Corte Costituzionale, ordinanza n. 46 del 6 marzo 2001, sulla permanenza
del reato ambientale in caso di concessione in sanatoria ex art. 13 della
legge n. 47 del 1985
ORDINANZA N.46
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernando
SANTOSUOSSO Presidente
- Massimo
VARI Giudice
- Cesare
RUPERTO "
- Riccardo
CHIEPPA "
- Gustavo
ZAGREBELSKY "
- Carlo
MEZZANOTTE "
- Fernanda
CONTRI
"
- Guido
NEPPI MODONA "
- Piero Alberto
CAPOTOSTI "
- Annibale
MARINI
"
- Franco
BILE
"
- Giovanni Maria
FLICK
"
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 13 e 22 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie),
promosso con
ordinanza emessa l'8 maggio 2000 dal Tribunale di Cuneo nel procedimento
penale a carico di
Filipazzi Sergio, iscritta al n. 628 del registro ordinanze 2000
e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Udito nella camera di consiglio del 14 dicembre
2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che il Tribunale di Cuneo,
nel corso di un procedimento penale a carico di un
soggetto imputato di violazione della normativa urbanistica ed ambientale
(artt. 20, lettera
a), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e artt. 1 e 1-sexies
del decreto-legge 27 giugno
1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985,
n. 431), con ordinanza
dell’8 maggio 2000 (r.o. n. 628 del 2000) ha sollevato, in riferimento
all'art. 3, primo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto degli artt.
13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
dell'attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie),
nella parte in cui
non prevede che il rilascio della concessione in sanatoria, ex art.
13 citato, estingua, oltre
alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato
ambientale (fattispecie
disciplinata dagli artt. 1 e 1-sexies del menzionato d.l. n. 312 del
1985, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 431 del 1985);
che il giudice a quo esclude che la situazione
di "legittimità sostanziale", costituente
il presupposto della concessione in sanatoria, possa prescindere dall'accertamento
di una
equivalente situazione di insussistenza di antigiuridicità oggettiva
anche sotto il profilo
della tutela paesaggistica, e ritiene che la mancata estensione al
reato ambientale
dell'effetto estintivo delle violazioni urbanistiche, attribuito alla
concessione in sanatoria,
determinerebbe una ingiustificata ed irragionevole disparità
di trattamento tra analoghe
situazioni accertative ex post dell'intrinseca legittimità
dell'attività edilizia;
che il rimettente dà conto della ordinanza
della Corte costituzionale n. 149 del 1999, con
la quale è stata dichiarata la manifesta infondatezza dell'analoga
questione posta in
riferimento alla mancata previsione dell'estinzione dei reati previsti
dalla normativa sulle
costruzioni in cemento armato e su quelle in zona sismica; peraltro
osserva che il profilo di
illegittimità costituzionale da lui sottoposto al giudizio della
Corte discende dall'analisi
della contraddittorietà intrinseca della norma dipendente dal
combinato disposto degli artt. 13
e 22 della legge n. 47 del 1985, e non tanto dalla constatazione del
diverso meccanismo
estintivo previsto, per le violazioni collaterali a quelle propriamente
urbanistiche, dalla
procedura di condono di cui al Capo IV della stessa legge n. 47 del
1985, e dalle
corrispondenti disposizioni dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994,
n. 724 e dell'art. 2,
comma 50, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
che, inoltre, il giudice a quo rileva che
la citata pronuncia della Corte si riferiva a
norme sanzionatorie poste a presidio di attività solo occasionalmente
ed estrinsecamente
connesse con la trasformazione edilizia del territorio.
Considerato che questa Corte ha avuto occasione
di rilevare che la particolare sanatoria
di regime (e non eccezionale e temporanea), prevista attraverso l’accertamento
di conformità
dagli articoli 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, comporta
la verifica che, nel
momento in cui le opere edilizie siano state realizzate, come nel momento
della domanda, le
stesse opere non si rilevino contrastanti con gli strumenti urbanistici
generali e di
attuazione, di modo che vi è un accertamento della natura solo
"formale e non sostanziale
dell’abuso edilizio" e di inesistenza di danno urbanistico e
della mancanza ex tunc della
antigiuridicità sostanziale del fatto reato (sentenza n. 370
del 1988);
che tale forma di regolarizzazione formale
dell’abuso è stata espressamente limitata alle
violazioni edilizie e ai reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche, con
implicita esclusione (attesa la tassatività delle previsioni
estintive di reati) dei reati
ambientali, logicamente e normativamente distinti ed autonomi rispetto
alle violazioni
urbanistiche, con una valutazione rientrante nella discrezionalità
del legislatore;
che tale scelta legislativa, nella specie,
è tutt’altro che palesemente irragionevole o
arbitraria, attesa la particolare tutela dei beni paesaggistico-ambientali
considerata tra i
principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della
persona umana nella sua
vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni
future, in relazione al valore
estetico-culturale assunto dall'ordinamento quale "valore primario
ed assoluto" insuscettibile
di essere subordinato a qualsiasi altro (sentenza n. 151 del 1986;
n. 417 del 1995; n. 259 e n.
419 del 1996);
che nell’accertamento di conformità
ex artt. 13 e 22 è prescritta come unico parametro di
valutazione la conformità dell’opera agli strumenti urbanistici
generali e di attuazione, senza
alcuna espressa valutazione dei profili paesaggistico-ambientali e,
per di più, in tale
accertamento non vi è una previsione procedimentale di partecipazione
di autorità preposta ai
vincoli paesaggistico-ambientali;
che in ogni caso non può essere irragionevole
la scelta di matenere - soprattutto a fini
di prevenzione generale - la punibilità di un comportamento
modificativo del territorio, che ha
comportato un rischio per l’ambiente in mancanza di preventiva autorizzazione,
attesa la
irreparabilità di talune trasformazioni e la mancanza di controlli
durante l’esecuzione di
opere non autorizzate;
che l’esclusione di una assoluta irragionevolezza
della scelta di limitare la particolare
ipotesi (artt. 13 e 22 legge n. 47 del 1985) di estinzione dei reati
solo a quelli
contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche è stata
affermata da questa Corte sia con
riferimento ai profili attinenti alla sicurezza statica e alla prevenzione
dei rischi sismici
(ordinanza n. 149 del 1999 presa in considerazione dal giudice a quo)
sia con riferimento
allo specifico reato ambientale di cui all’art. 1-sexies del decreto-legge
27 giugno 1985, n.
312, convertito con modificazioni dalla legge 27 giugno 1985, n. 312
(ordinanza n. 327 del
2000);
che appare irrilevante la diversa soluzione
adottata dal legislatore con la legge 23
dicembre 1994, n. 724 (art. 39, comma 8), attesa la diversa natura
temporanea ed eccezionale (e
non ripetibile) del condono edilizio che, per le opere abusive ultimate
entro il 31 dicembre
1993, ha previsto, accompagnando con particolari e significative
restrizioni di volumetria,
soggettive e procedimentali, un ulteriore effetto della concessione
edilizia in sanatoria
mediante il (differente) condono-sanatoria, con pagamento di specifica
oblazione, consistente
nella estinzione dei reati per la violazione di vincoli artistici,
culturali, ambientali e
paesistici, tuttavia condizionato al preventivo rilascio delle autorizzazioni
dell’autorità
preposta al vincolo (ordinanza n. 327 del 2000; v. anche sentenza
n. 85 del 1998);
che tale forma ulteriore di sanatoria (eccezionale
e non ripetibile), in ipotesi
applicabile anche alle opere edilizie che siano state oggetto di concessione
edilizia o di
accertamento di conformità (ordinanza n. 327 del 2000),
era configurata solo per gli abusi
compiuti entro il 31 dicembre 1993, e quindi lasciava, per il suo carattere
limitato, del tutto
fuori gli abusi commessi in epoca successiva, secondo lo stesso
giudice a quo realizzati
fino all’11 luglio 1997;
che pertanto risulta evidente che non sussiste
la denunciata irragionevolezza della
disposizione denunciata, per cui la sollevata questione di legittimità
costituzionale in
riferimento all’art. 3 della Costituzione deve essere dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma,
delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale del
combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio
1985, n. 47 (Norme in materia
di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero
e sanatoria delle opere
edilizie), sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma,
della Costituzione, dal
Tribunale di Cuneo con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21
febbraio 2001.
F.to:
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 6 marzo 2001.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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