direttore Avv. Federico Lorenzini
CONSIGLIO
DI STATO - ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 3 marzo 2008 n. 1 , sugli
affidamenti
diretti (in hose providing), sulle società miste e sui principi
comunitari di
concorrrenza anche nei contratti sotto soglia
FATTO E DIRITTO
1. Medicasa Italia s.p.a. impugnava in primo grado i
seguenti atti
dell’Azienda sanitaria locale (A.S.L.) 19 di Asti:
a) provvedimenti sconosciuti, con cui si è inteso affidare
direttamente
all’Azienda multiservizi ospedalieri e sanitari (A.M.O.S.) s.p.a. il
servizio
di assistenza domiciliare;
b) ogni atto presupposto, connesso e/o collegato a quelli impugnati,
ivi
compresa la nota 4 ottobre 2006, n. 19835.
Successivamente Medicasa Italia s.p.a. impugnava con motivi aggiunti i
seguenti
provvedimenti della detta A.S.L.:
c) determina del direttore del dipartimento tecnico logistico F.F. 23
ottobre
2006, n. 520 T.L.;
d) determina del detto direttore 26 ottobre 2006, n. 526/T.L.;
e) ogni altro atto presupposto, connesso e/o collegato a quelli
impugnati,
compresa la citata nota n. 19835/2006;
f) note in data 25-26 ottobre 2006.
Veniva chiesta anche la condanna dell’A.S.L. 19 di Asti al risarcimento
del
danno.
Il primo giudice, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il
ricorso e
i motivi aggiunti.
L’A.S.L. 19 di Asti ha dapprima proposto appello avverso il
dispositivo, per i
seguenti motivi:
1) erroneità dell’appellata sentenza per inammissibilità
del ricorso di primo
grado;
2) erroneità dell’appellata sentenza per violazione, sotto altro
profilo,
dell’art. 9-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive
modificazioni
e integrazioni, e per infondatezza del ricorso di primo grado.
Una volta pubblicata la sentenza, ha poi notificato motivi di appello
avverso
la stessa.
Medicasa Italia s.p.a. si è costituita in giudizio, resistendo
al ricorso e,
con successiva memoria, ha replicato ai motivi di appello
successivamente
notificati.
La sezione quinta di questo Consiglio, con decisione 23 ottobre 2007,
n. 5587,
ha rimesso la causa all’esame dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato.
L’A.S.L. 19 di Asti ha poi depositato memoria.
2. Di seguito si espongono i tratti essenziali della controversia
per cui è
causa, come ricostruiti anche dalla sezione quinta di questo Consiglio
con la
decisione n. 5587/2007.
L’A.S.L. 19 di Asti, con bando spedito per le pubblicazioni in data 11
maggio
2006, aveva indetto una gara avente a oggetto “individuazione partner
per la
fornitura di supporto integrativo per attività sanitarie
territoriali di cura
alla persona” per la durata di cinque anni.
Successivamente, il direttore amministrativo dell’A.S.L. inviava la
nota prot.
n. 19835 in data 4 ottobre 2006 a Medicasa Italia s.p.a., attuale
gestrice del
servizio, e (per conoscenza) alla società mista A.M.O.S. s.p.a.,
avente il
seguente contenuto: “Avendo intenzione di procedere all’affidamento
diretto
alla società AMOS, da noi controllata, della gestione
dell’assistenza
domiciliare territoriale, si invita la Ditta in indirizzo a mettere a
disposizione della società AMOS tutti i dati relativi alla
gestione di che
trattasi”, precisando che l’A.S.L. 19 di Asti aveva acquisito da uno
degli
azionisti pubblici una quota del capitale della società A.M.O.S.
(il 18% del
totale). Quest’ultima società era stata costituita nel 2004 con
la
partecipazione di numerosi soggetti sia pubblici che privati.
Il provvedimento era impugnato da Medicasa Italia s.p.a., nella sua
duplice
qualità di attuale titolare della gestione del servizio di
assistenza
domiciliare e di soggetto imprenditoriale operante nel settore,
interessato ad
aspirare all’affidamento del nuovo servizio tramite l’espletamento di
una gara
pubblica.
In seguito, la società ricorrente, con motivi aggiunti
depositati in data 3
novembre 2006, chiedeva l’annullamento, previa adozione di misura
cautelare:
della determina del direttore del dipartimento tecnico logistico F.F.
n.
520/T.L. in data 23 ottobre 2006, in corso di esecutività, con
la quale
l’A.S.L. 19 di Asti aveva revocato la procedura ristretta indetta con
determina
n. 247/T.L. in data 27 aprile 2006 per l’individuazione di partner per
la
fornitura di supporto integrativo per attività sanitarie
territoriali di cura
alla persona (cure sanitarie domiciliari) e aveva affidato il predetto
servizio
ad A.M.O.S. s.p.a. per un triennio; della determina n. 526/T.L. in data
26
ottobre 2006, con la quale il detto direttore aveva rettificato la
determina n.
520/T.L. in data 23 ottobre 2006 dichiarandone l’immediata
esecutività; di ogni
altro atto presupposto, connesso e/o collegato a quelli impugnati, ivi
comprese
la nota 4 ottobre 2006, n. 19835, con la quale l’A.S.L. 19 di Asti
aveva
invitato la ricorrente a mettere a disposizione di A.M.O.S. s.p.a.
tutti i dati
relativi alla gestione dell’assistenza domiciliare “avendo intenzione
di
procedere all’affidamento diretto” alla società innanzi citata,
e, da ultimo,
le note in data 25-26 ottobre 2006, con cui la stessa amministrazione
aveva
comunicato la revoca della procedura ristretta precedentemente bandita
e
l’affidamento diretto, immediatamente esecutivo, del servizio alla
società
mista A.M.O.S. s.p.a..
3. Il primo giudice, con la sentenza appellata, ha accolto il
ricorso e i
motivi aggiunti di Medicasa Italia s.p.a., annullando i provvedimenti
impugnati, ma, per genericità della richiesta e mancata
quantificazione, non ha
disposto il risarcimento del danno. Lo stesso, in particolare, ha:
a) respinto le eccezioni di inammissibilità del ricorso;
b) chiarito che il thema decidendum riguarda la
legittimità
dell’affidamento diretto del servizio di assistenza domiciliare a una
società
mista pubblico–privato, in cui la società è composta da
una pluralità di
aziende sanitarie (che complessivamente detengono la maggioranza del
capitale
sociale) e dai soci privati che sono stati scelti con una procedura
negoziata a
evidenza pubblica;
c) ritenuto - aderendo al parere reso dalla sezione seconda di questo
Consiglio
il 18 aprile 2007 con il n. 456 - che non sia accettabile l’opinione
per cui,
per il solo fatto che il socio privato sia scelto tramite procedura a
evidenza
pubblica, sarebbe in ogni caso possibile l’affidamento diretto;
d) affermato che, nella specie, l’argomento usato dall’amministrazione,
per cui
la scelta dei soci privati attraverso la procedura negoziata a evidenza
pubblica implicherebbe necessariamente la legittimità
dell’affidamento del
servizio di assistenza domiciliare, non è condivisibile; posto
che:
d.a) come si evince dall’oggetto statutario della società, si
è in presenza di
una società avente un oggetto plurimo e variegato dal punto di
vista
qualitativo, per cui non si può affermare che la scelta con gara
del socio,
effettuata “a monte” della costituzione della società,
garantisca gli stessi
effetti di una pubblica gara da svolgersi con riferimento al singolo
servizio;
d.b) non vi è alcuna norma statutaria che limiti
l’operatività della società
A.M.O.S. entro l’ambito territoriale all’interno del quale operano le
aziende
sanitarie che partecipano al capitale sociale della medesima
società;
d.c) ai sensi dell’art. 7 dello statuto della società A.M.O.S.,
con riguardo alla
cedibilità delle azioni, vi è un’ampia possibilità
di accesso al capitale della
società da parte di soggetti privati, per i quali non viene
rispettata la
regola della scelta con procedura a evidenza pubblica;
e) ritenuto infondata la tesi secondo cui il principio di libera
concorrenza
sarebbe sostanzialmente rispettato essendo stato consentito a tutti gli
operatori di entrare a fare parte della stessa società, data la
diversità tra
la partecipazione a una gara per l’aggiudicazione di un singolo
servizio e la
partecipazione a gara per la scelta di partner per una società “multiutilities”;
f) affermato che, al di fuori dei ristrettissimi limiti in cui è
ammissibile il
fenomeno dell’in house providing, l’affidamento del servizio
deve
avvenire previa gara; così come ritenuto - diversamente
dall’avviso della
sezione seconda di questo Consiglio espresso con il parere n. 456/2007
(sul
punto non condiviso) - anche dal Consiglio di giustizia amministrativa
per la
Regione siciliana, il quale, con la decisione 27 ottobre 2006, n. 589:
ha
disapplicato, per contrasto con la giurisprudenza comunitaria, l’art.
113,
comma 5, lett. b), del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (secondo cui
“L'erogazione
del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto
della normativa
dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del
servizio…a società a
capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga
scelto
attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica
che
abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in
materia
di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle
autorità competenti
attraverso provvedimenti o circolari specifiche”); e statuito che la
costituzione di una società mista, pure con la scelta del socio
a seguito di
gara, non esime dall’effettuazione di una seconda gara per
l’affidamento del
servizio.
4. La sezione quinta di questo Consiglio, con la decisione n.
5587/2007 di
rimessione all’adunanza plenaria, ha respinto il primo motivo di
appello,
ritenendo: infondata l’eccezione dell’A.S.L. appellante di
inammissibilità del
ricorso di primo grado - secondo cui Medicasa Italia s.p.a. non avrebbe
alcun
interesse all’impugnazione dell’affidamento diretto alla società
mista A.M.O.S.
- in quanto l’art. 9-bis del d.lgs. n. 502/1992 non prevede affatto un
divieto
assoluto di esternalizzazione dell’attività di cura alla persona
e non
impedisce l’affidamento a terzi, con pubblica gara, dei relativi
servizi; e,
quindi, sussistente la legittimazione di Medicasa Italia s.p.a. a
contestare i
provvedimenti di affidamento del servizio alla società A.M.O.S..
Ha poi deferito all’esame dell’adunanza plenaria le seguenti questioni:
1) in tema di in house providing:
a) quali siano, in linea di diritto e alla stregua dell’ordinamento
europeo e
nazionale, le condizioni prescritte per il legittimo affidamento in
house;
b) delineare le coordinate di riferimento del concetto di prevalenza
dell’attività svolta per l’amministrazione affidante;
c) quali siano i contorni essenziali della nozione di “controllo
analogo”;
2) in tema di diversi profili attinenti alla legittimità
dell’affidamento di
contratti pubblici o servizi a società miste, in assenza di
un’apposita
procedura di gara:
d) se il parere della sezione seconda di questo Consiglio n. 456/2007
sia
condivisibile nella parte in cui:
d.a) afferma l’equivalenza tra il contratto di società e
l’appalto, valutandosi
la necessità, o meno, di deferire alla Corte di giustizia la
seguente specifica
questione: “se sia compatibile o meno con il diritto comunitario la
regola di
diritto interno che permette l’affidamento diretto di un servizio
rientrante
nell’ambito applicativo della direttiva n. 18/2004 effettuato da una
amministrazione aggiudicatrice in favore di una società mista,
costituita dalla
stessa amministrazione e da altri soci privati, individuati mediante
apposita
gara ad evidenza pubblica”;
d.b) indica, quali condizioni per ammettere l’affidamento diretto alla
società
mista:
d.b.a) l’esistenza di un’apposita norma speciale che lo consenta;
d.b.b) l’affidamento con procedura di evidenza pubblica
dell’attività operativa
della società mista al partner privato tramite la stessa gara
volta
all’individuazione di quest’ultimo, valutandosi l’opportunità di
demandare alla
Corte di giustizia anche uno specifico quesito interpretativo,
concernente i
limiti di compatibilità con il diritto comunitario di una
partecipazione
societaria privata di carattere meramente finanziario, purché la
procedura
selettiva per l’individuazione del socio privato abbia consentito, in
modo
trasparente e imparziale, di scegliere l’impresa in possesso delle
prescritte
attitudini professionali, che abbia offerto la migliore proposta;
d.b.c) la necessità di delimitare adeguatamente le
finalità della società mista
cui affidare il servizio senza gara, con la conseguente
illegittimità di
affidamenti diretti a “società miste aperte”, o a
finalità generalista;
d.b.d) la necessità di motivare in modo particolarmente
approfondito la scelta
organizzativa di ricorrere alla società mista anziché
rivolgersi integralmente
al mercato;
d.b.e) la necessità di stabilire un limite temporale ragionevole
alla durata
del rapporto sociale, accompagnata dall’espressa previsione della
scadenza del
periodo di affidamento per evitare che il socio divenga “socio stabile”
della
società mista;
d.b.f) l’esistenza di un concreto riferimento allo svolgimento di
attività e
funzioni pubbliche, con la conseguente esigenza di chiarire la portata
di
siffatto requisito;
e) se sia legittimo l’affidamento di un servizio effettuato senza gara
a una
società mista da parte di un’amministrazione che abbia
acquistato
successivamente la partecipazione nella società stessa e quando
la società non
era stata appositamente costituita per quella specifica attività
oggetto
dell’affidamento.
5. L’adunanza plenaria ritiene, innanzitutto, di circoscrivere la
sua
pronuncia all’esame di quelli che sono i motivi di appello ancora da
decidere,
dato che il primo motivo è stato respinto dalla sezione quinta
con la decisione
di remissione all’adunanza stessa.
L’A.S.L. appellante, con il secondo motivo, censura la pronuncia di
accoglimento del primo giudice, secondo cui è illegittimo
l’affidamento senza
gara (o diretto) del servizio di assistenza domiciliare a una
società mista,
anche se con partecipazione maggioritaria pubblica e con iniziale
scelta dei
soci privati effettuata attraverso apposita procedura selettiva di
evidenza
pubblica. L’A.S.L. sostiene che:
1) sussisterebbero le regole fissate dalla sezione seconda di questo
Consiglio,
con il parere n. 456/2007, per legittimare l’affidamento diretto a
società
mista, poiché:
1.1) A.M.O.S. s.p.a. non sarebbe una società a oggetto plurimo
avendo invece
l’attività sociale scopo delimitato e specifico; il socio
operativo è stato
scelto previa gara; e la sperimentazione ha durata limitata;
1.2) non sarebbe esatto che essa può operare anche all’esterno
rispetto alle
aziende sanitarie che l’hanno costituita;
1.3) non sarebbe esatto che le previsioni dell’atto costitutivo della
società
in ordine alla cedibilità delle quote incidono negativamente
sulla possibilità
di un affidamento diretto del servizio;
1.4) vi sarebbe lo specifico dettato normativo costituito dall’art.
9-bis,
comma 1, del d.lgs. n. 502/1992;
2) per effetto dell’art. 13, comma 2, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223,
convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248
(così detto
decreto Bersani, secondo cui le società miste “sono ad oggetto
sociale
esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al
comma 1”),
sussisterebbe nella specie il controllo analogo che, secondo
l’orientamento
della Corte di giustizia dell’Unione europea (U.E.), consente comunque
l’affidamento diretto.
L’appellante ha chiesto anche, in via subordinata, il rinvio
pregiudiziale alla
Corte di giustizia dell’U.E. con riguardo agli artt. 13 del d.l. n.
223/2006,
convertito, con modificazioni, dalla l. n. 248/2006, e 9-bis del d.lgs.
n.
502/1992.
Le prospettazioni essenziali dell’appello sono le seguenti:
a) nella fattispecie in esame sussisterebbero i requisiti concreti del
“controllo analogo” a quello operato sui propri servizi interni,
esercitato
dall’amministrazione committente sulla società attuatrice del
servizio, tali da
giustificare l’affidamento senza gara, secondo il modulo operativo e
gestionale
riconducibile alla formula del legittimo in house providing,
delineato
dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale;
b) in ogni caso, sarebbe legittimo l’affidamento di un servizio, senza
gara, a
una società mista a prevalente partecipazione pubblica i cui
soci privati siano
stati individuati all’esito di procedure selettive aperte, trasparenti
e non
discriminatorie, conformi al diritto comunitario e ai suoi principi.
6. Ciò premesso, con riguardo alla natura e alla struttura
di A.M.O.S.
s.p.a., l’adunanza plenaria deve precisare quanto segue.
A.M.O.S. s.p.a. è stata costituita il 4 ottobre 2004, con durata
stabilita sino
al 31 dicembre 2024, tra l’Azienda sanitaria ospedaliera (A.S.O.) S.
Croce e
Carle di Cuneo (con il 43,10%), l’A.S.L. n. 15 di Cuneo (con il 4%),
l’A.S.L.
n. 16 di Mondovì-Ceva (con il 10%), l’A.S.L. n. 17 di Savigliano
(con il 10%),
l’A.S.L. n. 18 di Alba e Bra (con il 3%) e altre sette società
private (MARKAS
s.r.l. con il 4,85%, GPI s.r.l. con il 4,85%, CON.I.COS s.p.a. con il
4,10%,
H.C. HOSPITAL CONSULTING con il 4,10%, IDROCENTRO s.p.a. con il 4%,
RICCOBONO
s.p.a. con il 4% e BCS s.r.l. con il 4%).
I soggetti privati sono stati scelti attraverso un procedimento a
evidenza
pubblica, con procedura negoziata indetta il 17 settembre 2003 e
conclusasi con
la deliberazione del direttore generale dell’A.S.O. S. Croce e Carle di
Cuneo
n. 546 in data 29 marzo 2004, che ha approvato gli esiti della
procedura per la
scelta dei soci di minoranza; divisi in soci finanziari, soci del
settore
sanitario e soci del settore non sanitario.
L’art. 7 dello statuto prevede che la proprietà delle azioni, i
diritti di
usufrutto sulle stesse, nonché i relativi diritti di opzione
sono liberamente
trasferibili tra soggetti pubblici; mentre, negli altri casi,
l’alienazione è
subordinata alla preventiva autorizzazione del consiglio di
amministrazione,
entro il termine di trenta giorni, scaduto il quale l’autorizzazione si
considera concessa.
L’A.S.L. 19 di Asti ha deliberato in data 14 giugno 2006 l’acquisto
dall’A.S.O.
S. Croce e Carle di Cuneo di una quota pari al 18% del capitale sociale
di
A.M.O.S. s.p.a. (delibera del commissario n. 15). I soci privati
partecipano,
quindi, al capitale sociale per circa il 30% delle azioni.
Il presidente del consiglio di amministrazione della società
(organo collegiale
composto da nove membri) è nominato dai soli soci di parte
pubblica, mentre il
vice presidente è designato dai soli soci privati. Il consiglio
di
amministrazione è eletto dall’assemblea con il sistema delle
liste separate,
prevedendosi che alla lista la quale ottenga il maggior numero di voti
siano
attribuiti 6 seggi e i restanti tre alla lista che segue in graduatoria.
Mancano specifiche clausole statutarie o regole di funzionamento
tipiche della
società che garantiscano una qualche forma di intenso e
dominante controllo
dell’amministrazione sulla struttura societaria. Il collegio sindacale
della
società è composto da tre membri, di cui uno solo
è scelto dalle
amministrazioni (con funzioni di presidente), mentre uno è
designato dai soci
privati e il terzo dall’assemblea. Il comitato tecnico di controllo,
organo cui
è affidato il compito di sovrintendere all’operato del
presidente e
dell’amministratore delegato per le attività svolte a favore
delle aziende
pubbliche socie di A.M.O.S., è composto da due membri designati
dai soci
privati, mentre uno soltanto è individuato dai soci pubblici.
La società mista ha un oggetto sociale variegato che comprende,
ai sensi
dell’art. 4 dello statuto: a) la prestazione di servizi alberghieri e
amministrativi; b) l’attività di gestione e manutenzione di
beni, sia mobili
che immobili (incluse le aree verdi); c) la prestazione di servizi
ospedalieri
e territoriali [attività di laboratorio analisi, di radiologia e
neuroradiologia,
attività anestesiologica (di supporto a chirurgia ambulatoriale,
day surgery
e chirurgia a bassa complessità), dialisi per cronici,
riabilitazione]. La
società potrà compiere tutte le operazioni commerciali,
immobiliari, mobiliari
e finanziarie ritenute necessarie o utili per il conseguimento
dell’oggetto
sociale e così tra l’altro anche l’assunzione, nei limiti di
legge, di
partecipazioni in altre società o enti aventi oggetto sociale
analogo, affine o
complementare al proprio.
Dal maggio 2006 A.M.O.S. s.p.a. non è più una
società meramente operativa, ma è
diventata un gruppo (holding), che detiene la totalità della
partecipazione in
Energy Service (società che gestisce l’intermediazione di
energia), nonché la
maggioranza delle quote di SIA s.p.a. (società che provvede
all’archiviazione
di dati) e di AMG Lavanderie Domino (che svolge servizi di lavanderia).
Va poi ribadito che, nella specie, né l’originario statuto di
A.M.O.S. s.p.a.,
né gli atti della gara preordinata alla scelta del socio privato
hanno indicato
la concreta possibilità di estensione dell’attività
nell’ambito dell’A.S.L. 19
di Asti.
7. Quanto all’attività affidata ad A.M.O.S. s.p.a.,
l’adunanza plenaria
condivide le considerazioni svolte dalla sezione quinta di questo
Consiglio con
la decisione n. 5527/2007.
Si tratta dell’esecuzione di prestazioni sociosanitarie, intese come
attività
atte a soddisfare bisogni di salute della persona, ossia di cura e
assistenza
di persone assistite dal Servizio sanitario nazionale (art. 3-septies,
commi 1
e 2, del d.lgs. n. 502/1992 e art. 1 della l.r. del Piemonte 8 gennaio
2004, n.
1).
Le prestazioni non sono riconducibili, immediatamente, alla disciplina
comunitaria e nazionale specificamente riferita ai contratti pubblici
di
servizi [direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/18/CEE e d.lgs. 12 aprile
2006, n.
163 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture)]. Ma
vanno riportate alla previsione dell’allegato II B (che elenca i
“servizi
sanitari e sociali”) dell’art. 20 del d.lgs. n. 163/2006 (il quale
attua gli
artt. 20 e 21 della direttiva 2004/18/CEE, nonché gli artt. 31 e
32 della
direttiva 2004/17/CEE, riprendendo le previsioni già contenute
nell’art. 3,
comma 2, del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157 e nell’art. 7, comma 3, del
d.lgs. 17
marzo 1995, n. 158). Secondo l’art. 20, comma 1, del d.lgs. n.
163/2006,
l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati
nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dagli artt. 68
(specifiche
tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e
225
(avvisi relativi agli appalti aggiudicati).
Tuttavia, secondo l’art. 27, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006,
“l’affidamento
dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture,
esclusi, in
tutto o in parte, dall’applicazione del presente codice, avviene nel
rispetto
dei principi di economicità, efficacia, imparzialità,
parità di trattamento,
trasparenza, proporzionalità” e “L’affidamento deve essere
preceduto da invito
ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del
contratto.”
Resta ferma, quindi, la necessità di rispettare le regole
generali di diritto
interno e i principi del diritto comunitario.
Indicativa dell’individuazione di un appalto di servizi è, nella
specie, la
circostanza per cui l’A.S.L. 19 di Asti corrisponde ad A.M.O.S. s.p.a.
(per
l’espletamento del servizio) un canone mensile, oltre a un importo per
ogni
accesso del personale infermieristico e riabilitativo (così come
prima il tutto
veniva pagato a Medicasa Italia s.p.a., precedente gestore).
L’adunanza plenaria rileva che la diretta erogazione delle prestazioni
(da
parte del gestore del servizio) in favore della collettività,
ossia degli
utenti del Servizio sanitario nazionale, potrebbe indurre anche a
configurare
un servizio pubblico anziché un appalto di servizi. Ma
ciò non sposta il
problema di fondo. Trattandosi di attività di rilevanza
economica oggetto di
contratto da stipulare con una pubblica amministrazione, devono sempre
applicarsi le regole della Comunità europea sulla concorrenza e,
in
particolare, gli obblighi di parità di trattamento e di
trasparenza.
Si tratta dei principi del Trattato, che sono quelli di:
a) libertà di stabilimento (art. 43);
b) libera prestazione dei servizi (art. 49);
c) parità di trattamento e divieto di discriminazione in base
alla nazionalità
(artt. 43 e 49);
d) trasparenza e non discriminazione (art. 86, che vieta le misure di
favore a
vantaggio delle imprese che godono di diritti speciali o esclusivi e di
quelle
pubbliche).
Anche nell’ambito dei servizi pubblici deve essere assicurata
l’apertura alla
concorrenza (C. giust. CE: 13 settembre 2007, C-260/04; sez. I, 13
ottobre
2005, C-458/03). Ogni interessato ha diritto di avere accesso alle
informazioni
adeguate prima che venga attribuito un servizio pubblico, di modo che,
se lo
avesse desiderato, sarebbe stato in grado di manifestare il proprio
interesse a
conseguirlo (C. giust. CE, sez. I, 10 novembre 2005, C-29/04). Inoltre,
trasparenza e pubblicità devono essere date alla notizia
dell’indizione della
procedura di affidamento; imparzialità o non
discriminatorietà devono
determinare le regole di conduzione di questa.
Si rimanda, in particolare, all’art. 30 del d.lgs. n. 163/2006 (dal
titolo
“Concessione di servizi”), il quale, al comma 3, richiama i “principi
generali
relativi ai contratti pubblici” (nel rispetto dei quali, oltre che di
quelli
“desumibili dal Trattato”, deve avvenire la scelta del concessionario
di
servizi), che sono quelli di “trasparenza, adeguata pubblicità,
non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità”; principi i quali
impongono la previa indizione di una gara, seppure informale.
I principi generali del Trattato valgono comunque anche per i contratti
e le
fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali (oltre
alla
concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i contratti diversi
dagli
appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e
dei
professionisti (ad esempio, le concessioni di beni pubblici di
rilevanza
economica; da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 362).
Va rilevato, infine, che, nella specie, trattandosi di attività
inerente il
Servizio sanitario nazionale affidata da una A.S.L., non si applicano
le
disposizioni relative ai servizi pubblici locali, riferite, nel loro
ambito
soggettivo, alle sole amministrazioni di cui al d.lgs. n. 267/2000
(testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e, in particolare, le
prescrizioni di cui all’art. 113 (“servizi pubblici locali di rilevanza
economica”).
8. L’espressione in house providing compare per la prima
volta nel
libro bianco del 1998, nel quale la Commissione europea, con
riferimento al
settore degli appalti pubblici, specifica il concetto degli appalti in
house
come “quelli aggiudicati all’interno della Pubblica amministrazione, ad
esempio
tra Amministrazione centrale e locale o, ancora, tra una
Amministrazione ed una
società interamente controllata”.
La situazione di in house legittima l’affidamento diretto,
senza previa
gara, del servizio di un ente pubblico a una persona giuridicamente
distinta,
qualora l’ente eserciti sul secondo un controllo analogo a quello dallo
stesso
esercitato sui propri servizi e la seconda realizzi la parte più
importante
della propria attività con l’ente o con gli enti che la
controllano (C. giust.
CE, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal). L’affidamento diretto di un
servizio
pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida
di
affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara,
avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente
separata) che
presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una
“derivazione”, o
una longa manus, dell’ente stesso. Da qui, l’espressione in
house
che richiama, appunto, una gestione in qualche modo riconducibile allo
stesso
ente affidante o a sue articolazioni.
Si è in presenza di un modello di organizzazione meramente
interno,
qualificabile in termini di delegazione interorganica. Mentre, la
disciplina
comunitaria dei pubblici appalti va applicata se l’ente affidatario sia
distinto dall’amministrazione aggiudicatrice sul piano formale e sia
autonomo
sul piano sostanziale.
Trattandosi di deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione,
e trasparenza
(tutti costituenti canoni fondamentali del trattato istitutivo della
Comunità
europea), siffatto istituto è stato ritenuto ammissibile solo
nel rispetto di
alcune rigorose condizioni, individuate dalla giurisprudenza
comunitaria ed
elaborate anche da quella nazionale.
E’ stato affermato che, in astratto, l’affidamento diretto del servizio
viola
il principio di concorrenza sotto un duplice profilo: a) da una parte,
sottrae
al libero mercato quote di contratti pubblici, nei confronti dei quali
le
impresse ordinarie vengono escluse da ogni possibile accesso; b)
dall’altra, si
costituisce a favore dell’impresa affidataria una posizione di ingiusto
privilegio, garantendole l’acquisizione di contratti. Il tutto si
traduce nella
creazione di posizioni di vantaggio economico che l’impresa in house
può
sfruttare anche nel mercato, nel quale si presenta come
“particolarmente”
competitiva, con conseguente alterazione della par condicio
(per
l’analisi delle distorsioni economiche derivanti dall’affidamento
diretto, e
anche per la giurisprudenza comunitaria in materia, si veda Cons.
giust. amm.
reg. sic. 4 settembre 2007, n. 719).
Le misure contenitive adottate già in ambito comunitario per
eliminare o
ridurre i suddetti inconvenienti sono costituite dalle stringenti
condizioni
poste per rendere legittimo l’affidamento in house,
rappresentate da:
1) il così detto “controllo analogo a quello svolto sui propri
servizi”,
necessariamente esercitato dall’ente pubblico nei confronti
dell’impresa
affidataria;
2) il rapporto di stretta strumentalità fra le attività
dell’impresa “in
house” e le esigenze pubbliche che l’ente controllante è
chiamato a
soddisfare.
La giurisprudenza comunitaria, in particolare, ha utilizzato
l’espressione in
house providing per identificare il fenomeno di “autoproduzione” di
beni,
servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione: la quale
acquisisce
un bene o un servizio attingendoli all’interno della propria compagine
organizzativa senza ricorrere a “terzi” tramite gara (così detta
esternalizzazione)
e dunque al mercato (a partire da C. giust. CE, 18 novembre 1999,
C-107/98,
Teckal). In ragione del “controllo analogo” e della “destinazione
prevalente
dell’attività”, l’ente in house non può ritenersi
terzo rispetto
all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei
servizi
propri dell’amministrazione stessa: non è, pertanto, necessario
che
l’amministrazione ponga in essere procedure di evidenza pubblica per
l’affidamento di appalti.
I requisiti dell’in house providing, costituendo un’eccezione
alle
regole generali del diritto comunitario, vanno interpretati
restrittivamente
(C. giust. CE, 6 aprile 2006, C-410/04 e Cons. Stato, sez. II, n.
456/2007).
La sussistenza del controllo analogo viene esclusa in presenza di una
compagine
societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la
partecipazione pubblica totalitaria. Infatti, la partecipazione (pure
minoritaria) di un’impresa privata al capitale di una società,
alla quale
partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso
che tale
amministrazione possa esercitare su detta società un controllo
analogo a quello
che essa svolge sui propri servizi [C. giust. CE: sez. II, 19 aprile
2007,
C-295/05, Asociaciòn de Empresas Forestales c.
Transformaciòn Agraria SA
(TRASGA); 21 luglio 2005, C-231/03, Consorzio Corame; 11 gennaio 2005,
C-26/03,
Stadt Halle]. Occorre, quindi, che l’ente possegga l’intero pacchetto
azionario
della società affidataria (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006,
n. 4440; in
precedenza Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005, n. 7345 aveva
ritenuto che la
quota pubblica dovesse essere comunque superiore al 99%).
Tuttavia, la partecipazione pubblica totalitaria è necessaria ma
non
sufficiente (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04; Cons. Stato, sez.
VI, 1°
giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n. 1514), servendo maggiori
strumenti di
controllo da parte dell’ente rispetto a quelli previsti dal diritto
civile. In
particolare:
a) lo statuto della società non deve consentire che una quota
del capitale
sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati
(Cons.
Stato, sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere
rilevanti
poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere
consentito
esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario
riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 3
aprile
2007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che
rende
precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra
l’altro:
dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della
società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione
territoriale
dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero
(C. giust. CE: 10
novembre 2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13
ottobre 2005,
C-458/03, Parking Brixen);
d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al
vaglio preventivo
dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2007, n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo societario totalitario non
sia
garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house,
occorrendo
anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli
obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (C. giust. CE, 11
maggio
2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune
di Busto
Arsizio). Ne consegue che l’in house esclude la terzietà,
poiché
l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di
autonoma
personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei
confronti
dell’ente affidante che è in grado di determinarne le scelte, e
l’impresa è
anche sotto l’influenza dominante dell’ente.
Da ultimo (Cons. giust. amm. reg. sic. 4 settembre 2007, n. 719),
sempre in
aggiunta alla necessaria totale proprietà del capitale da parte
del soggetto
pubblico, si è ritenuto essenziale il concorso dei seguenti
ulteriori fattori,
tutti idonei a concretizzare una forma di controllo che sia effettiva,
e non
solo formale o apparente:
a) il controllo del bilancio;
b) il controllo sulla qualità della amministrazione;
c) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti;
d) la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e
politiche
aziendali.
L’in house, così come costruito dalla giurisprudenza
comunitaria, sembra
rappresentare, più che un modello di organizzazione
dell’amministrazione,
un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali
richiedono
la previa gara.
L’adunanza plenaria ritiene, pertanto, come rilevato inizialmente anche
dalla
sezione quinta di questo Consiglio con la decisione n. 5527/2007, che
nella
specie non vi siano i presupposti per configurare un’ipotesi di in
house
providing. Ciò in quanto deve escludersi, in via generale,
la
riconducibilità del modello organizzativo della società
mista a quello dell’in
house providing. E A.M.O.S. s.p.a. è una società
mista a capitale pubblico
di maggioranza in cui circa il 30% del capitale appartiene a privati.
Si prescinde, conseguentemente, dall’esame delle varie questioni in
tema di “in
house providing” così come rimesse dalla sezione quinta.
9. La fattispecie per cui è causa va riportata nell’ambito
dell’affidamento
dei servizi a società (non interamente posseduta dall’ente
pubblico, ma) a
capitale misto pubblico/privato.
Il fenomeno delle società miste rientra nel concetto di
partenariato pubblico
privato (PPP), la cui codificazione risale al “libro verde” della
Commissione
CE relativo al PPP e al diritto comunitario degli appalti e delle
concessioni.
Nel “libro verde”, presentato il 30 aprile 2004, la Commissione ha
affermato
che il termine PPP si riferisce in generale a “forme di cooperazione
tra le
autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a
garantire il
finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la
manutenzione
di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio”.
La Commissione, nel citato “libro verde”, ha ritenuto di potere
individuare due
tipi di partenariato pubblico-privato; e precisamente il tipo
“puramente
contrattuale” e quello “istituzionalizzato”.
La ratio dell’istituto va rinvenuta nella difficoltà
dell’amministrazione di reperire risorse necessarie ad assicurare la
fornitura
di un’opera o di un servizio alla collettività. In un quadro di
questo tipo, il
ricorso a capitali ed energie private diventa momento quasi ineludibile
nel
difficile compito di garantire un’azione amministrativa efficiente ed
efficace,
fortemente improntata a criteri di economicità. L’acquisizione
del patrimonio
cognitivo, composto di conoscenze tecniche e scientifiche, maturato dal
privato
nelle singole aree strategiche di affari, costituisce un arricchimento
del know-how
pubblico oltre che un possibile alleggerimento degli oneri
economico-finanziari,
che le pubbliche amministrazioni devono sopportare in sede di
erogazione di
servizi o di realizzazione di opere pubbliche o di pubblica
utilità.
Sia la Commissione che il Parlamento europeo concordano nel ritenere
che le
forme di PPP non costituiscono “l’anticamera” di un processo di
privatizzazione
delle funzioni pubbliche, dal momento che le sinergie tra pubblica
amministrazione e soggetti privati possono generare effetti positivi
per la
collettività, atteggiandosi a strumento alternativo alla stessa
privatizzazione. Per questo motivo l’assemblea di Strasburgo ha
qualificato,
senza mezzi termini, il PPP, in tutte le sue manifestazioni, come un
possibile
strumento di organizzazione e gestione delle funzioni pubbliche,
riconoscendo
alle amministrazioni la più ampia facoltà di stabilire se
avvalersi o meno di
soggetti privati terzi, oppure di imprese interamente controllate
oppure, in
ultimo, di esercitare direttamente i propri compiti istituzionali.
Il PPP di tipo “puramente contrattuale” è quello “basato
esclusivamente su
legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di
operazioni, nei quali uno o più compiti più o meno ampi –
tra cui la
progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo
sfruttamento di un lavoro o di un servizio – vengono affidati al
partner
privato”.
I modelli di partenariato di tipo puramente contrattuale più
conosciuti sono
l’appalto e la concessione.
I partenariati pubblico privato di tipo istituzionalizzato sono,
secondo la
Commissione europea (si veda il citato “libro verde”), quelli che
implicano una
cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato in seno a
un’entità
distinta; che implicano, cioè, la creazione di un’entità
detenuta
congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato, la quale ha
la
“missione” di assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio a
favore del
pubblico.
Il modello di partenariato di tipo istituzionalizzato più
conosciuto è quello
della società mista.
La Commissione europea tende ad assimilare il partenariato
pubblico-privato di
tipo “istituzionalizzato” a quello di tipo “puramente contrattuale” e,
perciò,
a considerare applicabile anche al primo tipo di partenariato il
“diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”. Ciò ha
delle ovvie
ricadute sulle modalità di scelta del partner privato, essendo
chiaro che anche
in tal caso, pur in assenza di norme specifiche, devono applicarsi,
come
avviene per l’affidamento a terzi di servizi mediante concessioni, le
norme del
Trattato sulla libera prestazione dei servizi e sulla libertà di
stabilimento,
nonché i principi di trasparenza, non discriminazione,
parità di trattamento,
proporzionalità e reciproco riconoscimento.
La necessità di ricorrere a procedure selettive per la scelta
del partner
privato con il quale costituire società miste costituisce una
regola ormai
acquisita nell’ordinamento interno. E comunque l’unico limite posto dal
Parlamento europeo consiste nel rispetto dei principi di concorrenza,
trasparenza, parità di trattamento, proporzionalità;
principi, tutti, che
trovano cittadinanza all’interno del Trattato dell’U.E.. Anche
perché lo stesso
“libro verde” precisa che la partnership pubblico-privato va
senz’altro
favorita ma non può rappresentare un modo per eludere la
disciplina della
concorrenza.
Al riguardo il d.lgs. n. 163/2006 si limita, all’art. 1, comma 2, a
prescrivere
che, “Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di
società
miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un
servizio,
la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza
pubblica”. La
norma ha così inteso solo codificare il principio secondo cui,
in questi casi,
la scelta del socio deve comunque avvenire “con procedure di evidenza
pubblica”
(Cons. Stato, sez. II, n. 456/2007).
10. La sezione quinta, nel rimettere all’esame dell’adunanza
plenaria, ha
rilevato come la questione della possibilità di affidare
direttamente il
servizio a società partecipate dall’ente pubblico, allorquando
le esigenze di tutela
della concorrenza siano state rispettate a monte, col previo
esperimento della
pubblica gara indetta per l’individuazione del partner privato, trova
in
giurisprudenza soluzioni non univoche.
Ad atteggiamenti di totale chiusura nei confronti della
possibilità di affidare
direttamente a società miste la gestione dei servizi [che
postulerebbero,
invece, l’esperimento di una specifica gara, diversa e successiva
rispetto a
quella necessaria all’individuazione del socio privato di minoranza
(soluzione
fatta propria dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana con la citata decisione n. 589/2006)], fa da contraltare la
tesi
sostenuta da una parte della dottrina e della giurisprudenza, secondo
cui la
società mista a prevalente partecipazione pubblica può
essere sempre
affidataria diretta dei servizi, alla sola condizione che la scelta del
contraente privato sia avvenuta mediante trasparenti procedure
selettive.
Una posizione intermedia tra i due riferiti orientamenti è stata
espressa dalla
sezione seconda di questo Consiglio, con il citato parere n. 456/2007,
che si
incentra sulla ritenuta ampia fungibilità tra lo schema
funzionale della
società mista e quello dell’appalto. In altri termini, secondo
la sezione
consultiva, la gestione del servizio può essere
indifferentemente affidata con
apposito contratto di appalto, o con lo strumento alternativo del
contratto di
società, costituendo apposita società a capitale misto.
Nel caso del “socio di
lavoro”, “socio industriale” o “socio operativo” (come contrapposti al
“socio
finanziario”), si è affermato che l’attività che si
ritiene “affidata” (senza
gara) alla società mista sia, nella sostanza, da ritenere
affidata (con gara)
al partner privato scelto con una procedura di evidenza pubblica, la
quale
abbia a oggetto, al tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi compiti
operativi e la qualità di socio.
In particolare, con il citato parere n. 456/2007, si è affermato
che:
a) non è condivisibile la posizione “estrema” secondo la quale,
per il solo fatto
che il socio privato è scelto tramite procedura di evidenza
pubblica, sarebbe
in ogni caso possibile l’affidamento diretto;
b) tale ipotesi suscita perplessità per il caso di
società miste “aperte”,
nelle quali il socio, ancorché selezionato con gara, non viene
scelto per
finalità definite, ma soltanto come partner privato per una
società
“generalista”, alla quale affidare direttamente l’erogazione di servizi
non
ancora identificati al momento della scelta del socio e con lo scopo di
svolgere anche attività extra moenia, avvalendosi semmai
dei vantaggi
derivanti dal rapporto privilegiato stabilito con il partner pubblico;
c) è ammissibile il ricorso alla figura della società
mista (quantomeno) nel
caso in cui essa non costituisca, in sostanza, la beneficiaria di un
“affidamento diretto”, ma la modalità organizzativa con la quale
l’amministrazione controlla l’affidamento disposto, con gara, al “socio
operativo” della società;
d) il ricorso a tale figura deve comunque avvenire a condizione che
sussistano
– oltre alla specifica previsione legislativa che ne fondi la
possibilità, alle
motivate ragioni e alla scelta del socio con gara, ai sensi dell’art.
1, comma
2, del d.lgs. n. 163/2006 – garanzie tali da fugare gli ulteriori dubbi
e
ragioni di perplessità in ordine alla restrizione della
concorrenza;
e) laddove vi siano giustificate ragioni per non ricorrere a un
affidamento
esterno integrale, è legittimo configurare, quantomeno, un
modello
organizzativo in cui ricorrano due garanzie:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l’affidamento
del
servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui quest’ultimo
si
configuri come un “socio industriale od operativo”, il quale concorre
materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello
stesso; il
che vuol dire effettuazione di una gara che con la scelta del socio
definisca
anche l’affidamento del servizio operativo;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione “alla
scadenza del
periodo di affidamento”, evitando così che il socio divenga
“socio stabile”
della società mista, possibilmente prescrivendo che sin dagli
atti di gara per
la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per
l’uscita del
socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui
all’esito della successiva gara egli risulti non più
aggiudicatario.
La sezione quinta propende per l’ipotesi ricostruttiva di cui al detto
parere
(non ancora vagliata dalla giurisprudenza comunitaria), temperandola
però con
alcune precisazioni e puntualizzazioni, ed invocando altresì
l’intervento del
giudice comunitario.
11. L’adunanza plenaria ritiene l’illegittimità
dell’impugnato affidamento
siccome non preceduto da una procedura concorrenziale.
Va ribadito, innanzitutto, che, nella controversia per cui è
causa, non può
invocarsi quanto statuito dal Consiglio di giustizia amministrativa per
la
Regione siciliana con la citata decisione n. 589/2006, secondo cui la
stretta
osservanza del diritto comunitario in materia di società miste
comporta un'interpretazione
restrittiva, se non addirittura disapplicativa, dell'art. 113, comma 5,
lett.
b), del d.lgs. n. 267/2000; nel senso che la costituzione di una tale
società,
anche con scelta del socio a seguito di gara, non esime
dall'effettuazione di
una seconda gara per l'affidamento del servizio. Ciò in quanto
non si è in
presenza di servizi pubblici locali, ai quali solamente si può
applicare (e
conseguentemente disapplicare) il citato art. 113 (si veda quanto
osservato
alla fine del paragrafo 7 della presente decisione).
12. A livello comunitario il coinvolgimento nella gestione dei
servizi di
soggetti privati viene visto con favore, potendo essi apportare alla
pubblica
amministrazione know how e una gestione più manageriale.
Ma il ricorso
allo strumento della società mista si può prestare ad
abusi, avendo spesso
costituito un espediente per aggirare la regola dell’affidamento dei
servizi
sulla base di una procedura competitiva.
Il modello elaborato dalla sezione seconda di questo Consiglio, con il
citato
parere n. 456/2007, rappresenta una delle possibili soluzioni delle
problematiche connesse alla costituzione delle società miste e
all’affidamento
del servizio alle stesse; nel rispetto del principio di concorrenza,
nonché
nella ricerca di contemperare le esigenze di cooperazione tra settore
pubblico
e privato con quelle di tutela della concorrenza. Il modello presuppone
la
fungibilità tra contratto di appalto e contratto sociale, e si
fonda sulla
necessità che la gestione del servizio venga prevista
allorquando si
costituisce la società.
L’adunanza plenaria ritiene che, allo stato e in mancanza di
indicazioni
precise da parte della normativa e della giurisprudenza comunitaria,
non sia
elaborabile una soluzione univoca o un modello definitivo. Si corre il
rischio
di dar luogo a interpretazioni “praeter legem”, che potrebbero
non
trovare l’avallo della Corte di giustizia. E comunque la fattispecie
per cui è
causa, a parte l’inconfigurabilità di un servizio pubblico
locale, non rientra
nei confini del modello così come costruito dalla sezione
seconda di questo
Consiglio.
Medicasa Italia s.p.a. era il precedente gestore del servizio di cure
sanitarie
domiciliari; servizio che si era aggiudicato nel 2000 dall’A.S.L. 19 di
Asti a
seguito di apposita gara bandita dall’azienda stessa. Il servizio
veniva
gestito dalla società medesima in regime di proroga sino agli
ultimi mesi del
2006.
Nell’aprile 2006, infatti, l’A.S.L. 19 di Asti aveva bandito una nuova
gara per
“individuazione partner per la fornitura di supporto integrativo per
attività
sanitarie territoriali di cura alla persona”. Nel giugno 2006 l’A.S.L.
19 di
Asti aveva però acquisito (da soci pubblici) il 18% delle azioni
di A.M.O.S.
s.p.a., che esisteva già dal 2004. Conseguentemente, aveva
deciso di revocare
la gara già bandita e di affidare direttamente il servizio a
quest’ultima.
Il modello costruito con il citato parere n. 456/2007 non è
rinvenibile nella
specie in quanto non si è verificata la prima delle condizioni
richieste; ossia
che il socio venga scelto mediante procedura a evidenza pubblica nella
quale la
gestione del servizio sia stata definita e precisata. Il che vuol dire
avere
stabilito, contestualmente alla scelta (previa gara) del socio il quale
dovrà
gestire il servizio, quanto meno le caratteristiche della gestione
stessa
(ossia condizioni, modalità e durata). Non si è
verificato, quindi, quel
presupposto costituito dall’effettuazione “di una gara che con la
scelta del
socio definisca anche l’affidamento del servizio operativo”.
In particolare, la controversia per cui è causa non è in
alcun modo
assimilabile all’ipotesi sulla quale è stato reso il citato
parere n. 456/2007
anche perché:
a) i soci sono stati scelti alcuni anni prima l’affidamento
(dall’A.S.L. 19 di
Asti) del servizio alla società mista;
b) né l’originario statuto della società mista né
gli atti della gara
preordinata alla scelta dei soci privati hanno previsto la
possibilità di
estensione dell’attività della società stessa nell’ambito
dell’A.S.L. 19;
c) la scelta dei soci è stata effettuata da amministrazione
diversa da quella
(A.S.L. 19) che ha dopo affidato il servizio alla società mista,
avendo
acquisito una percentuale del capitale della società solo alcuni
anni
successivi alla costituzione di quest’ultima;
d) la società mista non è stata appositamente costituita
solo per quella
specifica attività in seguito oggetto di affidamento;
e) nella società mista non vi è il socio operativo che
concorre materialmente
allo svolgimento del servizio ma tre tipi di soci: finanziari, del
settore
sanitario e del settore non sanitario;
f) nella gestione del servizio, di tipo sanitario, affidato alla
società mista
sono coinvolti indifferentemente tutti i soci, e quindi anche quelli
non del
settore sanitario e quelli finanziari;
g) l’oggetto sociale della società mista è variegato e di
ampie dimensioni (si
veda l’art. 4 dello statuto e quanto osservato al paragrafo 6 della
presente
decisione e sottolineato anche dalla sezione quinta di questo Consiglio
con la
decisione n. 5527/2007).
Mancando la principale condizione, richiesta dal citato parere n.
456/2007, per
potere considerare legittimo un affidamento diretto (effettuazione “di
una gara
che con la scelta del socio definisca anche l’affidamento del servizio
operativo”), si prescinde dall’esame delle varie questioni sul medesimo
parere
rimesse dalla sezione quinta; questioni la cui soluzione non serve alla
decisione della controversia per cui è causa.
13. L’illegittimità del contestato affidamento - avvenuto
in via diretta
senza previa gara - consegue alla violazione dei principi del Trattato
dell’U.E.; ossia del principio di concorrenza e di quelli, che ne
rappresentano
attuazione e corollario, di trasparenza, adeguata pubblicità,
non
discriminazione e parità di trattamento.
Siffatti principi, che hanno trovato anche recepimento espresso nel
diritto
interno (artt. 27, comma 1, 30, comma 3, e 91, comma 2, del d.lgs. n.
163/2006)
e che si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici,
sono
direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche
norme
comunitarie o interne e in modo prevalente su eventuali disposizioni
interne di
segno contrario (Cons. Stato, sez. VI: 30 gennaio 2007, n. 362; 30
dicembre
2005, n. 7616; 25 gennaio 2005, n. 168).
Alla stregua della comunicazione della Commissione europea del 12
aprile 2000,
pubblicata in Gazzetta ufficiale n. C 121 del 29 aprile 2000,
richiamata e
sviluppata da una circolare della Presidenza del consiglio dei
ministri-dipartimento per le politiche comunitarie n. 945 in data
1° marzo
2002, i principi di evidenza pubblica, da attuare in modo proporzionato
e
congruo all'importanza della fattispecie in rilievo, vanno applicati,
in quanto
dettati in via diretta e self-executing dal Trattato, anche
alle
fattispecie non interessate da specifiche disposizioni comunitarie
(nella
specie concessione di servizi) volte a dare la stura a una procedura
competitiva puntualmente regolata.
Con la comunicazione della Commissione si è rimarcato che,
"benché il
Trattato non contenga alcuna esplicita menzione degli appalti pubblici,
né
delle concessioni, molte delle sue disposizioni sono rilevanti in
materia. Si
tratta delle norme del Trattato che presidiano e garantiscono il buon
funzionamento del mercato unico, ossia: - le norme che vietano
qualsiasi
discriminazione fondata sulla nazionalità (articolo 12,
paragrafo 1, ex
articolo 6, paragrafo 1); - le norme relative alla libera circolazione
delle
merci (articoli 28 - ex 30 - e seguenti), alla libertà di
stabilimento
(articoli 43 - ex 52 - e seguenti), alla libera prestazione di servizi
(articoli 49 - ex 59 - e seguenti) nonché le eccezioni a tali
norme previste
agli articoli 30, 45 e 46 (ex articoli 36, 55 e 56); - le disposizioni
dell'articolo 86 (ex 90) del Trattato".
La detta circolare ha a sua volta puntualizzato che, “a prescindere
dall'applicabilità di specifici regimi, tutte le concessioni
ricadono nel campo
di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex
articoli da 30
a 36), da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del Trattato o dei principi
sanciti
dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi
di non
discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di
mutuo
riconoscimento e proporzionalità così come risultano
dalla costante tradizione
giurisprudenziale della Corte europea che si è posta
all'avanguardia nella loro
elaborazione". Segnatamente "il principio di trasparenza,
strettamente legato a quello di non discriminazione poiché
garantisce
condizioni di concorrenza non falsate ed esige che le amministrazioni
concedenti rendano pubblica, con appropriati mezzi di
pubblicità, la loro
intenzione di ricorrere ad una concessione. Secondo le indicazioni
della
Commissione europea (si veda il punto 3.1.2 della Comunicazione
interpretativa)
tali forme di pubblicità dovranno contenere le informazioni
necessarie affinché
potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro interesse a
partecipare alla procedura quali l'indicazione dei criteri di selezione
ed
attribuzione, l'oggetto della concessione e delle prestazioni attese
dal
concessionario. Spetterà poi in particolare ai giudici nazionali
valutare se
tali obblighi siano stati osservati attraverso l'adozione di
appropriate regole
o prassi amministrative”. Inoltre, “la sottoposizione delle concessioni
di
servizi al principio di non discriminazione, in particolare in base
alla
nazionalità, è stato recentemente confermato anche dalla
giurisprudenza
comunitaria, che ha precisato come l'obbligo di trasparenza a cui sono
tenute
le amministrazioni consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale
offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta
l'apertura degli
appalti dei servizi alla concorrenza nonché il controllo
sull'imparzialità
delle procedure di aggiudicazione (Corte di giustizia, sentenza 7
dicembre
2000, causa C-324/98, cit., considerato n. 62)".
La circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti sono
attuative dell'art. 81 del Trattato porta in sostanza a ritenere che le
norme
delle stesse siano puramente applicative, con riferimento a determinati
appalti, di principi generali che, essendo sanciti in modo universale
dal
Trattato, sono ovviamente valevoli anche per contratti e fattispecie
diverse da
quelle concretamente contemplate.
Di qui l'immediata operatività dei principi, sopra esposti con
riferimento alla
concessione di servizi, anche agli appalti sottosoglia (si veda la
circolare
del dipartimento per le politiche comunitarie in data 30 giugno 2002,
ove si
richiama l'ordinanza 3 dicembre 2001, C-59/00 e la sentenza 7 dicembre
2000,
C-324, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, rese dalla Corte di
giustizia) e ai contratti diversi dagli appalti tali da suscitare
l'interesse
concorrenziale delle imprese e dei professionisti, nonché,
infine, alle stesse
concessioni di beni pubblici di rilevanza economica.
La Corte di giustizia, in particolare, ha statuito che, "sebbene le
direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione
degli
appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il cui valore
supera un
determinato limite previsto espressamente in ciascuna delle dette
direttive, il
solo fatto che il legislatore comunitario abbia considerato che le
procedure
particolari e rigorose previste in tali direttive non sono adeguate
allorché si
tratta di appalti pubblici di scarso valore, non significa che questi
ultimi
siano esclusi dall'ambito di applicazione del diritto comunitario" (si
veda, in tal senso, l'ordinanza 3 dicembre 2001, C-59/00, punto 19).
Già in
precedenza il giudice comunitario aveva sottolineato la
necessità del rispetto
del principio di trasparenza anche per gli appalti non rientranti
espressamente
nella sfera di applicazione di una direttiva, ricordando che,
"nonostante
il fatto che siffatti contratti, allo stadio attuale del diritto
comunitario,
siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38, gli
enti
aggiudicatori che li stipulano sono ciò nondimeno tenuti a
rispettare i
principi fondamentali del Trattato in generale, e il principio di non
discriminazione in base alla nazionalità in particolare"
(sentenza 7
dicembre 2000, C-324/98, Teleaustria c. Post & Telekom Austria,
punto 60).
Il Consiglio di Stato (sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 934) ha già
richiamato e
condiviso gli orientamenti della Corte di giustizia, puntualizzando che
norme
comunitarie vincolanti ben possono imporsi oltre il ristretto ambito
applicativo delle direttive sugli appalti. Si è richiamata la
posizione della
Commissione U.E., secondo la quale, anche nei casi in cui non trova
applicazione la direttiva sugli appalti di servizi (in particolare,
nell’ipotesi delle concessioni di pubblici servizi), la scelta del
contraente
incontra i limiti indicati dalle norme del Trattato in materia di
libera
prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario;
tra cui
la non discriminazione, la parità di trattamento, la
trasparenza. E si è
affermato che si impone così una scelta ispirata a criteri
obiettivi e
trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza tra i
soggetti
interessati (per l'affermazione dei medesimi principi e per la
rilevanza
generale degli obblighi di trasparenza nella scelta dei contraenti,
specie
quando si tratta di servizi pubblici, C. giust. CE, 7 dicembre 2000,
C-324/98).
Siffatte affermazioni, anche se rese con riferimento alla concessione
di
servizi pubblici che è figura diversa dall'appalto di servizi,
hanno una
portata generale e possono adattarsi a ogni fattispecie estranea
all'immediato
ambito applicativo delle direttive sugli appalti (Cons. Stato, sez. IV,
15
febbraio 2002, n. 934).
Il principio di concorrenza è uno dei principi cardini del
Trattato,
soprattutto in relazione al mondo delle commesse pubbliche. Esso
garantisce la
completa parità di accesso di tutte le imprese europee al monte
dei contratti
pubblici. La conseguenza rilevante è che le imprese europee (e
anche quelle
dello stesso Paese del cui ordinamento giuridico si giudica) devono
essere
poste sullo stesso piano, concedendo loro le medesime
opportunità; sia sotto il
profilo dell’accesso ai contratti pubblici (e quindi attraverso il
sistema
ordinario dell’evidenza pubblica), sia impedendo che particolari
situazioni
economiche pongano alcune di esse in una condizione di privilegio o
comunque di
favore economico.
Da ciò consegue che il sistema dell’affidamento diretto, in
primo luogo,
costituisce eccezione di stretta interpretazione al sistema ordinario
delle
gare; e, in secondo luogo, deve rispondere a ben precisi presupposti
(insussistenti nella controversia per cui è causa), in assenza
dei quali
l’affidamento è idoneo a turbare la par condicio e
quindi a violare il
Trattato (e le direttive).
Recentemente siffatti principi sono stati ribaditi dalla Corte
costituzionale,
con la sentenza 22 novembre 2007, n. 401.
Nell’ambito dei contratti pubblici, ad avviso della Consulta, viene
soprattutto
in rilievo l’aspetto della tutela della concorrenza, che si
concretizza, in
primo luogo, nell’esigenza di assicurare la più ampia apertura
del mercato a
tutti gli operatori economici del settore; in ossequio ai principi
comunitari della
libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e
della libera
prestazione dei servizi. Le procedure di evidenza pubblica nella scelta
del
contraente devono essere idonee a garantire, in particolare, il
rispetto dei
principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di
proporzionalità e
di trasparenza. La Corte ha quindi evidenziato che la nozione
comunitaria di
concorrenza, che si riflette su quella di cui all’art. 117, comma 2,
lett. e),
della cost., è definita come concorrenza “per” il mercato, la
quale impone che
il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che
assicurino il
rispetto dei valori comunitari e costituzionali sopra indicati.
Sul piano interno, l’osservanza di siffatti principi costituisce anche
attuazione
delle stesse regole costituzionali di buon andamento e
imparzialità, le quali,
ai sensi dell’art. 97 della cost., devono guidare tutta l’azione
dell’amministrazione. Anzi, è proprio l’esigenza di uniformare
la normativa
interna a quella comunitaria - sul piano della disciplina del
procedimento di
scelta del contraente - nel perseguimento della tutela della
concorrenza, ad
avere determinato il definitivo superamento della concezione che vedeva
la
procedimentalizzazione dell’attività di scelta del contraente
dettata
nell’esclusivo interesse dell’amministrazione. Pervenendosi
all’obiettivo
primario costituito dalla tutela degli interessi degli operatori, ad
accedere
al mercato e a concorrere per il mercato. Il che realizza pur sempre
medesime
finalità.
14. Con riguardo allo specifico dettato normativo, invocato
dall’appellante, costituito dall’art. 9-bis, comma 1, del d.lgs. n.
502/1992 -
secondo cui “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,
autorizzano programmi di sperimentazione aventi a oggetto nuovi modelli
gestionali che prevedano forme di collaborazione tra strutture del
Servizio
sanitario nazionale e soggetti privati, anche attraverso la
costituzione di
società miste a capitale pubblico e privato” - esso consente
solo la costituzione
di società miste; possibilità che, altrimenti, sarebbe
vietata (ai sensi del
comma 4 del citato art. 9-bis, “Al di fuori dei programmi di
sperimentazione di
cui al presente articolo, è fatto divieto alle aziende del
Servizio sanitario
nazionale di costituire società di capitali aventi per oggetto
sociale lo
svolgimento di compiti diretti di tutela della salute”). Ma non
permette certo
l’affidamento diretto del servizio alla società stessa.
Diversamente opinando
si tratterebbe di norma da disapplicare siccome contraria ai principi
del
Trattato.
Non risulta risolutivo, in favore dell’appellante, nemmeno l’intervento
dell’art. 13, commi 1 e 2, del d.l. n. 223/2006, convertito, con
modificazioni,
dalla l. n. 248/2006 (così detto decreto Bersani), secondo cui
le società a
capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle
amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni
e
servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della
loro attività,
con esclusione dei servizi pubblici locali:
- devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti
o
affidanti (viene fissata, quindi, la regola dell’esclusività, in
luogo di
quella della prevalenza);
- non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici
o
privati, né in affidamento diretto né con gara, e non
possono partecipare ad
altre società o enti;
- sono a oggetto sociale esclusivo.
E’ sufficiente rilevare che l’oggetto sociale esclusivo non va inteso
come
divieto delle società così dette multiutilities,
ma rafforza la regola
dell’esclusività evitando che dopo l’affidamento la
società possa andare a fare
altro (Cons. Stato, sez. III, 25 settembre 2007, n. 322 e sez. II, 18
aprile
2007, n. 456). E comunque, diversamente da quanto prospettato
dall’appellante,
data la differenza del fenomeno “società mista” rispetto a
quello dell’in
house providing, il disposto del comma 2 del citato art. 13 -
secondo cui
le società miste “sono ad oggetto sociale esclusivo e non
possono agire in
violazione delle regole di cui al comma 1” - non ha dato luogo a quel
“controllo analogo” che legittima l’affidamento diretto.
15. Alla luce di quanto statuito dall’adunanza plenaria, che ha
evidenziato
l’irrilevanza delle norme invocate anche perché non consentono
l’affidamento
diretto del servizio, vengono meno alla radice le condizioni per
disporre il
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’U.E. con riguardo
agli artt.
13 del d.l. n. 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla l. n.
248/2006, e
9-bis del d.lgs. n. 502/1992, così come richiesto
dall’appellante.
16. Il ricorso in appello, pertanto, deve essere respinto. Le spese
del
giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensate. Non vi
è luogo
a provvedere sulle spese nei confronti dei soggetti appellati non
costituiti.
Per questi motivi
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (adunanza plenaria)
respinge il
ricorso in appello.
Compensa tra le parti le spese del giudizio. Nulla spese nei confronti
dei
soggetti appellati non costituiti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma il 10 dicembre 2007 dal Consiglio di Stato,
in sede
giurisdizionale (adunanza plenaria), in camera di consiglio, con
l’intervento
dei signori:
Paolo Salvatore - presidente del Consiglio di Stato
Raffaele Iannotta - presidente di sezione
Giovanni Ruoppolo - presidente di sezione
Raffaele Carboni - consigliere
Costantino Salvatore - consigliere
Luigi Maruotti - consigliere
Carmine Volpe - consigliere, estensore
Pier Luigi Lodi - consigliere
Giuseppe Romeo - consigliere
Paolo Buonvino - consigliere
Cesare Lamberti - consigliere
Aldo Fera - consigliere
Antonino Anastasi - consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il...03/03/2008....
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
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