sezione diretta dall'Avv. Marinella Montanari
TAR Piemonte, sez. I, 25/9/2009 n.2292, sulla legittimazione delle associazioni
ambientaliste
FATTO
1. 1. Con il ricorso in epigrafe, avviato alla notifica ex art. 3,
L. n. 53/1994 il 12.11.2008, è impugnata la determinazione del dirigente
della Provincia di Alessandria del 7.8.2008 con la quale è stata
rilasciata l’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003,
previa conferenza di servizi, per la costruzione di un impianto di cogenerazione
alimentato a biomasse vegetali da localizzare in Comune di Voltaggio nel
sito occupato dalla ex cartiera di Voltaggio.
Ricorrenti risultano essere in primo luogo un’associazione costituita
da nove persone, alcune delle quali residenti a Milano e in Provincia di
Genova, sorta con atto notarile il 25 ottobre 2008 cioè 18 giorni
prima della notifica del ricorso (doc. 1 ricorrenti). Finalità primaria
dell’associazione è “un controllo democratico ed efficace del territorio,
favorendo la partecipazione diretta degli abitanti e delle associazioni,
monitorando l’operato delle istituzioni”. Altre finalità sono poi
elencate all’art. 2, figurandovi il “rilanciare le attività economiche
e produttive, agricole, manifatturiere, commerciali e di servizi (…) favorire
una riconversione abitativa dei manufatti architettonici”, “salvaguardare
il patrimonio culturale, artistico, ambientale e paesaggistico”.
Compongono poi la compagine ricorrente sette cittadini, per lo più
portanti gli stessi cognomi, residenti in comune di Voltaggio.
1.2. Il ricorso è affidato a tre motivi, con il primo dei quali
si denuncia, articolandosi due sub censure, violazione del combinato disposto
degli artt. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e 10 della L. Reg. Piemonte n. 40/1998,
nonché dell’art. 269 del Testo unico ambientale di cui al d.lgs.
n. 152/2006, lamentandosi la mancata sottoposizione del progetto in causa
alla procedura di verifica di cui all’art. 10 del L. Reg. Piemonte n. 40/98
e l’omessa descrizione del tipo, quantità e caratteristiche merceologiche
dei combustibili da utilizzare; con il secondo si contesta la natura di
sottoprodotto dei prodotti di cui si prevede l’impiego nel ciclo di funzionamento
dell’impianto.
Con il terzo motivo si deduce difetto di istruttoria e motivazione,
illogicità, contraddittorietà e sviamento perché non
si rinverrebbe nei documenti presentati dalla controinteressata un progetto
di “tele calore”, né verrebbe descritta l’estensione dell’area interessata
dall’impianto.
Con il quarto mezzo, diretto contro l’atto di approvazione della Comunità
Montana Val di Lemme, si eccepisce che in realtà il progetto non
supera le perplessità iniziali, avanzate dal Responsabile dell’Ente
ed è carente di motivazione e di istruttoria per aver disatteso
il contrario parere di regolarità tecnica senza i necessari approfondimento.
2. Si costituiva in giudizio, in vista dell’Udienza pubblica del 4.12.2008,
la Provincia di Alessandria con memoria depositata il 3.12.2008. Si costituiva
pure la controinteressata Voltaggio Energia s.r.l. (infra, breviter, Voltaggio)
con ampia memoria depositata il 28.11.2008.
Parte ricorrente, dopo aver depositato il 1.12.2008 istanza di rinvio
dell’Udienza, interponeva atto per motivi aggiunti, per integrazione del
contraddittorio e per nuova istanza cautelare depositato il 9.1.2009. I
motivi aggiunti saranno illustrati appresso, in uno con il loro singolo
specifico scrutinio.
La Provincia depositava ulteriore memoria difensiva il 28.1.2009. A
sua volta parte ricorrente depositava memoria il 26.1.2009 e la controinteressata
implementava e sue tesi difensive con ulteriore memoria depistata il 27.1.2009.
Si costituiva anche il Comune di Voltaggio, che poi in esito alla deliberazione
della neo nominata Giunta comunale n. 40/2009, frutto dei nuovi comizi
elettorali del 6.6.2009, revocava per mutati intendimenti politici, l’incarico
all’avv. De Bartolo.
Spiegava inoltre intervento ad adiuvandum, con atto notificato il 29.5.2009
e depositato il successivo 9.6.2009, la Legambiente Onlus, Comitato Regionale
del Piemonte e Valle d’Aosta, che pure aveva partecipato alla conferenza
di servizi finalizzata al rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12,
d.lgs. n. 387/2003 e che pertanto aveva l’onere di impugnare autonomamente
i provvedimenti nel termine decadenziale.
La provincia di Alessandria depositava ulteriore memoria il 19.6.2009
mentre la controinteressata la depositava in data 11.6.2009 e i ricorrenti
il 19.6.2009.
Pervenuto l’affare alla pubblica Udienza del 2 luglio 2009, il complesso
ed ampio materiale di causa, arricchito da copiosa mole di produzioni documentali,
udita la discussione dei patroni delle parti, sulla Relazione del Referendario
Avv. Alfonso Graziano veniva introitato per la definitiva decisione di
merito.
DIRITTO
1. Deve preliminarmente il Collegio darsi cario di scrutinare le eccezioni
di inammissibilità dell’azione per difetto di legittimazione al
ricorso, sollevate in limine litis dalla controinteressata Voltaggio Energia
S.r.l. e distinte per le diverse posizioni dell’Associazione Forum permanente
e dei cittadini privati ricorrenti.
Eccepisce in proposito la controinteressata, nella memoria del 28.11.2008,
il difetto di legittimazione ad agire dell’associazione Forum permanente
degli abitanti e delle associazioni della Val di Lemme, invocando la giurisprudenza
imperante in argomento, che richiede che i soggetti collettivi agenti per
la tutela del bene ambiente siano costituiti con formalità tali
da assicurarne il carattere non meramente occasionale o strumentale, il
quale sarebbe ravvisabile là dove l’associazione o il comitato siano
composti da un numero esiguo di persone e dunque non dotati di rappresentanza
sul piano locale, ciò che lascerebbe trasparire le loro funzione
dichiaratamente strumentale all’esercizio di un’azione popolare. Cita sul
punto varie decisioni, tra cui T.A.R. Lazio, II, n. 100/2006, T.A.R. Toscana,
II, n. 8856/2005, Consiglio di Stato, VI, n. 416/2007.
A parere della Sezione l’eccezione si presta a positiva considerazione
e va accolta.
1.2. Va necessariamente richiamato sul punto il noto travaglio teorico
che ha attraversato la giurisprudenza amministrativa nel corso degli anni,
intorno alla tematica della legittimazione a ricorrere delle associazioni
e dei comitati per l’annullamento di provvedimenti amministrativi incidenti
su interessi ambientali e paesaggistici.
Rammenta la Sezione che in argomento la giurisprudenza ha a più
riprese acquisito il principio, costituente ormai ius receptum, in ossequio
al quale nel processo amministrativo, come in quello civile, salve espresse
tassative previsioni di legge, non ha cittadinanza l’azione popolare, intesa
a conseguire un mero controllo oggettivo e generalizzato della legittimità
dei provvedimenti amministrativi. Non sono ammesse, nel nostro ordinamento
fondato sull’interesse legittimo deferenziato e qualificato, sull’interesse
a ricorrere e sulla personalità dell’azione, forme di controllo
giurisdizionale e generalizzato dell’attività della P.A.
Più in particolare, in materia di azioni a salvaguardia del
bene ambiente va ricordato che mentre è pacifica, perché
positivizzata in norma, la legittimazione a ricorrere delle associazioni
ambientalistiche riconosciute, in forza del combinato disposto dell’art.
13 e dell’art. 18, co. 5 della L. 18.7.1086 n. 349 istitutiva del Ministero
dell’Ambiente, il titolo processuale legittimante delle associazioni non
riconosciute va ricercato, con l’ausilio della più avvertita elaborazione
del Giudice amministrativo, nel criterio fenomenico e fattuale dello stabile
collegamento sul territorio e della rappresentatività dell’ente
collettivo.
Va ulteriormente precisato che nel nostro ordinamento opera un duplice
sistema di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni
ambientaliste, nel senso che il potere di individuazione ministeriale,
conferito dall'art. 13 della L. 349 del 1986, non esclude il potere del
giudice di applicare direttamente la norma di cui all'art. 18, accertando,
caso per caso ed ex post, la sussistenza della legittimazione in capo ad
una determinata associazione (cfr. sul punto già C.d.S., Sez. VI,
7.2.1996, n. 182).
Rammenta al riguardo la Sezione che il Consiglio di Stato (C.d.S, Sez.
Consultiva per gli atti normativi, 25.08.2003, n. 1440/2003) ha anche osservato
che "l'ultimo comma dell'art. 118 Cost. - in particolare il principio di
sussidiarietà orizzontale - sancisce e conclude un percorso di autonomia
non più collegato al fenomeno della entificazione, ma correlato
più semplicemente alla società civile e al suo sviluppo democratico
a livello quasi sempre volontario".Proprio il riferimento all'art. 118
Cost. rafforza la tesi giurisprudenziale in punto di attribuibilità
della legittimazione ad agire ad associazioni diverse da quelle di cui
all'art. 13 della legge 1986 n. 349, purché rappresentative dell'interesse
azionato (cfr. in argomento C.d.S., sez. IV, 02.10.2006, n. 5760).
1.3. Ma è parimenti convinta la Sezione che il riconoscimento
della legittimazione ad agire in giudizio a favore delle associazioni non
riconosciute di protezione ambientale non può che predicarsi solo
là dove delle stesse sia accertato: 1.il carattere non occasionale
o strumentale alla proposizione di una determinata impugnativa; 2.lo stabile
collegamento col territorio, consolidatosi nel tempo, che deve presuntivamente
escludersi in caso di associazioni costituite pochi giorni prima della
proposizione del ricorso; 3.la rappresentatività della collettività
locale di riferimento, requisito quest’ultimo, che non può prescindere
dalla considerazione, quanto meno indiziaria, del numero delle persone
fisiche costituenti l’associazione.
Ricorda in proposito il Collegio che il Consiglio di Stato, in linea
con i principi appena enunciati dal Tribunale, ha di recente statuito che
“ai fini della legittimazione a ricorrere di una associazione non riconosciuta
o figura soggettiva equivalente, non rientrante nell'elencazione di cui
all'art. 13, l. 8 luglio 1986 n. 349 (sistema di accreditamento confermato
dall'art. 17 comma 46, l. 15 maggio 1997 n. 127), non è sufficiente
allegare che la figura soggettiva abbia fra i suoi scopi statutari la tutela
ambientale ed operi nella provincia in cui è posta l'area su cui
incide il provvedimento amministrativo contestato o sia stata costituita
« appositamente per la tutela dell'area » medesima. La genericità
di tale allegazione non consente di ritenere comprovati gli elementi qualificanti
in concreto la differenziazione della posizione del soggetto ricorrente,
quali, necessariamente, il collegamento stabile con il territorio interessato,
cioè consolidatosi obiettivamente in un periodo di tempo significativo,
nonché un'azione associativa dotata di adeguata consistenza e di
rappresentatività degli interessi che si intendono tutelare, anche
con riferimento al numero e alla qualità degli associati, sì
da illustrare l'effettività e riferibilità, ad un interesse
specificamente delineato, del pregiudizio allegato”.(Consiglio di Stato,
Sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3234).
Anche avvertita giurisprudenza di prime cure ha disegnato le delineate
coordinate ermeneutiche, precisando di recente che “in tema di legittimazione
attiva di associazioni e comitati si rende opportuno distinguere tra la
legittimazione ex lege delle associazioni di protezione ambientale di livello
nazionale riconosciute e l'esigenza di verificare, in concreto e secondo
i principi generali, la legittimazione di tutte le altre associazioni,
comitati e organismi di livello locale che si assumano portatori d'interessi
diffusi di protezione ambientale o storico-culturale; a tal fine, l'accertamento
- onde evitare un irragionevole ampliamento della tutela giurisdizionale
oltre i confini di una credibile entificazione di tali interessi - deve
essere condotto in modo assai rigoroso, avendo riguardo ad una pluralità
di indici, riferiti sia alla maggiore o minore risalenza temporale dell'ente,
che alla sua comprovata sfera o grado di rappresentatività, alle
iniziative ed azioni intraprese per la tutela degli interessi di cui si
proclama portatore, all'eventuale consentita partecipazione a procedimenti
amministrativi e quindi, in certa misura, al concreto riconoscimento che
esso ha ricevuto nello svolgimento dell'azione amministrativa”.(T.A.R.
Puglia- Bari, Sez. III, 25 febbraio 2008, n. 324).Merita anche di essere
ricordata altra significativa decisione del Giudice d’appello, secondo
la quale “deve invece escludersi la legittimazione ad agire dei comitati
istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato,
costituenti una proiezione degli interessi dei soggetti che ne fanno parte,
e che quindi non sono portatori in modo continuativo di interessi diffusi
radicati nel territorio; diversamente si consentirebbe una sorta di azione
popolare, non ammessa dal vigente ordinamento”.(Consiglio di Stato, Sez.
VI, 20 maggio 2005, n. 2534).
Non ravvisa il Collegio ragioni per dissentire dalla ricostruita esegesi
del dato normativo. Calando, quindi, le tratteggiate linee esegetiche al
caso all’esame, rileva la Sezione intanto che l’associazione Forum permanente
è portatrice di un interesse diffuso o adespota, come chiaramente
si evince dalla lettera sopra riportata dell’art. 2 dello Statuto, secondo
cui essa ha la finalità di “salvaguardare valorizzare e promuovere
il patrimonio culturale, artistico, ambientale e paesaggistico”. Il patrimonio
ambientale e paesaggistico è infatti res communis omnium e il legame
che congiunge l’associazione a tale bene è chiaramente la matrice
dell’interesse diffuso o adespota.
Non è dunque consentito individuare la titolarità in
capo all’associazione di alcun interesse differenziato e qualificato, attributi
che connotato per pacifico e incontrastato insegnamento l’interesse legittimo.
Ma l’organismo de quo appare anche orfano del fondamentale requisito
della rappresentatività della collettività locale di riferimento,
se solo si consideri che è costituito da sole nove persone, alcune
delle quali portanti lo stesso cognome.
A nulla varrebbe, al riguardo, opporre che la compagine associativa
si è accresciuta nel corso del giudizio per via dell’adesione all’associazione
di numerosi altri cittadini del Comune.
La legittimazione al ricorso va infatti acclarata e valutata al momento
della proposizione della domanda, non potendo essere presi in considerazioni
mutamenti della figura del ricorrente venuti in essere in epoca successiva
alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio. Rileva, quindi, unicamente
il dato che al momento della proposizione del gravame l’associazione era
composta da sole nove persone, elemento che si presta ad essere valutato
in chiave indiziaria sub specie del difetto dell’ineludibile requisito
della rappresentatività del’ente aggregativo.
Non senza rilievo è poi anche la considerazione che detta associazione
è stata costituita il 25 ottobre 2008, ovverosia soli diciotto giorni
prima della notifica del ricorso. Scolora dunque considerevolmente il requisito
indicato sub 2, ossia lo stabile collegamento con il territorio. Sorge
invero non peregrino il dubbio che la costituzione dell’organismo associativo
non riconosciuto sia stata strumentale alla proposizione di una ben precisa
e specifica iniziativa contenziosa, vale a dire l’impugnazione del provvedimento
di autorizzazione alla costruzione della centrale per cui è controversia.
L’esiguo lasso di tempo ricorrente tra l’avvenuta creazione dell’associazione
ambientale e la data di notifica del ricorso (18 giorni) è indice
fortemente rivelatore della assenza di stabile collegamento con il territorio
e del requisito della rappresentatività della comunità locale.
Si richiama la puntualizzazione dell’indizio dato dal numero degli associati
contenuto nella decisione del Consiglio di Stato n. 3234/2008 sopra riportata.
Il Giudice d’appello ha precisato al riguardo che “Non basta il mero scopo
associativo a rendere differenziato un interesse diffuso o adespota, facente
capo alla popolazione nel suo complesso, quale interesse alla salvaguardia
dell'ambiente, specie quando tale scopo associativo si risolva, come nella
specie (in cui è stata depositata una semplice delibera di conferimento
di mandato per la proposizione del ricorso innanzi al Tar ), senza mediazione
alcuna di altre finalità, nell'utilizzazione di tutti i mezzi leciti
per non consentire la realizzazione di un determinato progetto e, quindi,
in definitiva, nella stessa finalità di proporre l'azione giurisdizionale”.(Consiglio
di Stato, Sez. V, 14 giugno 2007, n. 31917).
Da quanto finora illustrato consegue il difetto di legittimazione al
ricorso della ricorrente associazione Forum permanente della Val Di Lemme,
il cui ricorso va per tale profilo dichiarato inammissibile.
2.1. Solleva inoltre la controinteressata anche l’eccezione di difetto
di legittimazione dei cittadini residenti, signor L. Balestro, S. Balestro,
R.E. Cavo, G. Cavo, A. Porzio, R.M Carlini ,sostenendo, con Cons. di Stato,
n. 1600/2003, che il singolo cittadino che agisca contro atti che assuma
lesivi del bene ambiente deve dimostrare che non si tratta di un bene che
pervenga identicamente e indivisibilmente ad una pluralità più
o meno vasta di soggetti, ma che rispetto ad esso si trova in una posizione
differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa.
In ultima analisi, secondo la controinteressata, il singolo cittadino è
legittimato a ricorrere solo se riesca a dimostrare di subire un danno
alla salute o un pregiudizio diretto ed attuale alla porpsira sfera giuridica
patrimoniale dal provvedimento impugnato.
L’eccezione non trova concorde la Sezione va disattesa.
2.2. Invero, è pacifica e radicata l’affermazione giurisprudenziale
secondo la quale la legittimazione di una persona fisica ad impugnare addirittura
atti di localizzazione di discariche e di impianti di trattamento e smaltimento
di rifiuti solidi urbani non discende dalla mera vicinanza dell'abitazione
ad una discarica, ma è subordinata alla prova del danno che il ricorrente
riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto
riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché
le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle
modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare
la salute di chi vive nelle sue vicinanze (Consiglio di Stato, Sez. VI,
18.07.1995, n. 754; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.1998, n. 1088; Consiglio
di Stato, Sez. V, 31.01.2001, n. 358; Consiglio di Stato, Sez. V, 16.4.2003,
n. 1948 e più recentemente T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez.
I, 11.12.2006, n. 3216; T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 26.11.2007,
n. 3365; Consiglio di Stato, Sez. VI, 13.09.2007, n. 5453).
Rimane ancora tuttora attuale, infatti, nella ricostruzione del panorama
giurisprudenziale in materia di legittimazione dei singoli avverso determinazioni
pubbliche incisive del bene ambiente, il fondamentale arresto del Giudice
d’appello, secondo il quale “il ricorso giurisdizionale è proponibile
solo da chi ha la titolarità di un interesse legittimo e dimostri
che tale interesse ha subito una lesione per la illegittimità dell'atto
impugnato. Sulla base di tale principio, la mera vicinanza di un fondo
ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso
il provvedimento autorizzativo dell'opera essendo, al riguardo, necessaria
la prova del danno che da questa riceve. Né la legittimazione potrebbe
derivare dalla esigenza di salvaguardare l'ambiente in quanto tali interessi
trovano tutela unicamente nell'obbligo di buona amministrazione che grava
a carico degli enti esponenziali della comunità e degli altri enti
pubblici istituzionalmente preposti alla cura di detti interessi”.(Consiglio
Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2714).
In maniera ancor più specifica la stessa V Sezione aveva già
in precedenza precisato, proprio in materia di realizzazione di opere di
pubblica utilità, che “per impugnare un provvedimento che prevede
la realizzazione di un'opera non è sufficiente affermare di avere
la titolarità di un bene sito nelle sue immediate vicinanze, ma
occorre anche dimostrare il danno specifico che deriva al soggetto, in
quanto titolare del bene”. (Consiglio di Stato, Sez. V, 31 gennaio 2001,
n. 358).
La V Sezione ha poi confermato il riportato suo orientamento nell’anno
successivo, avendo ribadito che “la mera vicinanza di un fondo ad una discarica
non legittima "ex se" il proprietario frontista ad insorgere contro il
provvedimento autorizzatorio dell'opera, essendo necessaria la prova del
danno che da questo egli riceva nella sua sfera giuridica” (Consiglio di
Stato, Sez. V, 16 aprile 2003, n. 1948).
In siffatto panorama giurisprudenziale va debitamente segnalata una
successiva più recente decisione della medesima V Sezione del Consiglio
di Stato, che ha riproposto la ricordata esegesi suggellandola con una
massima che per la sua nitidezza conviene riportare alla lettera: “La mera
vicinanza di un'abitazione ad una discarica non legittima il proprietario
frontista ad insorgere avverso il provvedimento di approvazione dell'opera
essendo, al riguardo, necessaria la prova del danno che da questo egli
riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto
riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché
le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle
modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare
la salute di chi vive nelle sue vicinanze: da ciò consegue, pertanto,
che il mero collegamento in un fondo con il territorio sul quale è
localizzata una discarica non è da solo sufficiente a legittimare
il proprietario a provocare "uti singulus" il sindacato di legittimità
su qualsiasi provvedimento amministrativo preordinato alla tutela di interessi
generali che nel territorio trovano la loro esplicazione”.(Consiglio di
Stato, sez. V, 14 giugno 2007, n. 3191)
La Seconda Sezione del Tribunale ha più di recente confermato
il predetto precedente, escludendo la legittimazione a ricorrere di cittadini
singoli avverso gli atti di localizzazione ed autorizzazione di una discarica
che non avevano allegato né fornito principio di prova di alcun
danno patrimoniale (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 26 maggio 2008, n. 1217).
2.3. Facendo applicazione al caso al vaglio del Collegio della ricostruita
ermeneusi processualistica va rilevato che i cittadini ricorrenti non si
sono limitati ad affermare di essere “cittadini residenti nel comune di
Voltaggio e più precisamente residenti nelle immediate vicinanze
del sito in cui verrà realizzato l’impianto in questione”(ricorso,
pag. 3). Come può agevolmente notarsi, invece,i ricorrenti hanno
allegato e fornito adeguato principio di prova in ordine alla loro posizione
giuridica differenziata rispetto all’impianto di produzione di energia
da biomasse e ciò limitatamente, ma sufficientemente, al verosimile
danno che deriverebbe loro dall’esercizio dell’impianto in questione.
E’ stata infatti prodotta, in vista della pubblica udienza di merito,
una perizia tecnica di stima, redatta da professionista regolarmente abilitato
(perizia tecnica del 10.6.2009 del geom. J. Antichi, doc. 15 ricorr.),
la quale dà conto anzitutto della titolarità di diritti reali
dei ricorrenti su alcune cascine di origine rurale, trasformate in nuclei
residenziali ed abitate, dotate di infrastrutture e terreni agricoli circostanti.
Tutti questi cespiti sarebbero collocati ad una distanza oscillante tra
100 e 700 ml. dal sito ove dovrà sorgere l’impianto contestato;
il che determinerebbe già un “significativo pregiudizio per il valore
immobiliare delle proprietà interessate” (pag. 2 perizia cit.).
Ulteriormente indica il tecnico i fattori di incisione del valore economico
dei beni in analisi, individuati nell’incremento del traffico pesante,
del rumore costante e delle emissioni derivanti dal ciclo produttivo dell’impianto
de quo, nella percezione di odori residuali discendenti dal predetto ciclo
industriale. Conclude poi, sulla scorta dei precisati elementi ricostruttivi,
che le valutazioni di mercato degli immobili interessati è presumibile
che subiscano un decremento stimabile nel 50%. per effetto della realizzazione
della centrale energetica.
Ne consegue che vanno applicate a contrario al caso all’attenzione
del Collegio le conclusioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato,
che ha avuto modo di rimarcare che “gli attuali appellanti non hanno indicato
e tanto meno, quindi, hanno dimostrato il pregiudizio che deriverebbe ad
essi dagli atti impugnati, ma si sono solo lamentati della localizzazione
dell’impianto prevista dagli atti impugnati (…) La Sezione, peraltro, già
in fattispecie analoga, con riferimento al criterio della c.d. vicinitas,
ha chiarito che la mera vicinanza di un fondo ad una discarica non legittima
il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo
dell’opera, essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questa
riceve (Cons. di Stato, Sez. V, 13.7.1998, n. 1088)” (Consiglio di Stato,
Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2714, motiv.).
Viceversa, come denotato, gli odierni sette cittadini ricorrenti hanno
non solo allegato il pregiudizio economico loro derivante dal contestato
impianto energetico, ma ne hanno fornito un principio di prova che il Collegio
reputa sufficiente, nell’ambito e nei limiti del giudizio non di merito
sulla prova dell’an di un lamentato pregiudizio, ma su di un presupposto
processuale.
L’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione
dei cittadini ricorrenti non coglie dunque nel segno e va pertanto disattesa
3.1.1. Deve ora pervenirsi allo scrutinio dell’eccezione di inammissibilità
dell’atto di intervento ad adiuvandum spiegato da Legambiente Piemonte
e Valle d’Aosta ONLUS, notificato il 22.1.2009. L’eccezione è contenuta
nella memoria di parte controinteressata depositata il 27.1.2009, secondo
la quale Legambiente sarebbe stata legittimata ad impugnare in via diretta
il provvedimento gravato, non potendo quindi assumere la veste di interveniente
ad adiuvandum.
L’eccezione, pur nella sua imprecisione, appare fondata e va pertanto
accolta.
Ma ritiene doveroso la Sezione ancorare la sua decisione ad altre e
più circostanziate ragioni di teoria generale del processo amministrativo.
3.1.2. E’ al riguardo fin troppo noto l’antico insegnamento della dottrina
e il relativo radicato costrutto giurisprudenziale, secondo cui l’intervento
ad adiuvandum può essere posto in essere dal titolare di una situazione
giuridica soggettiva dipendente da quella dedotta in giudizio – dipendenza
dalla quale il Collegio farà derivare l’ulteriore conseguenza di
cui infra – e che l’interesse che legittima l’intervento ad adiuvandum
non può essere uguale a quello del ricorrente, non potendo l’interveniente
essere un cointeressato in senso proprio, che altrimenti risulterebbe elusa
la perentorietà del termine di decadenza per la notifica del ricorso.
Orbene, risulta agli atti (doc. 2 produzione interveniente) ed è
del resto ammesso dalla stessa Legambiente interveniente, che tale associazione
ha partecipato ai lavori della conferenza di servizi del 19.2.2008 (ammissione
di cui a pag. 2 dell’atto di intervento).
Ne consegue che Legambiente versava nella stessa situazione della parte
ricorrente, ovverosia era titolare di un interesse uguale a quello dei
ricorrenti o era quanto meno un cointeressato, essendo legittimato ad impugnare
il provvedimento in via diretta e principale. Doveva pertanto attivarsi
a notificare il ricorso nel termine di decadenza e non poteva quindi rivestire
il ruolo di interveniente, pena la ricordata elusione del termine perentorio
di decadenza dall’impugnazione. Discende quindi de plano l’inammissibilità
dell’atto di intervento spiegato da colui che è titolare di un interesse
uguale a quello del ricorrente, che lo legittimava a proporre il ricorso
in via principale nei termini decadenziali (T.A.R. Campania - Napoli, sez.
V, 22 giugno 2007, n. 6250; T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III, 4 giugno 2007,
n. 5140; T.A.R. Lazio - Roma, Sez. I, 6 giugno 2006, n. 4303; T.A.R. Liguria,
Sez. I, 12 ottobre 2005, n. 1349).
Il principio della perentorietà del termine decadenziale per
proporre ricorso giurisdizionale amministrativo osta dunque all’ammissibilità
di un intervento ad adiuvandum da parte di un soggetto che sia titolare
di una posizione differenziata e qualificata che lo legittimi ad impugnare
il provvedimento lesivo in via diretta.
Per completezza va soggiunto che l’intervento in questione sarebbe
stato ammissibile se effettuato nel termine di decadenza (T.A.R. Campania
- Napoli, sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2017), potendo in tal caso essere
convertito in ricorso autonomo (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 maggio
2002, n. 2928). Ma nel caso che ci occupa il termine di decadenza è
invece abbondantemente spirato all’atto della notifica dell’intervento.
Va per l’effetto dichiarato inammissibile l’intervento di Legambiente
Piemonte e Val d’Aosta..
3.3. Deve ora vagliarsi l’eccezione di inammissibilità, sotto
altro profilo, dell’intervento ad adiuvandum di Legambiente Piemonte e
Val D’Aosta, spiegata dalla controinteressata sulla considerazione che
trattasi di articolazione regionale o locale dell’associazione nazionale
Legambiente Onlus e come tale priva del requisito della legittimazione
ad intervenire nei giudizi amministrativi in materia di ambiente, riservata
unicamente all’associazione nazionale.
E’ noto che la giurisprudenza amministrativa ha acquisito e a più
riprese confermato il principio in ossequio al quale occorre specificare
che la speciale legittimazione ad agire delle associazioni di protezione
e tutela ambientale nei giudizi impugnatori diretti contro provvedimenti
in materia di ambiente concerne le “associazioni di protezione ambientale
nazionali, formalmente riconosciute e non le loro strutture o articolazioni
territoriali, che non rispondono ai requisiti posti dagli artt. 13 e 18,
comma 5, della legge 1986 n. 349 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.04.2006
n. 2151; T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 06.07.2007 n. 1618; Consiglio
di Stato, Sez. VI, 13.09.2007 n. 5453). Il Giudice d’appello ha chiaramente
definito l’ambito soggettivo della delineata legittimazione precisando
che “solo le associazioni ambientaliste nazionali, se riconosciute da appositi
decreti ministeriali ai sensi dell'art. 18, 5° comma, della L. 8 luglio
1986, n. 349, sono legittimate a ricorrere nelle controversie relative
a materie corrispondenti alle loro finalità istituzionali; la legittimazione,
viceversa, non spetta ad una struttura territoriale facente capo all'associazione
nazionale”.(Consiglio di Stato Sez. VI, 19-10-2007, n. 5453). Non ravvisa,
al riguardo, la Sezione, regioni esegetiche di diverso sentore per discostarsi
dal rassegnato insegnamento del Consiglio di Stato, che va condiviso, conseguendone
la declaratoria di inammissibilità per difetto di legittimazione
ad agire dell’intervento svolto da Legambiente Piemonte e Val d’Aosta Onlus.
4.1. Può finalmente approdarsi alla disamina del merito del
ricorso principale e dei successivi motivi aggiunti depositati il 9.1.2009.
Con il primo motivo del ricorso principale parte ricorrente denuncia,
articolandola in due sub censure, violazione del combinato disposto degli
artt. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e 10 della L. Reg. Piemonte n. 40/1998,
nonché dell’art. 269 del Testo unico ambientale di cui al d.lgs.
n. 152/2006. Lamenta con la prima sottocensura che il modulo procedimentale
definito all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e costituito dalla conferenza
di servizi finalizzata al rilascio dell’autorizzazione unica non escluderebbe
il contestuale obbligo di sottoposizione dell’impianto produttivo di energia
in controversia alla fase di verifica di assoggettabilità di cui
all’art. 10 della L. Reg. n. 40/1998, dovendo l’autorizzazione unica in
parola rispettare le vigenti normative di tutela dell’ambiente e del paesaggio.
La seconda sub censura, con cui si deduce la violazione dell’art. 269 del
Codice dell’ambiente, rappresenta l’infrazione di tale norma nella parte
in cui dispone che il progetto da porre a corredo dell’istanza di autorizzazione
debba indicare quantità, tipo e caratteristiche merceologiche dei
combustibili di cui si prevede l’utilizzo, là dove la documentazione
tecnica presentata dalla Voltaggio s.r.l. sarebbe carente di siffatte indicazioni
relative ai combustibili.
4.2.1. Ambedue le doglianze non persuadono il Collegio, poiché
la prima da un lato confligge con la giurisprudenza da poco formatasi nella
Sezione in tema di rapporti dell’autorizzazione unica in questione con
altri procedimenti valutativi dell’impatto ambientale, acquisizioni suffragate
dai recenti approdi del Giudice amministrativo e, dall’altro, è
contraddetta dalle declaratorie degli allegati alla L. Reg. n. 40/1998.
La seconda sub censura è poi smentita per tabulas dagli atti e dagli
impegni formali assunti dalla controinteressata e versati in giudizio.
4.2.2. Riguardo alla prima questione, eminentemente giuridica, rammenta
il Collegio che la Sezione ha intuitivamente attinto il principio, che
peraltro trova conforto in copiosa recente giurisprudenza, secondo il quale
il procedimento definito dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, dominato
dalla conferenza di servizi e inteso al rilascio dell’autorizzazione unica
alla realizzazione di impianti produttori di energia dallo sfruttamento
di FER (fonti energetiche rinnovabili: biomasse, impianti eolici e quant’altro)
ha carattere omnicomprensivo ed assorbe ogni altro procedimento previsto
dalle leggi regionali e volto alla verifica o alla valutazione dell’impatto
ambientale, poiché la conferenza di servizi è la sede nella
quale le varie amministrazioni preposte alla tutela dei beni ambientali,
paesaggistici e storico – artistici debbono esternare le loro valutazioni
tecniche (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 5.6.2009, n. 1597), non consentendo
il generico richiamo di cui all’art. 12 citato al rispetto delle normative
vigenti in tema di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico artistico, di essere inteso come salvezza anche dei moduli procedimentali
di settore che secondo la previgente legislazione erano intesi alla salvaguardia
di quei valori.
4.2.3. Segnala il Collegio che la giurisprudenza, condivisa dalla Sezione,
ha in più occasioni sottolineato l’onnicomprensività della
predetta autorizzazione unica, precisando che “l'autorizzazione unica è
rilasciata nel rispetto di tutti i possibili valori meritevoli di tutela,
ivi compresi quei valori ambientali cui è finalizzata la valutazione
di impatto ambientale ex D.P.R. 12 aprile 1996” (T.A.R. Sicilia - Palermo,
Sez. II, 26 febbraio 2008, n. 267) e che l’art. 12 cit. “non consente opzioni
ermeneutiche di carattere restrittivo, volte ad attenuare la valenza 'omnicomprensiva'
dell'autorizzazione medesima, attesa l'ampiezza della richiamata previsione
normativa” (T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, 5 febbraio 2008, n. 358), essendosi
anche puntualizzato che poiché la predetta autorizzazione unica
è rilasciata nel rispetto delle disposizioni previste a tutela dell’ambiente,del
paesaggio e del patrimonio storico – artistico,“ogni atto amministrativo
inerente alla costruzione e all'esercizio dei detti impianti ovvero alle
opere ad esso connesse ed alle infrastrutture indispensabili, qualunque
sia l'autorità amministrativa ordinariamente competente, è
sostituito ex lege dall'autorizzazione unica” (Tribunale S. Maria Capua
Vetere, Sez. II, 03 aprile 2007).
Si è incisivamente anche puntualizzato che “ai sensi dell'art.
12, d.lg. 29 dicembre 2003 n. 387, il legislatore ha inteso favorire le
iniziative volte alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando
l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella conferenza
di servizi ai fini del rilascio di un'autorizzazione unica (T.A.R. Sicilia
- Palermo, Sez. III, 22.10.2008, n. 1277).
Più specificamente, il Giudice amministrativo ha chiarito, nei
sensi appena enunciati dalla Sezione, che la valutazione di impatto ambientale
non è affatto esclusa dalla novella di cui all’art. 12 del d.lgs.
n. 387/2003, ma va effettuata in seno alla conferenza di servizi, pena
la vanificazione del termine di 180 giorni entro il quale la stessa deve
concludersi. Si è infatti di recente precisato che “
nel procedimento unico previsto dall'art. 12, d.lg. 29 dicembre 2003
n. 387, in tema di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili,
confluisce anche il procedimento relativo alla V.I.A., con la conseguenza
che l'eventuale mancata adozione, da parte dell'Assessorato del Territorio
e Ambiente, delle determinazioni di competenza, non può riflettersi
in senso preclusivo sull'attivazione e sullo svolgimento del procedimento
unico facente capo all'Assessorato dell'Industria, pena la sostanziale
vanificazione del termine di 180 giorni entro il quale, per legge, detto
procedimento, deve comunque pervenire a conclusione”.(T.A.R. Sicilia -
Palermo, Sez. III, 19 febbraio 2009, n. 368). Come ricordato, più
di recente la Sezione ha ex se attinto il ricordato principio di onnicomprensività
e assorbenza dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12, d.lgs. 29.12.2003,
n. 387(T.A.R. Piemonte, Sez. I, 5.6.2009, n. 1597).
Giova segnalare che anche il Giudice amministrativo d’appello ha sancito
il principio di onnicomprensività dell’autorizzazione unica, evidenziandone
l’attitudine ad essere la sede unica in cui vanno espressi i pareri di
compatibilità ambientale e paesaggistica e della stessa valutazione
di impatto ambientale, avendo di recente condivisibilmente statuito, infatti
che “nel procedimento di autorizzazione alla realizzazione di impianti
per la produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili
(nella specie, di un impianto costituente un "parco eolico"), l'amministrazione
regionale dei beni culturali deve rendere la propria determinazione, ai
fini della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, nonché
ai fini della valutazione di impatto ambientale, in sede di conferenza
dei servizi convocata dalla regione e non ha, pertanto, l'obbligo di pronunciarsi
sull'istanza di parere avanzata dal soggetto interessato alla realizzazione
dell'impianto”.(Cons.Giust.Amm. Sicilia, Sez. giurisd., 11 aprile 2008
, n. 295).
La doglianza della ricorrente è pertanto infondata già
sul piano squisitamente giuridico.
4.3.1. Ma la censura va disattesa anche sul terreno giuridico – tecnico,
afferente all’ambito precettivo delle declaratorie di cui agli allegati
alla L.Reg. n. 40/1998. Orbene, recita l’art. 4 della Legge regionale invocata:
“1.Sono sottoposti alla fase di verifica, secondo le modalità di
cui all'articolo 10, i progetti di opere e di interventi di cui agli allegati
B1, B2 e B3 non ricadenti, neppure parzialmente, in aree protette. 2. Sono
sottoposti alla fase di valutazione, secondo le modalità di cui
all'articolo 12: a) i progetti di opere e di interventi di cui agli allegati
A1 e A2”.
Deve quindi appurarsi se l’impianto progettato dalla controinteressata
sia soggetto alla procedura di verifica secondo le modalità contemplate
all’art. 10, come sostenuto dalla ricorrente, ovvero alla procedura di
valutazione di cui all’art. 12, ovvero ancora se l’impianto stesso non
sia soggetto ad alcuna delle due procedure.
A tal fine non può che premettersi che le due tipologie di valutazione
tecnica sono tra loro in concorso alternativo: un impianto è soggetto
alla valutazione di impatto ambientale o alla verifica di assoggettabilità.
Sono soggetti, per il chiaro disposto dell’art. 4 appena riportato, alla
fase di verifica quegli impianti che siano sussumibili nelle declaratorie
di cui agli allegati B1,B2 e B3 e che non ricadano in aree protette, mentre
soggiacciono alla fase di valutazione gli impianti sussumibili nelle definizioni
di cui agli allegati A1 e A2 che invece ricadano anche parzialmente in
aree protette.
Orbene, l’All. B2, dedicato ai “Progetti di competenza della provincia,
sottoposti alla fase di verifica quando non ricadono, neppure parzialmente,
in aree protette e sottoposti alla fase di valutazione quando ricadono,
anche parzialmente, in aree protette”, annovera al punto 35 gli “impianti
termici per la produzione di vapore ed acqua calda con potenza termica
superiore a 50 MW”.
L’impianto realizzando dalla controinteressata non ricade strettamente
in detta declaratoria, posto che non è impianto che produce vapore
ed acqua calda, bensì, come riconosciuto anche dalla ricorrente
nella memoria del 18.6.2009 (pag.5) produttivo soprattutto di energia elettrica
che viene venduta all’ENEL. Ne consegue che non è soggetto alla
fase di verifica disciplinata all’art. 10 della legge regionale invocata.
Ma anche ove dovesse ritenersi che l’impianto de quo, producendo anche
vapore ed acqua calda sanitaria, rientri nella declaratoria del punto 35
predetto, il medesimo esulerebbe comunque dall’obbligo della verifica o
della valutazione poiché non ha una potenza termica superiore a
50 MW. Invero, come attestato dall’ARPA nella nota di parere del 3.6.2008
(doc. 10 ricorrente) e come risulta dal provvedimento di autorizzazione
impugnato, l’impianto in contestazione spiega una potenza massima di 15
MW.
Tanto vale ad escludere in radice che l’impianto realizzando sia da
assoggettare alla fase di verifica o a quella di valutazione prescritta
dal combinato disposto degli artt. 4 e 10 della L.Reg. Piemonte n. 40/1998
e dall’All. B2, p. 35.
4.3.2. Inoltre va anche rimarcato che l’All.A2,”progetti di competenza
della provincia, sottoposti alla fase di valutazione” contiene un punto
22, aggiunto con la modifica al’elenco apportata con Delib.C.R. 30-7-2008
n. 211-34747, contemplante “Impianti termici per la produzione di energia
elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore
a 150 MW.”
L’impianto realizzando dalla controinteressata in astratto ricade in
tale declaratoria, poiché è qualificabile come impianto che
produce energia elettrica, vapore ed acqua calda.
Ma atteso che, come più sopra notato, lo stesso produce una
potenza inferiore a 150 MW, a termini del punto 22 del citato all.A2 l’impianto
stesso non è soggetto nemmeno alla procedura di valutazione. A nulla
vale controdedurre, come fa la ricorrente a pag. 5 della memoria del 18.6.2009
che il riportato punto 22 dell’All.A2 non sarebbe invocabile dalla controinteressata
in quanto introdotto con la delibera di Consiglio regionale del 30.7.2008
la quale è successiva alla conclusione della conferenza di servizi
del 3.6.2008.
Per contro va rilevato che è essenziale che la cennata modifica
normativa sia intervenuta prima dell’adozione del provvedimento impugnato
recante l’autorizzazione unica, il quale è stato assunto in data
7.8.2008 e cioè successivamente alla modifica normativa de qua.
Non è chi non veda, infatti, come l’organo provinciale che,
sulla scorta della conclusione della conferenza di servizi del 3.6.2008,
in data 7.8.2008 ha adottato l’autorizzazione unica gravata, ben avrebbe
potuto disattendere i risultati della conferenza stessa qualora la modifica
normativa intervenuta otto giorni prima avesse incluso l’impianto per il
quale era in corso di rilascio l’impugnata autorizzazione, nel novero di
quelli assoggettati alla procedura di valutazione di impatto ambientale
ai sensi della L. Reg. n. 40/1998. Non essendosi prodotta siffatta evenienza
per avere la delibera regionale del 30.7.2008 escluso dalla fase di valutazione
gli impianti produttori di energia elettrica, vapore ed acqua calda non
superiore a 150MW, quali quello in questione, l’organo provinciale competente
ha legittimamente rilasciato l’autorizzazione unica.
Il tutto, intuitivamente, ove potesse giuridicamente predicarsi la
perdurante vigenza, nonostante il regime dell’autorizzazione unica ex art.
12 del d.lgs. n. 387/2003, dei procedimenti settoriali previgenti in materia
di v.i.a. Il che, sulla scorta della giurisprudenza richiamata ai paragrafi
4.2. e 4.2.2 è da escludere.
La censura complessivamente articolata nella prima parte del primo
motivo di ricorso è quindi infondata e va disattesa.
4.4. Né miglior sorta va riservata, come anticipato, alla denuncia
di violazione dell’art. 269 del Codice dell’ambiente, per avere la controinteressata
omesso di indicare nella documentazione tecnica a corredo dell’istanza
di autorizzazione unica, la quantità, la tipologia e le caratteristiche
merceologiche del combustibile che prevede di utilizzare per il funzionamento
del progettato impianto.
La doglianza è contraddetta ex actis. Nella convenzione sottoscritta
tra la società Voltaggio e la Comunità Montana Alta Val di
Lemme il 29.5.2008 (Alla. E al provvedimento impugnato) è precisato
che la prima “si impegna ad utilizzare come combustibile (…) biomasse forestali
non trattate se non meccanicamente, provenienti dai comuni della Comunità
Montana per una quantità obiettivo non inferiore a 9.000 tonnellate/anno”.
Vengono quindi descritte la tipologia e il quantitativo di combustibile,
conformemente al disposto dell’art. 269 del Codice ambiente.
Le caratteristiche merceologiche del prodotto sono poi fatte oggetto
di precisa descrizione tecnica nel Piano preliminare di approvvigionamento,
presentato dalla Voltaggio nel corso del procedimento autorizzatorio e
versato in atti al doc. 30. La sez. III di tale documento, intitolata “Il
Combustibile” riporta poi una analitica descrizione tecnica delle caratteristiche
merceologiche del materiale (pagg. 13 ss., doc.30).
Da tutto ciò discende l’infondatezza in fatto anche della seconda
sub censura del primo motivo del ricorso principale che va per l’effetto
respinta.
5.1. Al secondo e più corposo mezzo di gravame sono affidate
le censure di sostanza, prevalentemente incentrate sulla contestazione
della sussumibilità nella nozione di biomassa vegetale e sottoprodotto
del combustibile del quale la Voltaggio prevede l’utilizzo. Sono denunciate
violazione e falsa applicazione dell’All. X, parte I, Sez. IV del d.lgs.
n. 152/2006, dell’art. 183, comma 1 lett. p) dello stesso decreto, nonché
difetto di istruttoria e motivazione, contraddittorietà, illogicità
e sviamento.
In particolare lamenta parte ricorrente che mentre nella relazione
generale allegata all’istanza la Voltaggio ha previsto l’esclusivo utilizzo
di biomasse definite all’allegato X al codice dell’ambiente, nel progetto
tecnico è precisato che per l’accensione dell’impianto e l’alimentazione
della caldaia di bak – up si farà uso di combustibile fossile (gasolio)
e pertanto non è contemplato l’uso di sole fonti rinnovabili.
E’ censurata anche la modalità di approvvigionamento di tali
biomasse poiché non sarebbero stati prodotti nel procedimento i
vincoli negoziali o le lettere di intenti tra la Voltaggio e i soggetti
produttori di tale materiale, il che confinerebbe a mere affermazioni di
principio le allegazioni della società e renderebbe inoltre inapplicabile
la definizione di sottoprodotto contenuta all’art. 183, lett. p) del Codice,
richiamata nelle Modalità di gestione descritte nel piano di approvvigionamento
del 16.7.2007. Punto centrale della nozione di sottoprodotto definita dalla
predetta disposizione è infatti l’impiego certo ed effettivo delle
biomasse, il quale sarebbe reso aleatorio dalla rilevata carenza di prove
negoziali certe. Non rientrerebbero poi nella relativa definizione le biomasse
derivanti dalla filiera forestale, da quella agricola utilizzate per la
produzione di cippato e sottoposte quindi a preventivi trattamenti onde
renderle utilizzabili quale combustibili.
Invoca . - peraltro impropriamente – parte ricorrente, Cass. Pen. 20.4.2007,
n. 21625 attribuendole la massima secondo cui gli scarti legnosi trattati
non sarebbero sottoprodotto.
Inoltre, nello schema dei flussi di approvvigionamento contenuto nel
suindicato piano, quanto alle fonti di approvvigionamento, sarebbero solo
genericamente additati dei centri di produzione del cippato e dei contoterzisti,
ossia non meglio qualificati intermediari; e allorché compaiano
degli intermediari o dei centri di stoccaggio si fuoriesce dalla nozione
di sottoprodotto che a mente dell’art. 183 del Codice ne postula la diretta
utilizzazione nel corso del procedimento di produzione o di utilizzazione
dello stesso.
Si assume anche la qualificazione in termini di rifiuto e non di sottoprodotto
degli scarti agricoli (potatura delle viti: sarmenti, stocchi e tutoli
delle coltivazioni di mais ,paglie cereali, e scarti agroalimentari) indicati
nel piano di approvvigionamento predisposto dalla Voltaggio, in violazione
del DM 5.2.1998 che contempla fra i rifiuti recuperabili mediante combustione
proprio i residui colturali pagliosi, legnosi e diversi, quali i sarmenti,
i tutoli, gli stocchi e i gusci.
Conclude la capillare serie di censure parte ricorrente contestando
la sostenibilità del piano di approvvigionamento, per supportare
il quale sarebbero stati necessari contratti o accordi di cessione del
materiale con i vari produttori dello stesso, compresi il consorzio forestale,
la comunità montana, le associazioni agricole. E ciò con
riguardo sia alla filiera forestale e che a quella agricola e di recupero,
conseguente l’inattuabilità del piano stesso.
5.2.1. Le censure tutte sopra profusamente ricostruite non persuadono
il Collegio, siccome smentite dalla documentazione integrativa prodotta
dalla Voltaggio nel corso del procedimento ed in risposta alle varie richieste
promananti dalle diverse riunioni della conferenza di servizi. Le preoccupazioni
agitate da parte ricorrente hanno poi trovato puntuale riscontro in specifiche
prescrizioni con le quali l’Amministrazione ha assistito il provvedimento
di autorizzazione impugnato. L’ultimo profilo di censura, dal quale per
semplicità conviene prendere le mosse, impinge poi palesemente nel
merito amministrativo ed appare pertanto inammissibile.
5.2.2. Invero, non è chi non veda come le doglianze puntualizzate
sulla quantità della produzione delle varie filiere, e denunciate
in precisi termini dimensionali a pag. 22 del ricorso (pioppicoltura 10.000
tonnellate annue da subito, filiera di legno 1.00 tonnellate, filiera forestale
quantità crescenti sino a 15.908 tonnellate di biomassa al decimo
anno dopo l’avvio dell’impianto, etc.), puntualizzate sulla difficile applicabilità,
secondo uno insigne studioso della materia, dei progetti di pianificazione
e utilizzazione forestale nella realtà italiana dominata dalla frammentazione
della proprietà privata, involgono tutte considerazioni tecniche
di puro merito amministrativo, che esulano dalle competenze di questo Giudice,
né possono essere attinte mediante una consulenza tecnica d’ufficio,
che finirebbe fatalmente per sostituirsi alle valutazioni dell’Amministrazione.
Ciò posto, non è senza pregio la controdeduzione della
Voltaggio, espressa sia nell’atto di costituzione del 28.11.2008 che nella
memoria per l’udienza del 29.1.2009, secondo la quale la controinteressata,
per effetto delle prescrizioni impartite in sede di conferenza di servizi,
ha predisposto un piano di approvvigionamento delle biomasse (VE.DU.PA.01,
doc. 30 con rappresentazione anche grafica del bacino di riferimento (doc.
30 bis controint.) che vale a contestare la lamentata insufficienza delle
fonti di approvvigionamento. Senza trascurare, inoltre, in proposito che
nella convenzione del 29.5.2008 più sopra citata, stipulata con
la Comunità montana Alta Val di Lemme, è previsto il reperimento
di biomasse forestali provenienti dai vari Comuni della Comunità,
in misura non inferiore a 9.000 tonnellate.
Siffatte notazioni bastano a giudicare che le valutazioni compiute
in seno alla conferenza di servizi e poi fatte proprie dall’Amministrazione
emanante sono immuni da macroscopici vizi logici o da irragionevolezza
o incongruenza, nei cui soli limiti è consentito a questo Giudice
uno spazio di sindacato.
5.2.3. Quanto alla censura inerente l’impiego di combustibile fossile
per l’accensione dell’impianto e l’alimentazione della caldaia di bak –
up va opposto che già nell’integrazione documentale del 30.4.2008
(doc. 7 ricorr.) allestita a seguito di precisa preoccupazione espressa
nella precedente conferenza di servizi, la Voltaggio si impegnava ad alimentare
tale caldaia, prevista per assicurare la continuità del servizio
di teleriscaldamento anche durante le fermate programmata, con gas metano,
appena disponibile la connessione con la rete. Corrispondente prescrizione
figura poi al punto 3 dell’All. A all’autorizzazione, recante le prescrizioni
generali a cui resta subordinato il titolo.
Va notato sin da ora, anche ai fini delle ulteriori precisazioni incentrate
sul contenuto delle altre prescrizioni riportate nel predetto allegato,
che la vincolatività delle stesse è sancita al punto 6 dell’autorizzazione
impugnata, a mente del quale si delibera “di vincolare l’autorizzazione
al rispetto delle prescrizioni impartite dal Comune di Voltaggio (…) riportate
nell’allegato “A” del presente provvedimento”.
Dirimente è poi il dato, opportunamente segnalato dalla difesa
della Voltaggio, secondo il quale l’impiego di combustibile fossile è
espressamente consentito dal punto 4.4.2 della “Normativa di qualificazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” (ai sensi dell’art. 11,
comma 1 del D.M. 24.10.2005) del GSE, che autorizza per tali impianti l’utilizzo
di combustibile convenzionale di sostegno nel limite del 5% della produzione
annua totale di energia.
Ne consegue che la censura in scrutinio si profila infondata e va respinta.
5.2.4. Relativamente alla doglianza con cui si lamenta che taluni prodotti
derivati dalle varie filiere non sarebbero qualificabili come sottoprodotto
ma come rifiuto, pone in luce il Collegio che di tanto si è data
carico la stessa Amministrazione, allorché già in sede di
conferenza di servizi del 3.6.2008, emergeva “il problema che alcune biomasse
elencate possono essere considerate rifiuti. L’Ing. Coffano (dirigente
della Sezione difesa del suolo, V.I.A. e servizi tecnici della Provincia
di Alessandria, n.d.E.) rimarca che nell’autorizzazione sarà precisato
che non potranno essere adoperati rifiuti”.
La delineata notazione si è poi tradotta in una specifica e
dettagliata prescrizione generale del provvedimento impugnato (All. A all’autorizzazione
del 7.8.2008) nella cui premessa si legge che “l’Azienda si impegna ad
impiegare come unico combustibile biomassa vegetale non trattata se non
meccanicamente con le caratteristiche sotto indicate”. Segue, tra le prescrizioni
generali, vincolanti ai sensi del punto 6 del provvedimento, la descrizione
delle caratteristiche della biomassa impieganda dalla Voltaggio, prodotto
che dovrà “essere costituita, esclusivamente, da legno vergine e
biomassa agricola; essere trattata esclusivamente meccanicamente; essere
reperita entro un raggio di 50 km dalla centrale (..); essere trasferita
direttamente dal luogo di produzione alla centrale di Voltaggio Energia
senza alcun passaggio intermedio”.
Appare pertanto evidente alla Sezione un quadro di assoluta conformità
del contenuto provvedimentale con le disposizioni normative, posto che
l’Amministrazione ha tenuto nel debito conto le norme sulla definizione
di biomassa vegetale circoscrivendo alle stesse l’ambito autorizzativo
del provvedimento rilasciato.
5.2.5. Soccorre peraltro anche una notazione di teoria generale. E’
principio generale del diritto amministrativo quello secondo il quale il
contenuto determinativo di un provvedimento è costituito non solo
dalla parte dispositiva ma anche dalla parte prescrittiva, rappresentata
dall’insieme delle prescrizioni che circondano il rilascio di un titolo
autorizzatorio ed entrano a far parte del dispositivo dell’atto, il quale
va giudicato, in rapporto al parametro normativo di riferimento, nella
sua integralità determinativa, costituita anche dalle prescrizioni
imposte al soggetto beneficiario del provvedimento ampliativo, conseguendone
la legittimità di un’autorizzazione alla realizzazione di un impianto
alimentato da FER qualora la stessa rechi la tassativa e vincolante prescrizione
che per l’alimentazione e il funzionamento della centrale debbano essere
impiegate solo biomasse vegetali trattate meccanicamente, con esclusione
di prodotti qualificabili come rifiuto.
Poco importa poi se in fase di attuazione del provvedimento autorizzatorio
il beneficiario non ottemperi alla riferita prescrizione: il comportamento
divergente ed inadempiente del destinatario non si riverbera ex post sulla
legittimità del provvedimento amministrativo autorizzatorio, che
riamane invulnerata, potendo e dovendo l’inottemperanza de qua rilevare
in occasione e sede di controlli che l’Amministrazione potrà effettuare,
il cui negativo esito potrà condurre anche alla revoca sanzionatoria
dell’autorizzazione.
5.2.6. La riportata prescrizione in forza della quale la biomassa vegetale
da utilizzare per l’alimentazione dell’impianto dovrà “essere trasferita
direttamente dal luogo di produzione alla centrale di Voltaggio Energia
senza alcun passaggio intermedio”, conferisce patente di piena conformità
del provvedimento alla definizione di sottoprodotto contenuta nel’invocato
art. 183, co. 1, lett. P) del d.lgs. n. 152/2006, in forza del quale l’impiego
del sottoprodotto deve avvenire direttamente nel corso del processo di
produzione o di utilizzazione individuato e definito.
Soggiunge inoltre il Collegio che la legittimità del provvedimento
sottoposto alla sua attenzione, per i profili ora in scrutinio, può
essere inferita oltre che dalla suindicata prescrizione circa l’impiego
esclusivo di biomasse vegetali trattate solo meccanicamente, anche dalle
stesse specifiche tecniche e descrittive dichiarate dalla Voltaggio in
sede di istanza di autorizzazione.
Va debitamente posto in luce al riguardo che a corredo dell’istanza
del 27.72008 la controinteressata presentava il Piano preliminare di approvvigionamento,
la cui sezione 3 a pag. 13 descrive minuziosamente le caratteristiche del
combustibile precisando che “l’impianto di cogenerazione utilizzerà
come combustibile esclusivamente biomassa vegetale non trattata e cioè
legno vergine, scarti agricoli e scarti legnosi che non abbiano subito
trattamenti di tipo chimico”, ulteriormente chiarendo che per biomassa
legnosa combustibile si intende materiale vegetale prodotto da interventi
selvicolutarli, coltivazioni dedicate, manutenzioni forestali quali la
potatura nonché materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente
meccanica del legno vergine, costituito da cortecce, segatura, chips e
tondelli oltre che da legna tal quale”. Precisa poi anche cosa intende
per cippato, ovverosia chips di legno o legno sminuzzato, ovvero scaglie
di legname ottenuto con apposite macchine (trituratori o cippatori).
Da quanto esposto discende pertanto all’evidenza che già in
sede di documentazione tecnica allegata all’istanza la Voltaggio si obbligava
ad impiegare unicamente materiale legnoso biodegradabile e sussumibile
nel genus di sottoprodotto di cui all’art. 183 del codice dell’ambiente.
Con il che si è fatta luce sull’infondatezza delle contestazioni
di parte ricorrente qui in scrutinio.
5.2.7. Per concludere la trattazione sul punto deve il Collegio anzitutto
rilevare l’inconferenza e l’improprietà del richiamo effettuato
in ricorso alla decisione della Cassazione penale, III, n. 21625/2007.
Come prudentemente segnalato dalla controinteressata, infatti, con tale
pronuncia, che sembra essere stata massimata in maniera poco fedele, il
S.C. ha ritenuto sussistere il reato correlato all’utilizzo di rifiuti,
considerando che “i rifiuti utilizzati per la combustione dei forni sono
costituiti da truciolato e addensato, ovvero da scarti di legno sminuzzati
a varie granulometrie e forme e successivamente compattati con l’utilizzo
di collanti(..) la presenza di collanti fa sì che non si tratti
di rifiuti della lavorazione del legno non trattato a base esclusivamente
di legno verde o componenti di legno verde”.
Come può agevolmente rilevarsi, dunque, la fattispecie decisa
dalla Cassazione divergeva in toto da quella al vaglio del Tribunale, che
si caratterizza per l’assoluta esclusione di procedimenti chimici, non
meccanici, nel trattamento delle masse vegetali utilizzate come combustibile.
5.2.8. Ritiene al riguardo, in particolare, la Sezione che non costituiscano
rifiuto e possano quindi essere tipicamente e propriamente utilizzati nell’alimentazione
di un impianto di produzione di energia da biomasse vegetali gli scarti
legnosi dell’agricoltura e i residuati della lavorazione esclusivamente
meccanica del legno, quali segature, tondelli, cortecce e cippato legnoso,
anche ove quest’ultimo sia trattato con impiego di acqua per estrarne il
tannino, poiché l‘acqua naturale non è un solvente e non
può essere assimilata ad una sostanza chimica.
5.2.9. Ultima notazione va svolta con riguardo al contestato difetto
di vincoli negoziali per la fornitura della biomassa e di stima delle potenzialità
delle varie filiere relativamente alle fonti di approvvigionamento del
combustibile, le quali si presenterebbero del tutto aleatorie e inadeguate
a garantire il necessario fabbisogno di biomasse.
La censura è contraddetta in fatto. Invero, sono agli atti diversi
studi e dettagliate analisi effettuate dalla Voltaggio e versate nelle
varie conferenze di servizi, che attestano proprio il contrario. Si segnala
anzitutto la più volte citata convenzione del 29.5.2008 stipulata
con la Comunità montana, che garantisce un consistente apporto di
biomassa stimato in circa 9.000 tonnellate annue. Vi è poi un verbale
di riunione del 7.1.2008 (doc. 36 controint.) svoltasi con varie Confederazioni
agricole locali e dedicata alla fissazione delle condizioni preliminari
di fornitura del prodotto. Per la filiera forestale vi è poi il
doc. 33,“analisi della potenzialità forestale” depositato in conferenza
di servizi, il quale esamina le capacità produttive del comprensorio
e verifica la sostenibilità del piano di approvvigionamento.
Quanto alla denunciata assenza di accordi commerciali, lettere di intenti
et similia con i vari fornitori, risultano invece agli atti diversi accordi
commerciali, capaci di assicurare consistenti quantità di legname
e cippato locale. Possono indicarsi gli accordi versati in causa al doc.
41 e quello con la segheria prodotto al doc. 42.
Ma al di là di specifici negozi con i produttori, la complessiva
esistenza di accordi in tal senso è stata rappresentata già
durante la prima conferenza di servizi del 25.9.2007. A pag. 5 del relativo
verbale (doc. 2 ricorr.) si legge infatti che “sono stati avviati contatti
e stabiliti pre-accordi commerciali con operatori locali, sia sul fronte
agricolo che su quello forestale, volti a concretizzare accordi pluriennali
di fornitura in grado di garantire, con il dovuto margine di sicurezza,
i volumi di biomasse necessarie al funzionamento del distretto energetico
che si aggira nell’ordine delle 40.000 tonnellate per anno”.
I dati documentali appena ricostruiti consentono quindi al Collegio
di concludere per la pacifica infondatezza della censura in scrutinio,
che va quindi respinta.
In conclusione, tutto il secondo motivo di gravame, per le ragioni
finora evidenziate, risulta complessivamente integralmente infondato e
va disatteso.
6. 1. Il terzo motivo del ricorso principale espone il difetto di istruttoria
e di motivazione, illogicità, contraddittorietà e sviamento
discendenti dall’aver rilasciato l’autorizzazione gravata nonostante in
nessun documento presentato dalla società si rinvenga un progetto
di tele calore, la sua distanza dall’impianto, il numero dei potenziali
utenti e quant’altro, malgrado tutte le Amministrazioni interessate avessero
convenuto che il teleriscaldamento fosse condizione della fattibilità
del progetto, per via della compensazione ambientale scaturente dalla conseguente
disattivazione degli impianti termici domestici, la quale avrebbe consentito
di tollerare l’immissione in atmosfera dei residuati della combustione
della biomassa utilizzata per il funzionamento della centrale.
6.2. La doglianza è anzitutto contraddetta ex actis. Nel progetto
tecnico (doc. 7 ricorr.) a pag. 15 consta il par. 25.6.2. “Rete di teleriscaldamento
di Voltaggio”, il quale dà atto che è stato sviluppato in
collaborazione con l’A.C. il progetto preliminare della rete di teleriscaldamento
che “collegherà con un collettore principale il Distretto Energetico
al centro abitato di Voltaggio situato a circa 3 km e servirà attraverso
una rete di distribuzione capillare sia il centro storico di Voltaggio
che le frazioni di Isolazza, San Nazzaro e Fornaci”. E’ precisato anche
detta rete sarà di “tipo aperto” per consentire il progressivo allacciamento
di altre utenze pubbliche e private. E’ anche allestita una tabella della
rete, raffigurante le tipologie di utenze e la relativa potenza, con minuta
descrizione delle specifiche tecniche della potenza termica ripartite tra
i vari periodi dell’anno. E’ poi ipotizzata l’adesione alla rete anche
dell’utenza Campo Base Val di Lemme, che ospiterà circa 450 addetti
per un periodo di otto anni. Risultano per tale via sementite le allegazioni
di parte ricorrente sopra riassunte.
6.3. Ma il Collegio rimarca inoltre che la censura non è solo
infondata in fatto, come si è appena denotato, ma anche in diritto.
Applicando i principi generali sulla legittimità dei titoli autorizzatori
enucleati al par. 5.2.5., rileva il Tribunale che l’Amministrazione non
ha affatto obliterato l’importanza e la necessità dell’attivazione
della rete di teleriscaldamento, avendo anzi espressamente, da un lato
vincolato “l’autorizzazione alla presentazione annuale dei contratti stipulati
con gli utenti allacciati alla rete di teleriscaldamento” (p. 17) e dall’altro
chiaramente stabilito “che l’avvio dell’impianto sia subordinato ala realizzazione
del’impianto di teleriscaldamento” (p. 20).
Dalle riportate vincolanti prescrizioni impartite in uno con la rilasciata
autorizzazione discende che l’Amministrazione ha tenuto nel debito conto
ed elevato a condicio iuris dell’autorizzazione unica la realizzazione
della rete di teleriscaldamento, addirittura subordinando ad essa l’effettivo
avvio dell’impianto.
Da quanto or ora rilevato discende de plano la radicale infondatezza
anche del terzo motivo in scrutinio. che va per l’effetto respinto.
7.1. Con il quarto mezzo la ricorrente censura per difetto di motivazione
e di istruttoria, illogicità, contraddittorietà e sviamento
la deliberazione della Giunta della Comunità Montana Alta Val di
Lemme – Alto Ovadese n. 34 del 26.5.2008, trasmessa alla ricorrente Carlini
M.R. in data 11.10.2008.
Il ricorso avverso la suindicata delibera di Giunta comunale è
irrimediabilmente tardivo, posto che l’atto è stato assunto nella
deliberazione del 26 maggio 2008 ed è stato pubblicato all’Albo
pretorio del’Ente locale in data 5.6.2008. Il termine decadenziale di sessanta
giorni, che pacificamente deve applicarsi al caso che ci occupa, trattandosi
di delibera di organo collegiale, per la quale è prescritta ex lege
la forma di pubblicità consistente nella pubblicazione nell’Albo
pretorio, impugnata da soggetti non direttamente contemplati nell’atto,
decorreva quindi dal quindicesimo giorno dalla pubblicazione, ossia dal
20 giugno 2008.
Non può del resto essere ragionevolmente posta in dubbio l’immediata
lesività della delibera opposta, considerato che con la stessa la
Comunità montana approvava la convezione con la società Voltaggio,
con la quale quest’ultima si impegnava ad utilizzare il quantitativo e
la tipologia di biomassa più volte rammentata nel corso di quest’esposizione
motiva. E’ pertanto incontestabile che la delibera in analisi non si limitava
a delineare delle linee di indirizzo o a formalizzare il parere positivo
da esprimere nella terza conferenza di servizi, ma recava un effetto esterno
diretto, producendo il sorgere del vincolo negoziale convenzionale con
la controinteressata. Siffatta attitudine ed efficacia esterna del provvedimento
si atteggiava anche a fonte della costitutività degli effetti, caratteristica
che per avvertita giurisprudenza del Consiglio di Stato determina l’emergenza
della lesività e conseguentemente dell’onere dell’immediata impugnazione
del provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 maggio 2007, n. 2183;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 aprile 2005, n. 1743).
Va al riguardo anche debitamente evidenziato che la convenzione approvata
con l’impugnata delibera di giunta ha consistentemente condizionato il
provvedimento di autorizzazione impugnato e censurato nei motivi appena
illustrati, posto che la Provincia di Alessandria, nel rilasciare la predetta
autorizzazione ha impartito una specifica prescrizione, vincolando la Voltaggio
destinataria a rispettare i termini e gli impegni contenuti nella convenzione
sottoscritta con la Comunità Montana, che viene allegata al provvedimento
impugnato, come uno degli specifici allegati che formano parte integrante
dell’autorizzazione stessa.
E’ di palmare evidenza, dunque, che il contenuto determinativo della
delibera della giunta della comunità montana impugnata, ricostruito
con rinvio alle pattuizioni convenzionali approvate, è entrato a
far parte, con efficacia costitutiva e condizionante, del contenuto dispositivo
dell’autorizzazione provinciale gravata. Il che rende solare ed evidente
l’efficacia costitutiva e l’effetto esterno della delibera della comunità
montana, efficacia da cui pacificamente discende la sua immediata lesività
ed attitudine pregiudizievole che ne determina l’onere di immediata tempestiva
impugnazione.
Da queste considerazioni consegue che il ricorso avverso la delibera
predetta, notificato il 12 novembre 2008, è palesemente tardivo
e va pertanto dichiarato irricevibile.
Pacificamente, poi, non ha l’effetto di riaprire i termini di impugnazione
o di far decorrere gli stessi, la trasmissione dell’atto effettuata dall’Ente
in data 11.10.2008 a seguito di specifica istanza di accesso formulata
da una delle ricorrenti.
E’ infatti fin troppo noto che la conoscenza del provvedimento e del
suo contenuto essenziale, legalmente acquisita, è idonea a far decorrerne
i termini di impugnazione, i quali non scattano al momento della effettiva
conoscenza discendente dall’evasione dell’istanza di accesso, laddove sia
prevista per il provvedimento una tipizzata forma di pubblicità.
Pubblicità mediante pubblicazione all’albo che, per costante giurisprudenza,
recentemente ribadita dal Giudice d’appello, è “rilevante per la
decorrenza dei termini di impugnazione degli atti dei Comuni da parte di
soggetti non direttamente contemplati dall'atto”(Consiglio di Stato, Sez.
V, 15 settembre 2009, n. 5503).
7.2. Dalle considerazioni tutte finora illustrate consegue che il ricorso
principale si profila infondato e va pertanto respinto mentre va dichiarato
irricevibile per tardività della notifica con riguardo all’impugnazione
della deliberazione n. 34/2008 della Comunità Montana Alta Val di
Lemme – Alto Ovadese.
8.1. Può ora approdarsi al vaglio dei motivi aggiunti di ricorso,
interposti a seguito dell’accoglimento dell’istanza di accesso del 1.12.2008,
i quali oltre alle censure finora scrutinate e decise, svolgono autonomi
profili di doglianza che saranno di seguito illustrati in uno con il loro
scrutinio.
Con il primo motivo aggiunto di gravame si denuncia violazione e falsa
applicazione degli art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e 14 e seguenti della
l. n. 241/1990 nonché dei principi di buon andamento ed imparzialità
dell’amministrazione sanciti dall’art. 97 Cost., oltre che eccesso di potere
per illogicità, contraddittorietà e sviamento. Si duole parte
ricorrente che alla Voltaggio controinteressata sono stati chiesti chiarimenti
e documentazione per ben due volte e non per una sola come dispone la legge
sul procedimento e per di più con concessione di un termine superiore
a quello di trenta giorni stabilito dall’art. 14 – ter della L. 241/90.
Lamenta inoltre parte deducente che hanno partecipato alla conferenza decisoria
anche rappresentanti della società privata istante, ciò che
sarebbe vietato dalla legge sul procedimento, all’uopo invocandosi TAR
Friuli V.G. n. 90/2008 secondo cui le disposizioni sulla conferenza di
servizi non assicurano al privato un diritto di partecipazione alle riunioni
e Cons. Stato, V, n. 8080/2003 secondo la quale la legge 241/90 “non sancisce
in via generale il principio di pubblicità per lo svolgimento della
conferenza di servizi”. Conviene esaminare le censure ora riassunte e poi
affrontare l’ultima, invero giuridicamente più interessante, che
conclude il primo motivo aggiunto.
Nessuno degli argomenti spesi da parte ricorrente appare al Collegio
meritevole di condivisione.
8.2. La doglianza appuntata sul presunto divieto di chiedere per più
di una volta chiarimenti e ulteriore documentazione ai proponenti dell’istanza
e ai progettisti nonché sulla concessione di un termine superiore
a trenta giorni fonda su una norma, l’art. 14-ter, comma 8 della L. n.
241/1990, che sottende un’istanza di semplificazione e snellimento amministrativo
e di divieto di aggravio procedimentale, in attuazione del principio di
economicità e di snellezza dell’attività amministrativa che
si eleva a canone principe della novella sul procedimento.
Ritiene la Sezione che tale norma sia stata predisposta dal Legislatore
nell’interesse del soggetto che ha presentato l’istanza che deve essere
valutata e decisa in seno alla conferenza di servizi e non già nell’interesse
di eventuali controinteressati sostanziali all’iniziativa del proponente.
La prescrizione che le integrazioni e i chiarimenti possono essere
domandati dall’Amministrazione una sola volta, come pure quella che fissa
a trenta giorni il termine entro il quale le stesse debbono essere prodotte
è infatti finalizzata a consentire la rapida conclusione del procedimento
e la più celere evasione del’istanza presentata dal privato e sottoposta
al contestuale esame tipico tratto del conferenza di servizi. Celerità
e snellezza che intuitivamente avvantaggiano solo il soggetto richiedente
l’atto ampliativo.
Ne consegue che legittimato a dolersi della sua violazione è
dunque unicamente il soggetto privato che abbia presentato un’istanza soggetta
alla fase di valutazione contestuale tipica della conferenza di sevizi,
discendendone che la censura in tal modo spiegata dai ricorrenti, che rivestono
il ruolo di parte controinteressata sostanziale, si configura inammissibile
per carenza di legittimazione.
8.3. Ma la lamentela è anche infondata nel merito, atteso che
la giurisprudenza del Tribunale, dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni
per discostarsi, si è già espressa nel senso che la norma
che impone che le integrazioni documentali siano richieste in un’unica
soluzione “non correla alcun effetto preclusivo all’eventuale reiterazione
delle richieste medesime”, potendo l’illegittimità scaturire unicamente
dalla violazione del principio di non aggravamento del procedimento che
sottende la disposizione in parola, per cui la violazione “va accertata
non tanto in base alla formale presenza di due richieste di chiarimenti
da parte dell’amministrazione, quanto accertando se ciò si sia tradotto
in una protrazione ingiustificata della procedura” (T.A.R. Piemonte, Sez.
II, 26.5.2008, n. 1217). Deduzione in linea con quanto più sopra
rilevato in ordine all’interesse processuale a dolersi della lamentata
violazione.
Lo stesso è a predicarsi, poi, relativamente alla norma secondo
cui se i chiarimenti “non sono forniti in detta sede, entro i successivi
trenta giorni, si procede all’esame del provvedimento”. Emerge qui con
maggiore evidenza che la conseguenza stabilita dal legislatore per l’omessa
presentazione dei chiarimenti de della documentazione, ossia l’esame del
provvedimento, si atteggia a misura lato sensu sanzionatoria dell’inottemperante
contegno del privato destinatario della richiesta integrazione documentale.
Di talché non può seriamente dubitarsi che solo costui
è legittimato a lamentare la violazione della norma de qua e che
parte ricorrente versa in analoga situazione processuale di difetto di
legittimazione o di interesse rispetto alla posizione rivestita in relazione
alla norma sulla richiesta di integrazioni in unica soluzione. Dal che
la declaratoria di inammissibilità anche della censura in analisi.
8.4. Infondata nel merito si appalesa invece la censura secondo cui
alla conferenza di servizi decisoria non potrebbero essere ammessi a partecipare
i rappresentati del soggetto privato istante. Anzitutto va rimarcata la
radicale inconferenza della giurisprudenza invocata dai ricorrenti, posto
che la sentenza di primo grado citata precisa solo che non è assicurato
dalle norme sulla conferenza di servizi il diritto assoluto di partecipazione
del privato, non escludendo, dunque, che l’Amministrazione possa legittimamente
e facoltativamente consentire siffatta partecipazione. La decisione del
Consiglio n. 8080/2003 è poi nettamente non pertinente, posto che
si limita ad escludere che la norma in esame sancisca in via generale il
principio di pubblicità delle sedute della conferenza, ma nulla
statuisce in ordine alla possibilità di partecipazione dei privati.
8.5. Rammenta invece in contrario il Collegio che la giurisprudenza
ha di recente autorevolmente sancito che costituisce preciso onere dell’Amministrazione
procedente, in caso di adozione di modelli concertati di formazione del
provvedimento, quali accordi di programma o conferenze di servizi, individuare
tempi e modi tali da consentire la partecipazione del privato i cui interessi
siano intaccati dall’agire provvedimentale concertato. Il Consiglio di
Stato ha infatti chiarito che “qualora le fasi procedimentali vengano sostituite
da diversi modelli di procedimento o di adozione delle decisioni (accordi
di programma, conferenza di servizi) è onere delle amministrazioni
procedenti di individuare tempi e modi per consentire la partecipazione
dei privati la cui sfera giuridica viene interessata dagli effetti dell'azione
amministrativa”.(Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2007, n. 6183).
La censura in esame va pertanto disattesa siccome infondata.
8.6.1. Maggior interesse giuridico riveste invece la doglianza che
chiude il motivo in esame, secondo la quale illegittimamente l’ARPA avrebbe
trasmesso il suo parere con nota in data 11.6.2008, solo dopo che la conferenza
di servizi decisoria del 3.6.2008 aveva concluso i suoi lavori. Il che
violerebbe l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e il principio del procedimento
unico finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica ivi scolpito.
Opina la Sezione che la censura sia priva di pregio e vada pertanto
respinta.
Invero, si stenta a trarre dal disposto dell’art. 12 del d.lgs. n.
387/2003 il principio della necessaria formalizzazione in un testo scritto,
coevo alla riunione del consesso, del parere di competenza di ciascuna
delle amministrazioni intervenute ai lavori della conferenza di servizi.
Tale conclusione è suffragata dal tenore testuale della norma di
cui all’art.12, comma 4 citato, secondo cui “L'autorizzazione di cui al
comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale
PARTECIPANO tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei
principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge
7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni”..
La legge impone quindi unicamente la partecipazione contestuale alla
conferenza di servizi, di tutte le Amministrazioni interessate, senza nulla
prescrivere in ordine al modo in cui esse possano esternare le loro valutazione,
potendo ciò avvenire oralmente o per iscritto, anche mediante la
redazione di un testo che sia trasmesso successivamente ai lavori della
conferenza, sempre che tale redazione e trasmissione avvenga antecedentemente
all’adozione del provvedimento autorizzatorio unico, il quale non svanisce
affatto, pur nello speciale modulo procedimentale di autorizzazione unica
contestuale.
Nel disposto della norma di cui all’art. 12 è dato infatti cogliere
uno sdoppiamento e uno iato tra i lavori della conferenza e il rilascio
del formale provvedimento di autorizzazione, di guisa che la conferenza
si atteggia a istituto, di semplificazione, strumentale all’adozione del
provvedimento conclusivo di rilascio dell’autorizzazione. Recita infatti
l’art. 12, comma 3 l. cit., che la realizzazione e l’esercizio degli impianti
di produzione di energia da FER “sono soggetti ad una autorizzazione unica,
rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto
delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del
paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra,
variante allo strumento urbanistico. A tal fine la Conferenza dei servizi
è convocata”.
Ne consegue che la necessaria indizione della conferenza di servizi
non elide la formale adozione del provvedimento autorizzatorio, in funzione
del quale è convocata la conferenza.
8.4.2. Opina e ribadisce pertanto la Sezione che l’art. 12 del d.lgs.
29.2.2003, n. 387 impone unicamente la contestuale partecipazione alla
conferenza di servizi, di tutte le Amministrazioni interessate, ma nulla
stabilisce quanto alle modalità con cui esse possono esternare la
loro valutazione, potendo ciò avvenire oralmente o per iscritto,
anche mediante la redazione di un testo che sia trasmesso successivamente
ai lavori della conferenza, sempre che tale redazione e trasmissione avvenga
antecedentemente all’adozione del provvedimento autorizzatorio unico, che
non smarrisce la sua individualità nemmeno nel modello procedimentale
speciale dell’autorizzazione unica e contestuale definito all’art. 12 del
d.lgs. n. 387/2003..
Innestando gli enucleati principi al caso di specie, va evidenziato
che alla conferenza di servizi del 3.6.2008, così come del resto
alle altre due precedenti, ha doverosamente preso parte il rappresentante
dell’ARPA Dott. Caponetto, il quale, come si legge nel verbale a pag. 4,
“concorda con quanto espresso nei pareri letti in sede ci Conferenza dei
Servizi, formula una serie di quesiti..”
L’ARPA ha quindi fattivamente partecipato ai lavori della conferenza,
esprimendo le valutazioni tecniche di sua competenza, formulando quesiti
e svolgendo quant’altro ritenuto necessario.
Con il che risulta osservato il disposto dell’art. 12, co. 4 d.lgs.
cit., a mente del quale l’autorizzazione è rilasciata a seguito
di un procedimento unico, “svolto nel rispetto dei principi di semplificazione
e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241” e
al quale partecipino i rappresentanti delle amministrazioni interessate.
La norma impone dunque unicamente la partecipazione delle amministrazioni
interessate, non la formalizzazione coeva del parere in un elaborato scritto.
In punto di fatto va poi debitamente evidenziato che la nota dell’ARPA
trasmessa solo in data 11.6.2008 è stata redatta, come leggesi nella
legenda riportata al margine superiore destro di ogni sua pagina, in data
3.6.2008, ossia lo stesso giorno della riunione della conferenza; ciò
che può anche far concludere nel senso che il parere è stato
redatto prima dell’insediamento del consesso, avvenuto alle ore 11,30.
Come pure può affermarsi che il rappresentante dell’ARPA abbia esternato
oralmente tutte le valutazioni tecniche di competenza, che sono state poi
formalizzate in un testo scritto predisposto a seguire ai lavori della
conferenza e trasmesso una settimana dopo.
Anche sulla scorta di siffatte considerazioni, oltre che sul fondamento
della ricostruita esegesi dell’art. 12, d.lgs. cit., deve quindi concludersi
che la norma invocata non è stata violata.
La censura in scrutinio è quindi infondata e va respinta.
9. Al secondo motivo aggiunto è affidata la deduzione della
violazione dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 e degli artt. 1 e seguenti
del D.P.G.R. 16.11.2001, n. 16/R, Regolamento recante disposizioni in materia
di procedimento di valutazione di incidenza. Si lamenta che il progetto
dell’impianto in causa, limitrofo ad un’area SIC (sito di interesse comunitario)
denominata “Capanne di Marcarolo” non è stato sottoposto alla procedura
di valutazione di incidenza, come invece richiesto dalla conferenza di
servizi del 19.2.2008, che raccomandava di approfondire l’eventuale impatto
dell’impianto sulle predette aree e di individuare anche opere di minimizzazione
ambientale.
La censura non coglie nel segno, posto che, come ammette la stessa
difesa dei ricorrenti a pag. 42 dell’atto per motivi aggiunti, il regolamento
regionale invocato disciplina il procedimento di valutazione di incidenza,
conformemente all’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997, unicamente per gli impianti
rientranti nelle topologie definite agli allegati A e B della L.Reg. Piemonte
n. 40/1998. Dispone precisamente l’art. 1 del D.P.G.R. n. 16/2001 che “le
disposizioni di cui al presente regolamento si applicano ai progetti riferibili
alle tipologie progettuali di cui agli allegati A e B della legge regionale
4 dicembre 1998, n. 40”.
Si è più sopra chiarito ed appurato che l’impianto in
controversia esorbita dalle declaratorie di cui agli allegati A e B della
legge regionale in questione, non rientrando, per l’esattezza, nella definizione
di cui al punto 35 dell’Allegato B poiché, pur producendo acqua
calda e vapore, sviluppa una potenza inferiore a 50 MW termici (per l’esattezza,
solo 15 MW), né in quella del punto 22 dell’Allegato A2 che assoggetta
a verifica di assoggettabilità o valutazione solo gli impianti produttori
di energia elettrica, vapore ed acqua calda sanitaria di potenza superiore
a 150 MW termici.
Dall’esclusione dell’impianto de quo dal raggio di applicazione degli
allegati A e B alla citata L. Reg. discende altresì con sicurezza
che al medesimo non si estende la procedura di valutazione di incidenza
di cui si lamenta l’omissione.
10.1. Il terzo motivo aggiunto ripropone in sostanza, sia pur con maggiore
capillarità, le censure già svolte con il secondo motivo,
incentrate sulla dedotta illegittimità dell’autorizzazione per effetto
della circostanza che negli stessi verbali delle tre conferenze di servizi
le Amministrazioni rilevavano che alcune tipologie di combustibili di cui
era previsto l’impiego sono da qualificare rifiuto e non possono essere
ricondotte alla definizione di sottoprodotto di cui all’art. 183, lett.
p) del d.lgs. n. 152/2006. In questa sede, in particolare, i ricorrenti
puntualizzano le censure evidenziando i passi del verbale della stessa
prima conferenza di servizi del settembre 2007 in cui il rappresentante
del servizio gestione rifiuti della resistente Provincia chiarisce che
anche il materiale vegetale da trattamento meccanico di talune coltivazioni
dedicate e da interventi selvicolturali è rifiuto. Rimarca poi parte
ricorrente che la stessa Voltaggio, nella nota del 19.12.2007 non esclude
la possibilità di impiegare rifiuti, impegnandosi all’uopo solo
a fornire i relativi codici CER e che nella stessa conferenza di servizi
finale del 3 giugno 2008 il competente servizio seguita a rilevare che
malgrado le integrazioni fornite dalla Voltaggio alcune biomasse vegetali
sono da considerare rifiuto.
Si duole in proposito parte ricorrente che l’autorizzazione rilasciata
il 7.8.2008 non precisa alcunché in ordine al materiale che non
potrà essere trattato nell’impianto. Donde la dedotta violazione
dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 che stabilisce che l’autorizzazione
rechi le prescrizioni necessarie a garantire l’attuazione dei principi
di cui al’art. 178, stesso decreto.
La ricostruita censura è stata già dal Collegio valutata
come nettamente infondata nella trattazione del secondo motivo del ricorso
principale, non potendo quindi non rinviarsi alle relative considerazioni.
Va qui soltanto rimarcata l’assoluta infondatezza in fatto della doglianza
appena riassunta in merito alla pretesa omessa indicazione, nell’autorizzazione
gravata, delle prescrizioni in ordine alle tipologie di materiali che non
potranno essere trattate nell’impianto. Basti al riguardo opporre quanto
già evidenziato in sede di scrutinio del secondo motivo del gravame
principale, ovverosia che l’autorizzazione impugnata contiene in allegato
le prescrizioni generali, tra le quali campeggia quella che impone l’indicazione
delle biomasse vegetali non trattate se non meccanicamente, quale unico
possibile combustibile impiegabile.
Va anche soggiunto che la stessa conferenza di servizi del 3.6.2008
rimarca che “nell’autorizzazione sarà precisato che non potranno
essere adoperati rifiuti”.
Segnala per completezza il Collegio che il punto 4 delle prescrizioni
generali allegate all’autorizzazione e vincolanti ai sensi del punto 6
della stessa, stabilisce che “dovrà essere compilato un registro
relativo ai controlli di conformità della biomassa in ingresso”.
Come può notarsi, dunque, il provvedimento impugnato circonda
la consentita realizzazione dell’impianto a minuziose e tassative cautele,
presidiate dal successivo disposto del punto 9 delle predette prescrizioni
generali, a mente del quale “l’Azienda dovrà consentire al personale
tecnico incaricato dall’Amministrazione provinciale e comunale d accedere
liberamente all’area interessata per effettuare eventuali prelievi, controlli
ed analisi”.
10.2. La seconda parte del terzo motivo riedita le doglianze svolte
nel terzo motivo del ricorso introduttivo, concernenti l’essenzialità
della realizzazione della rete di teleriscaldamento, rilevata nelle varie
conferenze di servizi e considerata condizione dell’attuabilità
ed assentibilità dell’impianto de quo per via della compensazione
ambientale che genera in conseguenza della disattivazione degli impianti
di riscaldamento domestici.
Qui si lamenta l’inadeguatezza delle prescrizioni, di cui peraltro
si dà lealmente atto, presenti nell’autorizzazione e individuate
nel vincolo al rispetto della convenzione intercorsa con il Comune, nella
presentazione annuale dell’elenco degli utenti allacciati alla rete di
teleriscaldamento e nella subordinazione dell’avvio dell’impianto alla
effettiva realizzazione di quello di tele calore.
A parere dei ricorrenti queste prescrizioni non vincolerebbero la Voltaggio
poiché nella convenzione del 28.3.2008 la società si impegna
a far realizzare la rete di teleriscaldamento da un operatore specializzato,
là dove detta rete avrebbe dovuto (a loro dire) essere realizzata
direttamente dalla Voltaggio. Si agita la preoccupazione in ordine all’incertezza
delle conseguenze, sulla rilasciata autorizzazione, di un’eventuale mancata
costruzione dell’impianto di tele calore per mancanza di adesioni nonché
dell’eventuale mancata presentazione dell’elenco annuale degli utenti allacciati.
La censura è stata già valutata priva di pregio in occasione
della disamina del terzo motivo dell’atto introduttivo del presente giudizio,
alle cui conclusioni ci si deve di necessità riferire ribadendosi,
nel confermare l’infondatezza e il conseguente rigetto della censura, da
un lato che tutte le prescrizioni riferibili alla necessità di previa
realizzazione della rete di teleriscaldamento si configurano significativamente
vincolanti e imperative per la Voltaggio e dall’altro che la legittimità
del provvedimento impugnato resta invulnerata dall’eventuale mancata ottemperanza
della Voltaggio alle prescrizioni impartite in sede di rilascio del titolo
autorizzatorio.
10.3. Preme, peraltro, al Collegio fornire risposta ai dubbi e alle
perplessità prospettate dai ricorrenti e più sopra riepilogate.
Non v’ha dubbio che l’inottemperanza della Voltaggio alle prescrizioni
concernenti l’obbligo di realizzare la rete di teleriscaldamento – per
la quale, sia detto per incidens, in nessun atto è sancito l’obbligo
di realizzazione diretta da parte della Voltaggio – produrrà non
la “decadenza” dell’autorizzazione, ma la sua concreta inefficacia e inoperatività.
In tal senso consente di deporre il chiaro e tassativo disposto di cui
al punto 20 dell’autorizzazione del 7.8.2008, a termini del quale si delibera
“di stabilire che l’avvio dell’impianto sia subordinato alla realizzazione
del’impianto di teleriscaldamento”.
La prescrizione sta a significare che la messa in esercizio dell’impianto
– e quindi l’efficacia operativa della rilasciata impugnata autorizzazione
– non può prescindere ed è inibita dalla mancata realizzazione
della rete di teleriscaldamento.
Se la stessa non viene posta in essere ed in opera, dunque, l’impianto,
anche ove costruito, non potrà essere “avviato”, cioè posto
in esercizio: il che escluderà in radice la lesione al bene giuridico
di cui i ricorrenti invocano protezione. Senza l’operatività della
rete di teleriscaldamento non potranno dunque essere combuste le biomasse
vegetali di cui la Voltaggio si sia approvvigionata, discendendone che
in atmosfera non saranno prodotte emissioni provenienti dall’impianto di
cui è causa, né emissioni acustiche.
La mancata presentazione annuale dell’elenco degli utenti allacciati
determinerà poi il Comune o la Provincia ad adottare provvedimenti
di fermo dell’impianto e di blocco delle relative cennate emissioni di
fumo e di rumore.
Senza dire poi che reiterate e gravi inadempienze al complesso delle
impartite prescrizioni che assistono il titolo ampliativo potranno, ove
ne ricorrano i presupposti, condurre anche ad una revoca dell’autorizzazione
rilasciata.
In conclusione, sulla scorta della argomentazioni tutte finora sviscerate,
anche il ricorso per motivi aggiunti si profila infondato e va respinto.
La conclamata totale soccombenza dei ricorrenti deporrebbe nel senso
di gravarli anche delle spese di lite, ma sussistono valide ragioni, correlate
sia alla natura superindividuale degli interessi azionati che alla novità
e difficoltà delle questioni trattate, per disporne l’integrale
compensazione tra le costituite parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte - Prima Sezione
– definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e i relativi motivi
aggiunti così decide:
Dichiara inammissibile per difetto di legittimazione il ricorso dell’Associazione
“Forum permanente degli abitanti e delle Associazioni dell’Alta Val di
Lemme”.
Dichiara inammissibile l’intervento ad adiuvandum di Legambiente Piemonte
e Val d’Aosta.
Dichiara irricevibile per tardività della notifica il ricorso
dei signori Balostro Luigino, Balostro Stefano, Cavo Elena Rosa, Cavo Giovanni,
Cavo Fabio, Porzio Annalisa e Carlini Maria Rosa avverso la deliberazione
della Giunta della Comunità Montana Alta Val di Lemme Alto Ovadese
n. 34/2008.
Respinge nel merito il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti
dei signori Balostro Luigino, Balostro Stefano, Cavo Elena Rosa, Cavo Giovanni,
Cavo Fabio, Porzio Annalisa e Carlini Maria Rosa avverso gli altri provvedimenti
indicati in ricorso e nei motivi aggiunti.
Compensa integralmente le spese di lite tra le costituite parti.
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella Camera di Consiglio del giorno 02/07/2009
con l'intervento dei Magistrati:
Franco Bianchi, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Primo Referendario
Alfonso Graziano, Referendario, Estensore
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