Giurisprudenza - Ambiente
sezione diretta dall'Avv. Marinella Montanari


TAR Piemonte, sez. I, 25/9/2009 n.2292, sulla legittimazione delle associazioni ambientaliste 

FATTO
1. 1. Con il ricorso in epigrafe, avviato alla notifica ex art. 3, L. n. 53/1994 il 12.11.2008, è impugnata la determinazione del dirigente della Provincia di Alessandria del 7.8.2008 con la quale è stata rilasciata l’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, previa conferenza di servizi, per la costruzione di un impianto di cogenerazione alimentato a biomasse vegetali da localizzare in Comune di Voltaggio nel sito occupato dalla ex cartiera di Voltaggio.
Ricorrenti risultano essere in primo luogo un’associazione costituita da nove persone, alcune delle quali residenti a Milano e in Provincia di Genova, sorta con atto notarile il 25 ottobre 2008 cioè 18 giorni prima della notifica del ricorso (doc. 1 ricorrenti). Finalità primaria dell’associazione è “un controllo democratico ed efficace del territorio, favorendo la partecipazione diretta degli abitanti e delle associazioni, monitorando l’operato delle istituzioni”. Altre finalità sono poi elencate all’art. 2, figurandovi il “rilanciare le attività economiche e produttive, agricole, manifatturiere, commerciali e di servizi (…) favorire una riconversione abitativa dei manufatti architettonici”, “salvaguardare il patrimonio culturale, artistico, ambientale e paesaggistico”.
Compongono poi la compagine ricorrente sette cittadini, per lo più portanti gli stessi cognomi, residenti in comune di Voltaggio.
1.2. Il ricorso è affidato a tre motivi, con il primo dei quali si denuncia, articolandosi due sub censure, violazione del combinato disposto degli artt. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e 10 della L. Reg. Piemonte n. 40/1998, nonché dell’art. 269 del Testo unico ambientale di cui al d.lgs. n. 152/2006, lamentandosi la mancata sottoposizione del progetto in causa alla procedura di verifica di cui all’art. 10 del L. Reg. Piemonte n. 40/98 e l’omessa descrizione del tipo, quantità e caratteristiche merceologiche dei combustibili da utilizzare; con il secondo si contesta la natura di sottoprodotto dei prodotti di cui si prevede l’impiego nel ciclo di funzionamento dell’impianto.
Con il terzo motivo si deduce difetto di istruttoria e motivazione, illogicità, contraddittorietà e sviamento perché non si rinverrebbe nei documenti presentati dalla controinteressata un progetto di “tele calore”, né verrebbe descritta l’estensione dell’area interessata dall’impianto.
Con il quarto mezzo, diretto contro l’atto di approvazione della Comunità Montana Val di Lemme, si eccepisce che in realtà il progetto non supera le perplessità iniziali, avanzate dal Responsabile dell’Ente ed è carente di motivazione e di istruttoria per aver disatteso il contrario parere di regolarità tecnica senza i necessari approfondimento.
2. Si costituiva in giudizio, in vista dell’Udienza pubblica del 4.12.2008, la Provincia di Alessandria con memoria depositata il 3.12.2008. Si costituiva pure la controinteressata Voltaggio Energia s.r.l. (infra, breviter, Voltaggio) con ampia memoria depositata il 28.11.2008.
Parte ricorrente, dopo aver depositato il 1.12.2008 istanza di rinvio dell’Udienza, interponeva atto per motivi aggiunti, per integrazione del contraddittorio e per nuova istanza cautelare depositato il 9.1.2009. I motivi aggiunti saranno illustrati appresso, in uno con il loro singolo specifico scrutinio.
La Provincia depositava ulteriore memoria difensiva il 28.1.2009. A sua volta parte ricorrente depositava memoria il 26.1.2009 e la controinteressata implementava e sue tesi difensive con ulteriore memoria depistata il 27.1.2009.
Si costituiva anche il Comune di Voltaggio, che poi in esito alla deliberazione della neo nominata Giunta comunale n. 40/2009, frutto dei nuovi comizi elettorali del 6.6.2009, revocava per mutati intendimenti politici, l’incarico all’avv. De Bartolo.
Spiegava inoltre intervento ad adiuvandum, con atto notificato il 29.5.2009 e depositato il successivo 9.6.2009, la Legambiente Onlus, Comitato Regionale del Piemonte e Valle d’Aosta, che pure aveva partecipato alla conferenza di servizi finalizzata al rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12, d.lgs. n. 387/2003 e che pertanto aveva l’onere di impugnare autonomamente i provvedimenti nel termine decadenziale.
La provincia di Alessandria depositava ulteriore memoria il 19.6.2009 mentre la controinteressata la depositava in data 11.6.2009 e i ricorrenti il 19.6.2009.
Pervenuto l’affare alla pubblica Udienza del 2 luglio 2009, il complesso ed ampio materiale di causa, arricchito da copiosa mole di produzioni documentali, udita la discussione dei patroni delle parti, sulla Relazione del Referendario Avv. Alfonso Graziano veniva introitato per la definitiva decisione di merito.
DIRITTO
1. Deve preliminarmente il Collegio darsi cario di scrutinare le eccezioni di inammissibilità dell’azione per difetto di legittimazione al ricorso, sollevate in limine litis dalla controinteressata Voltaggio Energia S.r.l. e distinte per le diverse posizioni dell’Associazione Forum permanente e dei cittadini privati ricorrenti.
Eccepisce in proposito la controinteressata, nella memoria del 28.11.2008, il difetto di legittimazione ad agire dell’associazione Forum permanente degli abitanti e delle associazioni della Val di Lemme, invocando la giurisprudenza imperante in argomento, che richiede che i soggetti collettivi agenti per la tutela del bene ambiente siano costituiti con formalità tali da assicurarne il carattere non meramente occasionale o strumentale, il quale sarebbe ravvisabile là dove l’associazione o il comitato siano composti da un numero esiguo di persone e dunque non dotati di rappresentanza sul piano locale, ciò che lascerebbe trasparire le loro funzione dichiaratamente strumentale all’esercizio di un’azione popolare. Cita sul punto varie decisioni, tra cui T.A.R. Lazio, II, n. 100/2006, T.A.R. Toscana, II, n. 8856/2005, Consiglio di Stato, VI, n. 416/2007.
A parere della Sezione l’eccezione si presta a positiva considerazione e va accolta.
1.2. Va necessariamente richiamato sul punto il noto travaglio teorico che ha attraversato la giurisprudenza amministrativa nel corso degli anni, intorno alla tematica della legittimazione a ricorrere delle associazioni e dei comitati per l’annullamento di provvedimenti amministrativi incidenti su interessi ambientali e paesaggistici. 
Rammenta la Sezione che in argomento la giurisprudenza ha a più riprese acquisito il principio, costituente ormai ius receptum, in ossequio al quale nel processo amministrativo, come in quello civile, salve espresse tassative previsioni di legge, non ha cittadinanza l’azione popolare, intesa a conseguire un mero controllo oggettivo e generalizzato della legittimità dei provvedimenti amministrativi. Non sono ammesse, nel nostro ordinamento fondato sull’interesse legittimo deferenziato e qualificato, sull’interesse a ricorrere e sulla personalità dell’azione, forme di controllo giurisdizionale e generalizzato dell’attività della P.A. 
Più in particolare, in materia di azioni a salvaguardia del bene ambiente va ricordato che mentre è pacifica, perché positivizzata in norma, la legittimazione a ricorrere delle associazioni ambientalistiche riconosciute, in forza del combinato disposto dell’art. 13 e dell’art. 18, co. 5 della L. 18.7.1086 n. 349 istitutiva del Ministero dell’Ambiente, il titolo processuale legittimante delle associazioni non riconosciute va ricercato, con l’ausilio della più avvertita elaborazione del Giudice amministrativo, nel criterio fenomenico e fattuale dello stabile collegamento sul territorio e della rappresentatività dell’ente collettivo.
Va ulteriormente precisato che nel nostro ordinamento opera un duplice sistema di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, nel senso che il potere di individuazione ministeriale, conferito dall'art. 13 della L. 349 del 1986, non esclude il potere del giudice di applicare direttamente la norma di cui all'art. 18, accertando, caso per caso ed ex post, la sussistenza della legittimazione in capo ad una determinata associazione (cfr. sul punto già C.d.S., Sez. VI, 7.2.1996, n. 182).
Rammenta al riguardo la Sezione che il Consiglio di Stato (C.d.S, Sez. Consultiva per gli atti normativi, 25.08.2003, n. 1440/2003) ha anche osservato che "l'ultimo comma dell'art. 118 Cost. - in particolare il principio di sussidiarietà orizzontale - sancisce e conclude un percorso di autonomia non più collegato al fenomeno della entificazione, ma correlato più semplicemente alla società civile e al suo sviluppo democratico a livello quasi sempre volontario".Proprio il riferimento all'art. 118 Cost. rafforza la tesi giurisprudenziale in punto di attribuibilità della legittimazione ad agire ad associazioni diverse da quelle di cui all'art. 13 della legge 1986 n. 349, purché rappresentative dell'interesse azionato (cfr. in argomento C.d.S., sez. IV, 02.10.2006, n. 5760).
1.3. Ma è parimenti convinta la Sezione che il riconoscimento della legittimazione ad agire in giudizio a favore delle associazioni non riconosciute di protezione ambientale non può che predicarsi solo là dove delle stesse sia accertato: 1.il carattere non occasionale o strumentale alla proposizione di una determinata impugnativa; 2.lo stabile collegamento col territorio, consolidatosi nel tempo, che deve presuntivamente escludersi in caso di associazioni costituite pochi giorni prima della proposizione del ricorso; 3.la rappresentatività della collettività locale di riferimento, requisito quest’ultimo, che non può prescindere dalla considerazione, quanto meno indiziaria, del numero delle persone fisiche costituenti l’associazione. 
Ricorda in proposito il Collegio che il Consiglio di Stato, in linea con i principi appena enunciati dal Tribunale, ha di recente statuito che “ai fini della legittimazione a ricorrere di una associazione non riconosciuta o figura soggettiva equivalente, non rientrante nell'elencazione di cui all'art. 13, l. 8 luglio 1986 n. 349 (sistema di accreditamento confermato dall'art. 17 comma 46, l. 15 maggio 1997 n. 127), non è sufficiente allegare che la figura soggettiva abbia fra i suoi scopi statutari la tutela ambientale ed operi nella provincia in cui è posta l'area su cui incide il provvedimento amministrativo contestato o sia stata costituita « appositamente per la tutela dell'area » medesima. La genericità di tale allegazione non consente di ritenere comprovati gli elementi qualificanti in concreto la differenziazione della posizione del soggetto ricorrente, quali, necessariamente, il collegamento stabile con il territorio interessato, cioè consolidatosi obiettivamente in un periodo di tempo significativo, nonché un'azione associativa dotata di adeguata consistenza e di rappresentatività degli interessi che si intendono tutelare, anche con riferimento al numero e alla qualità degli associati, sì da illustrare l'effettività e riferibilità, ad un interesse specificamente delineato, del pregiudizio allegato”.(Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3234). 
Anche avvertita giurisprudenza di prime cure ha disegnato le delineate coordinate ermeneutiche, precisando di recente che “in tema di legittimazione attiva di associazioni e comitati si rende opportuno distinguere tra la legittimazione ex lege delle associazioni di protezione ambientale di livello nazionale riconosciute e l'esigenza di verificare, in concreto e secondo i principi generali, la legittimazione di tutte le altre associazioni, comitati e organismi di livello locale che si assumano portatori d'interessi diffusi di protezione ambientale o storico-culturale; a tal fine, l'accertamento - onde evitare un irragionevole ampliamento della tutela giurisdizionale oltre i confini di una credibile entificazione di tali interessi - deve essere condotto in modo assai rigoroso, avendo riguardo ad una pluralità di indici, riferiti sia alla maggiore o minore risalenza temporale dell'ente, che alla sua comprovata sfera o grado di rappresentatività, alle iniziative ed azioni intraprese per la tutela degli interessi di cui si proclama portatore, all'eventuale consentita partecipazione a procedimenti amministrativi e quindi, in certa misura, al concreto riconoscimento che esso ha ricevuto nello svolgimento dell'azione amministrativa”.(T.A.R. Puglia- Bari, Sez. III, 25 febbraio 2008, n. 324).Merita anche di essere ricordata altra significativa decisione del Giudice d’appello, secondo la quale “deve invece escludersi la legittimazione ad agire dei comitati istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, costituenti una proiezione degli interessi dei soggetti che ne fanno parte, e che quindi non sono portatori in modo continuativo di interessi diffusi radicati nel territorio; diversamente si consentirebbe una sorta di azione popolare, non ammessa dal vigente ordinamento”.(Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 maggio 2005, n. 2534).
Non ravvisa il Collegio ragioni per dissentire dalla ricostruita esegesi del dato normativo. Calando, quindi, le tratteggiate linee esegetiche al caso all’esame, rileva la Sezione intanto che l’associazione Forum permanente è portatrice di un interesse diffuso o adespota, come chiaramente si evince dalla lettera sopra riportata dell’art. 2 dello Statuto, secondo cui essa ha la finalità di “salvaguardare valorizzare e promuovere il patrimonio culturale, artistico, ambientale e paesaggistico”. Il patrimonio ambientale e paesaggistico è infatti res communis omnium e il legame che congiunge l’associazione a tale bene è chiaramente la matrice dell’interesse diffuso o adespota. 
Non è dunque consentito individuare la titolarità in capo all’associazione di alcun interesse differenziato e qualificato, attributi che connotato per pacifico e incontrastato insegnamento l’interesse legittimo. 
Ma l’organismo de quo appare anche orfano del fondamentale requisito della rappresentatività della collettività locale di riferimento, se solo si consideri che è costituito da sole nove persone, alcune delle quali portanti lo stesso cognome.
A nulla varrebbe, al riguardo, opporre che la compagine associativa si è accresciuta nel corso del giudizio per via dell’adesione all’associazione di numerosi altri cittadini del Comune.
La legittimazione al ricorso va infatti acclarata e valutata al momento della proposizione della domanda, non potendo essere presi in considerazioni mutamenti della figura del ricorrente venuti in essere in epoca successiva alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio. Rileva, quindi, unicamente il dato che al momento della proposizione del gravame l’associazione era composta da sole nove persone, elemento che si presta ad essere valutato in chiave indiziaria sub specie del difetto dell’ineludibile requisito della rappresentatività del’ente aggregativo.
Non senza rilievo è poi anche la considerazione che detta associazione è stata costituita il 25 ottobre 2008, ovverosia soli diciotto giorni prima della notifica del ricorso. Scolora dunque considerevolmente il requisito indicato sub 2, ossia lo stabile collegamento con il territorio. Sorge invero non peregrino il dubbio che la costituzione dell’organismo associativo non riconosciuto sia stata strumentale alla proposizione di una ben precisa e specifica iniziativa contenziosa, vale a dire l’impugnazione del provvedimento di autorizzazione alla costruzione della centrale per cui è controversia. L’esiguo lasso di tempo ricorrente tra l’avvenuta creazione dell’associazione ambientale e la data di notifica del ricorso (18 giorni) è indice fortemente rivelatore della assenza di stabile collegamento con il territorio e del requisito della rappresentatività della comunità locale. Si richiama la puntualizzazione dell’indizio dato dal numero degli associati contenuto nella decisione del Consiglio di Stato n. 3234/2008 sopra riportata. Il Giudice d’appello ha precisato al riguardo che “Non basta il mero scopo associativo a rendere differenziato un interesse diffuso o adespota, facente capo alla popolazione nel suo complesso, quale interesse alla salvaguardia dell'ambiente, specie quando tale scopo associativo si risolva, come nella specie (in cui è stata depositata una semplice delibera di conferimento di mandato per la proposizione del ricorso innanzi al Tar ), senza mediazione alcuna di altre finalità, nell'utilizzazione di tutti i mezzi leciti per non consentire la realizzazione di un determinato progetto e, quindi, in definitiva, nella stessa finalità di proporre l'azione giurisdizionale”.(Consiglio di Stato, Sez. V, 14 giugno 2007, n. 31917).
Da quanto finora illustrato consegue il difetto di legittimazione al ricorso della ricorrente associazione Forum permanente della Val Di Lemme, il cui ricorso va per tale profilo dichiarato inammissibile.
2.1. Solleva inoltre la controinteressata anche l’eccezione di difetto di legittimazione dei cittadini residenti, signor L. Balestro, S. Balestro, R.E. Cavo, G. Cavo, A. Porzio, R.M Carlini ,sostenendo, con Cons. di Stato, n. 1600/2003, che il singolo cittadino che agisca contro atti che assuma lesivi del bene ambiente deve dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente e indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, ma che rispetto ad esso si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa. In ultima analisi, secondo la controinteressata, il singolo cittadino è legittimato a ricorrere solo se riesca a dimostrare di subire un danno alla salute o un pregiudizio diretto ed attuale alla porpsira sfera giuridica patrimoniale dal provvedimento impugnato.
L’eccezione non trova concorde la Sezione va disattesa.
2.2. Invero, è pacifica e radicata l’affermazione giurisprudenziale secondo la quale la legittimazione di una persona fisica ad impugnare addirittura atti di localizzazione di discariche e di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani non discende dalla mera vicinanza dell'abitazione ad una discarica, ma è subordinata alla prova del danno che il ricorrente riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.07.1995, n. 754; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.1998, n. 1088; Consiglio di Stato, Sez. V, 31.01.2001, n. 358; Consiglio di Stato, Sez. V, 16.4.2003, n. 1948 e più recentemente T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 11.12.2006, n. 3216; T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 26.11.2007, n. 3365; Consiglio di Stato, Sez. VI, 13.09.2007, n. 5453).
Rimane ancora tuttora attuale, infatti, nella ricostruzione del panorama giurisprudenziale in materia di legittimazione dei singoli avverso determinazioni pubbliche incisive del bene ambiente, il fondamentale arresto del Giudice d’appello, secondo il quale “il ricorso giurisdizionale è proponibile solo da chi ha la titolarità di un interesse legittimo e dimostri che tale interesse ha subito una lesione per la illegittimità dell'atto impugnato. Sulla base di tale principio, la mera vicinanza di un fondo ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell'opera essendo, al riguardo, necessaria la prova del danno che da questa riceve. Né la legittimazione potrebbe derivare dalla esigenza di salvaguardare l'ambiente in quanto tali interessi trovano tutela unicamente nell'obbligo di buona amministrazione che grava a carico degli enti esponenziali della comunità e degli altri enti pubblici istituzionalmente preposti alla cura di detti interessi”.(Consiglio Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2714).
In maniera ancor più specifica la stessa V Sezione aveva già in precedenza precisato, proprio in materia di realizzazione di opere di pubblica utilità, che “per impugnare un provvedimento che prevede la realizzazione di un'opera non è sufficiente affermare di avere la titolarità di un bene sito nelle sue immediate vicinanze, ma occorre anche dimostrare il danno specifico che deriva al soggetto, in quanto titolare del bene”. (Consiglio di Stato, Sez. V, 31 gennaio 2001, n. 358).
La V Sezione ha poi confermato il riportato suo orientamento nell’anno successivo, avendo ribadito che “la mera vicinanza di un fondo ad una discarica non legittima "ex se" il proprietario frontista ad insorgere contro il provvedimento autorizzatorio dell'opera, essendo necessaria la prova del danno che da questo egli riceva nella sua sfera giuridica” (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 aprile 2003, n. 1948).
In siffatto panorama giurisprudenziale va debitamente segnalata una successiva più recente decisione della medesima V Sezione del Consiglio di Stato, che ha riproposto la ricordata esegesi suggellandola con una massima che per la sua nitidezza conviene riportare alla lettera: “La mera vicinanza di un'abitazione ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento di approvazione dell'opera essendo, al riguardo, necessaria la prova del danno che da questo egli riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze: da ciò consegue, pertanto, che il mero collegamento in un fondo con il territorio sul quale è localizzata una discarica non è da solo sufficiente a legittimare il proprietario a provocare "uti singulus" il sindacato di legittimità su qualsiasi provvedimento amministrativo preordinato alla tutela di interessi generali che nel territorio trovano la loro esplicazione”.(Consiglio di Stato, sez. V, 14 giugno 2007, n. 3191)
La Seconda Sezione del Tribunale ha più di recente confermato il predetto precedente, escludendo la legittimazione a ricorrere di cittadini singoli avverso gli atti di localizzazione ed autorizzazione di una discarica che non avevano allegato né fornito principio di prova di alcun danno patrimoniale (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 26 maggio 2008, n. 1217).
2.3. Facendo applicazione al caso al vaglio del Collegio della ricostruita ermeneusi processualistica va rilevato che i cittadini ricorrenti non si sono limitati ad affermare di essere “cittadini residenti nel comune di Voltaggio e più precisamente residenti nelle immediate vicinanze del sito in cui verrà realizzato l’impianto in questione”(ricorso, pag. 3). Come può agevolmente notarsi, invece,i ricorrenti hanno allegato e fornito adeguato principio di prova in ordine alla loro posizione giuridica differenziata rispetto all’impianto di produzione di energia da biomasse e ciò limitatamente, ma sufficientemente, al verosimile danno che deriverebbe loro dall’esercizio dell’impianto in questione.
E’ stata infatti prodotta, in vista della pubblica udienza di merito, una perizia tecnica di stima, redatta da professionista regolarmente abilitato (perizia tecnica del 10.6.2009 del geom. J. Antichi, doc. 15 ricorr.), la quale dà conto anzitutto della titolarità di diritti reali dei ricorrenti su alcune cascine di origine rurale, trasformate in nuclei residenziali ed abitate, dotate di infrastrutture e terreni agricoli circostanti. Tutti questi cespiti sarebbero collocati ad una distanza oscillante tra 100 e 700 ml. dal sito ove dovrà sorgere l’impianto contestato; il che determinerebbe già un “significativo pregiudizio per il valore immobiliare delle proprietà interessate” (pag. 2 perizia cit.). Ulteriormente indica il tecnico i fattori di incisione del valore economico dei beni in analisi, individuati nell’incremento del traffico pesante, del rumore costante e delle emissioni derivanti dal ciclo produttivo dell’impianto de quo, nella percezione di odori residuali discendenti dal predetto ciclo industriale. Conclude poi, sulla scorta dei precisati elementi ricostruttivi, che le valutazioni di mercato degli immobili interessati è presumibile che subiscano un decremento stimabile nel 50%. per effetto della realizzazione della centrale energetica.
Ne consegue che vanno applicate a contrario al caso all’attenzione del Collegio le conclusioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato, che ha avuto modo di rimarcare che “gli attuali appellanti non hanno indicato e tanto meno, quindi, hanno dimostrato il pregiudizio che deriverebbe ad essi dagli atti impugnati, ma si sono solo lamentati della localizzazione dell’impianto prevista dagli atti impugnati (…) La Sezione, peraltro, già in fattispecie analoga, con riferimento al criterio della c.d. vicinitas, ha chiarito che la mera vicinanza di un fondo ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell’opera, essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questa riceve (Cons. di Stato, Sez. V, 13.7.1998, n. 1088)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2714, motiv.).
Viceversa, come denotato, gli odierni sette cittadini ricorrenti hanno non solo allegato il pregiudizio economico loro derivante dal contestato impianto energetico, ma ne hanno fornito un principio di prova che il Collegio reputa sufficiente, nell’ambito e nei limiti del giudizio non di merito sulla prova dell’an di un lamentato pregiudizio, ma su di un presupposto processuale.
L’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione dei cittadini ricorrenti non coglie dunque nel segno e va pertanto disattesa
3.1.1. Deve ora pervenirsi allo scrutinio dell’eccezione di inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum spiegato da Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta ONLUS, notificato il 22.1.2009. L’eccezione è contenuta nella memoria di parte controinteressata depositata il 27.1.2009, secondo la quale Legambiente sarebbe stata legittimata ad impugnare in via diretta il provvedimento gravato, non potendo quindi assumere la veste di interveniente ad adiuvandum.
L’eccezione, pur nella sua imprecisione, appare fondata e va pertanto accolta. 
Ma ritiene doveroso la Sezione ancorare la sua decisione ad altre e più circostanziate ragioni di teoria generale del processo amministrativo.
3.1.2. E’ al riguardo fin troppo noto l’antico insegnamento della dottrina e il relativo radicato costrutto giurisprudenziale, secondo cui l’intervento ad adiuvandum può essere posto in essere dal titolare di una situazione giuridica soggettiva dipendente da quella dedotta in giudizio – dipendenza dalla quale il Collegio farà derivare l’ulteriore conseguenza di cui infra – e che l’interesse che legittima l’intervento ad adiuvandum non può essere uguale a quello del ricorrente, non potendo l’interveniente essere un cointeressato in senso proprio, che altrimenti risulterebbe elusa la perentorietà del termine di decadenza per la notifica del ricorso.
Orbene, risulta agli atti (doc. 2 produzione interveniente) ed è del resto ammesso dalla stessa Legambiente interveniente, che tale associazione ha partecipato ai lavori della conferenza di servizi del 19.2.2008 (ammissione di cui a pag. 2 dell’atto di intervento).
Ne consegue che Legambiente versava nella stessa situazione della parte ricorrente, ovverosia era titolare di un interesse uguale a quello dei ricorrenti o era quanto meno un cointeressato, essendo legittimato ad impugnare il provvedimento in via diretta e principale. Doveva pertanto attivarsi a notificare il ricorso nel termine di decadenza e non poteva quindi rivestire il ruolo di interveniente, pena la ricordata elusione del termine perentorio di decadenza dall’impugnazione. Discende quindi de plano l’inammissibilità dell’atto di intervento spiegato da colui che è titolare di un interesse uguale a quello del ricorrente, che lo legittimava a proporre il ricorso in via principale nei termini decadenziali (T.A.R. Campania - Napoli, sez. V, 22 giugno 2007, n. 6250; T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III, 4 giugno 2007, n. 5140; T.A.R. Lazio - Roma, Sez. I, 6 giugno 2006, n. 4303; T.A.R. Liguria, Sez. I, 12 ottobre 2005, n. 1349).
Il principio della perentorietà del termine decadenziale per proporre ricorso giurisdizionale amministrativo osta dunque all’ammissibilità di un intervento ad adiuvandum da parte di un soggetto che sia titolare di una posizione differenziata e qualificata che lo legittimi ad impugnare il provvedimento lesivo in via diretta.
Per completezza va soggiunto che l’intervento in questione sarebbe stato ammissibile se effettuato nel termine di decadenza (T.A.R. Campania - Napoli, sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2017), potendo in tal caso essere convertito in ricorso autonomo (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2928). Ma nel caso che ci occupa il termine di decadenza è invece abbondantemente spirato all’atto della notifica dell’intervento.
Va per l’effetto dichiarato inammissibile l’intervento di Legambiente Piemonte e Val d’Aosta..
3.3. Deve ora vagliarsi l’eccezione di inammissibilità, sotto altro profilo, dell’intervento ad adiuvandum di Legambiente Piemonte e Val D’Aosta, spiegata dalla controinteressata sulla considerazione che trattasi di articolazione regionale o locale dell’associazione nazionale Legambiente Onlus e come tale priva del requisito della legittimazione ad intervenire nei giudizi amministrativi in materia di ambiente, riservata unicamente all’associazione nazionale.
E’ noto che la giurisprudenza amministrativa ha acquisito e a più riprese confermato il principio in ossequio al quale occorre specificare che la speciale legittimazione ad agire delle associazioni di protezione e tutela ambientale nei giudizi impugnatori diretti contro provvedimenti in materia di ambiente concerne le “associazioni di protezione ambientale nazionali, formalmente riconosciute e non le loro strutture o articolazioni territoriali, che non rispondono ai requisiti posti dagli artt. 13 e 18, comma 5, della legge 1986 n. 349 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.04.2006 n. 2151; T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 06.07.2007 n. 1618; Consiglio di Stato, Sez. VI, 13.09.2007 n. 5453). Il Giudice d’appello ha chiaramente definito l’ambito soggettivo della delineata legittimazione precisando che “solo le associazioni ambientaliste nazionali, se riconosciute da appositi decreti ministeriali ai sensi dell'art. 18, 5° comma, della L. 8 luglio 1986, n. 349, sono legittimate a ricorrere nelle controversie relative a materie corrispondenti alle loro finalità istituzionali; la legittimazione, viceversa, non spetta ad una struttura territoriale facente capo all'associazione nazionale”.(Consiglio di Stato Sez. VI, 19-10-2007, n. 5453). Non ravvisa, al riguardo, la Sezione, regioni esegetiche di diverso sentore per discostarsi dal rassegnato insegnamento del Consiglio di Stato, che va condiviso, conseguendone la declaratoria di inammissibilità per difetto di legittimazione ad agire dell’intervento svolto da Legambiente Piemonte e Val d’Aosta Onlus.
4.1. Può finalmente approdarsi alla disamina del merito del ricorso principale e dei successivi motivi aggiunti depositati il 9.1.2009.
Con il primo motivo del ricorso principale parte ricorrente denuncia, articolandola in due sub censure, violazione del combinato disposto degli artt. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e 10 della L. Reg. Piemonte n. 40/1998, nonché dell’art. 269 del Testo unico ambientale di cui al d.lgs. n. 152/2006. Lamenta con la prima sottocensura che il modulo procedimentale definito all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e costituito dalla conferenza di servizi finalizzata al rilascio dell’autorizzazione unica non escluderebbe il contestuale obbligo di sottoposizione dell’impianto produttivo di energia in controversia alla fase di verifica di assoggettabilità di cui all’art. 10 della L. Reg. n. 40/1998, dovendo l’autorizzazione unica in parola rispettare le vigenti normative di tutela dell’ambiente e del paesaggio. La seconda sub censura, con cui si deduce la violazione dell’art. 269 del Codice dell’ambiente, rappresenta l’infrazione di tale norma nella parte in cui dispone che il progetto da porre a corredo dell’istanza di autorizzazione debba indicare quantità, tipo e caratteristiche merceologiche dei combustibili di cui si prevede l’utilizzo, là dove la documentazione tecnica presentata dalla Voltaggio s.r.l. sarebbe carente di siffatte indicazioni relative ai combustibili.
4.2.1. Ambedue le doglianze non persuadono il Collegio, poiché la prima da un lato confligge con la giurisprudenza da poco formatasi nella Sezione in tema di rapporti dell’autorizzazione unica in questione con altri procedimenti valutativi dell’impatto ambientale, acquisizioni suffragate dai recenti approdi del Giudice amministrativo e, dall’altro, è contraddetta dalle declaratorie degli allegati alla L. Reg. n. 40/1998. La seconda sub censura è poi smentita per tabulas dagli atti e dagli impegni formali assunti dalla controinteressata e versati in giudizio.
4.2.2. Riguardo alla prima questione, eminentemente giuridica, rammenta il Collegio che la Sezione ha intuitivamente attinto il principio, che peraltro trova conforto in copiosa recente giurisprudenza, secondo il quale il procedimento definito dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, dominato dalla conferenza di servizi e inteso al rilascio dell’autorizzazione unica alla realizzazione di impianti produttori di energia dallo sfruttamento di FER (fonti energetiche rinnovabili: biomasse, impianti eolici e quant’altro) ha carattere omnicomprensivo ed assorbe ogni altro procedimento previsto dalle leggi regionali e volto alla verifica o alla valutazione dell’impatto ambientale, poiché la conferenza di servizi è la sede nella quale le varie amministrazioni preposte alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici e storico – artistici debbono esternare le loro valutazioni tecniche (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 5.6.2009, n. 1597), non consentendo il generico richiamo di cui all’art. 12 citato al rispetto delle normative vigenti in tema di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico artistico, di essere inteso come salvezza anche dei moduli procedimentali di settore che secondo la previgente legislazione erano intesi alla salvaguardia di quei valori. 
4.2.3. Segnala il Collegio che la giurisprudenza, condivisa dalla Sezione, ha in più occasioni sottolineato l’onnicomprensività della predetta autorizzazione unica, precisando che “l'autorizzazione unica è rilasciata nel rispetto di tutti i possibili valori meritevoli di tutela, ivi compresi quei valori ambientali cui è finalizzata la valutazione di impatto ambientale ex D.P.R. 12 aprile 1996” (T.A.R. Sicilia - Palermo, Sez. II, 26 febbraio 2008, n. 267) e che l’art. 12 cit. “non consente opzioni ermeneutiche di carattere restrittivo, volte ad attenuare la valenza 'omnicomprensiva' dell'autorizzazione medesima, attesa l'ampiezza della richiamata previsione normativa” (T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, 5 febbraio 2008, n. 358), essendosi anche puntualizzato che poiché la predetta autorizzazione unica è rilasciata nel rispetto delle disposizioni previste a tutela dell’ambiente,del paesaggio e del patrimonio storico – artistico,“ogni atto amministrativo inerente alla costruzione e all'esercizio dei detti impianti ovvero alle opere ad esso connesse ed alle infrastrutture indispensabili, qualunque sia l'autorità amministrativa ordinariamente competente, è sostituito ex lege dall'autorizzazione unica” (Tribunale S. Maria Capua Vetere, Sez. II, 03 aprile 2007).
Si è incisivamente anche puntualizzato che “ai sensi dell'art. 12, d.lg. 29 dicembre 2003 n. 387, il legislatore ha inteso favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella conferenza di servizi ai fini del rilascio di un'autorizzazione unica (T.A.R. Sicilia - Palermo, Sez. III, 22.10.2008, n. 1277).
Più specificamente, il Giudice amministrativo ha chiarito, nei sensi appena enunciati dalla Sezione, che la valutazione di impatto ambientale non è affatto esclusa dalla novella di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, ma va effettuata in seno alla conferenza di servizi, pena la vanificazione del termine di 180 giorni entro il quale la stessa deve concludersi. Si è infatti di recente precisato che “
nel procedimento unico previsto dall'art. 12, d.lg. 29 dicembre 2003 n. 387, in tema di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, confluisce anche il procedimento relativo alla V.I.A., con la conseguenza che l'eventuale mancata adozione, da parte dell'Assessorato del Territorio e Ambiente, delle determinazioni di competenza, non può riflettersi in senso preclusivo sull'attivazione e sullo svolgimento del procedimento unico facente capo all'Assessorato dell'Industria, pena la sostanziale vanificazione del termine di 180 giorni entro il quale, per legge, detto procedimento, deve comunque pervenire a conclusione”.(T.A.R. Sicilia - Palermo, Sez. III, 19 febbraio 2009, n. 368). Come ricordato, più di recente la Sezione ha ex se attinto il ricordato principio di onnicomprensività e assorbenza dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12, d.lgs. 29.12.2003, n. 387(T.A.R. Piemonte, Sez. I, 5.6.2009, n. 1597).
Giova segnalare che anche il Giudice amministrativo d’appello ha sancito il principio di onnicomprensività dell’autorizzazione unica, evidenziandone l’attitudine ad essere la sede unica in cui vanno espressi i pareri di compatibilità ambientale e paesaggistica e della stessa valutazione di impatto ambientale, avendo di recente condivisibilmente statuito, infatti che “nel procedimento di autorizzazione alla realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili (nella specie, di un impianto costituente un "parco eolico"), l'amministrazione regionale dei beni culturali deve rendere la propria determinazione, ai fini della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, nonché ai fini della valutazione di impatto ambientale, in sede di conferenza dei servizi convocata dalla regione e non ha, pertanto, l'obbligo di pronunciarsi sull'istanza di parere avanzata dal soggetto interessato alla realizzazione dell'impianto”.(Cons.Giust.Amm. Sicilia, Sez. giurisd., 11 aprile 2008 , n. 295).
La doglianza della ricorrente è pertanto infondata già sul piano squisitamente giuridico.
4.3.1. Ma la censura va disattesa anche sul terreno giuridico – tecnico, afferente all’ambito precettivo delle declaratorie di cui agli allegati alla L.Reg. n. 40/1998. Orbene, recita l’art. 4 della Legge regionale invocata: “1.Sono sottoposti alla fase di verifica, secondo le modalità di cui all'articolo 10, i progetti di opere e di interventi di cui agli allegati B1, B2 e B3 non ricadenti, neppure parzialmente, in aree protette. 2. Sono sottoposti alla fase di valutazione, secondo le modalità di cui all'articolo 12: a) i progetti di opere e di interventi di cui agli allegati A1 e A2”.
Deve quindi appurarsi se l’impianto progettato dalla controinteressata sia soggetto alla procedura di verifica secondo le modalità contemplate all’art. 10, come sostenuto dalla ricorrente, ovvero alla procedura di valutazione di cui all’art. 12, ovvero ancora se l’impianto stesso non sia soggetto ad alcuna delle due procedure.
A tal fine non può che premettersi che le due tipologie di valutazione tecnica sono tra loro in concorso alternativo: un impianto è soggetto alla valutazione di impatto ambientale o alla verifica di assoggettabilità. Sono soggetti, per il chiaro disposto dell’art. 4 appena riportato, alla fase di verifica quegli impianti che siano sussumibili nelle declaratorie di cui agli allegati B1,B2 e B3 e che non ricadano in aree protette, mentre soggiacciono alla fase di valutazione gli impianti sussumibili nelle definizioni di cui agli allegati A1 e A2 che invece ricadano anche parzialmente in aree protette.
Orbene, l’All. B2, dedicato ai “Progetti di competenza della provincia, sottoposti alla fase di verifica quando non ricadono, neppure parzialmente, in aree protette e sottoposti alla fase di valutazione quando ricadono, anche parzialmente, in aree protette”, annovera al punto 35 gli “impianti termici per la produzione di vapore ed acqua calda con potenza termica superiore a 50 MW”.
L’impianto realizzando dalla controinteressata non ricade strettamente in detta declaratoria, posto che non è impianto che produce vapore ed acqua calda, bensì, come riconosciuto anche dalla ricorrente nella memoria del 18.6.2009 (pag.5) produttivo soprattutto di energia elettrica che viene venduta all’ENEL. Ne consegue che non è soggetto alla fase di verifica disciplinata all’art. 10 della legge regionale invocata.
Ma anche ove dovesse ritenersi che l’impianto de quo, producendo anche vapore ed acqua calda sanitaria, rientri nella declaratoria del punto 35 predetto, il medesimo esulerebbe comunque dall’obbligo della verifica o della valutazione poiché non ha una potenza termica superiore a 50 MW. Invero, come attestato dall’ARPA nella nota di parere del 3.6.2008 (doc. 10 ricorrente) e come risulta dal provvedimento di autorizzazione impugnato, l’impianto in contestazione spiega una potenza massima di 15 MW.
Tanto vale ad escludere in radice che l’impianto realizzando sia da assoggettare alla fase di verifica o a quella di valutazione prescritta dal combinato disposto degli artt. 4 e 10 della L.Reg. Piemonte n. 40/1998 e dall’All. B2, p. 35.
4.3.2. Inoltre va anche rimarcato che l’All.A2,”progetti di competenza della provincia, sottoposti alla fase di valutazione” contiene un punto 22, aggiunto con la modifica al’elenco apportata con Delib.C.R. 30-7-2008 n. 211-34747, contemplante “Impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 150 MW.”
L’impianto realizzando dalla controinteressata in astratto ricade in tale declaratoria, poiché è qualificabile come impianto che produce energia elettrica, vapore ed acqua calda.
Ma atteso che, come più sopra notato, lo stesso produce una potenza inferiore a 150 MW, a termini del punto 22 del citato all.A2 l’impianto stesso non è soggetto nemmeno alla procedura di valutazione. A nulla vale controdedurre, come fa la ricorrente a pag. 5 della memoria del 18.6.2009 che il riportato punto 22 dell’All.A2 non sarebbe invocabile dalla controinteressata in quanto introdotto con la delibera di Consiglio regionale del 30.7.2008 la quale è successiva alla conclusione della conferenza di servizi del 3.6.2008.
Per contro va rilevato che è essenziale che la cennata modifica normativa sia intervenuta prima dell’adozione del provvedimento impugnato recante l’autorizzazione unica, il quale è stato assunto in data 7.8.2008 e cioè successivamente alla modifica normativa de qua.
Non è chi non veda, infatti, come l’organo provinciale che, sulla scorta della conclusione della conferenza di servizi del 3.6.2008, in data 7.8.2008 ha adottato l’autorizzazione unica gravata, ben avrebbe potuto disattendere i risultati della conferenza stessa qualora la modifica normativa intervenuta otto giorni prima avesse incluso l’impianto per il quale era in corso di rilascio l’impugnata autorizzazione, nel novero di quelli assoggettati alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della L. Reg. n. 40/1998. Non essendosi prodotta siffatta evenienza per avere la delibera regionale del 30.7.2008 escluso dalla fase di valutazione gli impianti produttori di energia elettrica, vapore ed acqua calda non superiore a 150MW, quali quello in questione, l’organo provinciale competente ha legittimamente rilasciato l’autorizzazione unica.
Il tutto, intuitivamente, ove potesse giuridicamente predicarsi la perdurante vigenza, nonostante il regime dell’autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, dei procedimenti settoriali previgenti in materia di v.i.a. Il che, sulla scorta della giurisprudenza richiamata ai paragrafi 4.2. e 4.2.2 è da escludere.
La censura complessivamente articolata nella prima parte del primo motivo di ricorso è quindi infondata e va disattesa.
4.4. Né miglior sorta va riservata, come anticipato, alla denuncia di violazione dell’art. 269 del Codice dell’ambiente, per avere la controinteressata omesso di indicare nella documentazione tecnica a corredo dell’istanza di autorizzazione unica, la quantità, la tipologia e le caratteristiche merceologiche del combustibile che prevede di utilizzare per il funzionamento del progettato impianto.
La doglianza è contraddetta ex actis. Nella convenzione sottoscritta tra la società Voltaggio e la Comunità Montana Alta Val di Lemme il 29.5.2008 (Alla. E al provvedimento impugnato) è precisato che la prima “si impegna ad utilizzare come combustibile (…) biomasse forestali non trattate se non meccanicamente, provenienti dai comuni della Comunità Montana per una quantità obiettivo non inferiore a 9.000 tonnellate/anno”. Vengono quindi descritte la tipologia e il quantitativo di combustibile, conformemente al disposto dell’art. 269 del Codice ambiente. 
Le caratteristiche merceologiche del prodotto sono poi fatte oggetto di precisa descrizione tecnica nel Piano preliminare di approvvigionamento, presentato dalla Voltaggio nel corso del procedimento autorizzatorio e versato in atti al doc. 30. La sez. III di tale documento, intitolata “Il Combustibile” riporta poi una analitica descrizione tecnica delle caratteristiche merceologiche del materiale (pagg. 13 ss., doc.30).
Da tutto ciò discende l’infondatezza in fatto anche della seconda sub censura del primo motivo del ricorso principale che va per l’effetto respinta.
5.1. Al secondo e più corposo mezzo di gravame sono affidate le censure di sostanza, prevalentemente incentrate sulla contestazione della sussumibilità nella nozione di biomassa vegetale e sottoprodotto del combustibile del quale la Voltaggio prevede l’utilizzo. Sono denunciate violazione e falsa applicazione dell’All. X, parte I, Sez. IV del d.lgs. n. 152/2006, dell’art. 183, comma 1 lett. p) dello stesso decreto, nonché difetto di istruttoria e motivazione, contraddittorietà, illogicità e sviamento.
In particolare lamenta parte ricorrente che mentre nella relazione generale allegata all’istanza la Voltaggio ha previsto l’esclusivo utilizzo di biomasse definite all’allegato X al codice dell’ambiente, nel progetto tecnico è precisato che per l’accensione dell’impianto e l’alimentazione della caldaia di bak – up si farà uso di combustibile fossile (gasolio) e pertanto non è contemplato l’uso di sole fonti rinnovabili.
E’ censurata anche la modalità di approvvigionamento di tali biomasse poiché non sarebbero stati prodotti nel procedimento i vincoli negoziali o le lettere di intenti tra la Voltaggio e i soggetti produttori di tale materiale, il che confinerebbe a mere affermazioni di principio le allegazioni della società e renderebbe inoltre inapplicabile la definizione di sottoprodotto contenuta all’art. 183, lett. p) del Codice, richiamata nelle Modalità di gestione descritte nel piano di approvvigionamento del 16.7.2007. Punto centrale della nozione di sottoprodotto definita dalla predetta disposizione è infatti l’impiego certo ed effettivo delle biomasse, il quale sarebbe reso aleatorio dalla rilevata carenza di prove negoziali certe. Non rientrerebbero poi nella relativa definizione le biomasse derivanti dalla filiera forestale, da quella agricola utilizzate per la produzione di cippato e sottoposte quindi a preventivi trattamenti onde renderle utilizzabili quale combustibili.
Invoca . - peraltro impropriamente – parte ricorrente, Cass. Pen. 20.4.2007, n. 21625 attribuendole la massima secondo cui gli scarti legnosi trattati non sarebbero sottoprodotto.
Inoltre, nello schema dei flussi di approvvigionamento contenuto nel suindicato piano, quanto alle fonti di approvvigionamento, sarebbero solo genericamente additati dei centri di produzione del cippato e dei contoterzisti, ossia non meglio qualificati intermediari; e allorché compaiano degli intermediari o dei centri di stoccaggio si fuoriesce dalla nozione di sottoprodotto che a mente dell’art. 183 del Codice ne postula la diretta utilizzazione nel corso del procedimento di produzione o di utilizzazione dello stesso.
Si assume anche la qualificazione in termini di rifiuto e non di sottoprodotto degli scarti agricoli (potatura delle viti: sarmenti, stocchi e tutoli delle coltivazioni di mais ,paglie cereali, e scarti agroalimentari) indicati nel piano di approvvigionamento predisposto dalla Voltaggio, in violazione del DM 5.2.1998 che contempla fra i rifiuti recuperabili mediante combustione proprio i residui colturali pagliosi, legnosi e diversi, quali i sarmenti, i tutoli, gli stocchi e i gusci.
Conclude la capillare serie di censure parte ricorrente contestando la sostenibilità del piano di approvvigionamento, per supportare il quale sarebbero stati necessari contratti o accordi di cessione del materiale con i vari produttori dello stesso, compresi il consorzio forestale, la comunità montana, le associazioni agricole. E ciò con riguardo sia alla filiera forestale e che a quella agricola e di recupero, conseguente l’inattuabilità del piano stesso.
5.2.1. Le censure tutte sopra profusamente ricostruite non persuadono il Collegio, siccome smentite dalla documentazione integrativa prodotta dalla Voltaggio nel corso del procedimento ed in risposta alle varie richieste promananti dalle diverse riunioni della conferenza di servizi. Le preoccupazioni agitate da parte ricorrente hanno poi trovato puntuale riscontro in specifiche prescrizioni con le quali l’Amministrazione ha assistito il provvedimento di autorizzazione impugnato. L’ultimo profilo di censura, dal quale per semplicità conviene prendere le mosse, impinge poi palesemente nel merito amministrativo ed appare pertanto inammissibile.
5.2.2. Invero, non è chi non veda come le doglianze puntualizzate sulla quantità della produzione delle varie filiere, e denunciate in precisi termini dimensionali a pag. 22 del ricorso (pioppicoltura 10.000 tonnellate annue da subito, filiera di legno 1.00 tonnellate, filiera forestale quantità crescenti sino a 15.908 tonnellate di biomassa al decimo anno dopo l’avvio dell’impianto, etc.), puntualizzate sulla difficile applicabilità, secondo uno insigne studioso della materia, dei progetti di pianificazione e utilizzazione forestale nella realtà italiana dominata dalla frammentazione della proprietà privata, involgono tutte considerazioni tecniche di puro merito amministrativo, che esulano dalle competenze di questo Giudice, né possono essere attinte mediante una consulenza tecnica d’ufficio, che finirebbe fatalmente per sostituirsi alle valutazioni dell’Amministrazione.
Ciò posto, non è senza pregio la controdeduzione della Voltaggio, espressa sia nell’atto di costituzione del 28.11.2008 che nella memoria per l’udienza del 29.1.2009, secondo la quale la controinteressata, per effetto delle prescrizioni impartite in sede di conferenza di servizi, ha predisposto un piano di approvvigionamento delle biomasse (VE.DU.PA.01, doc. 30 con rappresentazione anche grafica del bacino di riferimento (doc. 30 bis controint.) che vale a contestare la lamentata insufficienza delle fonti di approvvigionamento. Senza trascurare, inoltre, in proposito che nella convenzione del 29.5.2008 più sopra citata, stipulata con la Comunità montana Alta Val di Lemme, è previsto il reperimento di biomasse forestali provenienti dai vari Comuni della Comunità, in misura non inferiore a 9.000 tonnellate. 
Siffatte notazioni bastano a giudicare che le valutazioni compiute in seno alla conferenza di servizi e poi fatte proprie dall’Amministrazione emanante sono immuni da macroscopici vizi logici o da irragionevolezza o incongruenza, nei cui soli limiti è consentito a questo Giudice uno spazio di sindacato.
5.2.3. Quanto alla censura inerente l’impiego di combustibile fossile per l’accensione dell’impianto e l’alimentazione della caldaia di bak – up va opposto che già nell’integrazione documentale del 30.4.2008 (doc. 7 ricorr.) allestita a seguito di precisa preoccupazione espressa nella precedente conferenza di servizi, la Voltaggio si impegnava ad alimentare tale caldaia, prevista per assicurare la continuità del servizio di teleriscaldamento anche durante le fermate programmata, con gas metano, appena disponibile la connessione con la rete. Corrispondente prescrizione figura poi al punto 3 dell’All. A all’autorizzazione, recante le prescrizioni generali a cui resta subordinato il titolo. 
Va notato sin da ora, anche ai fini delle ulteriori precisazioni incentrate sul contenuto delle altre prescrizioni riportate nel predetto allegato, che la vincolatività delle stesse è sancita al punto 6 dell’autorizzazione impugnata, a mente del quale si delibera “di vincolare l’autorizzazione al rispetto delle prescrizioni impartite dal Comune di Voltaggio (…) riportate nell’allegato “A” del presente provvedimento”.
Dirimente è poi il dato, opportunamente segnalato dalla difesa della Voltaggio, secondo il quale l’impiego di combustibile fossile è espressamente consentito dal punto 4.4.2 della “Normativa di qualificazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” (ai sensi dell’art. 11, comma 1 del D.M. 24.10.2005) del GSE, che autorizza per tali impianti l’utilizzo di combustibile convenzionale di sostegno nel limite del 5% della produzione annua totale di energia.
Ne consegue che la censura in scrutinio si profila infondata e va respinta.
5.2.4. Relativamente alla doglianza con cui si lamenta che taluni prodotti derivati dalle varie filiere non sarebbero qualificabili come sottoprodotto ma come rifiuto, pone in luce il Collegio che di tanto si è data carico la stessa Amministrazione, allorché già in sede di conferenza di servizi del 3.6.2008, emergeva “il problema che alcune biomasse elencate possono essere considerate rifiuti. L’Ing. Coffano (dirigente della Sezione difesa del suolo, V.I.A. e servizi tecnici della Provincia di Alessandria, n.d.E.) rimarca che nell’autorizzazione sarà precisato che non potranno essere adoperati rifiuti”.
La delineata notazione si è poi tradotta in una specifica e dettagliata prescrizione generale del provvedimento impugnato (All. A all’autorizzazione del 7.8.2008) nella cui premessa si legge che “l’Azienda si impegna ad impiegare come unico combustibile biomassa vegetale non trattata se non meccanicamente con le caratteristiche sotto indicate”. Segue, tra le prescrizioni generali, vincolanti ai sensi del punto 6 del provvedimento, la descrizione delle caratteristiche della biomassa impieganda dalla Voltaggio, prodotto che dovrà “essere costituita, esclusivamente, da legno vergine e biomassa agricola; essere trattata esclusivamente meccanicamente; essere reperita entro un raggio di 50 km dalla centrale (..); essere trasferita direttamente dal luogo di produzione alla centrale di Voltaggio Energia senza alcun passaggio intermedio”.
Appare pertanto evidente alla Sezione un quadro di assoluta conformità del contenuto provvedimentale con le disposizioni normative, posto che l’Amministrazione ha tenuto nel debito conto le norme sulla definizione di biomassa vegetale circoscrivendo alle stesse l’ambito autorizzativo del provvedimento rilasciato. 
5.2.5. Soccorre peraltro anche una notazione di teoria generale. E’ principio generale del diritto amministrativo quello secondo il quale il contenuto determinativo di un provvedimento è costituito non solo dalla parte dispositiva ma anche dalla parte prescrittiva, rappresentata dall’insieme delle prescrizioni che circondano il rilascio di un titolo autorizzatorio ed entrano a far parte del dispositivo dell’atto, il quale va giudicato, in rapporto al parametro normativo di riferimento, nella sua integralità determinativa, costituita anche dalle prescrizioni imposte al soggetto beneficiario del provvedimento ampliativo, conseguendone la legittimità di un’autorizzazione alla realizzazione di un impianto alimentato da FER qualora la stessa rechi la tassativa e vincolante prescrizione che per l’alimentazione e il funzionamento della centrale debbano essere impiegate solo biomasse vegetali trattate meccanicamente, con esclusione di prodotti qualificabili come rifiuto.
Poco importa poi se in fase di attuazione del provvedimento autorizzatorio il beneficiario non ottemperi alla riferita prescrizione: il comportamento divergente ed inadempiente del destinatario non si riverbera ex post sulla legittimità del provvedimento amministrativo autorizzatorio, che riamane invulnerata, potendo e dovendo l’inottemperanza de qua rilevare in occasione e sede di controlli che l’Amministrazione potrà effettuare, il cui negativo esito potrà condurre anche alla revoca sanzionatoria dell’autorizzazione.
5.2.6. La riportata prescrizione in forza della quale la biomassa vegetale da utilizzare per l’alimentazione dell’impianto dovrà “essere trasferita direttamente dal luogo di produzione alla centrale di Voltaggio Energia senza alcun passaggio intermedio”, conferisce patente di piena conformità del provvedimento alla definizione di sottoprodotto contenuta nel’invocato art. 183, co. 1, lett. P) del d.lgs. n. 152/2006, in forza del quale l’impiego del sottoprodotto deve avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione individuato e definito.
Soggiunge inoltre il Collegio che la legittimità del provvedimento sottoposto alla sua attenzione, per i profili ora in scrutinio, può essere inferita oltre che dalla suindicata prescrizione circa l’impiego esclusivo di biomasse vegetali trattate solo meccanicamente, anche dalle stesse specifiche tecniche e descrittive dichiarate dalla Voltaggio in sede di istanza di autorizzazione.
Va debitamente posto in luce al riguardo che a corredo dell’istanza del 27.72008 la controinteressata presentava il Piano preliminare di approvvigionamento, la cui sezione 3 a pag. 13 descrive minuziosamente le caratteristiche del combustibile precisando che “l’impianto di cogenerazione utilizzerà come combustibile esclusivamente biomassa vegetale non trattata e cioè legno vergine, scarti agricoli e scarti legnosi che non abbiano subito trattamenti di tipo chimico”, ulteriormente chiarendo che per biomassa legnosa combustibile si intende materiale vegetale prodotto da interventi selvicolutarli, coltivazioni dedicate, manutenzioni forestali quali la potatura nonché materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica del legno vergine, costituito da cortecce, segatura, chips e tondelli oltre che da legna tal quale”. Precisa poi anche cosa intende per cippato, ovverosia chips di legno o legno sminuzzato, ovvero scaglie di legname ottenuto con apposite macchine (trituratori o cippatori).
Da quanto esposto discende pertanto all’evidenza che già in sede di documentazione tecnica allegata all’istanza la Voltaggio si obbligava ad impiegare unicamente materiale legnoso biodegradabile e sussumibile nel genus di sottoprodotto di cui all’art. 183 del codice dell’ambiente. Con il che si è fatta luce sull’infondatezza delle contestazioni di parte ricorrente qui in scrutinio.
5.2.7. Per concludere la trattazione sul punto deve il Collegio anzitutto rilevare l’inconferenza e l’improprietà del richiamo effettuato in ricorso alla decisione della Cassazione penale, III, n. 21625/2007. Come prudentemente segnalato dalla controinteressata, infatti, con tale pronuncia, che sembra essere stata massimata in maniera poco fedele, il S.C. ha ritenuto sussistere il reato correlato all’utilizzo di rifiuti, considerando che “i rifiuti utilizzati per la combustione dei forni sono costituiti da truciolato e addensato, ovvero da scarti di legno sminuzzati a varie granulometrie e forme e successivamente compattati con l’utilizzo di collanti(..) la presenza di collanti fa sì che non si tratti di rifiuti della lavorazione del legno non trattato a base esclusivamente di legno verde o componenti di legno verde”.
Come può agevolmente rilevarsi, dunque, la fattispecie decisa dalla Cassazione divergeva in toto da quella al vaglio del Tribunale, che si caratterizza per l’assoluta esclusione di procedimenti chimici, non meccanici, nel trattamento delle masse vegetali utilizzate come combustibile.
5.2.8. Ritiene al riguardo, in particolare, la Sezione che non costituiscano rifiuto e possano quindi essere tipicamente e propriamente utilizzati nell’alimentazione di un impianto di produzione di energia da biomasse vegetali gli scarti legnosi dell’agricoltura e i residuati della lavorazione esclusivamente meccanica del legno, quali segature, tondelli, cortecce e cippato legnoso, anche ove quest’ultimo sia trattato con impiego di acqua per estrarne il tannino, poiché l‘acqua naturale non è un solvente e non può essere assimilata ad una sostanza chimica.
5.2.9. Ultima notazione va svolta con riguardo al contestato difetto di vincoli negoziali per la fornitura della biomassa e di stima delle potenzialità delle varie filiere relativamente alle fonti di approvvigionamento del combustibile, le quali si presenterebbero del tutto aleatorie e inadeguate a garantire il necessario fabbisogno di biomasse.
La censura è contraddetta in fatto. Invero, sono agli atti diversi studi e dettagliate analisi effettuate dalla Voltaggio e versate nelle varie conferenze di servizi, che attestano proprio il contrario. Si segnala anzitutto la più volte citata convenzione del 29.5.2008 stipulata con la Comunità montana, che garantisce un consistente apporto di biomassa stimato in circa 9.000 tonnellate annue. Vi è poi un verbale di riunione del 7.1.2008 (doc. 36 controint.) svoltasi con varie Confederazioni agricole locali e dedicata alla fissazione delle condizioni preliminari di fornitura del prodotto. Per la filiera forestale vi è poi il doc. 33,“analisi della potenzialità forestale” depositato in conferenza di servizi, il quale esamina le capacità produttive del comprensorio e verifica la sostenibilità del piano di approvvigionamento.
Quanto alla denunciata assenza di accordi commerciali, lettere di intenti et similia con i vari fornitori, risultano invece agli atti diversi accordi commerciali, capaci di assicurare consistenti quantità di legname e cippato locale. Possono indicarsi gli accordi versati in causa al doc. 41 e quello con la segheria prodotto al doc. 42.
Ma al di là di specifici negozi con i produttori, la complessiva esistenza di accordi in tal senso è stata rappresentata già durante la prima conferenza di servizi del 25.9.2007. A pag. 5 del relativo verbale (doc. 2 ricorr.) si legge infatti che “sono stati avviati contatti e stabiliti pre-accordi commerciali con operatori locali, sia sul fronte agricolo che su quello forestale, volti a concretizzare accordi pluriennali di fornitura in grado di garantire, con il dovuto margine di sicurezza, i volumi di biomasse necessarie al funzionamento del distretto energetico che si aggira nell’ordine delle 40.000 tonnellate per anno”.
I dati documentali appena ricostruiti consentono quindi al Collegio di concludere per la pacifica infondatezza della censura in scrutinio, che va quindi respinta. 
In conclusione, tutto il secondo motivo di gravame, per le ragioni finora evidenziate, risulta complessivamente integralmente infondato e va disatteso.
6. 1. Il terzo motivo del ricorso principale espone il difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà e sviamento discendenti dall’aver rilasciato l’autorizzazione gravata nonostante in nessun documento presentato dalla società si rinvenga un progetto di tele calore, la sua distanza dall’impianto, il numero dei potenziali utenti e quant’altro, malgrado tutte le Amministrazioni interessate avessero convenuto che il teleriscaldamento fosse condizione della fattibilità del progetto, per via della compensazione ambientale scaturente dalla conseguente disattivazione degli impianti termici domestici, la quale avrebbe consentito di tollerare l’immissione in atmosfera dei residuati della combustione della biomassa utilizzata per il funzionamento della centrale.
6.2. La doglianza è anzitutto contraddetta ex actis. Nel progetto tecnico (doc. 7 ricorr.) a pag. 15 consta il par. 25.6.2. “Rete di teleriscaldamento di Voltaggio”, il quale dà atto che è stato sviluppato in collaborazione con l’A.C. il progetto preliminare della rete di teleriscaldamento che “collegherà con un collettore principale il Distretto Energetico al centro abitato di Voltaggio situato a circa 3 km e servirà attraverso una rete di distribuzione capillare sia il centro storico di Voltaggio che le frazioni di Isolazza, San Nazzaro e Fornaci”. E’ precisato anche detta rete sarà di “tipo aperto” per consentire il progressivo allacciamento di altre utenze pubbliche e private. E’ anche allestita una tabella della rete, raffigurante le tipologie di utenze e la relativa potenza, con minuta descrizione delle specifiche tecniche della potenza termica ripartite tra i vari periodi dell’anno. E’ poi ipotizzata l’adesione alla rete anche dell’utenza Campo Base Val di Lemme, che ospiterà circa 450 addetti per un periodo di otto anni. Risultano per tale via sementite le allegazioni di parte ricorrente sopra riassunte.
6.3. Ma il Collegio rimarca inoltre che la censura non è solo infondata in fatto, come si è appena denotato, ma anche in diritto. Applicando i principi generali sulla legittimità dei titoli autorizzatori enucleati al par. 5.2.5., rileva il Tribunale che l’Amministrazione non ha affatto obliterato l’importanza e la necessità dell’attivazione della rete di teleriscaldamento, avendo anzi espressamente, da un lato vincolato “l’autorizzazione alla presentazione annuale dei contratti stipulati con gli utenti allacciati alla rete di teleriscaldamento” (p. 17) e dall’altro chiaramente stabilito “che l’avvio dell’impianto sia subordinato ala realizzazione del’impianto di teleriscaldamento” (p. 20).
Dalle riportate vincolanti prescrizioni impartite in uno con la rilasciata autorizzazione discende che l’Amministrazione ha tenuto nel debito conto ed elevato a condicio iuris dell’autorizzazione unica la realizzazione della rete di teleriscaldamento, addirittura subordinando ad essa l’effettivo avvio dell’impianto.
Da quanto or ora rilevato discende de plano la radicale infondatezza anche del terzo motivo in scrutinio. che va per l’effetto respinto.
7.1. Con il quarto mezzo la ricorrente censura per difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità, contraddittorietà e sviamento la deliberazione della Giunta della Comunità Montana Alta Val di Lemme – Alto Ovadese n. 34 del 26.5.2008, trasmessa alla ricorrente Carlini M.R. in data 11.10.2008.
Il ricorso avverso la suindicata delibera di Giunta comunale è irrimediabilmente tardivo, posto che l’atto è stato assunto nella deliberazione del 26 maggio 2008 ed è stato pubblicato all’Albo pretorio del’Ente locale in data 5.6.2008. Il termine decadenziale di sessanta giorni, che pacificamente deve applicarsi al caso che ci occupa, trattandosi di delibera di organo collegiale, per la quale è prescritta ex lege la forma di pubblicità consistente nella pubblicazione nell’Albo pretorio, impugnata da soggetti non direttamente contemplati nell’atto, decorreva quindi dal quindicesimo giorno dalla pubblicazione, ossia dal 20 giugno 2008. 
Non può del resto essere ragionevolmente posta in dubbio l’immediata lesività della delibera opposta, considerato che con la stessa la Comunità montana approvava la convezione con la società Voltaggio, con la quale quest’ultima si impegnava ad utilizzare il quantitativo e la tipologia di biomassa più volte rammentata nel corso di quest’esposizione motiva. E’ pertanto incontestabile che la delibera in analisi non si limitava a delineare delle linee di indirizzo o a formalizzare il parere positivo da esprimere nella terza conferenza di servizi, ma recava un effetto esterno diretto, producendo il sorgere del vincolo negoziale convenzionale con la controinteressata. Siffatta attitudine ed efficacia esterna del provvedimento si atteggiava anche a fonte della costitutività degli effetti, caratteristica che per avvertita giurisprudenza del Consiglio di Stato determina l’emergenza della lesività e conseguentemente dell’onere dell’immediata impugnazione del provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 maggio 2007, n. 2183; Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 aprile 2005, n. 1743). 
Va al riguardo anche debitamente evidenziato che la convenzione approvata con l’impugnata delibera di giunta ha consistentemente condizionato il provvedimento di autorizzazione impugnato e censurato nei motivi appena illustrati, posto che la Provincia di Alessandria, nel rilasciare la predetta autorizzazione ha impartito una specifica prescrizione, vincolando la Voltaggio destinataria a rispettare i termini e gli impegni contenuti nella convenzione sottoscritta con la Comunità Montana, che viene allegata al provvedimento impugnato, come uno degli specifici allegati che formano parte integrante dell’autorizzazione stessa.
E’ di palmare evidenza, dunque, che il contenuto determinativo della delibera della giunta della comunità montana impugnata, ricostruito con rinvio alle pattuizioni convenzionali approvate, è entrato a far parte, con efficacia costitutiva e condizionante, del contenuto dispositivo dell’autorizzazione provinciale gravata. Il che rende solare ed evidente l’efficacia costitutiva e l’effetto esterno della delibera della comunità montana, efficacia da cui pacificamente discende la sua immediata lesività ed attitudine pregiudizievole che ne determina l’onere di immediata tempestiva impugnazione.
Da queste considerazioni consegue che il ricorso avverso la delibera predetta, notificato il 12 novembre 2008, è palesemente tardivo e va pertanto dichiarato irricevibile.
Pacificamente, poi, non ha l’effetto di riaprire i termini di impugnazione o di far decorrere gli stessi, la trasmissione dell’atto effettuata dall’Ente in data 11.10.2008 a seguito di specifica istanza di accesso formulata da una delle ricorrenti. 
E’ infatti fin troppo noto che la conoscenza del provvedimento e del suo contenuto essenziale, legalmente acquisita, è idonea a far decorrerne i termini di impugnazione, i quali non scattano al momento della effettiva conoscenza discendente dall’evasione dell’istanza di accesso, laddove sia prevista per il provvedimento una tipizzata forma di pubblicità. Pubblicità mediante pubblicazione all’albo che, per costante giurisprudenza, recentemente ribadita dal Giudice d’appello, è “rilevante per la decorrenza dei termini di impugnazione degli atti dei Comuni da parte di soggetti non direttamente contemplati dall'atto”(Consiglio di Stato, Sez. V, 15 settembre 2009, n. 5503).
7.2. Dalle considerazioni tutte finora illustrate consegue che il ricorso principale si profila infondato e va pertanto respinto mentre va dichiarato irricevibile per tardività della notifica con riguardo all’impugnazione della deliberazione n. 34/2008 della Comunità Montana Alta Val di Lemme – Alto Ovadese.
8.1. Può ora approdarsi al vaglio dei motivi aggiunti di ricorso, interposti a seguito dell’accoglimento dell’istanza di accesso del 1.12.2008, i quali oltre alle censure finora scrutinate e decise, svolgono autonomi profili di doglianza che saranno di seguito illustrati in uno con il loro scrutinio.
Con il primo motivo aggiunto di gravame si denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e 14 e seguenti della l. n. 241/1990 nonché dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’art. 97 Cost., oltre che eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e sviamento. Si duole parte ricorrente che alla Voltaggio controinteressata sono stati chiesti chiarimenti e documentazione per ben due volte e non per una sola come dispone la legge sul procedimento e per di più con concessione di un termine superiore a quello di trenta giorni stabilito dall’art. 14 – ter della L. 241/90. Lamenta inoltre parte deducente che hanno partecipato alla conferenza decisoria anche rappresentanti della società privata istante, ciò che sarebbe vietato dalla legge sul procedimento, all’uopo invocandosi TAR Friuli V.G. n. 90/2008 secondo cui le disposizioni sulla conferenza di servizi non assicurano al privato un diritto di partecipazione alle riunioni e Cons. Stato, V, n. 8080/2003 secondo la quale la legge 241/90 “non sancisce in via generale il principio di pubblicità per lo svolgimento della conferenza di servizi”. Conviene esaminare le censure ora riassunte e poi affrontare l’ultima, invero giuridicamente più interessante, che conclude il primo motivo aggiunto.
Nessuno degli argomenti spesi da parte ricorrente appare al Collegio meritevole di condivisione.
8.2. La doglianza appuntata sul presunto divieto di chiedere per più di una volta chiarimenti e ulteriore documentazione ai proponenti dell’istanza e ai progettisti nonché sulla concessione di un termine superiore a trenta giorni fonda su una norma, l’art. 14-ter, comma 8 della L. n. 241/1990, che sottende un’istanza di semplificazione e snellimento amministrativo e di divieto di aggravio procedimentale, in attuazione del principio di economicità e di snellezza dell’attività amministrativa che si eleva a canone principe della novella sul procedimento. 
Ritiene la Sezione che tale norma sia stata predisposta dal Legislatore nell’interesse del soggetto che ha presentato l’istanza che deve essere valutata e decisa in seno alla conferenza di servizi e non già nell’interesse di eventuali controinteressati sostanziali all’iniziativa del proponente.
La prescrizione che le integrazioni e i chiarimenti possono essere domandati dall’Amministrazione una sola volta, come pure quella che fissa a trenta giorni il termine entro il quale le stesse debbono essere prodotte è infatti finalizzata a consentire la rapida conclusione del procedimento e la più celere evasione del’istanza presentata dal privato e sottoposta al contestuale esame tipico tratto del conferenza di servizi. Celerità e snellezza che intuitivamente avvantaggiano solo il soggetto richiedente l’atto ampliativo.
Ne consegue che legittimato a dolersi della sua violazione è dunque unicamente il soggetto privato che abbia presentato un’istanza soggetta alla fase di valutazione contestuale tipica della conferenza di sevizi, discendendone che la censura in tal modo spiegata dai ricorrenti, che rivestono il ruolo di parte controinteressata sostanziale, si configura inammissibile per carenza di legittimazione. 
8.3. Ma la lamentela è anche infondata nel merito, atteso che la giurisprudenza del Tribunale, dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, si è già espressa nel senso che la norma che impone che le integrazioni documentali siano richieste in un’unica soluzione “non correla alcun effetto preclusivo all’eventuale reiterazione delle richieste medesime”, potendo l’illegittimità scaturire unicamente dalla violazione del principio di non aggravamento del procedimento che sottende la disposizione in parola, per cui la violazione “va accertata non tanto in base alla formale presenza di due richieste di chiarimenti da parte dell’amministrazione, quanto accertando se ciò si sia tradotto in una protrazione ingiustificata della procedura” (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 26.5.2008, n. 1217). Deduzione in linea con quanto più sopra rilevato in ordine all’interesse processuale a dolersi della lamentata violazione.
Lo stesso è a predicarsi, poi, relativamente alla norma secondo cui se i chiarimenti “non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all’esame del provvedimento”. Emerge qui con maggiore evidenza che la conseguenza stabilita dal legislatore per l’omessa presentazione dei chiarimenti de della documentazione, ossia l’esame del provvedimento, si atteggia a misura lato sensu sanzionatoria dell’inottemperante contegno del privato destinatario della richiesta integrazione documentale.
Di talché non può seriamente dubitarsi che solo costui è legittimato a lamentare la violazione della norma de qua e che parte ricorrente versa in analoga situazione processuale di difetto di legittimazione o di interesse rispetto alla posizione rivestita in relazione alla norma sulla richiesta di integrazioni in unica soluzione. Dal che la declaratoria di inammissibilità anche della censura in analisi.
8.4. Infondata nel merito si appalesa invece la censura secondo cui alla conferenza di servizi decisoria non potrebbero essere ammessi a partecipare i rappresentati del soggetto privato istante. Anzitutto va rimarcata la radicale inconferenza della giurisprudenza invocata dai ricorrenti, posto che la sentenza di primo grado citata precisa solo che non è assicurato dalle norme sulla conferenza di servizi il diritto assoluto di partecipazione del privato, non escludendo, dunque, che l’Amministrazione possa legittimamente e facoltativamente consentire siffatta partecipazione. La decisione del Consiglio n. 8080/2003 è poi nettamente non pertinente, posto che si limita ad escludere che la norma in esame sancisca in via generale il principio di pubblicità delle sedute della conferenza, ma nulla statuisce in ordine alla possibilità di partecipazione dei privati.
8.5. Rammenta invece in contrario il Collegio che la giurisprudenza ha di recente autorevolmente sancito che costituisce preciso onere dell’Amministrazione procedente, in caso di adozione di modelli concertati di formazione del provvedimento, quali accordi di programma o conferenze di servizi, individuare tempi e modi tali da consentire la partecipazione del privato i cui interessi siano intaccati dall’agire provvedimentale concertato. Il Consiglio di Stato ha infatti chiarito che “qualora le fasi procedimentali vengano sostituite da diversi modelli di procedimento o di adozione delle decisioni (accordi di programma, conferenza di servizi) è onere delle amministrazioni procedenti di individuare tempi e modi per consentire la partecipazione dei privati la cui sfera giuridica viene interessata dagli effetti dell'azione amministrativa”.(Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2007, n. 6183).
La censura in esame va pertanto disattesa siccome infondata.
8.6.1. Maggior interesse giuridico riveste invece la doglianza che chiude il motivo in esame, secondo la quale illegittimamente l’ARPA avrebbe trasmesso il suo parere con nota in data 11.6.2008, solo dopo che la conferenza di servizi decisoria del 3.6.2008 aveva concluso i suoi lavori. Il che violerebbe l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e il principio del procedimento unico finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica ivi scolpito.
Opina la Sezione che la censura sia priva di pregio e vada pertanto respinta.
Invero, si stenta a trarre dal disposto dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 il principio della necessaria formalizzazione in un testo scritto, coevo alla riunione del consesso, del parere di competenza di ciascuna delle amministrazioni intervenute ai lavori della conferenza di servizi. Tale conclusione è suffragata dal tenore testuale della norma di cui all’art.12, comma 4 citato, secondo cui “L'autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale PARTECIPANO tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni”..
La legge impone quindi unicamente la partecipazione contestuale alla conferenza di servizi, di tutte le Amministrazioni interessate, senza nulla prescrivere in ordine al modo in cui esse possano esternare le loro valutazione, potendo ciò avvenire oralmente o per iscritto, anche mediante la redazione di un testo che sia trasmesso successivamente ai lavori della conferenza, sempre che tale redazione e trasmissione avvenga antecedentemente all’adozione del provvedimento autorizzatorio unico, il quale non svanisce affatto, pur nello speciale modulo procedimentale di autorizzazione unica contestuale. 
Nel disposto della norma di cui all’art. 12 è dato infatti cogliere uno sdoppiamento e uno iato tra i lavori della conferenza e il rilascio del formale provvedimento di autorizzazione, di guisa che la conferenza si atteggia a istituto, di semplificazione, strumentale all’adozione del provvedimento conclusivo di rilascio dell’autorizzazione. Recita infatti l’art. 12, comma 3 l. cit., che la realizzazione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da FER “sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata”.
Ne consegue che la necessaria indizione della conferenza di servizi non elide la formale adozione del provvedimento autorizzatorio, in funzione del quale è convocata la conferenza.
8.4.2. Opina e ribadisce pertanto la Sezione che l’art. 12 del d.lgs. 29.2.2003, n. 387 impone unicamente la contestuale partecipazione alla conferenza di servizi, di tutte le Amministrazioni interessate, ma nulla stabilisce quanto alle modalità con cui esse possono esternare la loro valutazione, potendo ciò avvenire oralmente o per iscritto, anche mediante la redazione di un testo che sia trasmesso successivamente ai lavori della conferenza, sempre che tale redazione e trasmissione avvenga antecedentemente all’adozione del provvedimento autorizzatorio unico, che non smarrisce la sua individualità nemmeno nel modello procedimentale speciale dell’autorizzazione unica e contestuale definito all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003..
Innestando gli enucleati principi al caso di specie, va evidenziato che alla conferenza di servizi del 3.6.2008, così come del resto alle altre due precedenti, ha doverosamente preso parte il rappresentante dell’ARPA Dott. Caponetto, il quale, come si legge nel verbale a pag. 4, “concorda con quanto espresso nei pareri letti in sede ci Conferenza dei Servizi, formula una serie di quesiti..”
L’ARPA ha quindi fattivamente partecipato ai lavori della conferenza, esprimendo le valutazioni tecniche di sua competenza, formulando quesiti e svolgendo quant’altro ritenuto necessario.
Con il che risulta osservato il disposto dell’art. 12, co. 4 d.lgs. cit., a mente del quale l’autorizzazione è rilasciata a seguito di un procedimento unico, “svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241” e al quale partecipino i rappresentanti delle amministrazioni interessate. La norma impone dunque unicamente la partecipazione delle amministrazioni interessate, non la formalizzazione coeva del parere in un elaborato scritto.
In punto di fatto va poi debitamente evidenziato che la nota dell’ARPA trasmessa solo in data 11.6.2008 è stata redatta, come leggesi nella legenda riportata al margine superiore destro di ogni sua pagina, in data 3.6.2008, ossia lo stesso giorno della riunione della conferenza; ciò che può anche far concludere nel senso che il parere è stato redatto prima dell’insediamento del consesso, avvenuto alle ore 11,30. Come pure può affermarsi che il rappresentante dell’ARPA abbia esternato oralmente tutte le valutazioni tecniche di competenza, che sono state poi formalizzate in un testo scritto predisposto a seguire ai lavori della conferenza e trasmesso una settimana dopo. 
Anche sulla scorta di siffatte considerazioni, oltre che sul fondamento della ricostruita esegesi dell’art. 12, d.lgs. cit., deve quindi concludersi che la norma invocata non è stata violata.
La censura in scrutinio è quindi infondata e va respinta.
9. Al secondo motivo aggiunto è affidata la deduzione della violazione dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 e degli artt. 1 e seguenti del D.P.G.R. 16.11.2001, n. 16/R, Regolamento recante disposizioni in materia di procedimento di valutazione di incidenza. Si lamenta che il progetto dell’impianto in causa, limitrofo ad un’area SIC (sito di interesse comunitario) denominata “Capanne di Marcarolo” non è stato sottoposto alla procedura di valutazione di incidenza, come invece richiesto dalla conferenza di servizi del 19.2.2008, che raccomandava di approfondire l’eventuale impatto dell’impianto sulle predette aree e di individuare anche opere di minimizzazione ambientale.
La censura non coglie nel segno, posto che, come ammette la stessa difesa dei ricorrenti a pag. 42 dell’atto per motivi aggiunti, il regolamento regionale invocato disciplina il procedimento di valutazione di incidenza, conformemente all’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997, unicamente per gli impianti rientranti nelle topologie definite agli allegati A e B della L.Reg. Piemonte n. 40/1998. Dispone precisamente l’art. 1 del D.P.G.R. n. 16/2001 che “le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano ai progetti riferibili alle tipologie progettuali di cui agli allegati A e B della legge regionale 4 dicembre 1998, n. 40”.
Si è più sopra chiarito ed appurato che l’impianto in controversia esorbita dalle declaratorie di cui agli allegati A e B della legge regionale in questione, non rientrando, per l’esattezza, nella definizione di cui al punto 35 dell’Allegato B poiché, pur producendo acqua calda e vapore, sviluppa una potenza inferiore a 50 MW termici (per l’esattezza, solo 15 MW), né in quella del punto 22 dell’Allegato A2 che assoggetta a verifica di assoggettabilità o valutazione solo gli impianti produttori di energia elettrica, vapore ed acqua calda sanitaria di potenza superiore a 150 MW termici.
Dall’esclusione dell’impianto de quo dal raggio di applicazione degli allegati A e B alla citata L. Reg. discende altresì con sicurezza che al medesimo non si estende la procedura di valutazione di incidenza di cui si lamenta l’omissione.
10.1. Il terzo motivo aggiunto ripropone in sostanza, sia pur con maggiore capillarità, le censure già svolte con il secondo motivo, incentrate sulla dedotta illegittimità dell’autorizzazione per effetto della circostanza che negli stessi verbali delle tre conferenze di servizi le Amministrazioni rilevavano che alcune tipologie di combustibili di cui era previsto l’impiego sono da qualificare rifiuto e non possono essere ricondotte alla definizione di sottoprodotto di cui all’art. 183, lett. p) del d.lgs. n. 152/2006. In questa sede, in particolare, i ricorrenti puntualizzano le censure evidenziando i passi del verbale della stessa prima conferenza di servizi del settembre 2007 in cui il rappresentante del servizio gestione rifiuti della resistente Provincia chiarisce che anche il materiale vegetale da trattamento meccanico di talune coltivazioni dedicate e da interventi selvicolturali è rifiuto. Rimarca poi parte ricorrente che la stessa Voltaggio, nella nota del 19.12.2007 non esclude la possibilità di impiegare rifiuti, impegnandosi all’uopo solo a fornire i relativi codici CER e che nella stessa conferenza di servizi finale del 3 giugno 2008 il competente servizio seguita a rilevare che malgrado le integrazioni fornite dalla Voltaggio alcune biomasse vegetali sono da considerare rifiuto.
Si duole in proposito parte ricorrente che l’autorizzazione rilasciata il 7.8.2008 non precisa alcunché in ordine al materiale che non potrà essere trattato nell’impianto. Donde la dedotta violazione dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 che stabilisce che l’autorizzazione rechi le prescrizioni necessarie a garantire l’attuazione dei principi di cui al’art. 178, stesso decreto.
La ricostruita censura è stata già dal Collegio valutata come nettamente infondata nella trattazione del secondo motivo del ricorso principale, non potendo quindi non rinviarsi alle relative considerazioni.
Va qui soltanto rimarcata l’assoluta infondatezza in fatto della doglianza appena riassunta in merito alla pretesa omessa indicazione, nell’autorizzazione gravata, delle prescrizioni in ordine alle tipologie di materiali che non potranno essere trattate nell’impianto. Basti al riguardo opporre quanto già evidenziato in sede di scrutinio del secondo motivo del gravame principale, ovverosia che l’autorizzazione impugnata contiene in allegato le prescrizioni generali, tra le quali campeggia quella che impone l’indicazione delle biomasse vegetali non trattate se non meccanicamente, quale unico possibile combustibile impiegabile. 
Va anche soggiunto che la stessa conferenza di servizi del 3.6.2008 rimarca che “nell’autorizzazione sarà precisato che non potranno essere adoperati rifiuti”. 
Segnala per completezza il Collegio che il punto 4 delle prescrizioni generali allegate all’autorizzazione e vincolanti ai sensi del punto 6 della stessa, stabilisce che “dovrà essere compilato un registro relativo ai controlli di conformità della biomassa in ingresso”. 
Come può notarsi, dunque, il provvedimento impugnato circonda la consentita realizzazione dell’impianto a minuziose e tassative cautele, presidiate dal successivo disposto del punto 9 delle predette prescrizioni generali, a mente del quale “l’Azienda dovrà consentire al personale tecnico incaricato dall’Amministrazione provinciale e comunale d accedere liberamente all’area interessata per effettuare eventuali prelievi, controlli ed analisi”.
10.2. La seconda parte del terzo motivo riedita le doglianze svolte nel terzo motivo del ricorso introduttivo, concernenti l’essenzialità della realizzazione della rete di teleriscaldamento, rilevata nelle varie conferenze di servizi e considerata condizione dell’attuabilità ed assentibilità dell’impianto de quo per via della compensazione ambientale che genera in conseguenza della disattivazione degli impianti di riscaldamento domestici.
Qui si lamenta l’inadeguatezza delle prescrizioni, di cui peraltro si dà lealmente atto, presenti nell’autorizzazione e individuate nel vincolo al rispetto della convenzione intercorsa con il Comune, nella presentazione annuale dell’elenco degli utenti allacciati alla rete di teleriscaldamento e nella subordinazione dell’avvio dell’impianto alla effettiva realizzazione di quello di tele calore.
A parere dei ricorrenti queste prescrizioni non vincolerebbero la Voltaggio poiché nella convenzione del 28.3.2008 la società si impegna a far realizzare la rete di teleriscaldamento da un operatore specializzato, là dove detta rete avrebbe dovuto (a loro dire) essere realizzata direttamente dalla Voltaggio. Si agita la preoccupazione in ordine all’incertezza delle conseguenze, sulla rilasciata autorizzazione, di un’eventuale mancata costruzione dell’impianto di tele calore per mancanza di adesioni nonché dell’eventuale mancata presentazione dell’elenco annuale degli utenti allacciati.
La censura è stata già valutata priva di pregio in occasione della disamina del terzo motivo dell’atto introduttivo del presente giudizio, alle cui conclusioni ci si deve di necessità riferire ribadendosi, nel confermare l’infondatezza e il conseguente rigetto della censura, da un lato che tutte le prescrizioni riferibili alla necessità di previa realizzazione della rete di teleriscaldamento si configurano significativamente vincolanti e imperative per la Voltaggio e dall’altro che la legittimità del provvedimento impugnato resta invulnerata dall’eventuale mancata ottemperanza della Voltaggio alle prescrizioni impartite in sede di rilascio del titolo autorizzatorio.
10.3. Preme, peraltro, al Collegio fornire risposta ai dubbi e alle perplessità prospettate dai ricorrenti e più sopra riepilogate.
Non v’ha dubbio che l’inottemperanza della Voltaggio alle prescrizioni concernenti l’obbligo di realizzare la rete di teleriscaldamento – per la quale, sia detto per incidens, in nessun atto è sancito l’obbligo di realizzazione diretta da parte della Voltaggio – produrrà non la “decadenza” dell’autorizzazione, ma la sua concreta inefficacia e inoperatività. In tal senso consente di deporre il chiaro e tassativo disposto di cui al punto 20 dell’autorizzazione del 7.8.2008, a termini del quale si delibera “di stabilire che l’avvio dell’impianto sia subordinato alla realizzazione del’impianto di teleriscaldamento”.
La prescrizione sta a significare che la messa in esercizio dell’impianto – e quindi l’efficacia operativa della rilasciata impugnata autorizzazione – non può prescindere ed è inibita dalla mancata realizzazione della rete di teleriscaldamento.
Se la stessa non viene posta in essere ed in opera, dunque, l’impianto, anche ove costruito, non potrà essere “avviato”, cioè posto in esercizio: il che escluderà in radice la lesione al bene giuridico di cui i ricorrenti invocano protezione. Senza l’operatività della rete di teleriscaldamento non potranno dunque essere combuste le biomasse vegetali di cui la Voltaggio si sia approvvigionata, discendendone che in atmosfera non saranno prodotte emissioni provenienti dall’impianto di cui è causa, né emissioni acustiche.
La mancata presentazione annuale dell’elenco degli utenti allacciati determinerà poi il Comune o la Provincia ad adottare provvedimenti di fermo dell’impianto e di blocco delle relative cennate emissioni di fumo e di rumore.
Senza dire poi che reiterate e gravi inadempienze al complesso delle impartite prescrizioni che assistono il titolo ampliativo potranno, ove ne ricorrano i presupposti, condurre anche ad una revoca dell’autorizzazione rilasciata.
In conclusione, sulla scorta della argomentazioni tutte finora sviscerate, anche il ricorso per motivi aggiunti si profila infondato e va respinto.
La conclamata totale soccombenza dei ricorrenti deporrebbe nel senso di gravarli anche delle spese di lite, ma sussistono valide ragioni, correlate sia alla natura superindividuale degli interessi azionati che alla novità e difficoltà delle questioni trattate, per disporne l’integrale compensazione tra le costituite parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte - Prima Sezione – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e i relativi motivi aggiunti così decide:
Dichiara inammissibile per difetto di legittimazione il ricorso dell’Associazione “Forum permanente degli abitanti e delle Associazioni dell’Alta Val di Lemme”.
Dichiara inammissibile l’intervento ad adiuvandum di Legambiente Piemonte e Val d’Aosta.
Dichiara irricevibile per tardività della notifica il ricorso dei signori Balostro Luigino, Balostro Stefano, Cavo Elena Rosa, Cavo Giovanni, Cavo Fabio, Porzio Annalisa e Carlini Maria Rosa avverso la deliberazione della Giunta della Comunità Montana Alta Val di Lemme Alto Ovadese n. 34/2008.
Respinge nel merito il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti dei signori Balostro Luigino, Balostro Stefano, Cavo Elena Rosa, Cavo Giovanni, Cavo Fabio, Porzio Annalisa e Carlini Maria Rosa avverso gli altri provvedimenti indicati in ricorso e nei motivi aggiunti.
Compensa integralmente le spese di lite tra le costituite parti.
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella Camera di Consiglio del giorno 02/07/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Franco Bianchi, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Primo Referendario
Alfonso Graziano, Referendario, Estensore
  
   

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