformi della progettazione relativa non solo ai lavori
pubblici, ma
anche ai servizi e alle forniture – essendo essenziale per assicurare,
tra
l'altro, i principi di pari trattamento e di non discriminazione
sull'intero
territorio nazionale dei partecipanti alle procedure di gara – debba
essere
ricondotta, in via prevalente, nell'ambito materiale della tutela della
concorrenza. La suddetta esigenza di
uniformità di
disciplina investe anche le modalità di verifica dei progetti,
prevista dal
censurato art. 112, comma 5, lettera b). Ciò precisato, è
opportuno chiarire che
nella fase di attuazione dell'attività di progettazione (la
quale – al pari
della programmazione dei lavori – non costituisce una materia a
sé stante, ma
rappresenta un momento del complesso iter
procedimentale preordinato alla realizzazione dell'opera pubblica)
sussiste la
specifica competenza dell'amministrazione o del soggetto cui spetti
curare la
realizzazione delle opere mediante le apposite procedure di gara. In
altri
termini, la riconduzione dell'attività di progettazione alla
competenza
esclusiva dello Stato opera esclusivamente per quanto attiene alla
fissazione
dei criteri in base ai quali tale attività deve essere svolta in
modo da
assicurare in ogni caso la più ampia competitività e la
libera circolazione
degli operatori economici nel segmento di mercato in questione, ma non
si
estende fino ad incidere sulla spettanza del concreto svolgimento
dell'attività
progettuale alle singole amministrazioni aggiudicatrici, la cui
competenza non
è incisa dalla normativa in esame. In conclusione, la declaratoria di
infondatezza
delle questioni concerne sia l'art. 4, comma 3, in parte
qua, sia le disposizioni contenute negli artt. 93 e 112,
comma 5, lettera b), del Codice. Per quanto attiene, poi, al
riferimento
contenuto nella norma in esame ai piani di sicurezza, deve rilevarsi,
sempre ai
fini della delimitazione del thema
decidendum, che la disciplina uniforme dei criteri di formazione
dei piani
di sicurezza è anch'essa preordinata ad assicurare, tra l'altro,
i principi di
parità di trattamento e di non discriminazione tra i
partecipanti alla gara.
Nei suddetti limiti, pertanto, la previsione in esame è
riconducile alla tutela
della concorrenza, con conseguente infondatezza della censura
formulata. Alla luce delle considerazioni
innanzi
svolte, non suscettibili di accoglimento sono anche le questioni
involgenti
l'art. 131, il quale regolamenta specificamente i piani di sicurezza. In particolare, la Regione Veneto
ha prospettato il contrasto del citato
articolo con l'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., in considerazione della dedotta natura eccessivamente
dettagliata della relativa disciplina. La Regione Toscana ha,
invece, impugnato il solo comma 1 del medesimo articolo,
il quale prevede che «Il
Governo, su proposta dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali,
della
salute, delle infrastrutture e dei trasporti, e delle politiche
comunitarie,
sentite le organizzazioni sindacali e imprenditoriali maggiormente
rappresentative, approva le modifiche che si rendano necessarie al
regolamento
recato dal decreto del Presidente
della Repubblica 3 luglio 2003, n. 222, in materia di piani di
sicurezza
nei cantieri temporanei o mobili, in conformità alle direttive
comunitarie, e
alla relativa normativa nazionale di recepimento». Secondo la
ricorrente, la norma riportata violerebbe gli artt.
117 e
118 Cost., in quanto, essendo la materia relativa ai piani di sicurezza
rientrante nell'ambito della potestà legislativa concorrente
(sicurezza sul
lavoro), deve ritenersi non legittima l'emanazione di un regolamento
governativo. In via subordinata, la stessa ricorrente assume che, anche
qualora
si dovesse ritenere sussistente una competenza esclusiva dello Stato,
non
sarebbe stato garantito il necessario coinvolgimento dei livelli di
governo
regionali. La questione proposta dalla
Regione Veneto
è inammissibile per genericità. Nonostante, infatti, la norma
presenti un
contenuto articolato riconducibile ad una pluralità di ambiti,
sui quali
certamente può essere esercitata la competenza legislativa
statale in relazione
alla determinazione dei criteri di predisposizione dei piani di
sicurezza, la
ricorrente si è limitata a censurare la norma impugnata
genericamente nella sua
interezza. Deve, invece, ritenersi non
fondata la
questione proposta dalla Regione Toscana relativamente al comma 1
dell'art.
131. Tale comma deve essere
interpretato nel
senso che è attribuito al Governo unicamente il potere di
emanare le
disposizioni regolamentari relative a criteri di predisposizione dei
piani di
sicurezza, che sono essenziali per assicurare, come già
sottolineato, la
uniformità di trattamento dei partecipanti alla gara e dunque i
principi della
tutela della concorrenza. Venendo, pertanto, in rilievo una materia di
competenza legislativa esclusiva statale, deve ritenersi legittima la
previsione di un corrispondente potere regolamentare. E vale anche per i piani di
sicurezza la
constatazione che, in fase attuativa, la loro predisposizione segue il
regime
giuridico proprio dell'opera da realizzare, atteso che è
riservata allo Stato
esclusivamente la fissazione dei criteri generali per la formazione di
detti
strumenti. 6.11.— Le Regioni Lazio e Abruzzo
ritengono, infine, che la norma in esame violi il principio di leale
collaborazione, atteso che essa, pur disciplinando settori
caratterizzati da
interferenze e sovrapposizioni di materie e pur in presenza del parere
negativo
della Conferenza unificata, avrebbe «proceduto
unilateralmente» alla
formulazione delle norme impugnate. La censura non è fondata
per le medesime
argomentazioni svolte con riferimento all'art. 4, comma 2 (vedi punto 5.4). 7.— Le Regioni ricorrenti hanno
impugnato,
nei termini di seguito precisati, l'art. 5, commi 1, 2 e 4, mentre la
Provincia
autonoma di Trento ha censurato i commi 1 e 2 nella parte in cui
consentono
allo Stato di emanare regolamenti nelle materie di cui all'art. 4,
comma 3,
vincolanti anche per le Province autonome, per violazione, in
particolare:
dell'art. 11, numero 17 della legge costituzionale n. 5 del 1948, che
attribuisce
alla potestà legislativa primaria provinciale la materia dei
lavori pubblici di
interesse provinciale; dell'art. 117, sesto comma, Cost., nonché
dell'art. 2
del d.lgs. n. 266 del 1992 (che
prevede l'intervento di sole legge statali in materie provinciali), in
quanto
«una volta che non tutti gli oggetti indicati nell'art. 4, comma
3, sono di
competenza esclusiva statale, la previsione del potere regolamentare
statale
risulta illegittima». La Provincia ricorrente assume, inoltre, la
illegittimità
costituzionale dell'art. 5, comma 4, per violazione del principio di
leale
collaborazione. Al riguardo, deve essere
dichiarata non
fondata la questione relativa al comma 1. La norma impugnata, infatti,
prevede
che il regolamento statale detti la disciplina esecutiva e attuativa
del Codice
in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di
amministrazioni ed enti statali e, «limitatamente agli aspetti di
cui all'art.
4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra
amministrazione». Quest'ultimo
riferimento deve essere inteso, all'esito di una interpretazione
conforme a
Costituzione, nel senso che lo stesso ricomprende lo Stato e le Regioni
e non
anche le Province autonome di Trento e Bolzano. Da quanto esposto
deriva anche
la non fondatezza della censura relativa all'art. 5, comma 4. Deve essere, invece, dichiarato
costituzionalmente illegittimo il comma 2 dell'art. 5, nella parte in
cui fa
riferimento, in maniera contraddittoria rispetto alla clausola di
salvaguardia
contenuta nel comma 3 dell'art. 4, anche alle Province autonome,
rendendo
applicabile alle stesse, nei settori indicati dal comma 3, le
disposizioni
regolamentari. 7.1.— Quanto, invece, alle censure
formulate dalle ricorrenti Regioni, esse investono la problematica
relativa ai
limiti della potestà regolamentare dello Stato nelle materie di
cui all'art. 4,
comma 3, del Codice, vale a dire in quelle materie che quest'ultima
disposizione attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato in
forza dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione, espressamente
richiamato nello stesso comma 3. Il comma 1 dell'art. 5, infatti,
delimita
l'ambito della potestà regolamentare statale con riferimento
«ai contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti
statali e,
limitatamente agli aspetti di cui all'art. 4, comma 3, in relazione ai
contratti di ogni altra amministrazione o soggetto equiparato»,
ivi comprese le
Regioni. Le ricorrenti denunciano, in primo
luogo,
la incostituzionalità della disposizione in esame, in quanto
l'art. 4, comma 3,
ricomprenderebbe tra le materie di competenza statale esclusiva settori
ed
oggetti che rientrerebbero, invece, in competenze regionali. In secondo luogo, la sola Regione
Veneto
assume che per le materie trasversali di competenza legislativa statale
lo
Stato potrebbe intervenire soltanto in via legislativa e non anche
regolamentare, non sussistendo motivi per differenziare i vincoli
espressi dai
principi fondamentali e quelli derivanti dalla disciplina delle materie
trasversali. Infine, ancora la Regione
Veneto ritiene che «l'autonomia politica» di cui godono le
Regioni può essere «limitata solo da atti riconducibili
direttamente o in via
mediata al Parlamento, luogo della rappresentanza nazionale» e
non anche dal
solo Governo e dalla «maggioranza che lo sostiene». 7.2.— Le questioni così
prospettate non
sono fondate. Il sesto comma dell'art. 117 Cost.
prevede
che lo Stato possa esercitare la potestà regolamentare soltanto
nelle materie
di propria legislazione esclusiva; «in ogni altra materia»
la potestà
regolamentare spetta alle Regioni. Le disposizioni censurate fanno
applicazione del riportato principio costituzionale, stabilendo che il
regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice vincola le Regioni
soltanto
in presenza di ambiti materiali rientranti nella sfera di
potestà legislativa
esclusiva statale ai sensi dell'art. 4, comma 3, dello stesso Codice. Orbene, è evidente la
legittimità del
rinvio operato dalla norma censurata al comma 3 dell'art. 4 ai fini
della
perimetrazione della potestà regolamentare dello Stato. In altri
termini, tale
potestà si esplica unicamente in ambiti materiali che spettano
in via esclusiva
alla competenza legislativa statale, in conformità a quanto
prescritto dal
citato sesto comma dell'art. 117 Cost. 7.3.— Quanto sin qui detto vale
anche
quando viene in rilievo la materia trasversale della tutela della
concorrenza.
Una volta, infatti, che si ritenga che l'intervento del legislatore
statale sia
riconducibile alle esigenze della suindicata tutela, allo stesso
legislatore
spetta il potere di dettare la relativa regolamentazione del settore
anche con
norme di dettaglio poste da disposizioni regolamentari; ciò
sempre che tale
complessiva disciplina superi positivamente, in relazione alle
specifiche
disposizioni che di volta in volta vengono in rilievo, il vaglio di
costituzionalità in ordine al rispetto dei criteri di
adeguatezza e
proporzionalità. 7.4.— Infine, deve essere
esaminata l'ulteriore
censura, prospettata in particolare dalla Regione Veneto, secondo la
quale, in
presenza di una competenza legislativa di tipo trasversale, non sarebbe
legittima l'emanazione di regolamenti, che finirebbero per limitare
l'autonomia
riconosciuta alle Regioni. Tale questione involge la
più ampia
problematica relativa al rapporto tra fonti statali regolamentari e
fonti
regionali primarie. Sul punto, è bene ricordare
che, prima
della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione,
nelle
materie di competenza regionale i principi fondamentali della
disciplina,
vincolanti nei confronti delle Regioni, potevano essere posti
esclusivamente da
leggi o da atti aventi forza di legge dello Stato, con esclusione degli
atti
regolamentari (vedi, tra le altre, le sentenze numeri 376 del 2002; 408
del
1998; 482 del 1995). La ragione giustificativa di questa affermazione
risiedeva
nel principio della separazione
delle competenze, che impediva che fosse possibile postulare una
qualunque
forma di condizionamento, da parte di un regolamento statale, anche
adottato in
delegificazione, di fonti primarie regionali. Tale ragione si è ancora di
più rafforzata
con la riforma del titolo V (in questo senso si è già
espressa la sentenza
numero 303 del 2003) che, come si è precisato, ha previsto che
lo Stato non
possa emanare regolamenti in materie di competenza ripartita, potendo,
invece,
adottare solo atti regolamentari nelle materie rientranti nella propria
competenza legislativa esclusiva. In presenza di materie di tipo
trasversale
potrebbe soltanto porsi un problema di rapporti tra fonti appartenenti
a
diversi ambiti di competenza, in quanto dette materie si
connotano per il fatto che, non avendo normalmente un oggetto
definito di disciplina, possono intersecare altre competenze regionali.
Nella specie, a prescindere da
ogni
considerazione in ordine all'effettiva sussistenza di una lesione
all'autonomia
legislativa regionale, deve sottolinearsi che l'evenienza del
condizionamento
di una fonte secondaria nei confronti di una legge regionale non si
verifica in
presenza di un titolo di legittimazione statale riconducibile alla
tutela della
concorrenza, proprio in ragione della sua già descritta
peculiare connotazione
e del suo modo di operatività nel settore degli appalti. Non è, pertanto,
prospettabile – in
relazione alle specifiche questioni di legittimità
costituzionale proposte e
alla tipologia dei regolamenti previsti – alcun condizionamento di
fonti
primarie regionali da parte di fonti secondarie statali. Queste ultime,
dando
attuazione ed esecuzione a disposizioni di legge, detteranno tutte le
norme
necessarie a perseguire l'obiettivo di realizzare assetti
concorrenziali;
mentre le prime disciplineranno i profili non afferenti,
ancorché contigui, a
quelli relativi alla tutela della concorrenza. Le modalità di
operatività della
materia in esame garantiscono, dunque, anche quando venga in rilievo
l'esercizio di una potestà regolamentare, la separazione tra
fonti statali e
regionali di rango diverso, evitando così che un atto secondario
dello Stato
interferisca con la legge regionale. 7.5.— Chiarito ciò, deve
essere esaminata
la questione proposta, in via subordinata, dalla Regione Toscana, la
quale ha
osservato che, qualora dovessero ritenersi legittimi i commi 1 e 2
dell'art. 5,
sarebbe comunque incostituzionale il comma 4, il quale disciplina la
procedura
di adozione del regolamento senza prevedere alcun coinvolgimento
regionale.
Analoga questione ha proposto, con riferimento al comma 1 dell'art. 5,
la
Regione Veneto. Mentre la Regione Piemonte ha ritenuto che, in presenza
di
materia di competenza legislativa esclusiva statale di tipo trasversale
sarebbe
necessario, per l'interferenza con competenze regionali, che la
formazione del
regolamento statale fosse sottoposta a procedura di intesa con la
Conferenza
unificata. Le questioni, alla luce di quanto
poc'anzi
affermato, non possono ritenersi fondate. Ed infatti, non sussiste alcun
obbligo di
coinvolgimento delle Regioni nella fase di esercizio della
potestà
regolamentare dello Stato nelle materie riservate alla sua competenza
legislativa esclusiva. Ciò vale anche per la tutela della
concorrenza, in
ragione proprio del peculiare modo di atteggiarsi della sua
trasversalità. Il
rispetto delle regole collaborative può essere imposto a livello
costituzionale
nei soli casi in cui si verifichi un forte intreccio con competenze
regionali
che richieda l'adozione di modalità concordate o comunque di
meccanismi che
garantiscano il coinvolgimento dei livelli di governo interessati. Nel
caso in
esame, le altre competenze regionali diventano l'oggetto sui cui incide
la
funzione espletata dallo Stato attraverso l'esercizio della
potestà legislativa
in materia di tutela della concorrenza. Si realizza, dunque, una
separazione
tra competenza statale e competenza regionale che non richiede, salvo
le
peculiarità di determinate fattispecie, particolari forme di
leale
collaborazione nella fase di esercizio della potestà
regolamentare. Ciò
ovviamente non esclude che rientri nella discrezionalità del
legislatore
prevedere, come è avvenuto in relazione a specifiche norme
contenute nel
Codice, forme di cooperazione con i livelli di governo regionali nella
fase di
adozione di singoli atti regolamentari. 7.6.— La Regione Veneto assume,
inoltre,
che l'art. 5, comma 2, violi gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 76
Cost.,
in quanto «una autoqualificazione statale delle norme applicabili
alle Regioni,
pur potendosene apprezzare la ratio,
non può essere operata con un regolamento governativo,
soprattutto quando, come
nel caso, al regolamento è lasciato un margine di
discrezionalità assai ampio».
La questione è
inammissibile. La norma in esame si limita a
stabilire, in
settori rientranti nella competenza legislativa statale, che il
regolamento
indichi quali disposizioni in esso contenute si indirizzino anche
all'ente
Regione. È evidente, pertanto, come tale disposizione, per il
suo contenuto
specifico, abbia esclusivamente una finalità ricognitiva,
sicché, data la
mancanza di una effettiva portata precettiva della disposizione
impugnata, deve
ritenersi insussistente un vulnus
alle competenze regionali. Né vale il rilievo, svolto
nella memoria
della Regione Veneto, secondo cui lo schema di regolamento di
esecuzione e
attuazione del Codice, approvato dal Consiglio dei ministri il 13
luglio 2007,
prevede l'applicabilità dell'intero regolamento ad ogni
amministrazione
appaltante (art. 1, comma 3). A prescindere dalla circostanza che si
tratta
ancora di uno schema, suscettibile in quanto tale di modificazioni o
aggiustamenti, deve rilevarsi che qualora lo Stato, nell'esercizio
della sua
potestà regolamentare, dovesse esorbitare dagli ambiti materiali
di propria
spettanza, le Regioni sarebbero legittimate ad avvalersi degli
strumenti per
salvaguardare le proprie attribuzioni eventualmente lese. 7.7.— La Regione Veneto assume, in
via
ulteriormente subordinata, che l'art. 5, comma 1, violi gli artt. 76 e
117,
quinto comma, Cost., in quanto: a) la sostituzione preventiva
prevista, in
attuazione del quinto comma dell'art. 117 Cost., dalla legge n. 11 del
2005 non
potrebbe avvenire in via regolamentare e, anche ammesso che ciò
sia possibile,
i regolamenti dovrebbero avere carattere suppletivo e cedevole; b) nelle materie di cui al secondo
comma
dell'art. 117 Cost., che interferiscono con materie regionali (quale
quella in
esame), non sarebbe permessa l'adozione di norme regolamentari per i
contratti
di interesse regionale di rilevanza comunitaria, in quanto l'art. 11
della
legge n. 11 del 2005 consentirebbe l'attuazione delle direttive
comunitarie,
mediante regolamento, soltanto nel caso in cui ciò venga
autorizzato dalla
legge comunitaria, mentre nessuna autorizzazione sarebbe contenuta
nella legge
delega n. 62 del 2005. La ricorrente puntualizza che la
incostituzionalità, per
i motivi esposti, deriverebbe dalla circostanza che la legge n. 11 del
2005 non
potrebbe essere derogata da una fonte primaria, essendo una legge di
«diretta
attuazione dell'art. 117 Cost.». In ogni caso, una deroga
così rilevante a
quanto prescritto dalla citata legge avrebbe richiesto uno specifico
principio
o criterio direttivo nella specie mancante. Da qui l'ulteriore
contrasto della
norma in esame con l'art. 76 Cost., avendo il Governo ecceduto la
delega
conferita «e potendo la Regione dolersi della violazione, in
quanto si tratta
del mancato rispetto di previsioni dirette a conformare la propria
autonomia
nella attuazione delle direttive comunitarie». Le questioni non sono fondate. Innanzitutto, con riferimento alla
prima
censura, deve ritenersi che la disposizione in esame – prevedendo
l'esercizio
della potestà regolamentare nelle materie di competenza
legislativa esclusiva
statale – non deve recare l'esplicita indicazione del carattere
cedevole delle
norme in essa contenute. Tale carattere deve, infatti, essere presente
esclusivamente nel caso in cui la potestà regolamentare venga
esercitata nelle
materie di competenza regionale. In relazione alla seconda censura,
deve,
innanzitutto, rilevarsi come essa si presenti generica e anche oscura,
in
quanto potrebbe ritenersi che la Regione abbia indirizzato, tra
l'altro, le
proprie doglianze non nei confronti della disposizione del Codice,
bensì della
legge di delega n. 62 del 2005, la quale non forma oggetto di
impugnazione,
nella parte in cui avrebbe derogato a quanto prescritto dalla legge n.
11 del
2005, che sarebbe, nella prospettiva regionale, una legge di
«diretta
attuazione dell'art. 117 Cost.» e, dunque, non emendabile da
altra legge
ordinaria. In ogni caso, deve rilevarsi che
la legge
n. 62 del 2005, per il suo carattere di normativa successiva e
specifica,
prevale comunque sulle disposizioni contemplate nella legge n. 11 del
2005. In relazione, poi, al rilievo,
svolto dalla
ricorrente, secondo cui una siffatta deroga avrebbe comunque richiesto
un
puntuale «principio o criterio direttivo», deve osservarsi
che, se è vero che
l'art. 11, comma 1, della legge n. 11 del 2005 prevede che nelle
materie di cui
al secondo comma dell'art. 117 Cost., non coperte da riserva assoluta
di legge,
le direttive possono essere attuate mediante regolamento soltanto
«se così
dispone la legge comunitaria» e che nel caso in esame la legge
comunitaria n.
62 del 2005 nulla prevede in proposito, ciò tuttavia non ridonda
in un vizio di
legittimità costituzionale sub specie
di violazione dell'art. 76 Cost. Infatti, il potere di emanare
regolamenti
nelle materie di cui al sesto comma dell'art. 117 Cost. discende
direttamente
dalla Costituzione, sicché non rileva la mancanza nella norma
delegante di uno
specifico criterio direttivo al riguardo. 8.— L'art. 5, comma 7, dà
facoltà alle
stazioni appaltanti di adottare capitolati, contenenti la disciplina di
dettaglio e tecnica della generalità dei propri contratti o di
specifici
contratti (capitolati speciali), nel rispetto delle norme del Codice
«e del
regolamento di cui al comma 1», vale a dire del regolamento
governativo da
emanarsi in applicazione di quanto previsto dall'art. 4, comma 3, per
le
materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato. Il comma
prosegue
disponendo che «I capitolati menzionati nel bando o nell'invito
costituiscono
parte integrante del contratto». Il comma 8, a sua volta, prevede
che per
gli appalti di lavori delle amministrazioni aggiudicatrici statali
è adottato
il capitolato generale, nel rispetto delle norme del Codice «e
del regolamento
di cui al comma 1». Il comma 9, infine, stabilisce che
il
capitolato generale dei lavori pubblici «può essere
richiamato nei bandi e
negli inviti da parte delle stazioni appaltanti diverse dalle
amministrazioni
aggiudicatrici statali». La Regione Veneto ha impugnato i
soli commi
7 e 9, nella parte in cui consentono alle stazioni appaltanti di
adottare
propri capitolati o di recepire il capitolato generale dello Stato.
Essa deduce
la violazione dell'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione,
in
quanto le norme impugnate – escludendo che la legge regionale possa
prevedere
l'approvazione di un apposito capitolato generale oppure l'adozione da
parte di
tutte le stazioni appaltanti di schemi uniformi di capitolati speciali
–
lederebbero la competenza legislativa delle Regioni sui lavori pubblici
di
interesse regionale, oltre che la competenza sulla organizzazione
propria e
degli enti da essa dipendenti. La questione non è fondata.
Le norme impugnate – a prescindere
dalla
materia in cui sono inquadrabili – non prevedono alcun obbligo per le
stazioni
appaltanti di adottare capitolati
speciali, ma solo la facoltà di farlo («possono
adottare»). Ed è logico che se
le stazioni appaltanti si avvalgono di detta facoltà, il
contenuto dei
capitolati speciali dovrà rispettare quanto previsto dal Codice
e dal
regolamento governativo di cui al comma 1 del medesimo art. 5. Allo stesso modo, il comma 9,
oggetto di
contestazione, prevede la facoltà e non l'obbligo delle stazioni
appaltanti,
diverse dalle amministrazioni aggiudicatrici statali, di richiamare
(«può
essere richiamato») nei bandi o negli inviti a partecipare alle
gare il
capitolato generale dei lavori pubblici. Sulla base, dunque, dell'indicato
contenuto
delle disposizioni impugnate, deve escludersi che sia ravvisabile un vulnus alle competenze legislative della
Regione per quanto attiene alla realizzazione delle opere pubbliche
regionali. 9.— La Regione Veneto ha impugnato
l'art.
6, comma 9, lettera a), e l'art. 7,
comma 8, per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto «per la loro
eccessiva analiticità, precludono alle Regioni la
possibilità di legiferare
definendo procedure più snelle e compatibili con
l'organizzazione propria delle
sezioni regionali dell'Osservatorio dei contratti pubblici». In particolare, l'art. 6, comma 9,
lettera a), prevede che l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
può «richiedere
alle stazioni appaltanti, agli operatori economici esecutori dei
contratti,
nonché ad ogni altra pubblica amministrazione e ad ogni ente,
anche regionale,
operatore economico o persona fisica che ne sia in possesso, documenti,
informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture
pubblici, in corso o da iniziare, al conferimento di incarichi di
progettazione, agli affidamenti». L'art. 7, comma 8, stabilisce, a
sua volta,
quali sono i dati che, entro un termine prestabilito, le stazioni
appaltanti e
gli enti aggiudicatori sono tenuti a comunicare all'Osservatorio dei
contratti
pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture, che opera nell'ambito
della predetta
Autorità di vigilanza. Le questioni sono inammissibili
per
genericità. La ricorrente, infatti, non
analizza il
contenuto eterogeneo delle norme, che vengono censurate unitariamente,
alla
luce del parametro costituzionale evocato. Inoltre, non viene addotto
alcun
elemento argomentativo – al di là dell'insufficiente riferimento
all'eccessiva
analiticità delle disposizioni impugnate e dell'oscuro richiamo
a profili
organizzativi – volto a dimostrare la violazione dei canoni
dell'adeguatezza e della
proporzionalità. 10.— L'impugnato art. 48
disciplina la fase
del procedimento amministrativo di scelta del contraente caratterizzata
da una
serie di controlli sul possesso, da parte dei concorrenti, dei
requisiti per la
partecipazione alla gara. In particolare, si prevede che le stazioni
appaltanti, prima di procedere all'apertura delle buste contenenti le
offerte
presentate, richiedano ad un numero di offerenti non inferiore al 10
per cento
delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore,
scelti con sorteggio
pubblico, di comprovare, entro 10 giorni dalla data della richiesta
medesima,
il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando o nella
lettera di
invito. La disposizione prosegue, poi,
disciplinando l'ipotesi in cui tale prova non sia fornita e le
conseguenze che
si verificano in ordine all'ulteriore corso del procedimento di gara. Il secondo comma dello stesso
articolo
prevede, inoltre, che la richiesta di cui al comma 1 deve essere
inoltrata,
entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche
all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora
gli
stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e disciplina
le
conseguenze derivanti dal mancato assolvimento dei predetti oneri. L'articolo in esame è
impugnato dalla
Regione Toscana, la quale ne assume la illegittimità
costituzionale per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost., sotto il profilo che, pur non
sussistendo
esigenze di carattere unitario, sarebbe stata introdotta una disciplina
dettagliata ed autoapplicativa relativa al controllo delle
autodichiarazioni
rese dai concorrenti alla gara. Ciò comporterebbe una indebita
ingerenza nella
materia della organizzazione amministrativa di competenza residuale
delle
Regioni, alle quali spetterebbe di modulare il contenuto della suddetta
disciplina in maniera differenziata, per meglio contemperare i vari
interessi
in gioco. La questione non è fondata.
Si è chiarito, con
riferimento alle
disposizioni contenute nell'art. 4, comma 3, del Codice, che ha
già formato
oggetto di esame, che la disciplina del procedimento di scelta del
contraente,
finalizzata alla stipulazione dei contratti della pubblica
amministrazione,
attiene, principalmente, alla materia della tutela della concorrenza di
competenza legislativa esclusiva dello Stato. Siffatta competenza rende
non
costituzionalmente illegittima la disciplina normativa di quegli
aspetti del
procedimento amministrativo, delineata dal Codice sulla base peraltro
di
precedenti fonti normative oggetto di reiterazione, che incidono
direttamente
sulle modalità di scelta del contraente e, dunque, sulla
effettività della
concorrenza tra i partecipanti alla gara. E tra tali aspetti rientrano
certamente gli strumenti di controllo del possesso, da parte dei
concorrenti,
dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi idonei a
fornire
valide garanzie di serietà che devono caratterizzare, appunto,
la
partecipazione alla gara stessa. La uniformità di disciplina in
relazione a
questo profilo è essenziale per soddisfare l'esigenza,
più volte richiamata in
sede comunitaria, di parità di trattamento e di non
discriminazione degli
offerenti, allo scopo di assicurare, tra l'altro, le libertà di
circolazione
delle merci, di stabilimento e di prestazione dei servizi. Non mette conto, infine,
affermare, come
fanno le ricorrenti, che la normativa dettata dal Codice sia di natura
tecnica
o eccessivamente dettagliata ed autoapplicativa per dedurne la
automatica non
conformità a Costituzione, giacché, anche un siffatto
tipo di disciplina, come
più volte si è sottolineato, traendo la sua
legittimazione dalla disposizione
costituzionale attributiva di una competenza esclusiva dello Stato in
materia,
non contrasta con gli evocati parametri costituzionali. 11.— La Regione Veneto ha
impugnato anche
gli artt. 70, 71 e 72 assumendo che gli stessi, in relazione ai
cosiddetti
appalti sotto soglia, siano in contrasto – per la loro natura
eccessivamente
dettagliata e analitica – con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.; analoga censura viene svolta
in relazione all'art. 252, comma 3, nonché all'art. 253, commi
10 e 11. Le disposizioni impugnate
disciplinano
rispettivamente: i termini di ricezione
delle domande di
partecipazione e delle offerte (art. 70); i termini di invio ai
richiedenti dei
capitolati d'oneri, documenti e informazioni complementari nelle
procedure
aperte (art. 71), nonché nelle procedure ristrette, negoziate e
nel dialogo
competitivo (art. 72); le forme di pubblicità per i contratti
sotto soglia
(art. 252, comma 3); le modalità delle modifiche da apportare a
bandi
relativi a servizi e forniture, nonché a bandi di stazioni
appaltanti non
statali (253, comma 10); la
istituzione della serie speciale relativa ai contratti pubblici
della Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana (253, comma 11). Le questioni devono essere
dichiarate
inammissibili. Il contenuto ampio, e per molti
profili
eterogeneo, delle disposizioni impugnate avrebbe richiesto che la
ricorrente
indicasse specificamente le norme che non rispettano i limiti della
proporzionalità ed adeguatezza sottesi alla materia della tutela
della
concorrenza. In ogni caso, deve rilevarsi come le norme censurate,
attenendo al
procedimento di scelta del contraente, siano riconducibili alla materia
della
tutela della concorrenza, secondo quanto già precedentemente
indicato. 12.— Le questioni di
costituzionalità
relative agli artt. 75, 113 e 252, comma 6, devono essere esaminate
congiuntamente per connessione. In particolare, la Regione Toscana
ha
impugnato l'art. 75, comma 1, secondo il quale «L'offerta
è corredata da una
garanzia, pari al 2 per cento del prezzo base indicato nel bando o
nell'invito,
sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta
dell'offerente». La
ricorrente deduce l'illegittimità costituzionale di siffatta
previsione per
violazione dell'art. 117 Cost., in quanto la stessa, non consentendo
alle
Regioni di modulare la richiesta di cauzione, violerebbe la competenza
residuale delle Regioni medesime in materia di organizzazione
amministrativa
regionale. La Regione Veneto ha, invece,
impugnato
l'intero art. 75, asserendo che lo stesso, dettando una disciplina
«pervasiva
ed analitica» delle forme di garanzia, violerebbe i limiti
sottesi alla
competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza. Le questioni sono in parte
infondate e in
parte inammissibili. 12.1.— In via preliminare, deve
essere
dichiarata l'inammissibilità, per genericità, della
questione avente ad oggetto
l'intero art. 75, proposta dalla Regione Veneto. La ricorrente, pur riconoscendo
che la
disposizione censurata disciplina un settore rientrante nella tutela
della
concorrenza, lamenta la natura eccessivamente analitica delle norme ivi
contenute. Come già più volte sottolineato, non è
però sufficiente dedurre il
solo carattere dettagliato della regolamentazione perché ne
discenda
automaticamente la violazione dei criteri di proporzionalità e
adeguatezza che
devono guidare lo scrutinio di costituzionalità. A ciò si aggiunga che,
nella specie,
nonostante la disposizione in esame presenti un contenuto ampio e
complesso, la
ricorrente si è limitata in modo generico ad impugnarla nella
sua interezza,
senza addurre alcuna specifica motivazione volta a giustificare la
suddetta
modalità di proposizione del ricorso. 12.2.— Deve, invece, essere
dichiarata non
fondata la questione relativa all'art. 75, comma 1, che, contrariamente
a
quanto sostenuto dalla ricorrente Regione Toscana, si inserisce nel
quadro
delle previsioni attinenti allo svolgimento della gara e, dunque, alla
fase di
scelta del contraente che, per le ragioni già precedentemente
esplicitate,
trova la sua legittimazione nella competenza esclusiva dello Stato in
materia
di tutela della concorrenza. Infatti, le disposizioni relative alla
prestazione
delle garanzie a corredo dell'offerta si iscrivono nella fase di
individuazione
del contraente e tendono, unitamente a tutte quelle preordinate a
disciplinare
il sistema delle offerte, a garantire la competitività e la
concorrenzialità
delle imprese nel segmento di mercato interessato dai contratti per
l'esecuzione di lavori pubblici, servizi e forniture. 12.3.— Non fondata è,
altresì, la questione
con la quale la Regione Veneto ha dedotto la illegittimità
costituzionale
dell'art. 113, rilevando come esso, pur rientrando nell'ambito
materiale della
tutela della concorrenza, abbia una natura eccessivamente pervasiva ed
analitica. Sul
punto, deve rilevarsi che la disposizione impugnata non attiene, come
ritenuto
dalla ricorrente, alla tutela della concorrenza, ma rientra nella
competenza
legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile (art.
117,
secondo comma, lettera l, Cost.). L'art. 113 apre il Capo V del
Titolo I
della Parte II del Codice, che contiene i «Principi relativi
all'esecuzione del
contratto» e, appunto in tale fase, disciplina le garanzie
fideiussorie di
esecuzione e le coperture assicurative, dettandone le modalità
di costituzione,
di escussione e di estinzione, nonché le conseguenze derivanti
dalla loro
mancata prestazione. Questi profili – attenendo alla regolamentazione
civilistica di aspetti afferenti al vincolo negoziale – devono
necessariamente
ricevere, per le ragioni esposte in generale a proposito della fase di
attuazione del rapporto contrattuale, un trattamento uniforme
sull'intero
territorio nazionale. 12.4.— Allo stesso modo non
è fondata la
questione, con la quale la Regione Veneto ha impugnato l'art. 252,
comma 6, il
quale prevede che gli schemi di polizza-tipo concernenti le coperture
assicurative e le garanzie fideiussorie debbono essere approvati con
decreto
del Ministro delle attività produttive di concerto con il
Ministro delle
infrastrutture e trasporti. Si tratta di una attività di
regolazione della fase
di esecuzione del contratto che, in quanto tale, per i motivi
illustrati,
rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di
ordinamento civile. 13.— Sono impugnati i commi 2, 3,
8 e 9
dell'art. 84, i quali dettano norme sulle funzioni, sulla composizione
e sulla
modalità di nomina dei componenti della Commissione giudicatrice
incaricata di
esprimersi nell'ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa. La
Regione Toscana impugna tali commi, i quali non concernono le funzioni
della
Commissione (di cui al comma 1, non oggetto di impugnazione),
bensì la
composizione della stessa e le modalità di nomina dei suoi
componenti. A fondamento della sua censura la
ricorrente deduce, innanzi tutto, la violazione degli artt. 117 e 118
Cost., in
quanto, in assenza di esigenze unitarie, l'individuazione del numero
dei
componenti (comma 2), della qualifica del presidente (comma 3) e dei
commissari
(comma 8), nonché le modalità della loro scelta (commi 8
e 9), devono essere
ricondotti nell'ambito organizzativo delle singole stazioni appaltanti,
che
potranno modularli tenendo conto della complessità dell'oggetto
della gara, nonché
dell'importo della medesima. Nel ricorso si aggiunge che, nella
«denegata
ipotesi» in cui non si condivida la predetta ricostruzione e si
ritenga che il
contenuto della norma sia riconducibile alla materia della tutela della
concorrenza, mancherebbero nella specie i caratteri che connotano tale
materia,
e cioè la natura macroeconomica dell'intervento e il rispetto
dei criteri della
proporzionalità e dell'adeguatezza, che impongono di limitare
l'intervento alla
previsione di disposizioni di carattere generale e non di dettaglio. Sotto altro aspetto, la ricorrente
deduce
la violazione dell'art. 76 Cost., in quanto, i criteri direttivi
previsti
dall'art. 25 della legge n. 62 del 2005 non consentirebbero
«l'emanazione di
nuove disposizioni se non per ragioni di semplificazione»
procedurale che,
nella specie, non sussisterebbero. La questione è fondata. Va premesso che il d.lgs. n. 113
del 2007
(primo decreto correttivo del Codice), al di là della modifica
formale
apportata al comma 3 dell'art. 84, ha precisato, al secondo periodo del
comma
8, che i commissari possono anche essere scelti «tra funzionari
di
amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 25». Si
tratta,
comunque, di una modificazione che non assume rilievo rispetto alla
questione
di legittimità costituzionale sollevata con il ricorso della
Regione Toscana. Quanto al merito della questione,
deve
innanzitutto rilevarsi che non è condivisibile la tesi secondo
cui la normativa
delegata – attinente alla composizione ed alle modalità di
scelta dei
componenti della Commissione giudicatrice – troverebbe fondamento nella
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza. Essa presuppone, infatti, che tali norme abbiano ad
oggetto
specificamente i criteri e le modalità di scelta del contraente,
idonei ad
incidere sulla partecipazione dei concorrenti alle gare e, dunque,
sulla
concorrenzialità nel mercato, nel senso che dai diversi moduli
procedimentali
utilizzati potrebbero derivare conseguenze sulla minore o maggiore
possibilità
di accesso delle imprese al mercato medesimo, e sulla parità di
trattamento che
deve essere loro riservata. La norma in esame, invece – pur
disciplinando aspetti della stessa procedura di scelta – è
preordinata ad altri
fini e deve seguire il generale regime giuridico che è loro
proprio, senza che
possano venire in rilievo le esigenze di salvaguardia della
competitività nel
mercato, le quali giustificano, in base a quanto disposto dall'art.
117,
secondo comma, lettera e), della
Costituzione, l'intervento legislativo dello Stato. Orbene, gli aspetti connessi alla
composizione della Commissione giudicatrice e alle modalità di
scelta dei suoi
componenti attengono, più specificamente, alla organizzazione
amministrativa degli
organismi cui sia affidato il compito di procedere alla verifica del
possesso
dei necessari requisiti, da parte della imprese concorrenti, per
aggiudicarsi
la gara. Da ciò deriva che non può essere esclusa la
competenza legislativa
regionale nella disciplina di tali aspetti. Deve, pertanto, ritenersi non
conforme al
sistema di riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni la
normativa
contenuta nei commi in esame, la quale vale certamente nel suo insieme
per
l'attività contrattuale posta in essere in ambito statale,
mentre per le
Regioni deve necessariamente avere carattere recessivo nei confronti di
una
diversa (ove esistente) disciplina specifica di matrice regionale,
secondo
quanto disposto dall'art. 117, quinto comma, Cost. e dall'art. 1, comma
6,
della legge di delega n. 62 del 2005. Alla luce delle considerazioni che
precedono, le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 8 e 9 dell'art. 84,
devono
essere dichiarate costituzionalmente illegittime nella parte in cui,
per i
contratti inerenti a settori di competenza regionale, non prevedono che
esse
abbiano carattere suppletivo e cedevole rispetto ad una divergente
normativa
regionale che abbia già diversamente disposto o che disponga per
l'avvenire. La predetta dichiarazione di
illegittimità
costituzionale travolge anche le modifiche, sopra indicate, alle
disposizioni
in esame, apportate dal d.lgs. n. 113 del 2007. 14.— La Regione Toscana ha
impugnato l'art. 88, nella parte in cui
disciplina
in maniera dettagliata il procedimento di verifica e di esclusione
delle
offerte ritenute «anormalmente basse». In particolare, la
ricorrente deduce la
violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, da un lato, il
procedimento
attraverso il quale si provvede alla verifica dell'offerta anomala in
contraddittorio
con l'impresa atterrebbe ai profili di organizzazione regionale per i
contratti
della Regione, degli enti regionali e locali; dall'altro, non sarebbe
possibile
evocare il titolo di competenza rappresentato dalla tutela della
concorrenza, atteso
che la disciplina del procedimento con cui eseguire la verifica delle
offerte
anomale non avrebbe un impatto complessivo sull'economia, oltre ad
essere
troppo dettagliata e minuziosa, con conseguente inosservanza dei
criteri
dell'adeguatezza e della proporzionalità. La questione non è fondata.
Con la norma impugnata, il
legislatore
statale si è uniformato alle regole comunitarie (art. 55 della
direttiva
2004/18 CE, e art. 57 della direttiva 2004/17 CE) nella disciplina
dell'istituto in esame, prevedendo, in particolare, che l'esclusione
delle
offerte anomale non possa essere automatica, ma debba avvenire
all'esito di un
procedimento svolto in contraddittorio con l'impresa. Sul punto, questa Corte ha
già avuto modo
di affermare – sia pure con riferimento ai soli appalti di lavori, ma
con
affermazioni suscettibili di estensione anche ai settori degli appalti
di
servizi e di forniture – che la
disciplina comunitaria dell'istituto (all'epoca, art.
30 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio del 14 giugno
1993) «compone l'esigenza di garantire
la concorrenza e di acquisire la prestazione al prezzo più
vantaggioso per
l'amministrazione con l'esigenza di assicurare la serietà delle
offerte,
prevedendo che l'amministrazione, prima di rifiutare quelle che
presentino
carattere anormalmente basso rispetto alla prestazione, chieda le
precisazioni
che ritiene utili in merito alla composizione dell'offerta e proceda
alla
verifica, tenendo conto delle giustificazioni fornite»
(sentenza numero
40 del 1998; vedi anche la sentenza numero 132 del 1996). Il rispetto del principio del
contraddittorio, imposto dal diritto comunitario, è finalizzato,
da un lato, a
verificare se, in ipotesi, l'impresa non
si trovi nelle condizioni di garantire in maniera efficace il risultato
perseguito dall'amministrazione ad un prezzo più basso rispetto
a quello che
sono in grado di offrire le altre imprese; dall'altro, non consentendo
provvedimenti di esclusione automatica (vedi, tra le altre, la sentenza
Corte
di giustizia 27 ottobre 2001, già citata), a perseguire
l'obiettivo della più
ampia partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara. È evidente, dunque, come si
tratti di un
procedimento complesso in cui assume preminenza la finalità di
informare il procedimento
stesso alle regole della concorrenza nella fase di scelta del
contraente, con
consequenziale giustificazione dell'intervento del legislatore statale
ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., anche alla luce dei criteri della adeguatezza e
proporzionalità. 15.— La Regione Veneto ha
impugnato,
altresì, l'art. 91, commi 1 e 2 (nonché le disposizioni
di cui alla Parte II,
Titolo I e Titolo II, cui viene fatto ivi rinvio), in materia di
affidamento di
incarichi di progettazione di importo inferiore alla soglia
comunitaria, in
quanto dette disposizioni presenterebbero «un carattere di
eccessiva
analiticità», in contrasto con il canone della
ragionevolezza e della
proporzionalità. La questione è
inammissibile, per
genericità ed indeterminatezza. La ricorrente, infatti, si
è limitata a
ritenere la norma in esame in contrasto con i suddetti canoni della
ragionevolezza e della proporzionalità, senza neppure richiamare
compiutamente
il contenuto delle norme denunciate e censurando genericamente il
rinvio
operato dall'art. 91, comma 1, a disposizioni contenute in altre parti
del
Codice. Inoltre, la difesa regionale non ha giustificato in alcun modo
il
superamento dei limiti sottesi alla materia della tutela della
concorrenza, non
essendo sufficiente, come più volte sottolineato, il solo
riferimento alla
«eccessiva analiticità» delle norme impugnate. 16.— Il comma 1 dell'art. 98
prevede che
«Restano ferme le norme vigenti che stabiliscono gli effetti
dell'approvazione
dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi». Il comma 2 dello stesso articolo,
oggetto
di impugnazione, dispone che, «Al fine di accelerare la
realizzazione di
infrastrutture di trasporto, viabilità e parcheggi, tese a
migliorare la
qualità dell'aria e dell'ambiente nelle città,
l'approvazione dei progetti
definitivi da parte del consiglio comunale costituisce variante
urbanistica a
tutti gli effetti». La Regione Veneto impugna la
disposizione
del solo comma 2 nella parte in cui stabilisce che
«l'approvazione dei progetti
definitivi da parte del consiglio comunale costituisce variante
urbanistica a
tutti gli effetti», deducendo la violazione dell'art. 117, terzo
comma, Cost.,
in quanto la norma in esame, pur ricadendo nel settore della
urbanistica ed incidendo,
pertanto, nella materia concorrente del governo del territorio, esprime
una
regola inderogabile. La questione è fondata. La norma impugnata, stabilendo che
«l'approvazione dei progetti definitivi da parte del consiglio
comunale
costituisce variante urbanistica a tutti gli effetti», pur se
presenta
collegamenti con la materia dell'ambiente per le finalità
perseguite, che sono
dichiaratamente quelle del miglioramento della «qualità
dell'aria e
dell'ambiente nelle città», afferisce, avendo riguardo al
suo peculiare
oggetto, prevalentemente all'ambito materiale del governo del
territorio di
competenza ripartita Stato-Regioni. Da questa qualificazione discende
che lo
Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali in tali
materie,
spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio,
secondo
quanto stabilito dall'art. 117, terzo comma, ultimo periodo, della
Costituzione. Applicando la suddetta regola nel
caso di
specie, ne deriva la illegittimità costituzionale della norma in
esame, in
quanto essa, per il suo contenuto precettivo del tutto puntuale, non
lascia
alcuno spazio di intervento alle Regioni. L'affermazione, infatti,
secondo cui
«l'approvazione dei progetti definitivi costituisce variante
urbanistica a tutti
gli effetti» non è passibile di ulteriore svolgimento da
parte del legislatore
regionale con conseguente compromissione delle competenze che alle
Regioni
spettano in materia di urbanistica e quindi di assetto del territorio
(vedi
sentenza numero 206 del 2001). 17.— La Regione Toscana ha
impugnato gli
artt. 121, comma 1, 122, commi 2, 3, 5 e 6, commi 2, 5 e 6 per
violazione degli
artt. 76, 117 e 118 Cost. In particolare, l'art. 121, comma
1, è
impugnato nella parte in cui prevede che ai contratti pubblici aventi
per
oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di
rilevanza comunitaria si applicano le disposizioni della Parte I, della
Parte
IV e della Parte V, nonché quelle della Parte II del Codice, in
quanto non
derogate dalle norme contenute nel Titolo II, in cui è inserita
la norma
impugnata. La Regione lamenta che tale norma determinerebbe una totale
assimilazione di tutti i contratti pubblici sotto soglia ai contratti
sopra
soglia, salva la previsione di tempi e pubblicazioni ridotte,
ancorché sia
stato introdotto l'obbligo generalizzato di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale per tutti i bandi.
Inoltre, il predetto richiamo determinerebbe, in particolare, l'obbligo
di
acquisire la cauzione in tutte le procedure di gara (art. 75),
nonché di
rispettare il procedimento di individuazione delle offerte anormalmente
basse
(art. 86, commi 1 e 2). E ciò violerebbe gli evocati parametri
costituzionali
in quanto, in mancanza di esigenze unitarie, le disposizioni censurate
disciplinano
profili che, per il loro contenuto dettagliato e per la rilevanza
economica
assai modesta degli appalti, non potrebbero afferire alla materia della
tutela
della concorrenza. Si assume, inoltre, la violazione dell'art. 76
Cost., in
quanto i criteri direttivi posti dall'art. 25 della legge n. 62 del
2005 non
consentirebbero l'adozione di una normativa completa e dettagliata
anche per i
contratti sotto soglia. Vengono, inoltre, censurati gli
artt. 122,
commi 2, 3, 5 e 6, e 124, commi 2, 5 e 6, nella parte in cui
disciplinano in
maniera dettagliata ed esaustiva le modalità di
pubblicità e comunicazione dei
predetti appalti, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in
quanto, in
mancanza di esigenze unitarie, si disciplinano profili che, per il loro
contenuto dettagliato e per la rilevanza economica modesta degli
appalti, non
potrebbero afferire alla materia della tutela della concorrenza,
risultando
così violati il limite che consente l'emanazione soltanto di
disposizione di
carattere generale, nonché i criteri di proporzionalità e
adeguatezza, atteso
che, in particolare, la pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale appare ragionevole soltanto quando l'importo e la
complessità
della gara la giustifichino. Sempre in relazione ai cosiddetti
appalti
sotto soglia, la Regione Veneto ha ritenuto in contrasto – per la loro
natura
eccessivamente dettagliata e analitica – con l'art. 117, secondo comma,
lettera
e), Cost.: – l'art. 122, commi da 1 a 6; – l'art. 123, «in
considerazione del fatto
che la “procedura ristretta semplificata” (ivi disciplinata) è
istituto che
trova applicazione agli appalti di lavori sotto soglia». 17.1.– Le questioni sono in parte
inammissibili e in parte non fondate. In via preliminare, è bene
ribadire come
questa Corte abbia già avuto modo di affermare che «la
nozione di concorrenza»,
cui fa riferimento l'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., «non può non riflettere quella operante in ambito
comunitario» (sentenza numero 14 del 2004). Orbene, la Corte di
giustizia della
Comunità europea ha più volte affermato che, pur in
presenza di un appalto
sotto soglia, debbano essere comunque rispettati i principi
fondamentali del
Trattato idonei a consentire l'esercizio di un potere conforme, tra
l'altro, ai
canoni della parità di trattamento, della trasparenza e della
pubblicità, al
fine di garantire un assetto concorrenziale del mercato. La stessa
direttiva
comunitaria 2004/18, al considerando numero 2, ha previsto, in generale
per
tutti gli appalti, che l'aggiudicazione «negli Stati membri per
conto dello
Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto
pubblico è subordinata al rispetto dei principi del Trattato ed
in particolare
ai principi della libera circolazione delle merci, della libertà
di
stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché ai
principi che ne
derivano, quali i principi di parità di trattamento, di non
discriminazione, di
riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di
trasparenza» (si veda anche
la già citata Comunicazione interpretativa della Commissione
1° agosto 2006,
relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di
appalti non
o solo parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti
pubblici»). Ciò implica che la
distinzione tra contratti
sotto soglia e sopra soglia non può essere, di per sé,
invocata quale utile
criterio ai fini della individuazione dello stesso ambito materiale
della
tutela della concorrenza. Tale ambito ha, infatti, una portata che
trascende
ogni rigida e aprioristica applicazione di regole predeterminate dal
solo
riferimento, come nella specie, al valore economico dell'appalto. Anche
un
appalto che si pone al di sotto della rilevanza comunitaria può
giustificare un
intervento unitario da parte del legislatore statale. E se si
riconosce, nello
specifico, la sussistenza di tale esigenza, in relazione ovviamente a
finalità
di tutela della concorrenza, deve conseguentemente ammettersi la
legittimazione
statale secondo le modalità e nei limiti già esposti. In
altri termini, non è
possibile ritenere, come sembrano assumere alcune delle ricorrenti, che
in
presenza di un contratto sotto soglia la legislazione statale dovrebbe
caratterizzarsi per un livello maggiore di generalità. Ciò precisato, deve,
innanzitutto, dichiararsi,
avendo riguardo al contenuto precettivo della norma impugnata, la
inammissibilità della censura relativa all'art. 121, comma 1,
per genericità
delle doglianze prospettate. Tale norma ritiene applicabile ai
contratti
di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria «oltre
alle
disposizioni della parte I, della parte IV e della parte V, anche le
disposizioni della parte II, in quanto non derogate dalle norme del
presente
titolo». Orbene, la ricorrente Regione Toscana, da un lato, si
limita a
riportare il contenuto della disposizione censurata senza specificare
quali
sarebbero le norme richiamate che eccedono l'ambito della competenza
legislativa statale per debordare in ambiti afferenti alla
potestà legislativa
regionale; dall'altro, quando richiama talune norme (artt. 75 e 86,
commi 1 e
2), si limita a censurare il loro carattere dettagliato senza ulteriori
argomentazioni e, soprattutto, senza avere rapportato la doglianza ai
criteri
della proporzionalità e dell'adeguatezza. Allo stesso modo e per le medesime
ragioni
è inammissibile la censura, proposta dalla Regione Veneto,
relativa all'art.
123. 17.2.— Devono, invece, ritenersi
non
fondate le censure relative agli artt. 122 e 124, relativamente ai
commi sopra
indicati, in quanto, al di là della portata soltanto
facoltizzante di talune
delle norme impugnate (art. 124, comma 2), si tratta, comunque, di
disposizioni
mirate a garantire i principi di parità di trattamento e di non
discriminazione
nella fase di partecipazione alle gare pubbliche – che, come si
è prima
precisato, operano anche per i contratti al di sotto della soglia
comunitaria –
al fine di assicurare che il mercato su cui incide la singola
attività
contrattuale sia effettivamente concorrenziale. L'adozione di adeguate
misure
di pubblicità costituisce, infatti, un elemento imprescindibile
a garanzia
della massima conoscenza e della conseguente partecipazione alle
procedure di
gara. Né vale obiettare che tali
norme avrebbero
un contenuto eccessivamente analitico e dettagliato. Come più
volte si è
sottolineato, non costituisce elemento indefettibile di identificazione
della
materia della tutela della concorrenza la esistenza di sole norme di
principio.
La valutazione in ordine alla proporzionalità e alla adeguatezza
dell'intervento
legislativo dello Stato ha una portata più ampia, che trascende
il mero dato
della analiticità delle norme censurate. 18.— La Regione Veneto ha
impugnato l'art.
125, commi da 5 a 8 e 14, che disciplina l'acquisizione in economia di
beni,
servizi e lavori, deducendone il contrasto con l'art. 117, secondo
comma,
lettera e), Cost., per il carattere
eccessivamente dettagliato delle norme censurate. La questione è
inammissibile. Con le norme in esame, il
legislatore
delegato ha inteso disciplinare in maniera compiuta l'intera fase che
attiene
ai cosiddetti contratti in economia. I commi specificamente impugnati
riguardano: l'importo massimo oltre il quale tali lavori non sono
ammessi
(comma 5); le modalità di individuazione dei lavori eseguibili
secondo la
procedura in esame (comma 6); i fondi necessari per la loro
realizzazione
(comma 7); i lavori di importo superiore a 40.000 euro e fino a 200.000
euro
(comma 8); i profili disciplinati dal regolamento (comma 14). A fronte della eterogeneità
dei contenuti
delle norme denunciate e della pluralità degli ambiti materiali
che potrebbero
venire in rilievo, la ricorrente si è limitata a lamentare la
natura analitica
delle norme stesse, senza specifiche argomentazioni a sostegno delle
doglianze
prospettate. Da qui la inammissibilità delle questioni per
genericità delle
censure prospettate. 19.— La Regione Veneto ha
impugnato l'art.
153 – «che regolamenta la fase di raccolta e selezione delle
proposte con
riferimento all'istituto del project
financing» – per contrasto con l'art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost. In particolare, la norma censurata
disciplina la figura del promotore nell'ambito dell'istituto della
finanza di
progetto. Tale norma ha anch'essa un contenuto complesso, disciplinando
la fase
relativa alla presentazione di proposte riguardanti la realizzazione di
lavori
pubblici da inserire nella programmazione triennale (comma 1), i
soggetti
legittimati a presentare le suddette proposte (comma 2), nonché
l'approvazione
dei programmi e la loro pubblicazione (comma 3). La questione è
inammissibile per genericità
della censura proposta, in quanto la ricorrente – a fronte, tra
l'altro, della
complessità contenutistica della norma in esame – non ha dedotto
alcun elemento
atto a giustificarne l'impugnazione. 20.— Deve essere, ora, esaminata
la censura
con la quale sempre la Regione Veneto ha impugnato l'art. 240, commi 9
e 10,
assumendo che le disposizioni in esse contenute violerebbero le
competenze
regionali, in quanto, pur essendo gli artt. 239 e seguenti
«certamente
riconducibili ad una materia di esclusiva competenza statale che
consente
l'introduzione di limiti più penetranti rispetto a quelli
ammessi relativamente
alla tutela della concorrenza e dei beni culturali», nondimeno le
norme
denunciate disciplinerebbero «in modo eccessivamente analitico
aspetti
prettamente organizzativi dell'istituto dell'accordo bonario,
precludendo alle
Regioni qualsiasi possibilità di dettare sul punto una propria
autonoma
disciplina». La questione è
inammissibile. Le norme specificamente censurate
riguardano, da un lato, le modalità di nomina del terzo
componente
dell'apposita commissione avente il compito di effettuare una proposta
motivata
di accordo in relazione alle riserve iscritte (comma 9); dall'altro, la
disciplina dei compensi spettanti ai commissari. Tali norme
disciplinano, in
via prevalente, aspetti riconducibili al sistema del contenzioso
rientrante
nell'ambito della competenza legislativa esclusiva statale. Sotto altro aspetto, la ricorrente
assume –
senza, tra l'altro, prendere in esame lo specifico contenuto precettivo
delle
norme censurate – che non sarebbe stato osservato il limite della
proporzionalità ed adeguatezza sotteso alla materia della tutela
della
concorrenza, ma non indica alcun argomento idoneo a dimostrare la
violazione
delle competenze regionali, al di là dell'insufficiente
riferimento
all'analiticità della disposizione impugnata. Rimane oscuro,
inoltre, il
richiamo ai profili organizzativi in relazione all'evocato parametro
costituzionale (117, secondo comma, lettera e,
Cost.). 21.— La Regione Veneto ha
impugnato l'art.
253, commi 3 e 22, lettera a), nella
parte in cui prevedono, rispettivamente, che «Per i lavori
pubblici, fino
all'entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 5, continuano
ad
applicarsi il decreto del Presidente
della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, il decreto
del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34,
e le altre disposizioni regolamentari vigenti che, in base al presente
Codice,
dovranno essere contenute nel regolamento di cui all'articolo 5, nei
limiti di
compatibilità con il presente Codice. Per i lavori pubblici,
fino all'adozione
del nuovo capitolato generale, continua ad applicarsi il decreto
ministeriale 19 aprile 2000, n. 145,
se richiamato nel bando» (comma 3); e che «in relazione
all'articolo 125
(lavori, servizi, forniture in economia) fino alla entrata in vigore
del
regolamento: a) i lavori in economia sono disciplinati dal decreto del Presidente della Repubblica 21
dicembre 1999, n. 554, nei limiti di compatibilità con le
disposizioni
del presente Codice» (comma 22, lettera a). Secondo la Regione Veneto tali
norme
violerebbero gli artt. 117, secondo, terzo, quarto e quinto comma, e
118 Cost.,
in quanto rinviano alla disciplina regolamentare statale per tutti i
lavori
pubblici di interesse regionale. La questione, a prescindere dalla
genericità della censura
prospettata, non è fondata. La norma in esame si limita a
richiamare il
contenuto dei citati atti regolamentari emanati nel vigore del
precedente
assetto costituzionale. Sul punto, deve rilevarsi come la
modifica
del titolo V della parte seconda della Costituzione non abbia
determinato
l'automatica illegittimità costituzionale delle norme emanate
nel vigore dei
vecchi parametri costituzionali. Tali norme, infatti, adottate in
conformità al
preesistente quadro costituzionale, mantengono, in applicazione del
principio
di continuità, la loro validità fino al momento in cui
«non vengano sostituite
da nuove norme dettate dall'autorità dotata di competenza nel
nuovo sistema»
(sentenza numero 376 del 2002). Qualora poi, in prosieguo, venissero
adottati
regolamenti statali, ritenuti in contrasto con l'attuale riparto delle
competenze
regolamentari, le Regioni avrebbero a loro disposizione gli strumenti
processuali per censurare tale eventuale manifestazione di
potestà
regolamentare (vedi la stessa sentenza numero 376 del 2002). Non può, pertanto,
ritenersi illegittimo il
richiamo operato dalle disposizioni impugnate, tra l'altro, al d.m. n.
145 del
2000 e al d.P.R. n. 554 del 1999, al fine di sancirne la perdurante
validità
fino all'adozione dei capitolati generali e dei regolamenti che,
è bene
ribadire, dovranno essere emanati nel rispetto dell'attuale riparto
delle
competenze regolamentari sancito dal sesto comma dell'art. 117 Cost. 22.— Priva di qualunque
motivazione e,
pertanto, inammissibile è la questione, proposta dalla Regione
Veneto, relativa
al comma 3 dell'art. 257, in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., in quanto la ricorrente si
limita a riferire che tale norma per l'anno 2006 «cristallizza
gli elenchi
previsti dall'art. 23 della legge n. 109 del 1994». 23.— Infine, devono essere
unitariamente
esaminate le censure che attengono ad una serie di disposizioni
contenute nel
Codice, impugnate dalla Regione Veneto. A tal proposito, si può
procedere
all'analisi delle suddette censure, ordinando le stesse per due gruppi
alla
luce del contenuto delle norme impugnate. 23.1.— Con un primo gruppo di
censure, la Regione Veneto ritiene in contrasto con l'art. 117, secondo
comma,
lettera e), Cost.: – l'art. 11, comma 4, e gli artt.
da 81 a
88 relativi alla disciplina dei criteri di aggiudicazione, «che
per la loro
estrema analiticità non lasciano alcun effettivo spazio ad una
autonoma
disciplina di dettaglio di fonte regionale»; – gli artt. 54, comma 4, 56, 57,
62, commi
1, 2, 4 e 7, e 122, comma 7, «in quanto per la loro eccessiva
analiticità
precludono alle Regioni la possibilità di dettare una propria
autonoma
disciplina relativamente alla procedura negoziata, soprattutto con
riferimento
(anche in questo caso) al settore degli appalti sotto soglia»; – l'art. 55, comma 6, e 62, commi
1, 2 e 4,
nella parte in cui, prevedendo la possibilità di limitare il
numero dei
candidati idonei da invitare nelle procedure ristrette con riferimento
ai soli
«lavori di importo pari o superiore a quaranta milioni di
euro»,
precluderebbero irragionevolmente alle Regioni la possibilità di
dettare una
propria disciplina «dell'istituto della c.d. forcella anche con
riferimento ai
contratti sotto soglia». Le questioni sono inammissibili. Innanzitutto, è bene
chiarire che la
disciplina dei criteri di aggiudicazione attiene, come del resto
riconosciuto
dalla ricorrente, alla materia della tutela della concorrenza. Allo
stesso
modo, rientrano in questo ambito materiale anche i metodi di
aggiudicazione di
tipo non meccanico, quali sono quelli relativi alle procedure negoziate
anche
con riferimento al settore degli appalti sotto soglia. Come si è già
precedentemente sottolineato,
i limiti interni alla materia in esame sono rappresentati dalla
necessità di
osservare i canoni di ragionevolezza e proporzionalità rispetto
all'obiettivo
prefissato. L'osservanza di tali canoni potrebbe, comunque, alla luce
delle
peculiarità della fattispecie regolamentata, risultare anche
compatibile con
una normativa statale che presenti un contenuto analitico e
dettagliato. Nel caso in esame, la Regione
Veneto, da un
lato, non ha indicato quali siano le specifiche disposizioni che
presentino un
contenuto eccessivamente analitico, atteso che le norme censurate hanno
un
contenuto ampio e, sotto molti profili, eterogeneo; dall'altro, non ha
addotto
alcun elemento argomentativo idoneo a dimostrare che la suddetta
analiticità
non sia, nella specie, proporzionata e adeguata rispetto al fine di
tutelare
gli assetti concorrenziali del mercato. 23.2.— Un ulteriore gruppo di
censure
riguarda norme che attengono alla individuazione delle tipologie
contrattuali,
nonché alla fase di esecuzione del contratto di appalto e al
contratto di
subappalto. In relazione al primo profilo,
viene in
rilievo la impugnazione dell'art. 53, comma 1, nella parte in cui
individua in
modo tassativo ed esclusivo le tipologie di contratti, mediante i quali
possono
essere realizzati i lavori pubblici, tra l'altro in senso restrittivo
rispetto
alle modalità consentite dall'ordinamento comunitario. La
Regione Veneto
aggiunge che, «con riferimento a tale disposizione, la rilevata
incostituzionalità appare particolarmente evidente in relazione
alla categoria
dei contratti pubblici di importo inferiore alla soglia
comunitaria». La questione non è fondata. Il prevalente ambito materiale in
cui si
colloca la norma in esame è rappresentato dall'ordinamento
civile (art. 117,
secondo comma, lettera l, Cost.):
spetta, infatti, al legislatore statale – ferma restando l'autonomia
negoziale
delle singole amministrazioni aggiudicatrici – individuare, per
garantire
uniformità di trattamento sull'intero territorio nazionale, il
tipo
contrattuale da utilizzare per la regolamentazione dei rapporti di
lavori,
servizi e forniture. Nella specie, inoltre, tale uniformità,
nella previsione
della tipologia e dell'oggetto dei contratti, è funzionale ad
assicurare il
rispetto dei principi sottesi alla competenza legislativa esclusiva in
materia
di tutela della concorrenza. Questo principio si estende anche
ai contratti
al di sotto della soglia di rilevanza comunitaria, per i quali, in
relazione al
profilo che viene in esame, non sussistono ragioni che possano
giustificare una
diversità di regolamentazione. Per quanto attiene, invece, alla
fase di
esecuzione dei contratti, la Regione Veneto, sempre adducendo la
violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., ritiene costituzionalmente illegittimo l'art. 130, comma 2,
lettera c), nella parte in cui prevede
l'affidamento dell'attività di direzione dei lavori a
«soggetti scelti con le
procedure previste dal presente Codice per l'affidamento degli
incarichi di
progettazione». La questione non è fondata.
La direzione dei lavori si
inserisce nella
fase della esecuzione del rapporto contrattuale ed è finalizzata
a verificare,
tra l'altro, la conformità dei lavori al progetto e al
contratto. In questo
ambito, pertanto, viene in rilievo, per le ragioni già esposte,
la materia
dell'ordinamento civile, con conseguente legittimazione dello Stato a
dettare
la relativa disciplina anche di dettaglio. La stessa Regione ritiene,
inoltre,
costituzionalmente illegittimi per violazione dell'art. 117, secondo
comma,
lettera e), Cost.: – gli artt. 120, comma 2, e 141 in
materia
di collaudo, data la estrema analiticità della disciplina ivi
contenuta, «di
cui è addirittura prevista l'ulteriore specificazione ad opera
del
regolamento»; – l'art. 132, «nella misura
in cui
l'analitica disciplina delle varianti in corso d'opera, ivi contenuta,
non
lascia alcuno autonomo spazio di intervento al legislatore
regionale». Le questioni sono inammissibili. Le disposizioni impugnate
afferiscono alla
esecuzione del rapporto contrattuale e, dunque, attengono
prevalentemente alla
materia dell'ordinamento civile, valendo in particolare, per il
collaudo, le
considerazioni svolte in precedenza. Orbene, nel caso in esame, la
ricorrente si
è limitata a censurare il carattere analitico delle disposizioni
impugnate,
deducendo, tra l'altro, il loro contrasto con i limiti della materia
della
tutela della concorrenza. Al fine, invece, di consentire un esame nel
merito
delle questioni da parte di questa Corte, la Regione avrebbe dovuto,
considerata l'ampiezza di contenuto delle norme censurate, indicare
quali
specifiche disposizioni debordino dai confini delle materie
dell'ordinamento
civile e della tutela della concorrenza, per rientrare invece in ambiti
di
pertinenza regionale. Infine, la Regione Veneto ha
impugnato
l'art. 118, comma 2, nella parte in cui disciplina «in modo
estremamente
analitico il subappalto». La questione è
inammissibile per
genericità. La norma censurata, infatti,
presenta un
contenuto articolato riconducibile, come si è già
osservato, alla materia
dell'ordinamento civile e, per alcuni aspetti, alla tutela della
concorrenza.
Non è, pertanto, sufficiente, ai fini dell'ammissibilità
della questione,
addurre, anche alla luce di quanto già esposto in relazione ai
limiti di
quest'ultima materia, il carattere eccessivamente dettagliato della
norma
stessa. LA
CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'art. 5, comma 2, del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti
pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE
e 2004/18/CE), limitatamente alle parole «province
autonome»; 2) dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'art. 84, commi 2, 3, 8
e 9, del d.lgs. n. 163 del 2006, anche nel testo modificato dal decreto
legislativo 31 luglio 2007, n. 113 (Ulteriori disposizioni correttive e
integrative del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il
Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a norma
dell'articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62), nella
parte in
cui, per i contratti inerenti a settori di competenza regionale, non
prevede
che le norme in esso contenute abbiano carattere suppletivo e cedevole;
3) dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 98, comma 2, del
d.lgs. n. 163 del 2006; 4) dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento
all'art. 97 della Costituzione, dalle Regioni Lazio e Abruzzo con i
ricorsi
indicati in epigrafe; 5) dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento
all'art. 8 (recte: 11), numeri 1, 17,
19 e all'art. 16 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5
(Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), al decreto del Presidente della
Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige
in
materia di urbanistica ed opere pubbliche), al decreto
legislativo 16
marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il
rapporto tra
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché
la potestà
statale di indirizzo e coordinamento), nonché all'art.
117 della
Costituzione e all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), dalla Provincia autonoma di Trento con il
ricorso
indicato in epigrafe; 6) dichiara
inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 4, comma
3, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 76,
117,
secondo, terzo, quarto e quinto comma, della Costituzione, dalla
Regione Veneto
con il ricorso indicato in epigrafe; 7) dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento agli
artt. 117, secondo, terzo e quarto comma della Costituzione, dalla
Regione Veneto
con il ricorso indicato in epigrafe; 8) dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento agli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 76 della Costituzione, dalla Regione
Veneto
con il ricorso indicato in epigrafe; 9) dichiara
inammissibile
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma
1, del d.lgs. n.
163 del 2006, promossa, in riferimento all'art. 117 della Costituzione,
dalla
Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe; 10) dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale
dell'artt. 121, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 promossa, in
riferimento
agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con
il
ricorso indicato in epigrafe; 11) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 6, comma 9, lettera a);
7, comma 8; 11, comma 4; 54, comma 4; 55, comma 6; 56; 57; 62, commi 1,
2, 4 e
7; 70; 71; 72; 75; 81; 82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 91, commi 1 e 2;
118, comma
2; 120, comma 2; 122, comma 7; 123; 125, commi 5, 6, 7, 8 e 14; 131;
132; 141;
153; 197; 204; 205; 240, commi 9 e 10; 252, comma 3; 253, commi 10 e
11; 257,
comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, promosse, in riferimento all'art.
117
della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in
epigrafe; 12) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, promosse, in
riferimento all'art.
76 della Costituzione, nonché al principio di leale
collaborazione, dalle
Regioni Lazio, Abruzzo e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe; 13) dichiara non
fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni
di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, del d.lgs.
n. 163 del 2006,
promosse, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalle
Regioni
Toscana, Veneto, Piemonte, Lazio e Abruzzo con i ricorsi indicati in
epigrafe; 14) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, promosse, in
riferimento agli
artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione, nonché al principio
di leale
collaborazione, dalle Regioni Veneto, Toscana, Piemonte, Lazio e
Abruzzo con i
ricorsi indicati in epigrafe; 15) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 5, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento
all'art. 11, numeri 1, 17, 19 e all'art. 16 della legge costituzionale
n. 5 del
1948, al d.P.R. n. 381 del 1974, al d.lgs. n. 266 del 1992,
nonché all'art. 117
della Costituzione, alla legge costituzionale n. 3 del 2001 e al
principio di
leale collaborazione, dalla Provincia autonomia di Trento con il
ricorso
indicato in epigrafe; 16) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 5, commi 1, 2 e 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione, dalle
Regioni
Toscana, Lazio, Abruzzo, Piemonte e Veneto con i ricorsi indicati in
epigrafe; 17) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 5, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, promosse, in
riferimento
al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Toscana, Veneto e
Piemonte
con il ricorso indicato in epigrafe; 18) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento agli
artt. 76 e 117, quinto comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto
con il
ricorso indicato in epigrafe; 19) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 5, commi 7 e 9, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento
all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, dalla Regione
Veneto
con il ricorso indicato in epigrafe; 20) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in riferimento agli
artt.
117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso
indicato in
epigrafe; 21) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 53, comma 1; 93; 112, comma 5, lettera b);
113; 122, commi da 1 a 6; 130, comma 2, lettera c);
252, comma 6, promosse, in riferimento
all'art. 117 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso
indicato
in epigrafe; 22) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, promossa, in
riferimento
all'art. 117 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso
indicato
in epigrafe; 23) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 88 del d.lgs. n. 163 del 2006 promossa, in riferimento agli
artt. 117
e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato
in
epigrafe; 24) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 122, commi 2, 3, 5 e 6, e 124, commi 2, 5 e 6 del d.lgs. n.
163 del
2006 promosse, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione,
dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; 25) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 131, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 promossa, in
riferimento
agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il
ricorso
indicato in epigrafe; 26) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 253, commi 3 e 22, lettera a),
del d.lgs. n. 163 del 2006 promossa, in riferimento agli artt. 117,
secondo,
terzo, quarto, quinto comma e 118 della Costituzione, dalla Regione
Veneto con
il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19
novembre
2007. F.to: Franco
BILE, Presidente Alfonso
QUARANTA, Redattore Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere Depositata
in Cancelleria il 23 novembre 2007. Il
Direttore della Cancelleria F.to:
DI PAOLA
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