Giurisprudenza - Ambiente |
Tar Emilia – Romagna, sez, staccata di Parma, sent. n. 235 del 27 aprile 2001, sul regime giuridico di un impianto di recupero di rifiuti speciali non pericolosi R E P U B B L I C A I T A L I A N A
contro - Provincia di Piacenza, in persona del Presidente della Giunta Provinciale p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Vittorio SILVA ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Eugenia MONEGATTI ZILIOTTI, in Parma, piazza Garibaldi n.17; - Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente dell’Emilia Romagna – A.R.P.A. – in persona del Direttore Generale p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Cesare CATURANI ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Elena TEDESCHI, in Parma, via Padre Onorio n.1 e nei confronti del Comune di Piacenza, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Elena VEZZULLI e dall’Avv. Daniela CRIPPA entrambi dell’Ufficio Legale Comunale ed elettivamente domiciliato presso la Segreteria del T.A.R., in Parma, piazzale Santafiora n.7; e con l’intervento “ad opponendum” dei sigg. Giuseppe MALVERMI, Diego GIRANDOLA, Piero FERRI, Attilio BISI, Roberto CALAMARI, Carlo LOMBARDI, Davide PRAZZOLI, Cesare PRAZZOLI, Marco BIANCHI, Andrea TARGA, Cristina CERMIGNANI TARGA, Mariangela MOLINARI FRESA, Rosa TRAVERSI e Fabrizio BOZZARELLI, tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Umberto FANTIGROSSI e dall’Avv. Marcello ZIVERI ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Parma, borgo Tommasini n.18. per l’annullamento previa sospensiva, della determinazione dirigenziale della Provincia di Piacenza n.1057 del 1/9/2000, contenente il divieto di installazione di un impianto di trattamento per il recupero di rifiuti speciali non pericolosi e di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali e, in particolare, della nota dell’A.R.P.A., sez. Prov.le di Piacenza in data 5/7/2000 prot. n. 7498 P.PC ed allegato rapporto e della nota provinciale 21/8/2000 prot. n.40756. Visto il ricorso con i relativi allegati e il ricorso per motivi aggiunti depositato il 13/10/2000; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione Provinciale di Piacenza, dell’A.R.P.A. dell’Emilia Romagna e del Comune di Piacenza; Visto l’atto d’intervento “ad opponendum” dei controinteressati indicati in epigrafe; Viste le memorie presentate dalle parti, a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 3/4/2001, il dr. Umberto GIOVANNINI; uditi, altresì, l’Avv. QUAGLIA per la società ricorrente, l’Avv. SILVA per l’Amministrazione Provinciale di Piacenza, l’Avv. VEZZULLI per il Comune di Piacenza, l’Avv. CATURANI per l’A.R.P.A. della Regione Emilia Romagna e l’Avv. FANTIGROSSI per i soggetti intervenuti “ad opponendum”. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: La Ecozoo s.r.l., con istanza in data 8/6/1998, chiedeva alla Provincia di Piacenza l’autorizzazione alla gestione di un impianto mobile di trattamento per il recupero di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da ceneri pesanti e scorie da impianti di termodistruzione di rifiuti solidi urbani, ai fini dell’ottenimento di un fac simile di calcestruzzo da utilizzare nell’edilizia per la realizzazione di strutture e manufatti. La Provincia di Piacenza, con determinazione dirigenziale n.437 del 31/3/1999, previa acquisizione del parere dell’A.R.P.A., adottava l’autorizzazione di competenza, ai sensi dell’art. 28, comma 7, del D. Lgs. n.22 del 1997. La stessa Amministrazione, peraltro, con nota in data 8/10/1999, chiedeva a Ecozoo s.r.l. di presentare istanza di integrazione della predetta autorizzazione, corredando il progetto con la parte degli impianti relativi alla fase di “pretrattamento delle scorie di R.S.U.”, precisando che anche tale parte dell’impianto avrebbe dovuto presentare peculiarità di impianto di tipo mobile. La Provincia, a seguito dell’integrazione della richiesta da parte della ricorrente e di un ulteriore parere reso dall’A.R.P.A. in data 22/11/1999, adottava, con determinazione dirigenziale n.1669 del 20/12/1999, l'autorizzazione anche per la predetta parte dell’impianto. Successivamente, la ricorrente eseguiva opere edilizie consistenti nel rifacimento di impianti e della pavimentazione e nella realizzazione delle vasche per la raccolta delle acque. In data 21/4/2000 la Ecozoo s.r.l. comunicava al Comune di Piacenza che, a sua volta, lo comunicava alla Provincia, il sito prescelto per lo svolgimento della campagna di attività, con riferimento alla fase di pretrattamento del processo, indicando lo stabilimento esistente dell’ex Calcementifera Eridana. Dopo un nutrito scambio di corrispondenza tra la ricorrente, l’A.R.P.A. e la Provincia di Piacenza, in data 21/8/2000 quest’ultimo Ente, con nota prot. n. 40756, contestava alla società l’installazione dell’impianto prima del decorso del termine di 60 giorni di cui all’art. 28, comma 7, del D. Lgs. n.22 del 1997. In data 1/9/2000, infine, la dirigente responsabile del Servizio Ambiente della Provincia emetteva la determinazione impugnata, con la quale si disponeva “il divieto di installazione e di funzionamento dell’impianto mobile per il trattamento e il recupero di rifiuti speciali di cui trattasi così come realizzato dalla Ditta Ecozoo s.r.l. in località Case di Rocco del Comune di Piacenza”. In sostanza, la Provincia di Piacenza, con tale determinazione, ha vietato l’attività della ricorrente sulla base dei poteri ad essa conferiti dallo stesso 7° comma dell’art.28 del D. Lgs. n.22 del 1997, secondo cui la Provincia “può vietare l’attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell’ambiente o della salute pubblica”. Secondo la ricorrente, tale determinazione dirigenziale e gli altri atti indicati in epigrafe sono illegittimi per i seguenti motivi in diritto. 1) - Violazione e falsa applicazione dell’art. 28, comma 7, del D. Lgs. n.22 del 1997; Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti; Il primo argomento che è stato adottato dalla Provincia di Piacenza per assumere il provvedimento impugnato è costituito dall’affermazione secondo cui l’impianto in oggetto non presenterebbe i requisiti di mobilità che giustificano l’autorizzazione di cui all’art. 28, comma 7, del D. Lgs n.22 del 1997. Tale assunto è errato perché l’impianto in questione è costituito di due parti: la prima, da considerarsi prevalente, è relativa alla trasformazione delle scorie in calcestruzzo ed ha luogo su una centrale di betonaggio denominata “Mark”. Tale parte è pacificamente mobile in quanto il prodotto primario deve essere elaborato presso l’utente che lo utilizzerà. Egualmente mobile è, peraltro, anche la seconda parte dell’impianto, costituita dal complesso dei macchinari attraverso i quali viene compiuto il pre trattamento delle scorie. Si tratta, infatti, degli impianti di lavaggio, selezione e depurazione dei residui dell’incenerimento dei R.S.U. che sono costituiti da macchinari mobili, non infissi nel suolo ma soltanto poggiati su di esso mediante “slittoni” che ne consentono l’agevole trasferimento. Non fanno parte dell’impianto, invece, ma delle caratteristiche del sito individuato per la localizzazione dell’impianto di pre trattamento, sia lo stabilimento industriale esistente sia le vasche per la decantazione delle scorie. 2) - Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 28, comma 7 del D.Lgs. n.22 del 1997; Eccesso di potere per contraddittorietà e mancanza di motivazione; Sulla base della documentazione fornita dalla ricorrente, su richiesta dell’Amministrazione Provinciale, quest’ultima , previo parere reso dall’A.R.P.A. di Piacenza, autorizzava, con determinazione dirigenziale n. 1669 del 20/12/1999, la “fase di pretrattamento dei rifiuti destinati all’impianto già oggetto dell’autorizzazione n.437 del 31/3/1999. Pertanto, sul presupposto che l’impianto realizzato non presenti sostanziali modifiche rispetto al processo progettato, è evidente che le vasche erano previste sin dall’inizio e che gli impianti non mutano il loro carattere di mobilità per il fatto che, anziché su ruote, siano montati su “slittoni”, trattandosi comunque di impianti appoggiati sul suolo e, come tali, agevolmente trasportabili. E’evidente, pertanto, la contraddittorietà insita nel giudizio dell’Amministrazione Provinciale e dell’A.R.P.A. rispetto a quanto in precedenza era stato esattamente valutato e qualificato quale impianto mobile e l’inidoneità della motivazione del provvedimento impugnato a sostenere la fissità dell’impianto in questione. 3) – Eccesso di potere per carenza d’istruttoria e mancanza di motivazione; Il provvedimento impugnato, sebbene menzioni tra i propri presupposti, le osservazioni trasmesse dalla Ecozoo s.r.l. in data 1.8.2000, volte a dimostrare la natura mobile dell’impianto, non ne esamina in alcun modo i contenuti, né contiene alcuna considerazione idonea a smentire gli elementi tecnici portati a chiarimento dalla Società. 4) – Falsa applicazione dell’art. 28, comma 7, del D. Lgs. n.22 del 1997; Eccesso di potere per carenza dei presupposti; E’ stato contestato alla ricorrente di avere installato l’impianto in questione prima della scadenza del termine di sessanta giorni, previsto dalla norma richiamata in rubrica, ma ciò non risponde al vero, in quanto la disposizione in parola intende evidentemente riferirsi alla concreta attivazione dell’impianto e non alla mera collocazione dello stesso sul sito prescelto. 5) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 28 comma 7 del D.Lgs. n.22 del 1997; Falsa applicazione del piano territoriale di coordinamento provinciale; Eccesso di potere per sviamento; La determinazione dirigenziale impugnata assume quale ulteriore presupposto, la presunta violazione delle previsioni del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale entrato in vigore in data 9/8/2000. Tale assunto è privo di fondamento, sia perché la localizzazione e l’autorizzazione di impianti mobili di smaltimento e di recupero di rifiuti costituiscono momenti non soggetti ad un giudizio di compatibilità rispetto agli strumenti urbanistici che certamente non regolano attività che non comportano, per loro natura, forme di trasformazione edilizia o urbanistica del territorio, sia perché, nel caso in esame, il presunto intervento è andato a collocarsi all’interno di un’area già destinata ad attività produttiva, mediante l’esecuzione di minimi interventi edilizi di manutenzione, certamente ammissibili. Inoltre, il potere esercitato dalla Provincia nel caso in esame, è del tutto estraneo rispetto alle difformità di natura urbanistica che si sono intese reprimere. 6) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 16 delle N.T.A. del P.T.C.P.; Eccesso di potere per travisamento dei fatti; L’impianto di cui si discute, consistendo in un impianto di recupero rifiuti non è qualificabile quale impianto di trattamento rifiuti, per cui non sussiste il contrasto con la disposizione sopra rubricata che specificamente non consente, nelle zone C2 la localizzazione di impianti del secondo tipo. Infatti, mentre con il termine trattamento s’intende la lavorazione di rifiuti per consentire la loro adattabilità, sempre come rifiuti, a destinazioni più appropriate, con il termine recupero si intende la lavorazione dei rifiuti al fine di una loro trasformazione in un prodotto primario da reinserire nel ciclo produttivo. 7) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 28, comma 7, del D. Lgs. n.22 del 1997; Eccesso di potere per sviamento; Il presupposto del potere esercitato, ovverosia l’incompatibilità degli impianti con la tutela dell’ambiente o della salute pubblica, non soltanto nella fattispecie non si configura, ma, nel provvedimento impugnato, non viene né indicato né motivato. E’ evidente, pertanto, che il potere in oggetto è stato esercitato in assenza dei presupposti di legge ed in funzione del perseguimento di finalità del tutto estranee agli scopi indicati dalla legge all’Amministrazione. 8) – Violazione dei principi che garantiscono l’affidamento del cittadino nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione; Eccesso di potere per contraddittorietà; Emerge con evidenza dalla vicenda descritta e dalla documentazione prodotta che, nella fattispecie, per più di un anno l’Amministrazione Provinciale e, con essa, l’A.R.P.A., Sezione Provinciale di Piacenza, che si è sempre espressa favorevolmente, hanno fatto sorgere in capo ad Ecozoo s.r.l. l’affidamento che l’innovativo progetto dalla stessa elaborato avrebbe potuto essere realizzato. Il recente mutamento d’indirizzo dell’Amministrazione Provinciale – determinato da fattori estranei alle caratteristiche degli impianti ed alla bontà della tecnologia – configura un’evidente immotivata lesione dell’affidamento del cittadino, dando luogo ad un’evidente illegittimità degli atti impugnati per contraddittorietà. 9) – Eccesso di potere per sviamento; Le ragioni reali del comportamento dell’Amministrazione Provinciale, sono da ricercarsi nella pressione politica che è stata esercitata da vari soggetti sugli amministratori pubblici al fine di ostacolare l’avvio dell’attività di recupero rifiuti, per cui è evidente che un siffatto modo di esercitare la funzione amministrativa configura una fattispecie tipica di eccesso di potere per sviamento. Con ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 5 e 9 ottobre 2000 e depositato in data 13/10/2000, la società ricorrente, impugna anche i seguenti atti, asseritamente acquisiti in occasione della Camera di Consiglio del 26/9/2000: a) parere A.R.P.A. in data 1/9/2000; b) parere del Comune di Piacenza in pari data. Avverso tali pareri la ricorrente non formula nuove censure, limitandosi a riprodurre e a sviluppare ulteriormente i mezzi d’impugnazione introdotti con il ricorso principale - Con memoria depositata in data 19/3/2001, la difesa della società ricorrente, ribadite ed ulteriormente svolte le considerazioni evidenziate nell’atto introduttivo del giudizio, conclude con richiesta di accoglimento del ricorso e di condanna delle controparti al pagamento delle spese e degli onorari relativi al presente processo. § § § L’Amministrazione Provinciale di Piacenza, costituitasi in giudizio, con analitico controricorso e con successiva memoria depositata in data 20/3/2001, ritenendo infondato il ricorso, ne chiede la reiezione, vinte le spese. Anche l’A.R.P.A. – Agenzia Regionale Prevenzione Ambiente della Regione Emilia – Romagna, costituitasi in giudizio in data 7/12/2000, con successiva memoria depositata in data 23/3/2001, chiede la reiezione del ricorso, con vittoria di spese. Si è infine costituita l’Amministrazione Comunale di Piacenza che, con controricorso depositato in data 22/9/2000 e successiva memoria del 23/3/2001, ritenendo infondato il ricorso, ne chiede la reiezione, con il favore delle spese. In data 22/3/2001, alcuni cittadini residenti nelle vicinanze dell’area in cui è stato localizzato l’impianto di cui è causa, hanno depositato atto d’intervento “ad opponendum”, aderendo anch’essi alla richiesta di reiezione del ricorso. § § § Alla pubblica udienza del 3/4/2001, la causa è stata chiamata e, su richiesta delle parti, è stata trattenuta per la decisione, come da verbale. La ricorrente ha impugnato, inoltre, la nota della Sezione Provinciale di Piacenza dell’A.R.P.A. n.7498/80 P.PC del 5/7/2000, con l’allegato rapporto e la nota dell’Amministrazione Provinciale di Piacenza prot. n.40756 del 21/8/2000 e, con motivi aggiunti di ricorso, la nota dell’A.R.P.A. e il parere del Comune di Piacenza; atti ambedue adottati in data 1/9/2000. In via preliminare, il Tribunale ritiene di dover esaminare la posizione processuale dei soggetti intervenuti “ad opponendum” in prossimità dell’udienza di merito. Il Collegio osserva che non risulta essere stata smentita in atti o in udienza, l’affermazione dei soggetti intervenuti di risiedere nelle vicinanze dell’area in cui è localizzato l’impianto di trattamento dei rifiuti, per cui, in considerazione della ritenuta valenza, in materia ambientale, del criterio della “vicinitas”, deve ritenersi ammissibile la partecipazione dei suddetti cittadini al presente giudizio, a tutela del bene ambiente e, correlativamente, dei propri interessi che risulterebbero concretamente incisi dall’annullamento della determinazione impugnata (v. T.A.R. Veneto, sez. 1^, 16/12/1998 n.2509). Scendendo nel merito della causa, il Collegio deve osservare che risulta incontroverso – tra le parti – che la gravata determinazione dirigenziale sia stata adottata in applicazione dei poteri attribuiti alla Regione (in Emilia Romagna alle Amministrazioni Provinciali, in virtù della delega a tali Enti da parte della Regione) dalla disposizione di cui all’ultima proposizione del comma 7 dell’art. 28 del D. Lgs. n.22 del 1997, secondo la quale tale Ente “può vietare l’attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell’ambiente o della salute pubblica”. Le motivazioni che sorreggono il provvedimento principalmente impugnato possono essere ricondotte, sostanzialmente, ai seguenti punti, cosi come sono stati evidenziati anche nell’atto introduttivo del giudizio (pag. 10): a) l’impianto di pretrattamento delle scorie non presenta carattere di mobilità; b) l’impianto è stato installato prima del decorso del termine di legge di sessanta giorni; c) l’impianto si pone in contrasto con le previsioni del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, entrato in vigore in data 9/8/2000. Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato in quanto la determinazione dirigenziale impugnata legittimamente si sorregge sugli autonomi capi di motivazione indicati sub a) e sub c), che risultano immuni, per le considerazioni di seguito esposte, dalle censure prospettate dalla ricorrente. Ad avviso del Collegio, la fondamentale questione di diritto su cui è imperniata l’intera vicenda è costituita dall’accertare se l’impianto della ricorrente installato in località Case di Rocco a Piacenza abbia le caratteristiche di impianto fisso o di impianto mobile di smaltimento o di recupero di rifiuti. Solo quest’ultima tipologia di impianti, infatti, può beneficiare, in ragione del tenue e soprattutto provvisorio impatto con l’ambiente circostante il sito d’installazione, del semplificato e celere regime autorizzatorio previsto dall’art. 28, 7° comma del D. Lgs. 5/2/1997 n.22, secondo il quale “Gli impianti mobili di smaltimento o di recupero, ad esclusione della sola riduzione volumetrica, sono autorizzati in via definitiva dalla regione ove l’interessato ha la sede legale o la società straniera proprietaria dell’impianto ha la sede di rappresentanza. Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale l’interessato, almeno sessanta giorni prima dell’installazione dell’impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività…”. Ritiene il Collegio, che nel predisporre tale semplificato regime autorizzatorio, in una materia di estrema delicatezza quale è in via generale quella ambientale e, più in particolare, il settore del trattamento dei rifiuti, il legislatore statale abbia inteso ricondurre ad esso esclusivamente quegli impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti che siano “mobili” in senso funzionale e cioè che non solo siano “facilmente amovibili” dal sito prescelto ma che si pongano anche in rapporto del tutto precario e, quindi, ben delimitato temporalmente, con il suddetto luogo e con l’ambiente circostante. Non a caso, infatti, la disposizione sopra richiamata prevede che – dopo avere ottenuto l’autorizzazione dell’impianto “mobile” - l’impresa comunichi di volta in volta alla Regione competente territorialmente il sito da essa prescelto per la sua installazione. Le suesposte finalità della disposizione trovano poi ampia conferma nell’espresso riferimento, nella stessa contenuto, alla “campagna di attività” da svolgersi da parte dell’impresa gerente l’impianto mobile autorizzato. La “campagna di attività” consiste essenzialmente in un programma di lavoro, con il quale l’impresa che gestisce l’impianto mobile deve comunicare all’autorità amministrativa competente l’entità (in termini di qualità e quantità della produzione) e la durata dell’impegno del sito da parte dei macchinari mediante i quali si svolge l’attività di trattamento dei rifiuti e, pertanto, deve ritenersi che mediante tale riferimento il legislatore statale, oltre ad avere chiaramente delimitato temporalmente la permanenza in loco dell’impianto mobile, ha implicitamente escluso dalla categoria degli impianti mobili”, quelle strutture che, ancorché facilmente amovibili dal luogo d’installazione, sono concretamente destinate – in mancanza di comunicazione della “campagna di attività” da parte dell’impresa - ad operare permanentemente in un sito. Sulla base del concetto di impianto mobile emerso dalle considerazioni che precedono, occorre ora individuare quali caratteristiche abbia l’impianto installato dalla ricorrente. Nessuna questione pare sussistere riguardo a quella parte d’impianto costituita dalla centrale semovente di betonaggio “Mark”, con il quale la società ricorrente, posizionando di volta in volta tale macchinario presso i vari cantieri edili, fornisce a questi, mediante miscelazione del rifiuto pre trattato con particolari additivi, un prodotto similare al calcestruzzo. Anzi, secondo le considerazioni sopra esposte, tale centrale di betonaggio rappresenta un concreto esempio di ciò che il legislatore statale ha inteso per impianto mobile, risultando determinante, a tale proposito, che essa risulti impiegata presso i diversi cantieri in cui è necessaria la produzione del calcestruzzo solo limitatamente alla durata della “campagna di attività” che, in questo caso, non può che coincidere, quale periodo massimo, con la durata di apertura del cantiere edile. Peraltro, tale impianto non costituisce che la parte funzionalmente terminale di quella ben più complessa struttura per la quale, in tempi diversi, è stata richiesta ed ottenuta l’autorizzazione provinciale ex art. 28, 7° comma D. Lgs. n.22 del 1997 da parte della società ricorrente. La trasformazione delle scorie risultanti dalla termodistruzione dei rifiuti solidi urbani in prodotto similare al calcestruzzo presuppone, infatti, una fase di pre-trattamento del rifiuto che non può essere eseguita presso i vari cantieri, ma che deve essere svolta, tramite apposito impianto localizzato nel sito che è stato indicato dalla società ricorrente alla Provincia di Piacenza ai sensi, come si è visto, del procedimento post autorizzativo delineato dal citato 7° comma dell’art. 28. Il Collegio deve osservare, in riferimento a tale rilevante parte del complessivo impianto di trattamento e di recupero di rifiuti, che essa ha caratteristiche di impianto fisso, in quanto, a ben vedere, mentre ben a poco rileva che i macchinari siano poggiati su ruote o su “slittoni” e che, quindi, l’impianto di pre trattamento risulti più o meno facilmente amovibile, ben diversa importanza deve essere attribuita al fatto che, riguardo ad esso, non sia stata indicata dall’impresa ricorrente, mediante comunicazione della “campagna di attività”, l’entità e la durata dell’impegno del sito, dovendosi perciò da tale fatto necessariamente trarre la conclusione che l’impianto in questione fosse funzionalmente destinato ad operare a tempo indeterminato nel sito sopra precisato. Il Collegio deve inoltre osservare che siffatta caratteristica di fissità o, più rettamente, di “stabilità” dell’impianto di pre trattamento dei rifiuti in questione, risulta confermata dal fatto che quest’ultimo consiste, oltre che in macchinari per la selezione e la depurazione dei rifiuti, anche in vasche in cemento per la decantazione delle scorie e nello stabilimento (già esistente) utilizzato quale deposito delle scorie di R.S.U. da trattare. Ritiene il Collegio che tali opere non possano essere considerate estranee all’impianto in questione, come erroneamente sostenuto da parte ricorrente, in quanto, specialmente con riferimento alle vasche in cemento, esse costituiscono parte integrante del processo di trattamento del rifiuto finalizzato alla successiva trasformazione delle scorie in calcestruzzo. La presenza di dette vasche conferma, pertanto, la vocazione dell’impianto di pre-trattamento dei rifiuti ad operare stabilmente nel sito in cui esse sono state realizzate. L’accertata fissità di detto impianto comporta che lo stesso non poteva essere autorizzato secondo il procedimento di cui all’art.28, 7° comma, del D. Lgs. n.22 del 1987, ma secondo la ben più complessa e rigorosa procedura prevista dall’art.27 dello stesso decreto, con la quale, mediante la convocazione di una conferenza di servizi tra gli enti interessati ed il soggetto richiedente l’autorizzazione, la richiesta di localizzazione dell’impianto fisso è sottoposta alle necessarie approfondite valutazioni circa la compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali. In tale contesto normativo, pertanto, risulta legittimo il gravato divieto imposto dall’Amministrazione Provinciale di Piacenza, in quanto l’impianto della società ricorrente poteva essere autorizzato unicamente in base all’ordinaria procedura, non avendo esso caratteristica di mobilità se non per una parte (la betoniera semovente) che, peraltro, nemmeno è destinata ad operare sul sito indicato nella richiesta di localizzazione dell’impianto. E’ appena il caso di rilevare, poi, che dalla accertata fissità dell’impianto “de quo” non possa derivare che le autorizzazioni provinciali rilasciate allo stesso in data 31/3/1999 e in data 20/12/1999 quale impianto mobile ai sensi dell’art. 28, 7° comma, D. Lgs. n.22 del 1997 possano valere implicitamente anche quale autorizzazione ex art. 27 dello stesso decreto, poiché ciò, anche a non volere considerare la questione relativa alla configurabilità di un’autorizzazione implicita in materia di impianti di smaltimento e recupero rifiuti, porterebbe alla conclusione – di per sé illogica e palesemente in contrasto con la “ratio” della citata normativa – di dovere ritenere “inutiliter datum” o comunque facilmente eludibile l’ordinario regime autorizzatorio degli impianti di smaltimento e di recupero rifiuti di cui all’art. 27 del D. Lgs. n.22 del 1997. Dal riconosciuto carattere di fissità dell’impianto discende, invece, ad avviso del Collegio, la legittimità del motivo, precedentemente rubricato sub c), che altresì sorregge la gravata determinazione provinciale. La struttura in questione, infatti, nel complesso dei suoi componenti, è un impianto fisso di trattamento e di recupero dei rifiuti che in parte ricade in zona A del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale riguardante “Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua” e in parte in zona denominata C di “Rispetto dell’ambito fluviale”. Secondo le prescrizioni di cui agli artt. 14 e 16 delle N.T.A. del suddetto P.T.C.P., in entrambe tali zone non è consentita la localizzazione di impianti di trattamento di rifiuti, per cui l’impianto della ricorrente non poteva essere installato in tale area. Occorre inoltre precisare che non pare condivisibile l’assunto della ricorrente secondo cui l’impianto in oggetto non sarebbe un impianto di trattamento rifiuti, bensì di recupero rifiuti. Ad argomentato supporto di tale asserzione, la società istante sostiene che “…mentre con il termine trattamento si intende la lavorazione di rifiuti per consentire la loro adattabilità, sempre come rifiuti, a destinazioni più appropriate – ad esempio le scorie che vengono trattate per essere poi smaltite in discarica – con il termine - recupero - si intende la lavorazione dei rifiuti al fine di una loro trasformazione in prodotto primario da reinserire nel ciclo produttivo.”. Il Collegio deve osservare, in proposito e contrariamente a tale tesi, come il concetto di “impianto di trattamento rifiuti”, contenuto in un piano a valenza ambientale oltre che urbanistica qual è il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (v. art. 2 L:R. n. 6 del 1995), debba necessariamente essere inteso, in un’ottica di rigorosa tutela di un equilibrato assetto del territorio provinciale, nel senso che tale definizione comprenda tutte quelle strutture che “trattano” ovverosia sottopongono a lavorazione il rifiuto. E’ principalmente in riferimento a tale fase di lavorazione, infatti, che possono sorgere gravi problemi di compatibilità dell’impianto con il territorio in cui esso è stato localizzato e, pertanto, al precipuo fine di evitare siffatti inconvenienti, si è reso necessario – riguardo a determinate e ben delimitate zone o a rischio di esondazione (zone A) o relativamente alle quali la falda è piu vulnerabile (zone C) – impedire che vi si svolga in genere attività di trattamento di rifiuti, essendo del tutto irrilevante, in riferimento a siffatte primarie esigenze, la tipologia di prodotto finale che uscirà dalla lavorazione dei rifiuti (ulteriore rifiuto o altro prodotto di recupero). Il Collegio deve infine osservare come si palesa infondata la censura di omessa motivazione del provvedimento impugnato, sollevata dalla ricorrente in riferimento alla asserita mancata indicazione delle ragioni per le quali l’Amministrazione Provinciale ha ritenuto l’impianto di cui trattasi incompatibile con la tutela dell’ambiente o della salute pubblica. Ritiene il Collegio, che l’accertata caratteristica di fissità della struttura in questione e, quindi, la mancanza della autorizzazione, necessaria per tale tipologia di impianti, ex art. 27 D. Lgs. n.22 del 1997 e dell’annessa approfondita valutazione di compatibilità ambientale dell’impianto con il sito prescelto, unitamente al rilevato contrasto della localizzazione in questione con le sopra riportate disposizioni N.T.A. del P.T.C.P., costituiscono congrue e pregnanti motivazioni di ordine ambientale che supportano il gravato divieto. Per le ragioni suesposte, risultando legittimi, in quanto immuni dai vizi rilevati dalla ricorrente, due degli autonomi motivi su cui si sorregge la determinazione impugnata, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza ed esse sono liquidate come indicato in dispositivo. Condanna la società ricorrente, quale parte soccombente nel presente giudizio, al pagamento delle spese processuali e degli onorari legali che liquida per l’importo onnicomprensivo di £. 17.000.000 (diciassette milioni) oltre I.V.A. e C.P.A., da corrispondersi nella misura di £. 5.000.000 (cinque milioni) oltre I.V.A. e C.P.A. in favore di ciascuna delle resistenti amministrazioni: Provincia di Piacenza, A.R.P.A. e Comune di Piacenza e nella misura di £. 2.000.000 (due milioni), oltre I.V.A. e C.P.A., nei confronti dei soggetti intervenuti “ad opponendum”. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa. Così deciso in Parma, nella camera di consiglio del 3 aprile 2001. f.to Gaetano Cicciò Presidente f.to Umberto Giovannini Primo Referendario Rel.Est. Depositata in Segreteria ai sensi dell’art.55 L.18/4/82, n.186. Parma, lì 27/04/2001 Il Segretario f.to Eleonora Raffaele |
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