Dottrina |
L’evoluzione
normativa e giurisprudenziale della legittima difesa: La legge 13
febbraio
2006, n° 59 e prospettive di riforma, di Marco Zanuccoli Cap. I VERSO UNA RIFORMA
DELL’ISTITUTO 1.
I giudizi sull’art. 52 codice Rocco - 2.
Le mancanze dell’istituto e la necessità di dare certezza
legislativa a
requisiti prodotti giurisprudenzialmente - 3.
La proporzione e l’impatto dei casi di cronaca sulla collettività 1. I giudizi sull’art. 52
codice Rocco L’istituto
della legittima difesa, così come delineato in decenni di
applicazione
giudiziale e di studio dottrinale, è giunto ad un momento
cruciale del proprio
percorso. Il mondo giuridico è ormai conscio della
necessità di pervenire ad
una riforma del diritto penale in generale e ad una modifica della
scriminante,
che ne rimedi le eventuali deficienze rendendola nel contempo
più adeguata ai
cambiamenti della società odierna, in particolare. La
disposizione nata nel 1930 è stata innegabilmente vagliata e
sezionata sotto
innumerevoli punti di vista, le diverse teorie nate dalle fondamenta
dell’istituto si sono confrontate per anni argomentando fini
ragionamenti
logico-giuridici che hanno costruito un’elaborazione di altissimo
livello.
Altrettanto innegabilmente è corretto affermare che la stessa
disposizione
enunciata nel codice Rocco è anch’essa di altissimo livello, una
norma di
portata generale che riflette un equilibrio elevatissimo, una presenza
chiara
nell’ordinamento penale e una direttiva rispettosa dei diritti
fondamentali
dell’uomo, tutto ciò all’interno di una categoria – quella delle
cause di
giustificazione – che ponendosi in logico contrasto con numerose
fattispecie di
reato risulta da sempre di difficile organizzazione.[1]
Non a
caso tale disposizione è stata in grado di oltrepassare indenne
decenni di
applicazione, di conformarsi alle differenti realtà sociali del
dopoguerra, di
accogliere importanti mutamenti normativi a livello internazionale come
l’introduzione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un
risultato di
sicuro livello per una norma inserita in un codice elaborato e
promulgato sotto
la persistenza ideologica del periodo fascista, alla quale però
l’istituto
della legittima difesa sembra non avere mai aderito.[2] Una norma
ben congegnata quindi, dotata al proprio interno di una serie di
elementi che
grazie a cospicui apporti dottrinali e giurisprudenziali hanno sempre
indicato
l’alto grado di civiltà giuridica del nostro ordinamento, un
modello di
sapienza e di equilibrio al quale sinora non si era ritenuto di dover
apportare
modifiche a livello legislativo.[3] D’altronde
l’art. 52 era stato creato proprio per raggiungere tale scopo, creare
una norma
che potesse reggere l’urto dei tempi e ampliare l’applicazione
dell’istituto
della legittima difesa quel tanto necessario a farvi rientrare la
tutela di
ogni interesse giuridicamente protetto. Invero la profonda svolta
storica della
scriminante nacque proprio dall’introduzione, nella norma di portata
generale,
della possibilità di tutela dei beni patrimoniali, estensione
che non avrebbe
potuto essere effettuata pienamente tramite la parte speciale del nuovo
codice,
ma che doveva avvenire con l’utilizzo di una disposizione generale. A
questa
scelta si deve in gran parte l’assetto dell’art. 52 nel codice Rocco,
perché
essa impose la necessità di inserire nella disposizione
letterale
quell’elemento di valutazione e di equilibrio che è la
proporzione. La prima
conseguenza di una norma di tal fatta fu l’ampia discrezionalità
affidata
all’organo giudicante, il quale poteva modellare il giudizio sul caso
concreto,
analizzando in modo anche diverso la grande quantità di elementi
che
caratterizzavano il giudizio su base relativistica della proporzione e
giungere
così a risultati valutativi che tenessero conto di ogni aspetto
della
situazione. Analogamente, tutti gli altri requisiti dell’istituto
ricevettero un
profondo vaglio per riuscire a determinare nella maniera più
precisa possibile
i rispettivi ambiti di applicazione. Ciò avvenne per il
requisito della
necessità, del pericolo attuale, dell’offesa ingiusta e della
proporzione
stessa. A ben vedere, il pregio dell’art. 52 – cioè la sua
caratteristica di
norma generale ed astratta – impose un ampio lavoro di determinazione
dei
margini – sia a livello di contenuto che di estensione – dei requisiti
presenti
nel dato letterale, margini e precisazioni dei quali la norma
legislativa era
scevra. Lavoro che la giurisprudenza affrontò, ma che non sempre
– nonostante
il lungo periodo a disposizione – è stato in grado di offrire
criteri di
decisione omogenei e riconoscibili anche per casistiche di grande
rilevanza, come
ad esempio le intrusioni notturne e le rapine.[4] 2. Le mancanze dell’istituto e
la necessità di dare
certezza legislativa a requisiti prodotti giurisprudenzialmente Lungo
settant’anni di vigenza dell’istituto della legittima difesa, la
realtà
quotidiana ha fatto sorgere problematiche sempre nuove e la sua
costante
applicazione ha reso necessario integrare i fondamenti della
scriminante dando
così risposte a casi cui la sola lettera dell’art. 52 non era in
grado di
soddisfare. E’ stato un lavoro altamente impegnativo che ha affiancato
quotidianamente quello di normale interpretazione che ogni norma
subisce e che
nel corso degli anni ha toccato tutti gli elementi della disposizione. Per quanto
riguarda il concetto di pericolo, la giurisprudenza ha svolto la sua
opera nel
tentativo di definirne i confini. In particolare si parla dei confini
cronologici che permettono all’organo giudicante di valutare se la
condotta del
soggetto aggressore configurava già – e fino a quando avrebbe
configurato –
attualità di pericolo. La vita reale ha infatti posto il
problema del momento
iniziale di questo lasso temporale e successivamente del suo momento
finale.[5]
Ipotesi che rileva in modo molto marcato con la possibilità di
difesa dei beni
patrimoniali, in particolare del momento in cui il ladro fugge con la
refurtiva
e l’aggredito lo rincorre. Questo è uno dei casi che una riforma
dell’istituto
dovrebbe prendere in considerazione, dato che se la giurisprudenza ha
progressivamente precisato tali limiti, per evitare nuove future
problematiche
nel risolvere casi frequenti di furti e rapine sarebbe preferibile un
dato
normativo certo, che stabilisca con maggior determinazione le
facoltà
dell’aggredito in relazione al prolungarsi o meno di una “fittizia”
attualità
di pericolo, in cui l’aggressione è stata compiuta e manca solo
il definitivo
consolidarsi della nuova – illecita – situazione. Altro
problema legato al pericolo è poi la causazione dello stesso,
cioè il requisito
della sua produzione non volontaria. Anche questa possibilità
non è presa in
esame dall’art. Anche il
requisito della necessità presenta già a livello di
studio dottrinale e
giurisprudenziale alcune modifiche che ben potrebbero rilevare in una
futura
riforma. Modifiche nate dalla problematica esistenza del termine costretto che richiama elementi
soggettivi mal conciliabili con la natura oggettiva della legittima
difesa,
almeno nella sua dimensione generale. Modifiche nate dalla mancanza del
richiamo all’inevitabilità della difesa, che sarebbe opportuno
inserire e
infine modifiche riguardanti l’accettazione della fuga – o meglio del
solo commodus discessus – come base della
condotta, quando esso sia praticabile senza pregiudizio all’onore del
soggetto
in pericolo. Allo stesso
modo una corrente predominante si è rivelata riguardo all’uso di
offendicula, il cui uso con modalità non
eccessivamente lesive è a priori certamente possibile, ma che
non viene
considerato dalla norma in esame, la quale paga il suo pregio di norma
generale
ed astratta con la mancanza di previsioni in grado di regolare episodi
anche
frequenti, obbligando il mondo giuridico a creare le risposte adatte a
tali
situazioni. A fronte di
queste che sono “mancanze” derivanti dalla caratteristica di essere una
norma
generale ed astratta, una vera e propria critica mossa all’art. 52
consiste
nella sua dimensione prettamente egualitaria, del tutto priva di
ipotesi
speciali per determinate situazioni come aggressioni in luoghi
particolarmente
sentiti come “intoccabili” dall’opinione pubblica, quali il domicilio
privato e
quello lavorativo.[7]
Tali ipotesi
consisterebbero in eccezioni al giudizio di proporzione, che verrebbe
escluso
oppure diversamente delineato, secondo una strada seguita sia in
ordinamenti
stranieri, sia in legislazioni del passato. Eccezioni consistenti nella
possibilità di reagire con maggiore lesività contro
aggressori notturni
all’interno del domicilio ed eccezioni che tengano conto del
particolare stato
d’animo che l’aggredito manifesta nello stesso caso. L’art. 52 non ha
mai
contemplato tali rilevanti particolarità, ed anche se un uso
corretto e
sapiente dell’elemento della proporzione potrebbe servire al caso,
è indubbio
che esso sia per certi versi sicuramente limitativo, naturalmente
limitato in
modo bilanciato ed equo. A fronte di ciò il cosidetto fur nocturnus difficilmente potrà essere lesionato
e l’aggredito
scriminato tramite l’utilizzo di una ipotesi eccezionale di autodifesa,
e a
quest’ultimo nemmeno servirà invocare panico o terrore, in
quanto sebbene tali
stati d’animo possono essere utilizzati dall’organo giudicante
nell’ambito di
un giudizio relativo e completo sulla situazione, non vi è
nessuna espressa
previsione legislativa che essi siano determinanti.[8] A fronte di
tale disamina si può agevolmente notare come i veri difetti
dell’art. 52 codice
Rocco non siano altro che requisiti troppo generici per far fronte
all’estesa
applicazione giurisprudenziale richiesta in materia, genericità
data
dall’essere una norma generale ed astratta. Di conseguenza, chi
recentemente
contesta la legittima difesa, non ne critica l’assetto della
disposizione
dell’art. 52, né i requisiti che esso contiene, piuttosto
contesta l’istituto
stesso nel suo fondamento, nella sua ratio
di autodifesa sussidiaria e marginale a quella dello Stato, proponendo
altresì
inconsciamente una ben più marcata – e diversamente qualificata
– autotutela. 3. La proporzione e l’impatto
dei casi di cronaca
sulla collettività Ma il nuovo
dibattito sulla legittima difesa ha sempre avuto come principale
oggetto il
requisito della proporzione. Un elemento tanto importante perché
fautore di
quell’equilibrio dalla maggioranza definito il culmine giuridico di
questo
istituto. Un requisito che – sulla base relativistica e completa della
valutazione – è stato creato per poter essere il punto di
congiunzione in uso
ai giudici per adattare la disposizione generale alla
molteplicità dei casi
della vita. E se questo risultato è stato sicuramente ottenuto
nella maggior
parte dei casi, si registrano anche opinioni contrarie e decise
critiche a
quella che – a detta di alcuni – sembra la fonte di tutti i mali che
affliggono
l’autodifesa nel mondo odierno. Infatti,
l’istituto della legittima difesa incontra oggi la necessità di
confrontarsi
con una realtà sociale differente da quella di solo qualche
decennio fa.
Diversi fattori hanno contribuito a far crescere una generale
insoddisfazione
nella collettività circa l’operatività della scriminante,
complici certi casi
di cronaca di pesante impatto e alcuni successivi processi
particolarmente
delicati a carico di persone aggredite che si sono difese. Il tutto
inasprito
dal naturale e forte appoggio della popolazione a quelle persone che si
sono
trovate a doversi difendere da soggetti aggressori in situazioni comuni
a tutti
quali il lavoro quotidiano o – ambiente ancora più sentito – il
domicilio
privato.[9] Ancora una
volta è la proporzione a fare le spese delle critiche mosse
all’art. 52, ed è
sicuramente difficile riuscire a far intendere ai cittadini – colpiti
dalla
criminalità e non – che l’attuale disciplina della legittima
difesa è
tutt’altro che disattenta alle esigenze della difesa e che, se
utilizzata in
modo proprio e corretto, permette anche l’uso di armi per proteggersi
dalle
aggressioni, naturalmente nel rispetto di quel baluardo di cultura
civica che la
proporzione stessa rappresenta.[10] Ma
l’allarme sociale esistente nel paese si risveglia ciclicamente col
susseguirsi
di episodi di cronaca nera, aggravati dalla presenza di “stranieri” che
spesso
non vengono tollerati e fatti oggetto di qualunque
responsabilità in relazione
al problema criminalità, là dove solo pochi anni prima si
potevano incontrare
solamente “compaesani” conosciuti. Tabaccai e gioiellieri che
rispondono con
armi da fuoco, che inseguono malviventi fino in strada ed esplodono
colpi di
fucile, rispondono di ampio favore nella collettività, ma in
questi ed in altri
casi in cui la difesa viene attuata in modo violento, la proporzione si
mostra
valico insuperabile.[11]
Ancora più, la proporzione viene percepita come strumento del
giudice per
operare un bilanciamento che non tiene conto – secondo molti – della
reale
situazione delle persone aggredite, che tiene in considerazione troppo
alta la
posizione del criminale di turno e – e qui si trova il dato più
allarmante –
tutto ciò fa crescere il convincimento che la magistratura sia
animata da un favor per l’aggressore. In definitiva,
che esso sia più tutelato della vittima.[12] Da tutto
ciò si delinea un’attuale clima riguardo alla criminalità
certamente
surriscaldato, molte famiglie non si sentono tutelate dallo Stato e non
si
sentono sicure nemmeno in casa propria, ma se un allarmismo di tal
fatta è
sicuramente spesso ingiustificato, rimane utilissimo cavallo di
battaglia e
spunto per azioni politiche propagandistiche. In un clima
siffatto è facilmente spiegabile come, ad ogni caso di cronaca
nera,
corrispondano nuove critiche all’istituto dell’autodifesa con
conseguente
generale desiderio di riforma dell’istituto in termini estensivi. Molte
quindi
le richieste di una facoltà di tutela anticipata
dei propri beni, allargata rispetto a quella del codice
Rocco, possibilità
che la giurisprudenza aveva sempre considerato in maniera estremamente
restrittiva, stante il fondamento stesso della scriminante rinvenibile
nella
caratteristica di extrema ratio della
legittima difesa a fronte di una riserva dello Stato a proteggere e
difendere i
cittadini.[13] La perdita
di credibilità dell’istituto si riscontra anche in un sondaggio
risalente alla
primavera 2004, pubblicato da un settimanale italiano[14]
e
che costituisce un un punto di partenza – naturalmente da esaminare con
la
dovuta cautela – per capire l’insoddisfazione popolare e la richiesta
di
riforma oggi. La domanda era: “Lei ritiene che le leggi sulla legittima
difesa
in Italia siano troppo sbilanciate a svantaggio di chi cerca di
difendersi?” il
73,7% ha risposto di sì, il 18% ha risposto <non
so>, e l’8,3% di no. Alla successiva domanda
“Hanno fatto
bene Giuseppe e Rocco Maiocchi a sparare contro i due uomini che
avevano
tentato una <spaccata>
nella loro gioielleria a
Milano?”, il 56,4 % ha
risposto di sì, il 9,3% ha risposto <non
so> e il 34,3% ha risposto di no. Ora, se è
vero che tali fonti non costituiscono in nessun modo un dato
scientifico, è
però vero che esse sono indicative dello stato di allarme che
permea la società
in relazione all’istituto della legittima difesa. La possibilità
di subire un
processo penale e magari persino una condanna realizzano una
volontà di
cambiare il sistema dell’autodifesa.[15]
Di
fronte ad una situazione simile, la disposizione di legge contenuta nel
codice
Rocco ed elaborata nel 1930 è stata il naturale bersaglio delle
più importanti
critiche e delle richieste continue di riforma. L’alto compito che essa
è
venuta a svolgere in questi decenni non è stato sufficiente a
risparmiarla, venendo
a ritenersi la legge inadeguata di fronte alla realtà criminale
di tipo
“predatorio” che caratterizza le forme violente di delitti contro il
patrimonio
e che segnano in modo così profondo l’opinione pubblica.[16] Questo
insieme di dati e di sensazioni costituiscono la base delle ragioni che
invocano a gran voce la riforma della legittima difesa. L’inasprimento
della
situazione criminogena e sociale, legato alle croniche
difficoltà che la
giustizia detiene, ha portato ad un risultato di inadeguatezza della
legge di
fronte ad un quadro globale di problemi che costituiscono i motivi e i
fondamenti della necessità di riforma, e che si possono
riassumere in ragioni
di ordine fenomenologico, di sicurezza collettiva e infine in ragioni
processuali. Le prime
sono causate da un aumento quantitativo delle rapine e da un costante
peggioramento qualitativo delle stesse. E’ dato sicuro che, nonostante
le voci
circolanti sul numero dei fatti criminali non sia sempre esatto e
subisca un
generale sovradimensionamento da parte del cittadino, essi siano
innegabilmente
aumentati, e non di rado anche caratterizzati da una immotivata e
sproporzionata violenza e freddezza, della quale fanno preciso
riferimento i
colpi portati a segno grazie anche a percosse, sequestri ed uccisioni. Le seconde
– attinenti alla sicurezza collettiva – provengono da quelle cerchie di
soggetti che maggiormente vedono colpiti i propri colleghi o
compaesani, e sono
dirette sia ad un più efficace intervento statale, sia
all’estensione delle
possibilità di autotutela, e sono direttamente proporzionali
alle critiche
mosse allo Stato e alla sua incapacità – giustificata o meno –
di protezione
preventiva. Infine
valgono ragioni di ordine processuale. Ragioni nascenti dalla cronica
lunghezza
dei processi, della quale la collettività si lamenta e che, nel
caso di specie,
colpisce coloro che si sono legittimamente difesi ma, per vedere
liceizzata la
propria condotta, devono attendere e poi subire un lungo processo di
riconoscimento della scriminante, stante l’attribuzione all’organo
giurisdizionale di fare luce su ogni aspetto della vicenda.[17] E, a
seguito di tali fatti e ragioni, altre conseguenze derivano –
più in generale –
dall’insoddisfazione popolare riguardo alla capacità dello Stato
di porre freno
alla criminalità attraverso i consueti sistemi di pubblica
sicurezza,
insoddisfazione che nasce dalla mancanza di poter garantire alla
collettività
un’adeguata difesa contro i malviventi, dalla probabile impunità
di cui persone
potenti usufruiscono e infine dalla certezza che molti criminali,
grazie alle
mancanze del sistema processuale e ai “clemenzialismi” legislativi che
si sono
cumulati negli anni, dando vita ad una generale ineffettività
della pena
particolarmente sentita come negativa dalla collettività,
saranno ben presto
rimessi in libertà.[18] Tutto ciò
ha come conseguenza la produzione una serie di fenomeni degenerativi,
che
incidono pesantemente sulla qualità della partecipazione
pubblica alle vicende
di emergenza che lo Stato deve affrontare, quali l’omessa denuncia o
querela
dei reati subiti – nella certezza dell’inutilità dell’atto –,
quali la volontà
di autogiustizia immediata al limite di linciaggio e vendette, quali,
infine,
la presa di coscienza che – appunto – solo un’adeguata dose di autodifesa privata può servire allo
scopo.[19] E ci si
trova di fronte ad un nuovo pericolo, cioè la voglia improvvisa
di riforme
immediate e poco meditate, di interventi normativi non adeguatamente
ponderati
emanati sulla scia dell’emotività del momento, sulla spinta
mediatica e anche
politica di chi intende sfruttare per propri fini la situazione
attuale, senza
pensare nemmeno per un attimo che forse la sola soluzione del problema
sta in
un lunghissimo percorso di insegnamento dei valori civici e di
solidarietà, di
isolamento del criminale per opera della collettività stessa e
di ripristino di
un controllo generale di cultura che più non esiste. Per cui si
torna alla
presunta cogente necessità di riforme riguardanti l’intera
materia della
sicurezza pubblica, e di come vengano ridotte a mere misure di tipo
emergenziale, auspicate ad alta voce da una parte della
collettività e fornite
velocemente da un legislatore a volte più attento alla caccia e
alla gestione
del consenso popolare che alla reale ricerca di strategie strutturali a
lungo
termine, inserite in un tentativo di riforma esteso, logico e compiuto.[20] Opinione
mia personale è che, se si desidera modificare una norma
definita da tanti come
un modello di equilibrio normativo e sapienza giuridica, ciò va
fatto
costruendo una norma che sia sì rispettosa dei mutamenti della
società e
ricettiva dei requisiti prodotti giurisprudenzialmente, ma che
costituisca un
altrettanto alto modello di equilibrio e di sapienza, evitando riforme
dominate
dall’inopportunità di voler a tutti i costi mettere mano
all’istituto per
soddisfare cicliche quanto momentanee velleità di riforma. Cap. II Le proposte di
riforma 1.
Introduzione - 2. Il progetto
Pagliaro - 3. Dal disegno di legge
Riz al progetto Grosso - 4. Il
progetto Nordio e l’emendamento Finocchiaro – Fanfani del 4 ottobre 2005 1. Introduzione La sempre
più sentita necessità di innovare la legislazione degli
ultimi anni ha toccato
non solo l’istituto della legittima difesa, ma l’intero settore delle
cause di
giustificazione fino a ricomprendere la totale essenza dell’ordinamento
penale.
Il codice Rocco – emanato sotto la vigenza di un regime da settant’anni
decaduto – non è più considerato rappresentativo
dell’odierno sistema
giuridico. Nel corso degli anni tali e numerose sono state le leggi,
emanate
nelle più disparate materie, che la legislazione speciale ha
completamente
invaso la struttura del codice, del quale oggi se ne conserva –
più che altro –
il simulacro. L’attuale codice penale rappresenta pertanto un ibrido di
ciò che
era inizialmente, un insieme di disposizioni che ha perduto i suoi
tratti
originari senza acquisirne, però, di nuovi e compiuti. Per tali
motivi la necessità di una riforma completa del sistema penale
si è sentita fin
dal primo dopoguerra, attraverso un’evoluzione giuridica segnata da
continui
tentativi a vuoto e da discussioni giuridiche sulle quali gravava
incessantemente il tema della riforma.[21]
Essa
si ripresentava fra l’altro in veste sempre più accattivante in
occasione di
ogni accadimento di cronaca del Paese, con sempre maggior forza per
quanto
maggiore fosse la gravità del fatto. Ad
aumentare maggiormente la richiesta di riforma è sempre stata
non solo
l’insoddisfazione per il generale stato della legislazione penale, ma –
per il
settore che qui rileva – il fatto che il singolo istituto dell’art. 52
incontri
enormi ostacoli posti dalle più disparate parti. La riforma
della legittima
difesa è da tempo avvertita come una domanda sociale reale, una
vera e propria
risposta all’emergenza criminalità che aumenta e che viene
sempre più
considerata – a torto oppure no – come intollerabile.[22] Fu così che
sull’onda dell’approvazione del nuovo codice di procedura penale,
avvenuta nel
1988, ebbe inizio una nuova era della codificazione penale. Ebbe inizio
infatti
un lungo periodo – ancora oggi non ultimato – fatto di commissioni
create ad hoc per la stesura di un nuovo
codice, composte dai migliori giuristi dell’epoca attuale e che
giunsero
perfino alla stesura di nuovi articolati che però, a causa di
varie vicende –
financo politiche ed istituzionali – non raggiunsero mai il traguardo
dell’approvazione parlamentare, rimanendo prezioso materiale di
discussione per
ogni nuova proposta che verrà in futuro analizzata. 2. Il progetto Pagliaro Fra i primi
scritti interessanti in materia troviamo quello che viene definito come
Progetto Pagliaro, dal nome del presidente che presiedette la relativa
commissione di riforma, che venne istituita nel 1991 con lo scopo di
creare una
legge-delega contenente uno schema generale di riforma, il quale
avrebbe dovuto
poi essere elaborato in articolato. Subito
chiari furono i limiti e le problematiche che il processo di riforma
avrebbe
dovuto superare. L’iter legislativo infatti sarebbe stato tale da
rendere
difficile una sua approvazione, inoltre la dilatazione dei tempi
necessari per
le decisioni camerali avrebbe costituito un nodo complesso per
qualunque
tentativo di riforma successivo. Fu altrettanto subito chiaro che la
doppia
problematica di costruire un articolato così complesso mettendo
d’accordo le
varie voci in campo, e l’approvazione parlamentare, se combinata con la
cronica
difficoltà lavorativa che da lungo tempo avvolge governo e
parlamento, avrebbe
reso molto difficile l’approvazione di qualsiasi proposta di riforma. Il progetto
Pagliaro nacque sotto le migliori intenzioni ma in un clima politico –
quello
precedente alla crisi del 1992, poi definita Tangentopoli – che non
lasciava
ampio spazio a possibilità di riforma. Nondimeno La
legittima difesa incontra in tale articolo la sua prima seria
possibilità di
rinnovamento. L’art. 16, 1.3 recita: “Prevedere come
cause di giustificazione la difesa legittima,
specificando che il pericolo non deve essere stato preordinato e che il
requisito della proporzione deve riferirsi a tutti gli elementi
significativi
dell’aggressione”.[23] La delega,
impostando l’articolato in tal modo, ritiene indubbiamente efficace
l’isituto
così come descritto dei settant’anni precedenti. La specifica
ivi contenuta
riguarda perciò due elementi che
mancavano nell’art. 52 codice Rocco e che la giurisprudenza aveva
delineato
come importanti ed irrinunciabili. La non preordinazione del pericolo
è
elemento di sicuro spicco nella legittima difesa, anche se non estesa
alla vera
e propria non volontaria causazione del
pericolo[24],
ma ancora più importante
risulta la precisazione riguardante la proporzione. Stabilendo che essa
debba
riferirsi a tutti gli elementi dell’aggressione,[25]
obbliga l’organo giudicante ad effettuare il giudizio su di un base
più ampia e
completa che non precedentemente, lasciando però il dubbio che
una diversa
struttura della delega sarebbe stata probabilmente migliore se si fosse
riferita non solamente all’aggressione, ma a tutti gli elementi
significativi
della situazione, introducendo così
la possibilità di allargare il giudizio ad ogni elemento a
disposizione,
imponendo oltretutto un più deciso riferimento alla natura
oggettiva della
scriminante.[26] Il progetto
Pagliaro non poteva però avere fortuna. Il periodo storico
estremamente
sfavorevole fece sì che lo schema di delega venisse archiviato
senza la
possibilità di affrontare – data l’estrema instabilità
politica del momento –
l’iter legislativo previsto. 3. Dal disegno di legge Riz al
progetto Grosso Attraversando
il decennio successivo ci si imbatte in altri progetti di riforma che –
analogamente al progetto Pagliaro – non sono giunti a buon fine. Nel
dicembre
del 1994 il senatore Riz presentò un disegno di legge per la
riforma del codice
penale, che segna il passo verso il secondo ampio tentativo di riforma
che sarà
compiuto qualche anno dopo da uan commissione presieduta da Federico
Grosso. Il disegno
di legge Riz – nominato disegno di legge n. 2038, d’iniziativa dei
senatori Riz
ed altri – ricalcava in modo ampio il precedente schema di legge-delega
elaborato dalla commissione Pagliaro. Relativamente alla difesa
legittima esso
recitava all’art. 50 che “Non è
punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla
necessità
di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale e
non
preordinato di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata
all’offesa e si riferisca a tutti gli elementi significativi
dell’aggressione”. Da tale
enunciato si nota come la difesa legittima non sia stata, nemmeno in
questo
caso, stravolta. Alla canonica definizione dell’art. 52 c.p. Rocco
viene
aggiunto l’elemento della non preordinazione del pericolo, come
correttamente
avveniva anche nello schema di Pagliaro, e come in quel caso anche nel
presente
disegno di legge si è cercato di dare più ampiezza al
giudizio di proporzione,
prevedendo esplicitamente che esso debba essere valutato alla luce
delle
circostanze oggettive contingenti. Ciò che si critica al disegno
Riz è che la
scelta enunciativa appare inadeguata, da un lato perché non
precisa in alcun
modo quali debbano essere tali circostanze – e fino a qui si potrebbe
ribattere
che vanno prese in esame tutti gli elementi utili – ma d’altro lato
viene
specificato un riferimento esclusivo all’aggressione, tralasciando le
contrapposte
circostanze – anch’esse importantissime – della difesa.[27]
La
formulazione così proposta risultava perciò non del tutto
chiara e completa,
con la possibile creazione di ambiguità in sede di studio e
applicazione. Fu
successivamente che con d.m. 1 ottobre 1998 venne istituita dall’allora
ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick, una nuova
commissione di
riforma del codice penale, questa volte al seguito di Carlo Federico
Grosso.
Essa terminò i propri lavori con la presentazione di un
articolato che all’art.
36 enuncia una disposizione relativa all’istituto della difesa
legittima in
cinque commi. Di grande
rilevanza per l’esame del progetto in questione è l’analisi
della relazione
conclusiva, ove riguardo alle cause di giustificazione viene subito
notato come
parte della commissione abbia criticato la scelta dello schema di legge
delega
Pagliaro, che in materia le differenziava in due sottospecie, definendo
le
oggettive all’art. 16 e le soggettive all’art. 17. La commissione
Grosso ha
preferito mantenere l’impianto originale. L’articolato
del progetto è il seguente[28]: 1.
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato
costretto dalla
necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il
pericolo attuale
di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata
all’offesa. 2.
La proporzione deve essere valutata fra i beni contrapposti. 3.
Chi interviene a difesa propria o altrui, a parità di efficacia
difensiva è
obbligato a scegliere la difesa meno lesiva per l’aggressore. 4.
Qualora l’aggredito possa sottrarsi all’aggressione con la fuga senza
correre
nessun rischio, egli è tenuto ad evitare la reazione. 5.
La difesa legittima non è applicabile a chi ha suscitato ad arte
l’aggressione
allo scopo di potere colpire impunemente l’aggressore. Dal punto
di vista contenutistico il progetto – poi leggermente modificato nel
2001 con
l’introduzione, all’interno dello stesso testo ma all’art. 38, di
alcune
locuzioni – ha cercato di porre rimedio a problematiche relative
all’istituto in
esame, problematiche sentite come fondamentali, tanto è vero che
è possibile
notare come la commissione considerasse l’occasione di una riforma come
un’opportunità da sfruttare al massimo grado. La prima tematica
affrontata
concerne l’importanza dell’elemento soggettivo nella percezione del
pericolo.
La relazione al progetto rilevava come solo una piccola parte della
dottrina
richiedeva la percezione del pericolo da parte dell’aggredito come
condizione
per l’attuazione della scriminante.[29]
E
questa, minoritaria, è stata invero la strada seguita dal
progetto, ove –
sebbene il primo comma sia rimasto sostanzialmente invariato rispetto
al
precedente art. 52 – nell’articolato del 2001 è stata inserita
la locuzione percepito dall’agente in relazione al pericolo attuale di un’offesa ingiusta,
dimostrando come la commissione Grosso abbia preferito dare una
fondamentale
importanza alla percezione del pericolo, subordinando a ciò
l’operatività della
scriminante, per cui l’agente che si difende deve dimostrare di avere
compreso
trattasi di una situazione di minaccia.[30] Al secondo
comma invece la commissione ha affrontato un particolare problema di
decennale
vita, quello relativo al giudizio di proporzione, in particolare
all’utilizzo
della teoria tra beni contrapposti oppure tra mezzi utilizzati.
Seguendo il
sempre crescente andamento giurisprudenziale e dottrinale la
commissione ha
optato per il primo di essi. Ma con l’utilizzo di una formula
estremamente
settaria e che pone i beni contrapposti in ambito di assoluta
supremazia rispetto a tutti gli altri elementi contingenti
e che qualificano più precisamente la situazione sia aggressiva
che difensiva.[31]
Con
le successive modifiche è stata aggiunta la locuzione “L’interesse leso dalla reazione può essere
moderatamente superiore rispetto a quello tutelato.” Tale modifica è sicuramente ben
accetta, in quanto da una parte
sancisce definitivamente – ed in termini pratici di lesività –
la preminenza
del bene tutelato rispetto al bene dell’aggressore, e d’altra parte
permette una
maggiore elasticità sia nel momento della scelta difensiva sia
nel momento
della sua valutazione. L’assetto derivante da una simile disposizione –
che
secondo la relazione al progetto di riforma è stata preferita ad
altre per
evitare smodate reazioni a tutela di interessi patrimoniali,
ancorché rilevanti
– è certamente valido, ma pecca nel momento in cui non si tiene
conto di tutti gli elementi qualificanti l’aggressione,
che permetterebbero di procedere ad un giudizio di proporzione
maggiormente
ancorato alla situazione reale. Nel terzo
comma il progetto Grosso affronta la questione relativa al requisito
della
necessità e al requisito – mancante nella disposizione del ’30 –
dell’inevitabilità del pericolo. Si tratta anche quì di
dare certezza
legislativa ad un requisito prodotto giurisprudenzialmente, sancendo –
nel caso
in cui la reazione difensiva sia inevitabile – il principio
dell’alternatività
tra le condotte difensive, ed il conseguente obbligo di selezionare,
tra tutte
le possibili, la meno lesiva per il soggetto aggressore. Il comma
quattro è invece espressamente dedicato ad una delle questioni
più annose e
discusse in tema di legittima difesa, una questione che vede la propria
nascita
secoli or sono, quella del commodus
discessus. Se la disciplina previgente nulla diceva, la commissione
Grosso
ha inteso dotare il codice di un comma che lo riguarda ampiamente,
obbligando
chiunque – quando lo si possa fare senza alcun ulteriore rischio – ad
evitare
la reazione. In pratica, a fuggire. La commissione ha così
espresso la propria
parola sul problema principale, quello cioè riguardante la
lesione dell’onore
derivante da un’indecorosa fuga, lesione che lo stesso Grosso considera
– nella
visione di valori ed ideali odierna – lontana da quella antica e
cavalleresca,
non più realmente percepibita dal singolo e dalla società.[32] A questo
punto la difficoltà di esprimere il concetto in maniera ideale,
bilanciandolo
col il principio di favor di cui
comunque gode l’aggredito, ha dato vita all’esortazione che in ogni
caso il commodus discessus non deve causare
nessun altro rischio all’aggredito, avvertenza che appena smorza la
rigidità
della disposizione.[33] Infine il
progetto prende in esame – così come anche il progetto Pagliaro
ed il disegno
di legge Riz – l’esclusione della legittima difesa nel caso in cui il
soggetto
poi aggredito abbia ad arte dato vita al pericolo per potersi poi
trovare nella
posizione di doversi difendere, ed impunemente offendere. La
commissione,
conscia del fatto che locuzione pericolo
non volontariamente causato ha efficacia ed estensione ben diversi,[34]
ha
preferito rinunciare a dare certezza legislativa all’intero segmento
della non
volontaria causazione del pericolo, le cui conseguenze sarebbero state
ben più
rilevanti, argomentando nella relazione che: “nè
vi è motivo di estendere alla difesa legittima, dove opera un
aggressore ingiusto, un requisito che nello stato di necessità
si giustifica in
considerazione della posizione paritetica degli antagonisti”[35]
ma
condividendo però la necessità di ricomprendere nella
riforma almeno il
requisito nella sua accezione più pregnante e pericolosa. 4. Il progetto Nordio e
l’emendamento Finocchiaro -
Fanfani del 4 ottobre 2005 Il progetto
Grosso, al pari di ogni altro tentativo di riforma del codice finora
compiuto,
non riusci ad affrontare l’iter parlamentare previsto, benché
nel dicembre 2001
venne presentato alla Camera dei deputati come disegno di legge di
iniziativa
parlamentare. Fu così che con l’avvento di una nuova legislatura
e di un nuovo
governo, nel 2001 si diede vita ad un ulteriore tentativo di riforma
del codice
penale. L’allora
ministro Guardasigilli Roberto Castelli, con D.M. del 23 novembre 2001
istituì
una commissione di riforma presieduta da Carlo Nordio, che negli anni
successivi, complici rilevanti integrazioni di importanti giuristi e
docenti
nella sua conformazione, giunse alla scrittura di un completo
articolato che,
come si legge nel Progetto di codice
penale della Commissione Nordio, lavorò con l’obiettivo di
presentare il
progetto entro un termine idoneo a consentirne lo studio e
l’approvazione
nell’ambito della relativa legislatura, tenendo in ampio merito i
lavori delle
precedenti commissioni, tanto che “l’attuale
risultato non sarebbe stato possibile senza le solide e condivise
fondamenta
scientifiche poste dai progetti Pagliaro, Riz e Grosso, e senza
l’efficace
contributo dei commenti che ne sono seguiti”[36]. La
commissione Nordio è intervenuta, in
primis, sull’aspetto generale delle scriminanti, con un’importante
disposizione che all’art. 27 del progetto fa chiarezza circa il
fondamento e
l’operatività delle esimenti, prescrivendo che esse agiscono
solo in virtù di
una specifica disposizione di legge, che esse operano oggettivamente e
che, in
presenza di una scriminante, il reato si considera insussistente,
applicando
così i principi di tassatività e oggettività, e definendo in modo
compiuto il campo delle cause di giustificazione dalle diverse scusanti.[37]
Inoltre essa è intervenuta modificando l’istituto contenuto
all’art. 52, ma non
solo, dato che – sempre nell’ambito di reazioni scriminate da cause di
giustificazione – è stato ampiamente modificato anche l’articolo
relativo alla
scriminante dell’uso legittimo delle armi. Prendendo le mosse dalla
difesa
legittima si cita il testo dell’articolato proposto all’art. 30,
titolato difesa legittima. “1. E’scriminato il fatto
commesso da chi è
stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio
o altrui contro
il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata
all’offesa, tenuto conto dei beni in conflitto, dei mezzi a
disposizione della
vittima e delle modalità concrete dell’aggressione. 2.
Non è scriminato il fatto di chi ha preordinato a scopo
offensivo la situazione
da cui deriva la necessità di difesa.” La
disposizione così costruita è sicuramente una norma di
alto livello, dotata del
pregio della chiarezza sistematica che ben riflette la natura
dell’istituto.[38]
Le
indicazioni rilevanti dell’art. 52 sono state mantenute nel primo
comma, dove
il riferimento alla necessità è stato accentuato con la
locuzione modalità concrete dell’aggressione, e
dove il pericolo attuale e l’offesa ingiusta continuano a esercitare la
propria
forza, ma soprattutto là dove la proporzione è stata
mantenuta elemento centrale
ed essenziale dell’istituto.[39] Proprio
riguardo al requisito della proporzione si notano importanti
inserimenti, tali
per cui il giudizio di valutazione sul rispetto o meno del rapporto di
proporzione si arricchisce di precisazioni legislative che finora erano
emerse
solamente a livello dottrinale e giurisprudenziale. Esse riguardano il
riferimento ai beni in conflitto, per
cui il giudizio è sanamente vincolato ai beni contrapposti,
secondo
l’importante teoria che pone proprio essi alla base del giudizio; il
riferimento alle modalità concrete
dell’aggressione, ragion per cui ogni elemento contingente la
situazione
reale deve essere esaminato dal giudice, e soprattutto ogni condotta
del
soggetto aggredito deve essere valutata alla luce di tali particolari
accadimenti reali. Infine, si inserisce a livello legislativo un
preciso
riferimento ai mezzi a disposizione della
vittima, elemento che dovrà essere integrato e fatto
perfettamente
combaciare con gli altri appena citati, nell’ambito di un corretto e
completo
giudizio, in cui ciascun elemento – che se operante in solitario
sarebbe stato
foriero di critiche e problematiche – diviene soltanto uno
dei requisiti che devono essere vagliati.[40] La
proporzione così descritta sembra poter far fronte ad un ampio
numero di casi,
anche se non manca chi definisce la scelta di coinvolgere nel giudizio
i mezzi
a disposizione come un’alterazione del criterio della proporzione, che
perderebbe così la possibilità di un suo più
naturale funzionamento,
vanificando i limiti di reazione che la norma conserva.[41] Meno
problematico il secondo comma dell’articolo, che prevede – come
già le proposte
di riforma precedenti – l’inoperatività della scriminante nel
caso di chi
preordini, a scopo offensivo, la situazione di pericolo, accettando
quindi la
linea di pensiero – soprattutto giurisprudenziale – che considerava
tale
requisito come presente e parte integrante dell’istituto, sebbene non
fosse
espressamente menzionato. Ma i
cambiamenti più consistenti in materia il progetto Nordio li
riserva
all’articolo successivo, il n. 31, rubricato Uso legittimo
delle armi o di altri mezzi di coazione fisica, ove
al terzo comme stabilisce che: “E’
scriminato il fatto di chi fa uso di armi perché è
costretto dalla necessità di
difendere l’inviolabilità del domicilio contro un’intromissione
ingiusta,
violenta o clandestina e tale da destare ragionevole timore per
l’incolumità o
la libertà delle persone presenti nel domicilio”.
La
disposizione così varata manifesta senza alcun dubbio la
volontà del proponente
di far fronte a quelle aggressioni che risultano più dannose e
odiate
dall’opinione pubblica, cioè le aggressioni – soprattutto
notturne – che
avvengono nel proprio domicilio. L’intenzione è senz’altro
lodevole, ma intensi
dubbi suscita la via prescelta per darvi attuazione. In particolare si
nota il
fatto di come la commissione abbia introdotto una disposizione di
portata
generale all’interno di una norma che è a carattere proprio – e
quindi di
applicazione riservata ad una sola categoria di persone, in questo caso
i
pubblici ufficiali – ma che permette a tutti di usufruirne, in quanto
chi
difende il domicilio è una chiunque persona che vi abita, vi
lavora e che non
gode di alcuna qualifica pubblica.[42]
Inoltre, considerando il caso di cui all’art. 31 comma 3 come una caso
di
legittima difesa – in quanto sono presenti gli elementi del pericolo,
dell’offesa ingiusta, della necessità e anche della proporzione
– si nota però
come quest’ultimo sia stato alterato permettendo la difesa anche al di
fuori
del bilanciamento dei beni e della sostanziale parità tra mezzi
di offesa e di
reazione, innescando un delicato rischio di caduta verso l’autodifesa
individuale eccessiva.[43] Altro
dubbio che l’art. 31 del progetto rivela riguarda l’uso
dell’espressione ragionevole timore che compare nel
testo
in relazione all’incolumità personale. Ora, è ben
ipotizzabile che il
ragionevole timore di cui si parla sia ben diverso dal canonico pericolo attuale che invece caratterizza
l’articolo precedente, trattandosi invece della sola rappresentazione
plausibile di un tale pericolo, dando vita ad una legittima difesa
ampiamente
putativa, svincolata da un vero e proprio giudizio di proporzione e
difficilmente sindacabile in sede giurisdizionale.[44] Il progetto
Nordio, sebbene presentato nel 2004, risente dell’avvicinarsi della
conclusione
della legislatura, per cui la maggioranza, definite altre
priorità di governo e
di legislazione, lo accantona, certificandone l’abbandono a favore di
altre
leggi speciali, anche in materia penale e, come vedremo oltre, pure nel
campo
della legittima difesa. Peraltro il
processo riformatore non si ferma e, il 4 ottobre 2005, viene
presentato alla
Camera un emendamento che vede come primi firmatari i deputati Anna
Finocchiaro, Ds, e Giuseppe Fanfani, Margherita, anch’esso riformatore
dell’istituto. La proposta ivi descritta sembra avere l’obiettivo di
inserire
nella disposizione dell’art. 52 un elemento che tenga conto, almeno in
parte,
della difficoltà di chi si difende in ambito domiciliare. Il
testo dell’emendamento
recita: “Nei casi previsti
dall’art. 614 c.p., primo e secondo comma, non è punibile colui
che,
legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicato, usa un mezzo
idoneo a
contrastare l’offesa, che non sia manifestamente sproporzionato alla
stessa”. Il testo così
ordinato sembra poter essere
convincente nel raggiungere il suo scopo di estendere confini e limiti
della
proporzione quel tanto che basta a consentire una difesa domiciliare
più idonea
alle difficoltà di chi si trovi a reagire in tale ambito, senza
avere la
pretesa di porre in essere una difficile riforma radicale dell’istituto. Tale
previsione legislativa avrebbe fatto modo di punire solamente quelle
condotte
che manifestamente avrebbero
privilegiato la difesa rispetto all’offesa, disponendo nei luoghi di
privata
dimora di una possibilità prima non esistente. Il tentativo non
ebbe però
fortuna, in quanto la maggioranza parlamentare, impegnata in una
propria
riforma di cui vedremo l’esito nei prossimi capitoli, respinse
l’emendamento.[45]
In ogni
caso, negli ultimi anni le serie problematiche legate alla pubblica
sicurezza
diedero vita ad una vera e propria fioritura di emendamenti e disegni
di legge
in materia di legittima difesa, aprendo un’era di dibattiti
parlamentari e non,
che si sarebbe chiusa, almeno momentaneamente, solo con l’approvazione
di una
nuova legge riformatrice dell’istituto, della cui bontà è
però ancora doveroso
investigare. Cap. III La legge 13
febbraio 2006, n° 59 1.
Il cammino dei lavori preparatori: a)
Obiettivi della riforma b) Un
diverso modo di concepire l’autotutela -2.
I requisiti della legge n. 59/2006: a)
Il richiamo dell’art. 614 c.p. b) La
legittima presenza nel domicilio c)
L’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo d)
La difesa della propria o altrui incolumità e la difesa dei beni
propri o altrui e) L’elemento della
non desistenza f) Il pericolo d’aggressione g) I luoghi di applicazione e
l’estensione operata dal nuovo terzo comma - 3. La
presunzione di proporzionalità 1. Il
cammino
dei lavori preparatori e la ratio
della legge A)
Obiettivi
della riforma Lo spirito
riformatore che per anni è vissuto nelle commissioni di riforma
del codice
penale, e che in diversi casi ha condotto all’elaborazione di un
preciso articolato,
porta a distinguere un’ulteriore faccia della stessa medaglia. Infatti,
accanto
alle istituzionali commissioni di riforma, vive un diverso sistema di
modifica
delle disposizioni penali, un sistema spesso contestato per la sua
caratteristica conseguenza di dotare l’ordinamento giuridico di norme
scollegate fra loro e spesso create da un legislatore privo delle
necessarie
capacità tecniche in materia giuridica, ossia la legislazione
speciale. Essa
fiorisce in momenti di difficile convivenza della legge con la
società, e
rappresenta quella voglia di cambiamento immediato e poco meditato che
contraddistingue un modo di far legge poco attento ai reali problemi
del paese.[46]
Inoltre, essa è spesso il risultato del più aspro scontro
politico fra
maggioranza ed opposizione, o addirittura all’interno della stessa
parte
politica, per cui la naturale ratio
della norma è più che altro il risultato di una
collisione che ha prodotto
modificazioni di vario genere che snaturano sia l’essenza che
l’originale
efficacia della disposizione. Anche la
riforma dell’istituto della legittima difesa è stata oggetto di
numerose
iniziative che sono state presentate in Parlamento senza che
provenissero da
esperti in materia, come invece accade in caso di commissioni
appositamente
create. D’altronde ciò è normale, in un paese democratico
il legislatore è
stato legalmente eletto ed è sua facoltà emanare leggi in
attuazione delle
proprie qualifiche. E allora il compito del giurista diventa quello di
fare
propri i passi dalle camere compiuti, interpretando ed analizzando,
ancor prima
che criticando, ciò che è stato portato a termine, per
dotare la conoscenza
propria degli organi giurisdizionali dei più ampi pareri,
osservando oltretutto
come il legislatore porterebbe in ogni caso a termine la propria opera
per cui,
ancora prima di criticare il lavoro compiuto, è bene analizzarlo
a fondo,
eliminando in questo modo i possibili difetti e le incogruenze che
immediatamente si rimproverano alla norma e lasciando ad altra sede
eventuali
disquisizioni mosse da motivazioni principalmente politiche.[47] In materia
di legittima difesa, tutta la scorsa legislatura è stata foriera
di interventi
riformatori che, parallelamente ai lavori della commissione presieduta
da Carlo
Nordio, hanno tentato di modificarne l’istituto. Se ne contano diversi,
ma il
principale tentativo è stato comunicato alla Presidenza del
Senato il 20
dicembre 2002, trattasi del disegno di legge n. 1899, ad iniziativa del
senatore Gubetti ed altri. Tale disegno di legge conteneva la
formulazione di
un articolo 52-bis, rubricato Diritto
all’autotutela in un privato
domicilio e il testo dichiarava: “Nel
contrastare una violazione di domicilio finalizzata allo scopo di
commettere altri reati, si configura in ogni caso come legittima difesa
la
condotta di chi: a) vedendo minacciata la propria o altrui
incolumità, usa
un’arma legalmente detenuta o qualsiasi altro mezzo idoneo per
dissuadere o
rendere sicuramente inoffensivo l’aggressore; b) vedendo minacciati i
propri o
altrui beni e constatata l’inefficacia di ogni invito a desistere dalla
azione
criminosa, per bloccarla usa qualsiasi mezzo idoneo o un’arma
legittimamente
detenuta, mirando alle parti non vitali di chi persiste nella minaccia”. Tale disegno di legge fu assegnato alla II
commissione
(Giustizia), in sede referente, il 19 marzo 2003 con parere della
commissione
I, e venne poi presentato in aula con relazione del sen. Caruso il 27
aprile
2004, e definito atto n. 1899-s, che nel frattempo aveva assorbito un
altro
disegno di legge, presentato dal sen. Danieli di Alleanza Nazionale, il
n.
2287, comunicato alla Presidenza del Senato il 28 maggio 2003, il quale
pure
richiedeva l’introduzione di un nuovo articolo 52-bis
rubricato Esclusione del
criterio di proporzionalità. Fin dalle
prime dichiarazioni di accompagnamento ai disegni, si nota bene
qual’è lo
spirito del legislatore e quali le intenzioni di chi promuove la
riforma. La
relazione al d.d.l. Gubetti sottolineava come “l’eccessivo grado
di
discrezionalità che è stato lasciato al potere di
interpretazione dei
magistrati, finisce per vanificare la certezza del diritto. Fatti del
tutto
simili vengono giudicati in modo completamente difforme da un tribunale
all’altro, da un grado di giudizio all’altro. Al povero imputato,
colpevole di
aver difeso la propria vita, i propri beni, la scritta nei tribunali –
la legge
è uguale per tutti – appare spesso come una beffa, il ghigno
irridente di una
giustizia cieca, imprevedibile e crudele”.[48]
Ancora “In tal modo, si è voluto superare una pericolosa
deriva
culturale secondo cui i delinquenti e gli aggressori sarebbero da
tutelare,
quasi vi fosse un peccato che la nostra società deve scontare
[…]. In base a
questa impostazione culturale, che spesso e volentieri si traduce in
una certa
impostazione giurisprudenziale, le vittime sono lasciate senza tutela.
In
effetti, sino ad oggi si è affermata una mentalità
deviata, se così la possiamo
definire, per cui, da un lato, i delinquenti hanno tutti i diritti,
compreso
quello di entrare impuniti nelle case di persone oneste, mentre queste
ultime
hanno il dovere di rispettare i delinquenti, anche a rischio della loro
vita
[…]. Con questo provvedimento, la sicurezza del cittadino diventa
finalmente un
diritto primario, in quanto consente di esercitare il diritto alla
difesa nella
propria casa e nel proprio negozio”.[49]
Da
tali prime anticipazioni dei lavori preparatori emerge il primo
obiettivo della
riforma, cioè eliminare sostanzialmente la
discrezionalità in materia dei
giudici, che sarebbe confermata da “..un’ampia casistica di
sentenze
della Cassazione […] che finiscono – è vero – per riconoscere
l’innocenza degli
imputati, ma dopo anni di calvario giudiziario, con conseguenti
gravissimi
danni economici, psichici e biologici”.[50] Secondo i
propugnatori della riforma, sarebbe infatti tale discrezionalità
a base del
giudizio di proporzione a creare i problemi che si mira a risolvere.
Essi
considerano che se il soggetto che si è difeso è
costretto ad accettare una
decisione difforme da quella che altri tribunali hanno dato ad un caso
simile,
oppure se egli – al momento di porre in essere la reazione – non
è in grado di
conoscere con esattezza quali possono essere i limiti di condotta che
gli
vengono imposti, a discapito della certezza del diritto, questo sarebbe
a causa
dell’eccessiva discrezionalità di cui gode l’organo giudicante e
che nasce
dalla disciplina che il codice del ’30 ha inteso dare alla legittima
difesa. In
tale configurazione l’organo giudicante doveva procedere ad una
raccolta e
valutazione di tutti gli elementi conosciuti, e secondo la teoria ex post persino di quelli non conosciuti
ma esistenti, provvedendo così alla formazione di un’ampia base
di dati sui
quali lavorare per approvare o meno la condotta del reagente.[51] E’ indubbio
che un siffatto sistema ha sempre concesso all’organo giudicante la
possibilità
di applicare il requisito della proporzione in maniera consona al
fondamento
giuridico che permea la legittima difesa, evitando quindi concessioni
ampie ad
una difesa incontrollata di beni di minor valore quali quelli
patrimoniali, ma
al contempo ha reso difficile affrontare questioni aperte sul campo
dell’attualità, quali quelle riguardanti le aggressioni nel
proprio domicilio e
le rapine in luoghi di lavoro. In conclusione, è facile
affermare come il
requisito della proporzione sia stato il più naturale bersaglio
di ogni
tentativo di estensione della facoltà di autotutela.[52] A fronte di
queste critiche avanzate, è in effetti possibile affermare – e
qui non si da
torto a priori ai propugnatori di questa riforma – che sarebbe
necessaria una
maggior precisione della norma definitoria. Non v’è dubbio
infatti che la
proporzione non è sempre riuscita, stante il dato di
interpretazione e di
individuazione dei casi limite, a risolvere in modo certo casi anche
ampi quali
quelli sopra citati, e nemmeno è possibile eliminare del tutto
l’impressione
che Nonostante
queste precisazioni, è però da notare come negli ultimi
anni, immediatamente
precedenti la riforma, la corte di Cassazione abbia introdotto nuove
prospettive di tutela dei beni patrimoniali, riuscendo a definire
maggiormente
rispetto al passato i limiti di reazione nei confronti di chi abbia
attentato a
beni patrimoniali.[57]
In
particolare, con la sentenza n. 20727 del 2003, la corte aveva
stabilito, in
relazione alle possibilità di difesa di chi subisce una rapina,
che l’uso di
arma da fuoco è sì consentito, ma solo quando ciò
sia l’unico mezzo per
impedire l’aggressione, quando sussista comunque la proporzione tra il
danno
subito e la reazione difensiva ed infine consentendo un utilizzo
dell’arma
volto il maggiormente possibile a mirare in aria o a veicoli di fuga,
con
l’obiettivo perciò di spaventare ovvero impedire la fuga.[58]
Ancora successivamente, con la sentenza n. 37960 del Questo
insieme di problematiche costituisce il primo nucleo – od obiettivo –
di
riforma dell’istituto, che sarà perseguito seguendo la doppia
strada di una
maggior precisione della norma e di un’ampiamento dei suoi limiti,
attuato
tramite una presunzione di proporzionalità almeno nei casi
più importanti,
quelli che riguardano il domicilio e la difesa dei luoghi lavorativi.[60] Accanto a
ciò, i lavori preparatori in Camera e in Senato hanno dato nuovo
spunto alla
riforma, come si nota ad esempio nelle dichiarazioni dell’on. Guido
Giuseppe
Rossi, Lega Nord, che ha commentato come “la proposta di legge
ha il
pregio di individuare con esattezza i confini del cosidetto diritto di
autotutela nella legittima difesa” e il
sen.
Ziccone, Forza Italia, che abbina la nota di eccessiva
discrezionalità del
giudice con la lunghezza estenuante degli iter processuali. Ecco allora
che si delinea un secondo punto da centrare per la riforma, accanto a
quello
che mira a diminuire la discrezionalità del potere dei giudici,
cioè eliminare
o limitare l’assogettamento dell’aggredito ad un processo che si
prevede quasi
sempre come lungo, stressante e dispendioso.[61]
Tale
secondo rilevante problema, relativo alla durata dei processi, investe
l’aggredito quale che sia la sua posizione, e considerato sempre
più aberrante
in particolare in casi di probabile innocenza del reagente. In simili
condizioni si avverte un sensibile fastidio nella collettività
per il fatto che
l’aggredito è sottoposto a – quanto mai necessario –
procedimento giuridico, la
cui necessità nasce innanzitutto dallo stesso fondamento
giuridico su cui la
scriminante poggia. Infatti mantenendo tale fondamento su di un piano
di
eccezionalità quale quello delineato finora, non vi sono dubbi
che tutta la
legittima difesa poggi su di una base solida ma molto limitata, quale
quella
che legittima la condotta reattiva a difesa di un bene anche
patrimoniale senza
l’intervento della forza pubblica, ma solo a particolari condizioni. Ma
è
chiaro che la stessa reazione che si compie si materializza in una
condotta
dell’aggredito che viene sussunta in una fattispecie di reato. Ed
è logico, di
fronte ad una tale evenienza, che l’organo giurisdizionale verifichi
senza meno
la sussistenza degli elementi e delle circostanze in gioco, per
appurare
l’assoluta mancanza di dolo e di volontà lesiva-aggressiva.[62]
Dello stesso avviso si proclama l’opposizione riguardo all’obiettivo di
cui
sopra. In diversi interventi si proclama infatti
l’impraticabilità di un tale
fine, almeno dato il tenore letterale della nuova disposizione,
così come ha,
per tutti, esplicitamente osservato l’on. Finocchiaro, Ds: “promettono
i
colleghi della Lega – ed i colleghi della maggioranza, assieme a questi
ultimi
– che approvando tale norma chi abbia reagito contro l’offesa ingiusta
non
dovrà più andare di fronte ad un giudice e vedere
sottoposte a verifica le
circostanze nelle quali il fatto si è verificato. Nulla di
più falso,
attenendosi esattamente al teso del provvedimento! Infatti, in ogni
caso, mai
si potrà prescindere dall’accertamento di circostanze concrete.
[…]”.[63] E
l’opposizione aggiunge un’altra freccia al proprio arco, ragionando sul
fatto
che la riforma in esame prevede la votazione di un testo che si
allontana
notevolmente dagli articolati che le commissioni di riforma del codice
penale
hanno elaborato negli ultimi anni. Infatti sia la commissione Grosso
che la
commissione Nordio – quest’ultima al lavoro fino al mese di aprile
2005, sono
giunte allo studio di una riforma che prevede una nuova disciplina
della
legittima difesa. E l’opposizione ricorda alla Camera la più
alta qualità di
tali lavori – ed il fatto che discendono da una commissione composta
dai
migliori esperti del diritto – con la proposizione di una questione
sospensiva
dell’esame della legge. Le motivazioni addotte riguardano sia il fatto
che le
commissioni hanno avuto maggior tempo per elaborare i propri progetti,
sia che
il loro studio è frutto dei lavori compiuti dalle precedenti
commissioni, delle
quali esse ne richiamano, quantomeno, la profondità giuridica,
sia infine che
le loro prese di posizione sono antitetiche a quelle che ora i
propugnatori
della riforma intendono far diventare legge, ”tale iniziativa
legislativa si pone in totale antitesi sia con le indicazioni
provenienti dalla
commissione ministeriale per la riforma del codice penale, presieduta
dal
professor Grosso (costituita nel corso della XIII legislatura), sia con
quelle
provenienti dalla commissione ministeriale presieduta dal dottor
Nordio, e
nominata dall’attuale Ministro della giustizia”.
Inoltre la questione sospensiva afferma come una problematica tanto
delicata
come quella delle cause di giustificazione vada senza meno affrontata
con
l’utilizzo di tutte le risorse a propria disposizione, evitando che
l’istituto
della legittima difesa perda quel controllo giurisdizionale che da
sempre
garantisce la via più logica per un sicuro accertamento dei
fatti, e auspicando
che una riforma della scriminante non venga compiuta senza una
parallela
riforma del codice intero, “la complessità e la
delicatezza della
materia dalla proposta di legge in esame sono tali che sarebbe dannoso
e
controproducente trattarla in maniera estemporanea e senza una
rivisitazione
complessiva del codice penale, da tempo necessaria”.[64] B)
Un diverso modo di concepire l’autotutela Introducendo
le ragioni che hanno portato i propugnatori della riforma, espressa nel
disegno
di legge Gubetti, a tentare l’iter legislativo, si giunge ad un nuovo
punto
dello stesso quadro. Ciò in quanto gli scopi sopra enunciati,
come la
limitazione della discrezionalità del giudice e la diminuzione
dei processi
accertativi della causa di giustificazione, sono sì obiettivi
importanti e
fondamentali, ma che ben potrebbero essere diretti anche ad un miglioramento dello stesso art. 52
codice Rocco, mentre la riforma in esame tenta qualcosa di più,
qualcosa di
nuovo che esula dalle possibilità dell’istituto come finora
delineato, mirando
ad allargare i confini che segnano l’ambito di applicazione
dell’esimente ed
introducendo così sia un concetto di presunzione riferita
all’operatività della
proporzione, sia un concetto di legittima difesa diverso
da quello finora conosciuto e voluto. I lavori
preparatori mostrano infatti un alto desiderio di permettere al
soggetto
aggredito di porre in essere reazioni che finora non erano consentite.
L’idea
di fondo costituita dal già richiamato problema della giustizia,
che si
manifestava nella credenza – da parte di cittadini ma sottolineata pure
dagli
stessi propugnatori della riforma – che l’autorità giudiziaria
consentisse una
più alta protezione del malvivente piuttosto che una più
giusta tutela del
cittadino onesto, ha fatto sì che la legge in Parlamento si
arricchisse di
argomenti volti a modificare tale – presunta – situazione. Dai lavori
preparatori
si legge che “alcuni mesi fa, ho appreso dai giornali una
notizia
stranissima […], un tabaccaio è stato condannato alla pena di
otto anni di
reclusione per avere sparato ad un cittadino italiano che era entrato
nel suo
negozio con una scacciacani in mano: questo “poverino” – nel senso che,
essendo
rimasto ferito gravemente, è stato in fin di vita – ha
patteggiato la pena e,
dopo due mesi, era di nuovo per strada, mentre il “buon tabaccaio” si
è beccato
otto anni di reclusione (e sono centinaia i casi analoghi!)”.[65]
Questo passo è indicativo della volontà di dotare
l’ordinamento di una legge
che non permetta al giudice di operare una valutazione (della
proporzionalità)
che risulti negativa per l’aggredito, giungendo così ad
assicurare che lo
Stato, d’ora in avanti, sarà al fianco del cittadino che si
difenda anche in
modo altamente lesivo.[66] Ma questo
modo di intendere la difesa privata postula una dimensione della
legittima
difesa diversa da quella finora attuata. Il legislatore intende dare al
cittadino
la possibilità di difendere – nel momento della reazione – non
solamente il
bene privato che lo legittima alla tutela, ma tutto l’ordinamento
giuridico
completamente considerato, trasformandosi così in uno strumento
di lotta al
crimine che si manifesta nella riaffermazione della vigenza del diritto
violato.[67]
“Il cittadino che
si difende legittimamente al pari dell’agente dell’ordine, agisce in primis per la difesa di un diritto,
del diritto proprio o altrui di essere libero e sicuro all’interno
delle mura
domestiche o del luogo di lavoro e difende in quel momento tutta la
comunità
civile”.[68]
A
fronte di ciò si avvia una privatizzazione della difesa contro
il crimine – che
sarà ben tenuta in considerazione ed esaminata sotto diversi
punti di vista nel
prosieguo di questo lavoro – fortemente avversata dall’opposizione in
Parlamento, tramite le voci del sen. Maritati, Ds, e dell’on. Rocchi,
Margherita, interventi del 19 ottobre 2004 e del 28 novembre 2005, che
contrastano anche un’altra voluta conseguenza della riforma,
cioè quella che si
manifesta nella – presunta – maggior paura del malvivente a commettere
un
delitto sapendo di trovarsi di fronte un cittadino pronto a difendere
se stesso
e la propria collettività, anche grazie alla nuova
possibilità di uso delle
armi.[69] In tal caso
il ladro notturno – o la banda di ladri notturni, inferociti e senza
scrupoli,
come d’altronde si legge nei passaggi di maggioranza dei lavori
preparatori –
che entra in azione dovrebbe risultare intimorita dalla consapevolezza
che
affronta un cittadino – addormentato, ma pur sempre strumento di
giustizia –
che rappresenta il Diritto di tutti, e non solo il proprio. Ma tale
conseguenza
è auspicabile soltanto per i propugnatori della riforma, mentre
l’opposizione
chiarisce come la differenza di valori e ideali tra cittadino onesto e
malvivente sia fortemente indicativa del fatto che il primo è
spesso meno abile
nell’uso delle armi e soprattutto meno pronto a porre in essere atti di
violenza, anche se giustificati, col rischio inoltre di una più
calcolata
preparazione armata dei rapinatori in procinto di compiere il reato.[70] Ma ormai il
lungo passaggio parlamentare è finito, i lavori preparatori sono
giunti al
termine del loro percorso, e il 13 febbraio 2006 la legittima difesa
viene dotata
di una nuova disciplina, che tenterà – nel tempo che avrà
a disposizione – di
perseguire gli obiettivi che i propugnatori della riforma hanno inteso
darvi.
Il testo approvato è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 51
del 2 marzo 2006
e la nuova normativa, che entrerà in vigore il 17 marzo 2006,
è – nella sua
completa e definitiva stesura – la seguente: Legge 13 febbraio 2006, n. 59
– Modifica all’art. 52
del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato
domicilio: Art. 1. Diritto all’autotutela
in un privato
domicilio. 1. All’art.
52 del codice penale sono aggiunti i seguenti commi: “Nei casi
previsti dall’art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di
proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno
legittimamente
presente nei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o
altro
mezzo idoneo al fine di difendere: a)
la
propria o
altrui incolumità; b)
i
beni propri o
altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo
d’aggressione. La
disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui
il fatto
sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata
un’attività
commerciale, professionale o imprenditoriale”. 2. I requisiti della legge n.
59/2006 Una volta
approvata la tanto cercata riforma della legittima difesa è
doveroso, ancor
prima che segnalarne difetti e pregi, ancor prima di procedere ad
annotare
commenti e pareri, procedere ad un’attenta disamina delle modifiche da
essa
introdotte, per capire come e dove abbia realmente innovato, cercando
di
stabilire col massimo grado di precisione possibile i nuovi limiti
dell’istituto, che si presenta ora nella formulazione di tre commi, il
primo
dei quali non è mutato dalla legislazione previgente, mentre i
due successivi –
di cui ora si sta trattando – costituiscono la novità della
riforma. Infatti,
l’approvazione della legge non ha portato – come sembrava in un primo
momento –
alla creazione di un nuovo articolo ulteriore
rispetto al n. 52 che già disciplinava la legittima difesa,
ponendo il dubbio,
di cui si tratterà in seguito, circa la creazione in
toto di una nuova scriminante oppure di una più semplice specificazione dell’istituto già
esistente.[71] A)
Il richiamo
dell’art. 614 c.p. Analizzando
la lettera della legge, si nota come la presunzione di
proporzionalità – che
costituisce il punto focale della riforma – possa attuarsi solo previo
rispetto
di una serie di requisiti la cui sussistenza ne è condizione
necessaria. Il
primo di essi, chiamato ad esercitare la propria influenza
sull’istituto, è il
richiamo alla fattispecie descritta all’614 c.p. e relativo al reato di
violazione di domicilio.[72]
Esso
introduce un primo limite di ordine spaziale e circoscrive
l’applicazione del
comma ai soli casi rientranti nei luoghi di domicilio, di privata
dimora e
nelle relative appartenenze. Nella disciplina ivi rientrante sono da
configurare anche tutti gli altri luoghi ove si svolga attività
di vita privata
diverse da quelle domestiche e da riscontrarsi nelle attività
religiose, nelle
attività di svago e in quelle lavorative o politiche, restandone
invece esclusi
i luoghi pubblici e i mezzi di trasporto, anche collettivi.[73]
La
giurisprudenza si è nondimeno espressa nel senso di
un’accettazione ampia dei
suddetti luoghi, introducendovi “qualsiasi
luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione
della vita
privata o dell’attività lavorativa” e
costruendo un’impostazione in materia molto aperta, tanto che essa per
privata
dimora intende “ogni altro luogo,
diverso dalla casa d’abitazione, dove la persona si sofferma per
compiere,
anche in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata,
quali
manifestazioni della sua attività per motivi diversi”.[74]
E secondo un orientamento
a volte discusso ma anche seguito dalla Cassazione, vi rientrerebbero
persino
bar, studi professionali, saloni di banca e in genere tutti i negozi
commerciali,[75]
con la conseguente enorme
dilatazione dei luoghi – e conseguentemente delle situazioni e
possibili
iterazioni – ove diviene a prima vista possibile reagire oltre la
normale
proporzione.[76] Al riguardo
è però opportuno tentare due precisazioni. Innanzitutto
è da notare come la
lettera delle legge anteticamente contenga nel titolo della rubrica un
preciso
riferimento al privato domicilio,
locuzione tendente ad un’interpretazione restrittiva del requisito,
salvo poi
al comma terzo cercare di risolvere possibili dubbi tramite una
radicale
estensione ai luoghi ove si svolga attività commerciale,
professionale o
imprenditoriale, e successivamente è da rilevare come il
requisito dell’offesa
ingiusta – che a rigore deve sempre essere presente in quanto requisito
base
dell’operatività dell’art. 52, qualunque comma – non sia
soddisfatto dalla
semplice e sola violazione di domicilio, richiedendosi un quid
pluris offensivo in confronto ai beni o all’incolumità
personale, per non cadere in una sostanziale interpretatio
abrogans dell’elemento in esame.[77] Proseguendo
nell’analisi del requisito, è importante notare come il rinvio
operato non
costituisca un mero tentativo di delimitazione spaziale, ma sia la base
per una
necessità di reato, per la quale la disciplina ex
novo art. 52 potrà applicarsi solo previa
violazione di domicilio da parte dell’aggressore, che della
legittima difesa domiciliare
costituisce requisito necessario ma non sufficiente. L’aggressore
dovrà
necessariamente compiere una delle condotte che possono qualificare
reato per
l’art. 614 c.p. e cioè, rispettivamente al primo e al secondo
comma, introdursi
clandestinamente o con l’inganno nell’altrui abitazione o luogo di
privata
dimora oppure, una voltra entratovi legittimamente, si rifiuti di
allontanarsi
oppure vi rimanga presente con comportamento clandestino o con inganno.[78] Tale primo
requisito inizia a segnare il passo della riforma e a mostrare le prime
differenze ma pure le prime interconnessioni con l’operatività
determinata dal
primo comma. In questo caso l’attuarsi delle condizioni richieste dalla
violazione di domicilio imporrà – previo riconoscimento degli
altri requisiti
operanti in materia – l’applicazione del nuovo secondo comma, mentre
nei
confronti di un’azione lesiva conseguente ad una condotta che per i
più vari
motivi non possa costituire reato di violazione di domicilio si
vedrà chiamato
in causa il comma primo dell’articolo e quindi l’istituto della
legittima
difesa nel suo aspetto più generale.[79] B)
La legittima
presenza nel domicilio La
disposizione di cui all’art. 52 secondo comma procede nell’esame dei
requisiti
richiesti con la locuzione legittimamente
presente nei luoghi ivi indicati. Questa specificazione introduce
il fatto
che, della nuova previsione di proporzionalità presunta,
potranno godere
solamente quei soggetti che – a qualsiasi titolo – saranno
legittimamente
presenti nel domicilio o nel luogo di privata dimora ove l’aggressione
avviene
a seguito di violazione di domicilio ex art. 614. Perché
ciò avvenga non si
richiede all’aggredito, o a colui che si attivi per la difesa altrui,
di essere
necessariamente il titolare dello ius
excludendi, quindi di essere il proprietario ex art. 832 c.c.
dell’abitazione o il beneficiario di un diritto di godimento o il
titolare di
un negozio, ma più semplicemente di essere legittimamente
presente nel luogo
violato, opzione che ricomprende perciò commessi di negozi,
clienti di banca, amici
o parenti del proprietario della casa. In generale, tutti coloro che
non vi si
siano introdotti con condotta caratterizzata dalle modalità
descritte dall’art.
614 c.p.[80] Si tratta
di un limite soggettivo all’applicazione del comma, un limite di ordine
personale
che mira in primo luogo ad eliminare dall’ambito di utilizzo
dell’esimente in
questione l’aggressore stesso, il quale potrà – nei limiti cui
la
giurisprudenza ha sempre permesso l’ammissibilità della
legittima difesa a chi
abbia dato origine al pericolo – beneficiare della scriminante
originale ex
art. 52 primo comma.[81] E’ un
limite che – a parte la motivazione sopra espressa – non sembra essere
dettato
da una vera funzione di utilità, quanto piuttosto dal fatto che,
con esso, il
legislatore ha inteso dare meritevolezza a colui che difende la propria
libertà
e incolumità familiare e lavorativa, volendo sottolineare la
giustizia e la
legalità di tale nuova difesa allargata. Ma il
requisito in esame non è esente da difficoltà
interpretative, date soprattutto
da quei casi nei quali un particolare soggetto, per particolari motivi,
è
presente nel luogo di domicilio o di privata dimora oggetto
dell’aggressione,
motivi quali ad esempio la clandestina relazione con la moglie del
comproprietario dello stabile – situazione che la giurisprudenza
riconosce come
violazione di domicilio punibile a querela della persona offesa,
cioè il
marito. In tale caso l’amante clandestino si vedrebbe probabilmente
negare
l’operatività del secondo comma a favore della classica
previsione di cui al
primo comma. Aldilà di tali casi sembra corretto affermare che
la legittimità
della presenza sia soddisfatta quando chiunque sia presente – sotto
l’autorizzazione di chi gode dello jus
excludendi – anche se di nascosto dagli altri titolari, eliminando
in tal
modo una difficilmente spiegabile mancanza di operatività della
nuova opzione,
risultando infatti irragionevole che – a fronte dei lavori preparatori
e a
fronte dell’estensione che l’istituto ha subito per permettere una
migliore difesa
dell’abitazione – simili casi vengano esclusi dall’ambito di
operatività della
riforma.[82] C)
L’arma
legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo Il secondo
comma dell’art. 52 c.p. procede con l’introduzione di un requisito che,
a prima
vista, sembra estraneo alla classica legittima difesa, quello della
legittima
detenzione dell’arma. Tale comma precisa che la nuova previsione di
proporzionalità presunta potrà operare solo quando
l’aggredito utilizzi per la
difesa un’arma che egli legittimamente detiene, oppure un altro mezzo
idoneo,
al fine di difendere. Si tratta
di un requisito che senza dubbio dovrà essere correttamente
interpretato per
fornire indicazioni utili e non dare adito a risultati paradossali al
momento
dell’applicazione pratica dell’istituto, e questo perché
innanzitutto si tratta
di un elemento che mai, né la dottrina né tantomeno la
giurisprudenza, hanno
chiamato in causa nelle rispettive trattazioni. Entrambe hanno sempre
concesso
la possibilità di godimento della legittima difesa a prescindere
dalla
legittimità della detenzione dell’arma, richiedendosi per la
stessa,
eventualmente, soltanto la punibilità data dalla relativa
disciplina per il
detentore abusivo. Perciò, per
trovare il fondamento di tale inserimento è necessario fare
richiamo alla
volontà del legislatore, diretta ad escludere
dall’applicabilità del nuovo
comma tutti coloro che – detentori di armi ma in modo abusivo – si
qualificherebbero come meno idonei e meno capaci, quanto anche
più propensi,
all’utilizzo smodato delle stesse, lasciando invece aperta ogni
possibilità a
chi ha correttamente adempiuto alla legislazione in materia di
detenzione di
armi ed ai relativi obblighi. In tal modo il requisito si porrebbe come
una
compensazione diretta a restringere il campo dei possibili utilizzatori
solamente a coloro ritenuti degni di una più meritata
affidabilità.[83] Il
particolare tema trattato dal requisito in questione – che dispiega la
sua
efficacia su tutte le tipologie di armi il cui utilizzo è
sottoposto ad
autorizzazione – deve inoltre far richiamare l’attenzione sul fatto che
esso ha
disciplinato la possibilità di utilizzo
del mezzo, ma non anche l’effetto che
da tale uso deriva. Pertanto è da tenere in buon conto che il
suo uso non è in
alcun modo diretto ad una libertà di determinazione degli
effetti, essendo
questi sempre sottoposti ad un preciso vaglio di idoneità che il
principale
elemento della necessità esercita nella sua più ampia
concezione di
necessità-inevitabilità. Un nuovo
inconveniente relativo alla legittima detenzione dell’arma deriva dal
significato più o meno ampio – o più o meno oggettivo –
che si da alla parola legittima. Infatti, per non
incorrere in
assurde situazioni di divieto di uso dell’arma sotto il beneficio della
riforma
per chi non è il legittimo e legale detentore, è bene
intendere tale elemento
nella sua più ampia concezione oggettiva, cioè come
legittimazione indipendente
dalla formale intestazione ma risultante solamente dalla legittima
presenza in loco, con conseguente irrilevanza se
ad usare l’arma è il detentore legale oppure altra persona ivi
legittimamente
presente, come ad esempio un familiare.[84] A seguito
della menzione della legittimità dell’arma, si dispone che la
difesa coperta da
presunzione di proporzionalità potrà essere attuata anche
mediante qualunque altro mezzo idoneo. Ci si trova in
tal
caso di fronte ad una nozione di carattere residuale che ricomprende
qualunque
mezzo a disposizione, anche quelli altamente lesivi, come coltelli,
bottiglie,
fuoco, lanciando in tal modo un messaggio che svilisce il precedente
tentativo
di limitare l’applicabilità del nuovo comma solo a quelle
persone che – avendo
attuato tutte le misure previste per certe armi – si sono poste in una
posizione di garanzia.[85] D)
La difesa
della propria o altrui incolumità e la difesa dei beni propri o
altrui Il fine di
difendere è la ragion d’essere della legittima difesa, che
normalmente si
materializza in una condotta atta ad offendere per, appunto, difendere.
E la
riforma, introducendo un’importante presunzione di proporzione,
è chiamata a
specificare quelle che sono le ragioni del difendere, precisando che ad
una
lesione del bene dell’aggressore si può pervenire per la difesa,
innanzitutto,
della propria o altrui incolumità e, secondariamente, per la
difesa dei beni propri
o altrui, corredando così la disposizione di un ulteriore
criterio di
determinazione del suo ambito di applicazione, e modificando la
formulazione in
termini maggiormente soggettivi,
differentemente da quanto non avvenga nel primo comma, dove la dottrina
maggioritaria ha sempre negato la necessità di un vero e proprio
animus defendendi per la legittimità
della reazione difensiva, animus che
comunque, nella nuova disciplina, non potrà certo sostituirsi
alla presenza
attuale di un vero pericolo.[86] Le due
diverse finalità di difesa non godono fra l’altro del medesimo
trattamento
giuridico, ma costituiscono un doppio regime che si realizza in una
variazione
di disciplina, interna alla nuova legittima difesa. La questione nasce
dal
fatto che la seconda possibilità, relativa alla difesa dei beni
propri o
altrui, è subordinata alla presenza di altri due elementi,
definiti come la non desistenza ed il pericolo
di aggressione. A
complicare il quadro della non particolarmente felice scelta è
poi la
preferenza accordata dal legislatore al termine incolumità,
in quanto esso non è di facilissima interpretazione. La
questione nasce dal fatto che – a seconda dell’estensione che si
riserva al
requisito – ne verranno influenzate le modalità di difesa dei
suddetti beni. Infatti
normalmente del termine incolumità se ne propugna
un’interpretazione
restrittiva, per la quale al suo interno vengono inclusi il diritto
alla vita e
all’integrità fisica, lasciandone al di fuori gli altri beni
giuridici
personali, come le libertà personali, di circolazione e la
libertà sessuale.[87]
Conseguenza di tale interpretazione è il fatto che la difesa
delle libertà non
comprese al primo punto nel termine incolumità
sarà possibile grazie al secondo punto relativo ai beni, che
però è subordinato
alla presenza dei due sotto-requisiti sopra menzionati, cioè la
non desistenza
e il pericolo di aggressione. Al termine di tale percorso sarà
chiaro come si
materializzerebbe una disparità di difficile spiegazione tra la
difesa di
situazioni importanti, come la libertà personale posta in
pericolo da un
sequestro, e la difesa di situazioni minori, come una lesione
personale, ma
lieve. Infatti nel primo caso sarebbe necessario attendere la
compresenza di un
pericolo di aggressione, mentre nel secondo la presunzione di
proporzionalità
potrebbe operare autonomamente. Da tale ragionamento e dalla
volontà del
legislatore si deduce che il termine incolumità va inteso in
senso estensivo,
anche per il non secondario fatto che, nel linguaggio giuridico, il
termine generico
bene viene riferito dall’art. 810
c.c. alle “cose che possono formare oggetto di diritti”,
presupponendone con
ciò un’accezione più vicina alla patrimonialità.[88] E)
L’elemento
della non desistenza Una volta
stabilito con precisione i diritti e le situazioni che possono essere
oggetto
di una difesa estesa dalla presunzione di proporzionalità, e
dopo aver distinto
tra beni relativi all’incolumità personale e tra beni di natura
patrimoniale, è
necessario analizzare come la legge n.59 del 2006 abbia inteso
subordinare la
proporzionalità presunta di questi ultimi a due requisiti, del
quale il primo è
la non desistenza. Il fatto che esso implichi in sé un concetto
di attualità
del pericolo e che sia richiesto solamente per la difesa dei beni
patrimoniali
non significa che si intende permettere la difesa dei beni relativi
all’incolumità a prescindere dalla non desistenza o dalla
sussistenza di altra
situazione di pericolo, essendo quest’ultimo un requisito sempre
vigente e
sempre mantenuto ben saldo sia da chi legge nella riforma un nuovo tipo
di
scriminante sia da chi vi vede solamente una specificazione del
principio
generale.[89] La presenza
del requisito della non desistenza e del successivo pericolo di
aggressione
appare per la prima volta nell’aprile del Elemento
della non desistenza significa che, in un’ottica progressiva del reato
– da
violazione di domicilio a furto e conseguentemente a rapina, a seguito
della
scoperta dell’intruso in casa – l’aggressore non mostra, di fronte
all’essere
scoperto, all’essere minacciato dal titolare del bene protetto o altra
persona
presente, o di fronte ad una precisa intimazione ad andarsene, di voler
desistere. Innescando a questo punto una condotta per fatti concludenti
che
elimina in toto la possibilità di una
cessazione immediata dell’aggressione.[91] Ed in ciò
si rileva sia la ratio del requisito
in esame, sia il perché esso sia destinato solo alla protezione
di beni
patrimoniali, cioè eliminare ogni possibile fraintendimento e
fatalità prima di
procedere all’uso delle armi a difesa di beni non primari, imponendo in
tal
modo al privato e all’aggredito un onere implicito di verificare la
volontà
dell’aggressore di perseguire l’azione criminosa, onere che non viene
rivolto
anche alla difesa dell’incolumità per evitare di ridurre
eccessivamente
l’ambito della riforma, oltre che per il fatto che sarebbe illogico ed
inutile
prevedere come elemento della scriminante un’offesa che costituisce il
pericolo
stesso per cui quella scriminante è stata concepita, e onere che
viene di
regola soddisfatto con la percezione da parte dell’aggressore delle
potenzialità difensive dell’aggredito ed in una sua non
conseguente ed
immediata fuga.[92] Effettivamente
la soddisfazione dell’onere in senso molto ampio è da preferirsi
in quanto non
è immaginabile dotare la disposizione di un vero e proprio obbligo di esclamare la classica frase: “fermo o sparo”,
che si
tradurrebbe in un’impossibile richiesta che avrebbe la conseguenza di
avvantaggiare marcatamente il rapinatore o comunque l’intruso
concedendogli un
tempo di reazione più ampio e misurato, come ha giustamente
delineato il sen.
Calvi nel proprio intervento del 6 luglio 2005: “Sarà
onere che
incomberà sulla parte offesa, sull’aggredito dimostrare che non
vi è stata
desistenza, occorre che io preavverta l’aggressore dicendo: fermati,
altrimenti
ti sparo; attendi un attimo. Se per caso egli non è un
rapinatore avrà il tempo
per chiarire la sua posizione, ma se sta per compiere effettivamente
un’azione
violenta nei miei confronti, il mio preavvertimento si tradurrà
sicuramente in
un incentivo ad aggredirmi”.
Perciò è bene
intendere la non desistenza non come onere per l’aggredito di intimare
alcunché, ma come non immediata fuga o
ritirata del malvivente, interpretazione che finisce sicuramente
per
svilire la presenza stessa del requisito della non desistenza ma che
appare la
più ovvia anche alla luce dei lavori preparatori.[93] In ogni
caso, il limite paradigmatico dato dalla desistenza si incentra sui
beni,
perciò continuerà a perseguire nel proposito criminoso il
ladro che fuggendo
porti con sé la refurtiva, o parte di essa, situazione che
però difetterà
certamente del requisito tra poco esaminato del pericolo d’aggressione,
rendendo in tal caso impossibile l’operatività del secondo
comma, e lasciando
invece sussistere la possibilità di difesa ex art. 52 comma 1.[94] F)
Il pericolo
d’aggressione Insieme
alla non desistenza il secondo comma dell’art. 52 novellato dalla
riforma
richiede la presenza di un pericolo di aggressione. Ciò
significa che, dato un
pericolo per i beni patrimoniali, una volta configuratasi la situazione
di
scelta per l’aggressore tra perseguire l’azione criminosa oppure darsi
alla
fuga, e decisosi per la prima, è richiesto che sorga pure un
pericolo
d’aggressione, che costituisce il quid
pluris per l’applicazione della presunzione di
proporzionalità nel caso di
minor valore, l’attacco ai beni patrimoniali. Questo requisito si
qualifica,
come quello precedente, per la natura preclusiva in ordine al
funzionamento
della presunzione in parola, lasciando eventualmente aperto il campo
per
l’entrata in azione della scriminante della legittima difesa nel suo
aspetto
più generale, quello da sempre delineato al comma primo.[95] Un dubbio
potrebbe sorgere circa l’obiettivo cui dev’essere rivolta la predetta aggressione – termine meno usuale e di
norma da non preferire al più preciso offesa
– cioè se essa debba essere rivolta agli stessi beni
patrimoniali oppure
all’incolumità personale, protetta già al punto
precedente e senza l’ausilio di
elementi preclusivi. Il quesito si può agevolmente superare
notando come
l’elemento in questione sia richiesto come quid
pluris per la difesa presunta proporzionata di beni patrimoniali,
per cui un’aggressione a tali beni è già in atto, ma
siccome si necessita un ulteriore elemento aggressivo per permettere la
più
pericolosa e lesiva difesa con armi legittimamente detenute o altro
mezzo idoneo,
a tal scopo è chiaro come la locuzione pericolo
d’aggressione debba per forza di cose essere rivolta
all’incolumità
personale, con ciò richiedendosi che la situazione aggressiva,
che continua
stante la non desistenza dell’aggressore, si arricchisca di un nuovo
elemento
di pericolo, questa volta per l’incolumità delle persone.[96] Un
ulteriore problema e limite di tale casistica tassativa in ordine
all’operatività dell’esimente è dato dalla
difficoltà con cui elaborare un
criterio che specifichi la vera e comprovata esistenza dell’aggressione
stessa,
essendo un elemento che si presta – stante la paura ed il timore che
sempre
accompagnano tali situazioni illecite – ad una difficilissima prova e
ad una
naturale estensione che deriva dalla soggettività con cui
l’aggredito può
intendere il pericolo di aggressione nei confronti propri o dei propri
familiari.[97] In ultimo,
si può notare come sia proprio il requisito del pericolo di
aggressione ad
instillare i maggiori dubbi in chi avversa la riforma, in quanto, per
la difesa
di interessi patrimoniali, viene permesso l’utilizzo di armi e della
presunzione di proporzione grazie – appunto – ad un pericolo
di aggressione, con ciò volendo dire che ci si trova su di
un piano ben diverso dal più preciso e pregnante attualità
del pericolo di un’offesa ingiusta,[98]
essendo il termine aggressione più
ampio di quello di offesa e legittimando l’uso della forza sulla base
di un
pericolo generico, ma addirittura non anche attuale,
come lo stesso sen. Ziccone proclama in un suo intervento: “il
pericolo
di aggressione […] non corrisponde all’aggressione attuale,
perché altrimenti
la norma sarebbe quasi inutile. Si indica una situazione nella quale
non è
esclusa la possibilità dell’aggressione ed è quindi
giustificata la reazione
[…]”.[99]
Interpretazione la cui opinione storica del legislatore sarebbe
confermata
anche dalla bocciatura dell’emendamento dell’on. Siniscalchi, Ds, il
quale
intendeva aggiungere il più logico e mirato inciso “quando
l’aggressore
faccia uso di violenza alle persone o sia palesemente armato”. Tale figura
del requisito del pericolo di aggressione – e della tutela di diritti
patrimoniali in tal modo allargata – costituisce un difficile aspetto
della
legittima difesa, innovata dalla legge 59 del 2006, dal punto di vista
di una
sua presunta incostituzionalità, che sarà più
avanti esaminata. Per ora è
sufficiente introdurre il problema citando l’intervento del sen. Zancan
il
quale si chiede: “Possiamo dire che il ladro il quale, trovato
all’interno di un domicilio, non alza le braccia e non scappa
immediatamente
può essere abbattuto in forza di una legge che quindi non rende
più inviolabile
il diritto alla vita, che è il primo dei diritti della persona
umana, così come
rivisitato, esplicizzato e concretizzato nella Convenzione di Roma del
1950?”.[100] G)
I luoghi di
applicazione e l’estensione
operata dal nuovo terzo comma Il terzo
comma della legge n. 59 del 2006 opera al terzo comma una significativa
estensione in ordine al luoghi di applicazione degli elementi del
secondo comma.
La stessa disposizione che nella rubrica citava l’autodifesa in un privato domicilio giunge ora a
contemplare ogni luogo chiuso ove si svolga attività
commerciale,
professionale, imprenditoriale. La presenza
del terzo comma non nasce fra l’altro per questioni squisitamente
logiche o
giuridiche, ma grazie ad un emendamento della maggioranza
propugnatrice, la
quale ne cita la necessità allo scopo di garantire la futura
applicazione della
legge. Il perché di tale inconsueta motivazione lo si può
capire richiamando
l’attenzione su di un passo dei lavori preparatori, pronunciato
dall’on.
Bobbio, An: “credo sia giusto e doveroso, nello spiegare il
perché di
questo emendamento, prendere atto di una purtroppo ormai usuale
evenienza:
alcuni mesi fa, quando il Senato ha iniziato a lavorare già in
Commissione, […]
puntualmente sui giornali comparve il solito comunicato
dell’Associazione
nazionale magistrati, la quale si dichiarava contraria alla modifica
dell’art.
52 c.p. nel senso di cui oggi trattiamo.”
E
prosegue nella spiegazione, paventando il rischio di una modificazione
dell’orientamento giurisprudenziale in merito all’ambito di
applicazione
dell’art. 614 c.p. in senso marcatamente restrittivo, per tentare di
ridurre in
tal modo l’estensione che la riforma concede all’autotutela, “Ebbene,
da
quella dichiarazione […] è purtroppo ben facile prevedere che,
una volta
entrata in vigore la normativa, ci troveremo di fronte ad una brusca
inversione
di tendenza della interpretazione giurisprudenziale. […]. Ebbene,
dicevo, è
facile prevedere che la giurisprudenza si affretterà ad
espungere dal concetto
di domicilio proprio quei luoghi che non sono direttamente ed
espressamente
sussumibili in questa nozione”.[101]
Scopo dubbio dell’emendamento è, perciò secondo l’allora
maggioranza, tutelare
la propria autonomia, ma di fronte alla legale e costituzionalmente
protetta
indipendenza della magistratura, che gode sicuramente – come si era
già visto
nelle altre dichiarazioni dei lavori preparatori – di una buona dose di
sfiducia
da parte dei propugnatori della norma.[102] Secondo – e
più autorevole – motivo di esistenza del terzo comma in
questione è dato dal
fatto che l’estensione geografica ai luoghi sopracitati è utile
per permettere
di raggiungere uno degli obiettivi che hanno segnato maggiormente
l’opinione
pubblica e il percorso di nascita della riforma, attraverso le notizie
riportate dai mass media, e cioè le rapine in piccoli esercizi
commerciali. Da
questo punto di vista appare comunque non del tutto immotivato
l’inserimento del
terzo comma, date le promesse compiute dai propugnatori, che avevano
affermato
come la non punibilità degli aggrediti in esercizi commerciali
fosse uno degli
obiettivi della riforma, e dato anche che la giurisprudenza inserisce
sì tali
ambiti all’interno della nozione di domicilio o privata dimora, ma
secondo una
corrente che non è del tutto esente da critiche e scelte
differenti. Resta il
fatto che la nozione richiamata dal secondo comma che opera un rinvio
all’art.
614 primo e secondo comma, coniugata con il disposto del terzo comma
del nuovo
art. 52 c.p., giunge ad estendere notevolmente l’ambito di applicazione
della
riforma, anche in relazione a casi pratici, soprattutto perché
vi inserisce
luoghi – come banche o supermercati – che sono normalmente frequentati
da una
grande quantità di persone, per cui l’autorizzazione a far fuoco
di fronte a
rapinatori armati potrebbe porre in pericolo molte persone conseguendo
un
risultato che forse la normativa non aveva previsto.[103] Pertanto,
alla luce di questa ”forzata” estensione che metta al riparo
l’operatività
della riforma da mutamenti giurisprudenziali e dottrinali restrittivi,
è
agevole poter affermare come in futuro ci sarà comunque la
necessità di
procedere ad una determinazione più precisa dei luoghi
rientranti nel terzo
comma, in quanto la casistica naturale delle circostanze possibili
porterà
sicuramente a delle difficili interpretazioni di questo terzo comma
così
estensivo, tanto estensivo che forse supera persino l’obiettivo proprio
del
legislatore, che – come ha sempre affermato – mira alla sicurezza dei
piccoli
commercianti in particolare, quali tabaccai, gioiellieri, benzinai.
Un’ultima
precisazione in merito, non sarà comunque necessario che in quei
luoghi
l’attività si svolga attualmente, richiedendosi il mero ambito
geografico, così
da ricomprendere anche aggressioni notturne scoperte all’interno di un
negozio
chiuso.[104] 3. La presunzione di
proporzionalità La legge n.
59 del 2006 contiene molti elementi che il legislatore ha introdotto e
che è
stato necessario vagliare a fondo per capire la reale portata della
riforma, ma
la loro natura, la loro stessa essenza, è tutta rivolta ad un
punto base della
nuova disposizione, che costituisce la vera ragion d’essere di questa
legge
così fortemente voluta e altrettanto fortemente avversata, la
presunzione di
proporzionalità. Essa viene
riportata all’incipit della legge, dove sono poste le parole “sussiste il rapporto di proporzione di
cui al primo comma del presente articolo”. L’innovazione è
veramente di ampia
portata, e non per le conseguenze che ne deriveranno per l’attuazione
dell’istituto, in quanto – come si vedrà in seguito – le
difficoltà applicative
e le interpretazioni più consone al dettato costituzionale la
ridurranno
alquanto, ma per il fatto che con essa si è inteso tentare di
modificare la
base che regge l’istituto, cercando
di dare una nuova luce al fondamento dell’istituzione stessa. La
legittima
difesa viene modificata proprio in quell’elemento, la proporzione, che
negli
ultimi settant’anni ha sempre costituito un’esempio di saggezza
giuridica per
il nostro ordinamento, e che era stato introdotto proprio per arginare
la
possibile deriva verso una poco auspicabile offesa-difesa tra beni
ampiamente
eterogenei data dall’introduzione nell’ambito dei diritti difendibili
anche dei
diritti patrimoniali.[105]
Il
legislatore del ’30 – dimostrando nel caso ampia lungimiranza – aveva
dotato
l’art. 52 di un requisito che a ragione viene considerato oggi un
principio
generale del sistema penale e dell’intero ordinamento, un valore
politico
fondamentale ed una presenza fissa in molteplici punti del sistema
tanto da
impedirne una riducibilità a semplice regola di giudizio.[106] Il
legislatore odierno ha invece inteso risolvere i problemi che gravano
sull’istituto della legittima difesa seguendo una strada che è
contraria a
quella percorsa dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che nell’arco di
decenni
di applicazione avevano consolidato la presenza della proporzione come
elemento
irremovibile dell’istituto. Egli ha delineato una situazione in cui a
prima
vista il giudice è privato del compito di raccogliere gli
elementi che
caratterizzano la situazione aggressiva e difensiva, e del compito di
valutare
la sussistenza o meno del valore della proporzione tra difesa ed offesa
secondo
i canoni di bilanciamento tra beni e tra mezzi così come
delineati da ampia
giurisprudenza.[107] E per tali
motivi ci troviamo di fronte al vero asse portante della riforma, di
cui gli
altri elementi, dal richiamo all’art 614 c.p. relativo alla violazione
di
domicilio alle possibilità di difesa dei beni personali e
patrimoniali, ai
requisiti di non desistenza e di pericolo di aggressione, ne
costituiscono
principalmente le condizioni di applicabilità. D’altronde
l’intento dichiarato
del legislatore era innanzitutto quello di fare in modo che la maggior
parte
delle situazioni di autodifesa non fossero vagliate da un giudice
ritenuto
detentore di una discrezionalità troppo ampia, successivamente
quello di fare
in modo che la legittima difesa subisse un’estensione abbastanza vasta
da far
presupporre una modifica nel fondamento stesso della base
dell’istituto, che
avrebbe portato ad una consapevolezza della collettività di
potersi
legittimamente difendere attuando nel contempo una repressione del
crimine e
dell’ordinamento giuridico violato ed, in ultimo, l’intento dei
propugnatori
era di far sì che l’aggredito – soprattutto in ambito
domiciliare – non andasse
incontro ad un accertamento processuale da parte degli organi
giurisdizionali.
Obiettivi di respiro davvero molto ampio ma che la modifica del solo
requisito
della proporzione non era in grado di soddisfare pienamente, come si
vedrà in
seguito.[108] La legge n.
59 costituisce perciò la risposta del legislatore ai problemi
che la società
affronta in materia di legalità, di rapine, di furti
domiciliari, la cui ultima
crescita è stata sufficiente per incendiare sia le pagine dei
giornali così
come le richieste di autotutela della collettività, ed infine
per far giungere
tali richieste ad un legislatore che, conscio del poco tempo a propria
disposizione, non ha atteso di vedere ultimati i lavori della
commissione
presieduta da Carlo Nordio e ha dato nuova vita ad un percorso
riformatore che
del progetto elaborato dalla stessa commissione non ha tenuto
granché conto. Cap. IV L’OPERATIVITA’
DELLA PRESUNZIONE DI PROPORZIONALITA’ 1.
L’operatività della presunzione e la mancata introduzione di una
nuova causa di
giustificazione - 2. Il rapporto tra
la presunzione e gli elementi del primo comma - 3.
L’introduzione di una presunzione semplice e relativa - 4.
Profili probatori e secondo comma
art. 53 c.p. - 5. Tra profili di
incostituzionalità ed una nuova lettura della necessità 1. L’operatività
della presunzione e la mancata introduzione di una nuova causa di
giustificazione A fronte
delle premesse di cui al capitolo precedente, è bene vagliare
attentamente
l’ambito di operatività della nuova legge, soprattutto il modus operandi della presunzione di proporzione e,
infine, i suoi rapporti
con gli altri elementi contenuti nel primo comma quali il pericolo
attuale,
l’ingiustizia dell’offesa e la necessità della difesa. Ad una
prima lettura della norma la presunzione di proporzionalità
opera, a regola del
secondo comma del nuovo art. 52, eliminando di fatto la
possibilità del giudice
di procedere all’elaborazione dei dati raccolti circa la situazione
oggettiva,
in particolare circa l’utilizzo delle armi, e – una volta soddisfatti i
requisiti richiesti riguardanti una condotta sussumibile nell’art. 614
c.p. e
perciò una violazione di domicilio, una necessità di
difesa di beni relativi
all’incolumità personale, oppure ai beni patrimoniali, col
supplemento di
richiesta relativo alla non desistenza ed al pericolo d’aggressione –
vincolando lo stesso giudice alla presenza incondizionata della
proporzione.
L’inserimento di tale regola di gestione della legittima difesa
è in linea con
le volontà del legislatore storico, quale tentativo di ridurre
la
discrezionalità del giudice e di semplificare il riconoscimento
di liceità in
ambito processuale.[109] Ma
un’attenta valutazione degli elementi stessi di non desistenza e di
pericolo di
aggressione, nonché di violazione di domicilio, perciò
dell’intero secondo
comma, fa notare come essi non costituiscano in toto
gli elementi specializzanti una nuova fattispecie, ma
qualifichino le condizioni per cui, nell’ambito della legittima difesa
ordinaria, il giudice è vincolato in merito ad un
solo requisito, senza esplicita menzione di altri elementi che –
autonomi ed autosufficienti – siano in grado di far nascere una nuova
scriminante. La fondatezza di tale conclusione appare anche avendo
riguardo
della scelta linguistica operata dal legislatore, e materializzata
nella
locuzione sussiste il rapporto di
proporzione di cui al primo comma, la quale evoca un richiamo a
qualcosa di
già esistente, ad una base già presente e sedimentata, e
non ancora modificata,
sulla quale la nuova previsione si instaura con i propri elementi
qualificanti
e determinanti l’applicazione di un vincolo per il giudice, relativo
alla
proporzione soltanto, riconoscibile nella possibilità di uso
delle armi in un
privato domicilio per difendere sé od altri, i propri beni o
quelli altrui,
quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo d’aggressione. Con tutto
questo, è sicuramente vero che la volontà storica del
legislatore è quella di
estendere il più possibile la portata della riforma, ma egli,
nonostante non
abbia fatto espresso richiamo agli elementi del primo comma, non ha
nemmeno
posto le basi perché il secondo comma possa autonomamente
poggiare su altri
requisiti propri. Oltre a ciò, ritenere inapplicabili i punti di
contatto con
lo stesso primo comma porterebbe all’eliminazione dell’attualità
del pericolo e
soprattutto della necessità della difesa, la quale funge invece
da freno ad una
nuova previsione che si intende proclamare autonoma ma che
indubbiamente tace,
ad esempio, sull’uso che se ne può fare dell’arma legittimamente
detenuta, col
rischio di porre la novella su di un binario moralmente inaccettabile
oltreché
– come si vedrà più avanti – a rischio di
incostituzionalità. [110] Per tali
motivi è da ritenere che la riforma in esame, forse diversamente
dagli
obiettivi del legislatore, non ha
introdotto una nuova causa di giustificazione, in quanto
l’operatività
della stessa necessita del primo comma e dei principi – e limiti – che
esso
contiene.[111]
Differentemente da tale
impostazione è però da notare il pensiero di diversi
autori, anche autorevoli,
che si manifesta in modo contrario a quanto sopra sostenuto, affermando
in
special modo l’eterogeneità che la mancanza del solo requisito
della
proporzione è in grado di marcare, e giungendo così ad
ipotizzare come il
legislatore abbia inteso “mascherare” – nell’ambito dell’istituto della
legittima difesa – una scriminante che richiama piuttosto quella
dell’uso
legittimo delle armi di cui all’art. 53 c.p., che il progetto Nordio
aveva
scelto come posizione sistematica di una simile previsione.[112] Una volta
riconosciuto tale fondamento sarà possibile procedere
all’utilizzo della nuova
previsione quando ne ricorrano i presupposti, ma solo quando i
requisiti
descritti all’art. 52 comma 1 siano completamente soddisfatti, e
pertanto la
situazione sia tale da determinare un pericolo attuale per l’aggredito
di un’offesa
ingiusta – con i relativi orientamenti giurisprudenziali in materia di
provocazione del pericolo – ed una necessità della difesa,
intesa anche come
inevitabilità, che determini non solo l’obbligo di una reazione,
ma in
particolare l’obbligo di quel tipo di
reazione, con ciò limitando fortemente la portata innovatrice
della riforma in
senso costituzionalmente orientato.[113] Da quanto
detto si deduce come, mentre all’avverarsi degli elementi presenti al
secondo e
terzo comma della nuova previsione il giudizio autonomo e discrezionale
del
giudice in merito alla proporzione sia precluso, ciò non
è sufficiente a
qualificare il fatto difensivo come lecito, per cui la nuova
presunzione di
proporzione è da ritenersi operante entro limiti restrittivi, e
parimenti da
escludersi è la possibilità che la riforma legittimi ogni
tipo difesa nel
domicilio, e in particolare ogni incondizionata licenza di usare le
armi e di
uccidere, come era stato – in un primo tempo – paventato. 2. Il
rapporto
tra la presunzione e gli elementi del primo comma Come poco
fa accennato, la nuova previsione non costituisce una nuova scriminante
inserita dal legislatore all’interno di un articolo da tempo conosciuto
ed
analizzato, ma realizza un semplice caso
di legittima difesa per cui, all’avverarsi di specifiche condizioni, la
sola
proporzione viene ad essere estromessa dall’ambito della
discrezionalità del
giudice, in quanto unico elemento della nuova disciplina di cui egli
non
dispone di piena attribuzione.[114] Ciò
premesso, possiamo immaginare ora la nuova fattispecie come un quid pluris di disciplina aggiunto alla
legittima difesa previgente, della quale essa entra a far parte, e il
cui
ambito di applicabilità costituisce il sottofondo necessario anche per la nuova disciplina. Procedendo
con l’immagine mentale che tende a formarsi da un siffatto pensiero,
possiamo
pensare alla nuova ipotesi come ad un cerchio concentrico – il comma 2
del
nuovo art. 52 – all’interno di un altro cerchio di portata ben
più ampia – il
comma primo – i cui non confini, ma
sovrapposizioni, sono regolate attraverso il richiamo alla violazione
di
domicilio e financo alla non desistenza e pericolo di aggressione. A fronte di
tale ragionamento metaforico, i requisiti della legittima difesa
ordinaria
valgono e sono chiamati ad operare anche qualora, in quanto quid
pluris, si dovrà poi applicare la
presunzione di proporzionalità.[115] E ciò dovrà
accadere anche quando l’interpretazione dei nuovi elementi introdotti
dalla
riforma porti erroneamente a pensare che essi sostituiscano i classici
requisiti dell’art. 52, invece di costituirne una specificazione, come
può
avvenire per le relazioni introduzione
nel domicilio e il pericolo attuale, non
desistenza e pericolo d’aggressione e offesa ingiusta ed ancora
pericolo
attuale, e come può accadere per presunzione
di proporzionalità e uso delle armi per i requisiti di
necessità ed
inevitabilità. Gli elementi introdotti dalla riforma, non
costituendo in alcun
modo interpretatio abrogans dei
relativi componenti già facenti parte dell’art 52 previgente, ne
realizzano
solamente una particolare accezione – in taluni casi così blanda
da indurre a
domandarsi il perché della loro introduzione – dal cui avverarsi
dipenderà
l’operatività o meno della presunzione.[116] L’esame
dell’operatività degli elementi di cui al primo comma può
prendere le mosse dal
pericolo attuale, per abbracciare poi i requisiti dell’offesa ingiusta
e della
necessità, i quali non solo non possono mai mancare, ma a ben
vedere iniziano a
presentarsi ancora prima della possibile chiamata in causa della nuova
previsione. Quest’ultima infatti comincia a presentare una sua ragion
d’essere
tramite la commissione di una violazione di domicilio – ancora lontano
è però
il verificarsi degli altri elementi dello stesso secondo comma – ma in
tal
momento il pericolo attuale e gli altri requisiti del primo comma sono,
anche
se in misura tale da permettere una difesa di modesta entità,
già attivi dal
momento in cui viene leso l’altrui diritto di proprietà,
difendibile per
effetto del primo comma in quanto lesivo di un diritto
proprio o altrui. E’ quindi evidente – nonostante
l’esiguità del pericolo – che la legittima difesa dispiega
già i propri effetti
sul titolare che proporzionatamente e nel pieno requisito di
necessità-inevitabilità reagisce per allontanare
l’intruso dalla propria
proprietà. Nel momento in cui l’intruso commette violazione di
domicilio con
l’ingresso nei luoghi stabiliti dall’art. 614 c.p. e viene scoperto, il
pericolo attuale è ancora presente, ed in misura sempre
maggiore. A questo
punto è possibile che si verifichino una serie di ipotesi della
quale qui si
riportano le più chiarificanti. Chi ha commesso violazione di
domicilio può
attentare l’incolumità di chi si trovi nella casa, ed allora –
qualora vi si
trovino persone legittimamente presenti, e nel rispetto degli altri
elementi
della fattispecie dell’istituto – opererà pure il secondo comma
con conseguente
utilizzo della presunzione di proporzionalità.[117] Come
seconda ipotesi è possibile che l’intruso attenti solamente ai
beni
patrimoniali – stabilendo un nuovo rapporto pericolo attuale,
necessità,
inevitabilità della reazione – e se una volta scoperto non
desista ma ponga in
essere un pericolo d’aggressione all’incolumità delle persone
presenti, anche
in questo caso la legittima difesa non avrà mai smesso di
gettare la propria
luce sulla situazione, solo che le circostanze sono in grado di
integrare –
oltre a quelle classiche – anche quelle sussumibili nel secondo comma
della
scriminante, e sarà perciò applicabile non tanto il solo secondo comma, quanto l’istituto della legittima
difesa
anche nei suoi elementi specificanti e introdotti con la riforma,
compresa la
presunzione di proporzionalità. Come terza
ipotesi è possibile che l’intruso, una volta vistosi scoperto,
abbandoni ogni
tentativo di reato, per cui si dia alla fuga senza attentare nemmeno ai
beni
patrimoniali. In tal caso l’istituto in genere non potrà essere
applicato, data
la scomparsa immediata dell’attualità del pericolo e della
necessità della
difesa. Ma per
capire bene le interconnessioni tra il primo e il secondo comma
è bene
richiamare altre due ipotesi, delle quali la prima è relativa
alle situazioni
in cui l’intruso attentatore di beni patrimoniali, vistosi scoperto,
desista
dalla violazione di domicilio – ormai consumata – ma non dal furto, per
cui
fugga portando però con sé, ad esempio, del denaro. A
rigor di logica e
d’interpretazione il secondo comma dell’art. 52 non potrà
operare in alcun
modo, data la mancanza di uno degli elementi che la nuova previsione
richiede
perché operi la presunzione di proporzionalità, e
cioè il pericolo
d’aggressione all’incolumità personale dei soggetti
legittimamente presenti. Ma
ciò non significa certo che la legittima difesa non sia
operante, essa è ancora
pienamente attiva, ma entro i limiti e le possibilità che tutto
lo studio
giurisprudenziale e dottrinale sull’istituto concede in tali ipotesi, e
secondo
le possibilità così ben delineate nelle sentenze della
Cassazione in materia di
difesa dei beni patrimoniali e di poco antecedenti la riforma, qui
richiamate
al paragrafo 1.A del precedente capitolo. Sempre allo
scopo di tracciare le linee di interconnessione tra le due
“fattispecie” si
svolge l’ultima ipotesi qui riportata. Vistosi scoperto nel tentativo
di furto,
l’aggressore non desiste e minaccia – con deboli elementi – il
proprietario
della casa. Essendo presenti tutti gli elementi di cui al secondo
comma, sembra
chiaro che l’aggredito possa disporre di qualsiasi arma legittimamente
detenuta
per lesionare l’aggressore e far cessare così il pericolo. Ma
ivi entrano in
gioco – o meglio, emergono dal sottofondo dal quale non sono mai
mancati – gli
elementi generali della legittima difesa, per cui la presunzione
opererà
solamente se, dal punto di vista della necessità ed
inevitabilità, la condotta
non si manifesti in maniera obiettivamente sproporzionata, seguendo
l’impostazione della presunzione relativa di cui al paragrafo seguente.
Da ciò si
deduce come tutti gli elementi che l’articolo 52 oggi contiene siano
essenziali
– nelle più diverse circostanze – perché si possa parlare
di operatività della
legittima difesa, con un sostanziale quid
pluris inserito dalla riforma che, però, non ha modificato
più di tanto i
valori in campo, in quanto la mancanza di valutazione del requisito
della
proporzione ha dato nuovo spunto all’operatività di tutti gli
altri elementi
qualificanti l’istituto e – come si leggerà successivamente – in
particolare
della necessità. 3. L’introduzione
di una presunzione semplice e relativa In linea
con le dichiarazioni ai paragrafi precedenti, il giudice dovrà
accertare e
valutare, quando ricorrano i requisiti richiesti per l’applicazione
della
presunzione di proporzionalità, tutti gli elementi della
legittima difesa,
tranne uno, la proporzione. Ma è da notare come il limite di
valutazione dato
dalla presunzione di proporzionalità subisca un ulteriore
ridimensionamento in
merito alla propria estensione e forza. La questione risale fino ai
lavori
preparatori, quando venne apportata una modifica sostanziale a quello
che era
il dispositivo del primo disegno di legge, là dove alle parole in ogni caso, riferite ad ogni requisito
e relative all’applicazione certa della legittima difesa, venne
sostituita una
presunzione riferibile solamente alla proporzione, con scomparsa della
detta
locuzione. Tale passo portò a far riflettere sull’effettiva
incisività che la
presunzione di proporzionalità riuscisse ad avere sulla
disciplina della
legittima difesa e portò a meditare pure sulle conseguenze sia
sostanziali che
probatorie al seguito di un utilizzo più o meno assoluto della
presunzione. Si
tratta di un percorso che effettivamente sarebbe inutile compiere se il
legislatore non avesse, dal punto di vista sistematico, mancato di
introdurre
una certa e sicura presunzione legale,
come tale sempre operante al suo massimo livello. Ma così non
è stato. Il testo
di legge non è in grado di sostenere quelle che erano le
intenzioni del
legislatore. Sia la strada lasciata aperta al primo comma e
all’applicazione
dei requisiti ivi contenuti sia la presenza della Costituzione e il
relativo
rischio di una censura d’illegittimità aprono le porte allo
studio delle reali
potenzialità della presunzione. Ciò
premesso, e prendendo in esame tutte le possibilità, le seguenti
sono le strade
percorribili. O la presunzione di proporzione opera in maniera molto
marcata, iuris et de iure eliminando di fronte al
giudice la possibilità di un qualsiasi vaglio giuridico – e si
è già intuito
come la percorribilità di una tale ipotesi non sia molto
fattibile – oppure la
proporzione non può essere valutata che nel senso più
stretto, alla stregua di
una sproporzione non accentuata, lasciando al giudice, anche grazie
all’operatività degli altri elementi fondanti l’istituto, un
preciso vaglio generale
in merito alla valutazione di tutte le circostanze. La
questione assume una certa rilevanza qualora si chiamino in causa gli
istituti
dell’eccesso di difesa e della legittima difesa putativa.[118]
Seguendo la prima teoria sopra esposta, di eccesso di difesa non si
potrebbe
nemmeno parlare, in quanto una presunzione operante iuris
et de iure – con conseguente congelamento dei requisiti di
necessità, inevitabilità e pericolo – impedirebbe un
qualsiasi controllo
giurisdizionale in ordine sia ai mezzi utilizzati, sia al modo stesso
dell’utilizzo, rendendo impraticabile la strada di un riconoscimento di
responsabilità a titolo di colpa, secondo gli orientamenti
dottrinali e
giurisprudenziali basati sull’art. 55 c.p.. Anche in tale situazione si
può
agevolmente riconoscere uno degli obiettivi del legislatore,
cioè eliminare le
condanne per eccesso colposo a favore di piene assoluzioni. Ma è la
seconda teoria sopra esposta quella da seguire. La presunzione in esame
è da
considerarsi una presunzione semplice o quantomeno relativa, alla luce
di una
interpretazione costituzionalmente orientata ed anche alla luce degli
ulteriori
elementi qualificanti – da sempre – la legittima difesa. Per cui solo
alcuni
casi di eccesso verrebbero ad essere ricompresi dalla riforma, ma in
sostanza
il giudice, qualora rilevi manifeste sproporzioni in ordine
all’eterogeneità
tra i beni difesi dall’aggredito e i beni lesi dalla sua reazione,
potrà –
nonostante l’applicabilità del secondo comma dell’art. 52 –
concludere per un
eccesso di difesa. Analogamente una presunzione relativa o semplice
ammetterà
il riconoscimento della legittima difesa putativa – che non
potrà essere
desunta dal mero timore soggettivo o stato d’animo dell’agente, ma che
dovrà
essere accertata sulla base della situazione obiettiva reale[119]
– e
persino della sua causazione a titolo di colpa con conseguente
applicazione
della pena a titolo di colpa.[120] Una lettura
in chiave costituzionalmente orientata per giungere all’interpretazione
della
presunzione nella sua accezione più ridotta è d’obbligo
anche avendo riguardo
alla parallela vicenda dell’art. 53 c.p. relativo all’uso legittimo
delle armi.
In tale disposizione – che non conteneva alcun riferimento alla
proporzione –
il legislatore del ’30 applicò una presunzione tacita e assoluta
a favore
dell’adempimento dei doveri pubblici rispetto ai beni dei cittadini. Ma
il
diverso assetto della scala gerarchica dei beni introdotta con Significativo
è in ultimo ricordare il fondamento da sempre posto a base della
legittima
difesa, quale istituto operante per la difesa dei diritti in via
eccezionale e
sussidiaria a quella dello Stato. Infatti, anche volendo riconoscere al
legislatore storico di aver prodotto un mutamento nella base di
funzionalità
della legittima difesa, come funzione di lotta al crimine e di
ripristino
dell’ordine giuridico violato, si dovrebbe pur sempre osservare come la
stessa
autorità di pubblica sicurezza non goda degli stessi eccessi che
la riforma in
esame intenderebbe legittimare, tradendo così la logica della
delega di
funzioni, in quanto si finirebbe per autorizzare in capo al delegato un
diritto
di cui lo stesso delegante non dispone.[122] 4. Profili probatori e secondo
comma art. 52 c.p. L’incidenza
dell’introduzione del nuovo secondo comma in calce all’art. 52 c.p.
è da
valutare anche in considerazione della diversa disciplina probatoria
cui esso
sarebbe sottoposto. I principi generali del nostro ordinamento
processuale
prevedono che ciascuno debba provare i propri fatti allegati, in quanto
l’onere
di prova grava in genere sulla parte che ne trae vantaggio. Lo stesso
dicasi
per il piano probatorio che ha sempre contraddistinto il primo comma
dell’art.
52. Chi intende avvalersi della scriminante, ha da sempre l’onere di
provare la
rilevanza dei relativi requisiti. Per quanto
riguarda la previsione introdotta dalla riforma, a prima vista si
può affermare
come essa abbia introdotto un difficile schema probatorio. Dal punto di
vista
dell’aggredito per l’applicabilità del secondo comma è
necessario che egli
fornisca la prova degli elementi qualificanti l’operatività
dello stesso, quali
la violazione di domicilio, la non desistenza ed il pericolo
d’aggressione, ma
la prima difficoltà si riscontra proprio nelle caratteristiche
di tali
elementi. Infatti, una volta esaminati a dovere, è agevole
notare come la loro
prova non sia immediata, né tanto meno facile. Particolarmente
difficile
risulta la dimostrazione del requisito della non desistenza, in quanto
la
condotta stessa dell’aggressore – che non perde la titolarità e
l’importanza
dei propri beni costituzionalmente protetti, come la vita, nonostante
si sia
posto contro il diritto – è di difficile determinazione e
rappresentazione, e
parimenti complicata è la prova del pericolo di aggressione,
previsto in via
secondaria al secondo comma per la tutela dei beni patrimoniali. In
questo caso
le difficoltà probatorie riguardano la natura stessa del
requisito – stante la
particolarità di tali situazioni, dato che di notte e di fronte
ad un ladro,
l’aggressione sembra sempre inevitabile – col grave rischio di farlo
apparire
come sempre presente e attuando in tal modo un’indebita estensione
dell’applicazione di tutta la nuova previsione.[123] Come appena
formulato, spetta al reagente fornire la prova degli elementi
specializzanti la
disciplina ma, diversamente dal solito, non le circostanze relative
alla
proporzione. La questione orbita in modo alquanto correlato al grado di
forza
che si da alla presunzione di proporzionalità stessa. Si
è già detto come una
presunzione iuris et de iure non
consenta alcuna prova contraria, ma per i motivi sopra richiamati la
riforma
non è in grado, nella sua formulazione così come
nell’interpretazione volta a
ricavarne una norma non in contrasto con l’ordinamento costituzionale,
di
generare un tale tipo di conseguenza. Sul piano probatorio, può
allora divenire
molto utile allacciare alla nuova disciplina un diverso carico
probatorio, che
contempli al proprio interno il riconoscimento di una presunzione
relativa e al
contempo ne tragga forza per raggiungere l’obiettivo di una più
felice
interpretazione.[124] Ma se il
nuovo comma introdotto dalla riforma non genera, per gli stessi motivi
sopra
citati, una presunzione assoluta, nemmeno si può riconoscerle un
piano
probatorio simile al primo comma, con valutazione della proporzione
caso per
caso, in quanto il contrasto con la lettera della legge – che inserisce
pur
sempre una presunzione – sarebbe manifesto, dando inoltre corso ad una
poco
spiegabile interpretatio abrogans di
tutto il secondo comma. La
presunzione semplice e relativa sopra auspicata sarebbe allora in grado
di
generare un piano probatorio particolare, dove a colui che si è
difeso spetta
di provare solo l’avverarsi dei requisiti specialistici introdotti dal
secondo
comma, in particolare quelli relativi alla non desistenza ed al
pericolo di
aggressione, ma spetterebbe alla pubblica accusa, e ne sarebbe una
facoltà in
tal modo riconosciutale, l’assumersi il carico probatorio
dell’esistenza di una
sproporzione, così da superare il
limite – oggettivo e a rischio incostituzionalità – di una
legittima difesa
sempre presente e sempre operante. Di fronte
alla difficoltà di calibrare l’effetto della riforma, ecco
allora farsi strada
la suddetta via, in grado di evitare sia gli eccessi di una presunzione
assoluta sia gli effetti abrogativi di una presunzione da valutarsi
caso per
caso. L’applicazione di una presunzione
relativa avrebbe infatti il privilegio di coniugare le ragioni
riformatrici
del legislatore con le difficoltà nate dal suo stesso intervento.[125]
In
virtù di una tale presunzione, la proporzione sarà,
qualora ne ricorrano i
presupposti, da riconoscersi, ma contro di essa la pubblica accusa
potrà
provare sia l’esistenza di una sproporzione
obiettiva così come l’inesistenza di
una proporzione putativa, o comunque la sua causalità a
titolo di colpa,
per quanto difficile da provare.[126]
Sproporzione obiettiva che potrebbe risultare dal non effettivo
pericolo per
l’incolumità e dalla manifesta sproporzione tra i beni in
conflitto,
soprattutto a seguito dell’applicazione dell’elemento della
necessità inteso
come inevitabilità. Necessità che a seguito della riforma
è in grado di
spiegare meglio le proprie possibilità, generando un limite che
non può essere
– e da qui la relatività della presunzione – non attentamente
valutato, data
soprattutto la strettissima interconnessione che da sempre si riconosce
fra i
requisiti di necessità e proporzione.[127] 5. Tra profili di
incostituzionalità ed una nuova
lettura della necessità La riforma,
attraverso l’introduzione dei commi secondo e terzo, ha disciplinato un
diverso
sistema di applicazione della scriminante della legittima difesa,
inseguendo
obiettivi di natura giuridica, di natura dogmatica ed anche
processuale.
L’intenzione che si rilevava nelle dichiarazioni del legislatore fin
dai lavori
preparatori era quella di sfruttare l’occasione di un passaggio
riformatore per
riuscire a mutare l’istituto della scriminante il più possibile,
compatibilmente con il tempo a disposizione e le avverse opinioni
dell’opposizione. Tale
proposito del legislatore – che si rivelò poi materializzato
nell’introduzione
di una presunzione di proporzione operante iuris
et de iure nelle loro intenzioni e in una più o meno ampia
estensione del
fondamento della scriminante e dell’uso delle armi – ebbe però
il problema di
denunciare fin dal principio possibili vizi di
incostituzionalità. La censura
della Corte costituzionale avrebbe riportato la situazione di
operatività della
scriminante agli identici e previgenti livelli della legislazione
Rocco. Su di un
piano più pratico è infatti da rilevare come l’entrata in
vigore della
Costituzione introdusse un piano di valori di certo non puramente
simbolico. La
gerarchia che veniva fissata per mezzo dei suoi articoli distingueva in
modo
marcato tra diritti della persona e all’incolumità fisica quali
il diritto alla
vita, e tra diritti patrimoniali quali il diritto di proprietà.
Fino ad oggi
l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale per consentire un
utilizzo della
legittima difesa – e di tutte le altre cause di giustificazione – che
non
violasse il dettato costituzionale sul punto è stata totale. Un
esempio molto
eloquente della questione è dato dalla vicenda riguardante
l’art. 53 c.p. e
l’uso legittimo delle armi, che a seguito di entrata in vigore della
Costituzione si vide eliminare la presunzione – tacita ed assoluta –
che il
legislatore aveva introdotto nella sua certezza di predisporre
legalmente la
prevalenza di un bene rispetto ad un altro, quale l’incolumità
dei cittadini.[128]
E
da qui le preoccupazioni che la riforma, lasciata operante nel suo
più ampio
svolgersi degli effetti, venga in futuro cassata dalla Corte. Le
difficoltà per la novella iniziarono d’altronde fin dai lavori
parlamentari,
quando alla Camera fu presentata una questione pregiudiziale per motivi
di
costituzionalità. Essa ci introduce nei punti focali del
contrasto tra la
novella e l’ordinamento costituzionale. Si legge nell’atto come il
provvedimento in esame espliciti la proporzionalità e la
legittimità dell’uso
della violenza per difendere l’incolumità, e parimenti per la
difesa di beni
patrimoniali, se vi è non desistenza e pericolo d’aggressione, “in
particolare, sarebbe lecito l’utilizzo della violenza, con armi di
qualsiasi
tipo, oltre che per difendere la propria o altrui incolumità,
anche quando vi
sia il mero pericolo di aggressione a beni di carattere patrimoniale,
seppur
messa in atto da persona disarmata, solo che non vi sia desistenza da
parte
dell’aggressore”.[129] I firmatari
della questione pregiudiziale proseguono nella stesura elencando ed
argomentando i vari punti di conflitto col sistema costituzionale. Per
prima
cosa essi dipingono il valore degli articoli 52 e 54 c.p, “il
cui testo
è stato un preciso punto di riferimento per la predisposizione
di norme
analoghe in numerosi codici penali stranieri nonché, più
in generale, per i più
autorevoli studiosi di diritto penale, in Italia e all’estero”, permettendo all’istituto della legittima
difesa di
affrontare l’introduzione della Costituzione e della Convenzione
europea dei
diritti dell’uomo senza il rischio di una relativa
illegittimità. Continua la
questione dichiarando come “la proposta di legge in esame
introduce una
irragionevole e incostituzionale presunzione in quanto considera,
sempre e
comunque, proporzionata all’offesa minacciata la reazione
dell’aggredito nei
casi in cui il fatto avvenga nel proprio domicilio (o nel suo luogo di
lavoro),
sottraendo al giudice la possibilità di valutare la
proporzionalità tra offesa
e difesa e riducendo, quindi, in maniera illogica, le modalità
di accertamento
dei fatti”. In tale passaggio si notano
ampiamente come le preoccupazioni in materia fossero riferite
all’operatività
di una presunzione in senso assoluto, contrastante col principio di
bilanciamento dei beni e con la scala gerarchica degli stessi
introdotta dalla
Costituzione. A fronte di
tali osservazioni sulla possibilità di reazione e di lesione del
bene vita,
emerge il successivo punto di discussione, nascente dal contrasto tra
la
riforma e l’articolo 2, comma 1, Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, il
quale enuncia il principio per cui il diritto di ogni persona alla vita
è
protetto dalla legge, proseguendo come nessuno può essere
intenzionalmente
privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale,
pronunziata da un tribunale. Al comma secondo del medesimo articolo
è inoltre
attribuito il compito di delineare la possibile difesa legittima contro
il bene
vita: “La morte non si considera inflitta in violazione di
questo
articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente
necessario”, disposizione che sarebbe in
grado
di attribuire lo status di
incostituzionalità ad una riforma che dovesse rendere più
agevole il cagionare
la morte, e ciò anche ponendo la novella in raffronto all’art. 2
della stessa
Costituzione, là dove enuncia il diritto alla vita, in quanto
protetto dalla
legge. Concludendo, la questione affronta la violazione dell’articolo 3
della
Costituzione, là dove, a seguito della restrizione operata
dall’utilizzo
dell’ambito domiciliare e degli altri requisiti, decide casi simili in
modo
differente, oppure il contrario, come “conseguenza
dell’equiparazione di
comportamenti diversi solo in quanto avvenuti nello stesso luogo”. Aldilà dei
destini della questione pregiudiziale – che Ed allora
si nota come l’assetto costituzionale, nei punti sopra richiamati,
garantisca
uno stato di diritti che la riforma, parzialmente, intacca. A
cominciare
dall’art. 2 Cost., che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, e che
si
coniuga indubbiamente con il diritto alla vita stessa e
all’incolumità e con
l’art. 2 Conv. europea sopra richiamato, che tutelano il bene vita in
modo decisamente
marcato rispetto agli altri beni, in particolare rispetto a quelli
patrimoniali. Essi infatti trovano sì riconoscimento in ambito
costituzionale,
all’art. 42, ma su di un piano nettamente inferiore e con precisi
limiti circa
l’utilizzo che se ne può fare.[131]
Tali principi hanno indubbiamente condizionato l’interpretazione delle
disposizioni dell’ordinamento intero nel corso degli anni, e lo stesso
probabilmente accadrà ora, quando la necessità di
un’interpretazione pratica
della riforma dovrà costruirsi e strutturarsi nel pieno rispetto
dei dogmi qui
richiamati, anche a costo di un
allontanamento più o meno marcato da quella volontà
storica che ha mosso il
legislatore.[132] Estremamente
chiara è poi Al medesimo
risultato è d’obbligo giungere anche a seguito della modifica
dell’art. 117
della nostra Costituzione, il cui comma primo subordina la legittima
attività
legislativa statale e regionale al rispetto dei vincoli derivanti dagli
obblighi internazionali. E se riguardo a tali obblighi internazionali,
ma anche
comunitari, vi è ancora ampia discussione circa il rango
concesso all’interno
del nostro ordinamento, è indiscusso che essi formano almeno un
pregnante
vincolo interpretativo della legislazione ordinaria.[134] Ed è a tal
motivo che si richiamano le interpretazioni compiute nel lungo l’esame
della
legge n. 59/2006 di cui al capitolo precedente, circa l’analisi dei
presupposti
applicativi, laddove alla parola del legislatore si è scelto di
porre un freno,
ad esempio richiedendo particolari interpretazioni degli elementi
più
importanti quali la necessità di difendere l’incolumità,
la non desistenza ed
il pericolo d’aggressione, fino a giungere alla chiave interpretativa
costituzionalmente orientata di cui ai paragrafi precedenti, relativa
alla
presunzione di proporzionalità. Ma la vera opera di
armonizzazione della nuova
previsione legislativa con il dettato costituzionale ed internazionale
si basa,
oltre che sul riconoscimento dell’introduzione di una presunzione
relativa e
non assoluta, sull’estensione che ha come oggetto il requisito della necessità. Tale
elemento fondamentale per l’esistenza della legittima difesa era,
all’interno
del primo comma dell’art 52, compresso dalla presenza del requisito
della
proporzione, alla cui operatività spettava il compito di
mantenere tutto
l’istituto su binari di garanzia e legalità, anche
costituzionale. Con
l’entrata in vigore della riforma e l’introduzione della presunzione
riguardante la proporzione, il requisito della necessità
è chiamato ad una
nuova finalità, consistente nell’operare come valvola di
compatibilità tra la riforma
e l’ordinamento intero, estendendo la propria efficacia ad ogni campo e
circostanza su cui l’istituto getta la propria luce. Ciò avviene
proprio grazie
ad una interpretazione della necessità in chiave di adeguatezza
della difesa e
di inevitabilità della stessa, in modo da scoprire illegittime
disparità di
trattamento in caso di lesione alla vita ed all’incolumità per
la difesa di
semplici beni patrimoniali, ed in grado di eliminare le conseguenze
soggettive
nascenti con l’espressione “al fine di difendere” e che richiama
un’antigiuridicità sostenuta solamente dall’atteggiamento
interiore
dell’agente, in contrasto con il principio di materialità.[135]
Grazie al requisito della necessità – operante tramite il
richiamo a tutta la
copiosa dottrina e giurisprudenza in materia come esigibilità
della difesa meno
lesiva per l’aggressore, in chiave di alternatività, financo al
riconoscimento
del cosidetto commodus discessus – il
giudizio sulla reazione potrà diventare un giudizio di
adeguatezza della
stessa, in grado di arginare l’operatività della presunzione di
proporzione e
l’impossibilità per l’organo giudicante di procedere ad una
effettiva
valutazione delle circostanze in gioco, anche in chiave di una
responsabilità a
titolo di colpa e di configurabilità della figura dell’eccesso
colposo. Con
conseguente impossibilità di applicazione della legittima difesa
qualora la
reazione ponga in essere atti lesivi dell’incolumità altrui,
quando ad essere
difesi siano solo i beni patrimoniali.[136] Un ultimo
rilievo da segnalare riguarda un ulteriore rischio di
incostituzionalità per la
riforma e nasce dalla disparità che può generarsi dal
riconoscimento di un
preciso ambito entro il quale essa è operante, quello definito
dal richiamo
dell’articolo 614 relativo alla violazione di domicilio, con l’aggiunta
del
terzo comma riguardante tutti gli ambiti di attività
professionale, economica e
professionale. A causa di tale limitazione la riforma vedrebbe il
profilarsi di
un ulteriore scoglio nell’art. 3 della Costituzione, che sancisce
l’inviolabile
principio di uguaglianza nelle sue molteplici forme. Tale principio,
più volte
riconosciuto dalla Corte costituzionale come operante a livello
generale ed in
grado di esercitare la propria influenza in qualsiasi campo e
disposizione
dell’ordinamento giuridico, vieta di disciplinare – e di giudicare – in
modo
differente situazioni simili, ed in modo simile situazioni differenti,
ove ciò
non trovi giustificazione in un’importante ragione seguita da congrua
motivazione.[137]
E nel caso in questione
la legalità della limitazione in ordine a certi luoghi soltanto
sarebbe messa a
dura prova dal fatto che situazioni molto simili, quali aggressioni
alla
persona oppure ai beni patrimoniali, verrebbero trattate in modo
differente se
subite in casa o altro luogo di privata dimora oppure in strada,
all’aperto o
magari appena fuori casa, e sarebbero trattate diversamente sia dal
punto di
vista sostanziale che probatorio.[138]
Ulteriori difficoltà verrebbero perciò a crearsi notando
come nei luoghi
esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, la reazione contro
aggressioni maggiormente lesive dovrà
essere più limitata rispetto ad
altre, meno lesive, ma avvenute nell’ambito richiamato dall’art. 614 e
dal
terzo comma, ivi consentendo una possibilità di reazione – sulla
carta – più
ampia. Cap. V IL FUTURO DELLA
LEGITTIMA DIFESA 1.
I commenti del mondo politico, dottrinale e della collettività -
2. Gli obiettivi realmente ottenuti e
la rilevanza pratica del nuovo istituto con riguardo alle intenzioni
volute dal
legislatore - 3. Le prime sentenze
post-riforma - 4. Il futuro della
legittima difesa: a) La generale
importanza della proporzione, la necessità di tutelare le
aggresioni
domiciliari e la rilevanza di paura o timore b) Una
scelta di fondo per la nuova legittima difesa - 5.
Conclusioni 1. I commenti del mondo
politico, dottrinale e della
collettività La riforma
dell’istituto della legittima difesa è a questo punto una
realtà consolidata.
Il legislatore è riuscito nel proprio intento di produrre
qualcosa di nuovo nel
campo dell’autodifesa, senza però porsi l’alto obbiettivo di
innovare l’art. Essa
alimenta l’ammodernarsi del diritto in momenti in cui esso – a giusto
titolo
oppure no – sembra segnare il passo rispetto agli eventi.
Innegabilmente più
rapida e veloce dei grossi progetti di riforma del codice, essa ha la
qualità
di puntare direttamente al cuore del problema, là dove il suo
intervento viene chiesto,
solitamente, da parte della collettività e del mondo politico
che ne è
espressione. Ma tale tecnica di legislazione non è frutto di una
vera e propria
maturazione che il diritto stesso
compie nel proprio adeguarsi alla vita sociale e giuridica del paese –
maturazione lenta ma costante nel suo inequivocabile incedere – ma
costituisce
piuttosto la facile e sicura risposta agli allarmi che periodicamente,
nel
nostro come in tutti i paesi, tornano alla ribalta nei più
disparati settori,
producendo e lasciando una scia d’insoddisfazione generale che ha –
solitamente
– come obbiettivo proprio il diritto stesso e coloro che lo producono e
lo
applicano. Ad aggravare ulteriormente la situazione si nota come spesso
le
leggi speciali nate sull’onda emotiva a seguito di fatti di cronaca
siano il
prodotto di logiche partitiche che snaturano l’originaria essenza della
riforma, che ne modificano la ratio
quel poco che basta a far sì che il primario progetto perda in
termini di
qualità e coerenza, dovendo assogettarsi a logiche di
contrattazione fra i vari
gruppi politici presenti in Parlamento.[139]
Ed
in conclusione si nota come spesso esse non siano in grado di
amalgamarsi in
modo coerente e produttivo all’interno di un ordinamento giuridico,
come ad
esempio il sistema penalistico italiano, per cui è seguita
opinione che le
tante leggi speciali emanate negli ultimi decenni – a prescindere dalla
loro
qualità intrinseca – non abbiano condotto il sistema stesso su
di una
direttrice univoca e ben definita, ma lo abbiano portato in una
direzione
frammentaria e disorganica, direzione che è a sua volta causa di
antinomie,
contraddizioni e generale sfiducia verso il sistema giuridico intero.[140] I commenti
del mondo politico sono stati – come è facile immaginare – i
più svariati. Essi
sono stati proclamati a gran voce per lo più nelle sedute di
Camera e Senato
durante il lungo cammino dei lavori parlamentari, e la riforma è
stata in
quelle occasioni oggetto di bersaglio da parte dei parlamentari
dell’opposizione e motivo di soddisfazione per gli esponenti della
maggioranza,
che hanno portato a termine il loro lavoro consci della forza dei
numeri a
propria disposizione. L’allora ministro di Giustizia Castelli e gli
altri
propugnatori hanno avuto modo di esprimere il proprio compiacimento per
la
nascita della riforma e in più occasioni e in diverse interviste
giornalistiche
hanno affermato come gli italiani possono da oggi godere di una
più ampia
tutela, che il diritto alla difesa del proprio domicilio è stato
finalmente
riconosciuto e che da ora in avanti l’aggressore sarà,
finalmente, meno
tutelato dell’aggredito. Ed anche
dal punto di vista della collettività è facile immaginare
come quelle stesse
alte percentuali che nei pochi sondaggi a disposizione chiedevano a
gran voce
un intervento parlamentare avranno accolto con grande fremito la
riforma di
questo istituto così particolare. Consci – a grandi linee e a
volte in maniera
del tutto errata – dei limiti difensivi che la legittima difesa di cui
all’art.
52 codice Rocco imponeva, la legge n. 59/2006 dev’essere apparsa come
la giusta
soluzione – armata – alle aggressioni domiciliari e nei luoghi di
lavoro, tutto
ciò mentre altra parte della cittadinanza commentava con timore
le possibili
conseguenze di quella legge – a prima vista – tanto permissiva nell’uso
delle
armi e della violenza. Ma il
messaggio mediatico partito dalle affermazioni scaturenti dalle
dichiarazioni
parlamentari, dalle interviste rilasciate in copiosa sequenza alle
varie
testate giornalistiche, dai servizi televisivi a seguito di fatti di
cronaca e
persino dalle forti dichiarazioni di una paventata licenza di uccidere
da parte
delle opposizioni è da ritenersi del tutto sbagliato.[141]
Qualunque cosa “l’uomo di strada” abbia inteso grazie ad esso, la
portata della
nuova legge dev’essere del tutto circoscritta. Essa non è
infatti in grado di
legittimare un qualsiasi utilizzo delle armi, non è in grado di
permettere a priori l’uccisione del rapinatore che
abbia intentato una rapina in un negozio, non è in grado di
ribaltare l’assetto
fra beni personali e beni patrimoniali fissato dalla Costituzione. E la
pericolosità di una siffatta cattiva informazione è
facilmente intuibile
tenendo in considerazione che giustamente i cittadini non possono
conoscere
tutte le argomentazioni giuridiche svolte dagli esperti del diritto, e
il
messaggio mediatico recepito in termini così eccessivi rispetto
a ciò che verrà
dalla riforma mantenuto sarà causa di ulteriori conseguenze.[142] Innanzitutto
è facile immaginare il disappunto che toccherà coloro che
avranno creduto in
una nuova legittima difesa totalmente rinnovata quando il giudice di
turno
applicherà la legge seguendo le indicazioni restrittive imposte
dalla
Costituzione e dai primi studi dottrinali che si stanno via via
formando, le
loro aspettative verranno probabilmente cancellate dalle prime sentenze
in
materia. Analogamente accadrà per coloro che, anche se
ingiustamente aggrediti
e responsabili di una corretta difesa armata, si vedranno sottoporre
comunque
ad un processo che accerti eventuali colpe e accerti i fatti. Infine,
ed è la
prospettiva più pericolosa, la credenza di poter più
facilmente reagire con le
armi produrrà come conseguenza una corsa ad armarsi e ad usare
le stesse, col
rischio di un aggravarsi dei fatti di sangue determinato anche dalla
consapevolezza che colpirà i malviventi, i quali più
duramente si prepareranno
al colpo.[143] Differente
è invece la presa di posizione del mondo dottrinale. Infatti fin
dai lavori
preparatori molte sono state le contestazioni che insigni giuristi
hanno
lanciato contro la riforma, nel tentativo di fermarne il corso. Ed
è da
rilevare come 48 tra i più importanti giuristi e docenti di
diritto e procedura
penale abbiano inteso dare un forte segnale comunicando un appello a
rinunciare
alla riforma in esame, a causa del prevedibile esito di una “maggiore
aggressività di una delinquenza, già di per sé
agguerrita, consapevole
dell’accresciuta aggressività difensiva delle potenziali vittime”, riforme nate in un clima nel quale “non
si
sa dove finisca l’analfabetismo giuridico e dove inizi la malafede”.[144] 2. Gli obiettivi realmente
ottenuti e la rilevanza
pratica del nuovo istituto con riguardo alle intenzioni volute dal
legislatore La nuova
disposizione della legittima difesa è stata preparata e
promulgata, analizzata
e vagliata, scomposta nei suoi minimi termini e ne è nato un
primo accenno di
interpretazione che continuerà ad espandersi in estensione come
in profondità.
La legge n. 59 del A fronte
delle modifiche apportate, possiamo dire che la novella legislativa
abbia
mancato non poco gli obiettivi del legislatore. Gli impegni da esso
assunti
intendevano modificare l’istituto fin dalle sue fondamenta, intendevano
proporre una vera e propria tutela dei propri beni laddove fino a poco
fa
esisteva soltanto una difesa necessitata, prevista in via eccezionale e
non
come strumento canonico di risoluzione dei conflitti. E tener fede alle
estese
affermazioni dalla maggioranza prodotte con una modifica così
ridotta, non era
strada che potesse in tal modo conseguire alcun risultato.
Perciò in via di
prima approssimazione si può dire come la riforma non abbia
aiutato, se non
poco e nei casi più limpidi, l’accertamento giudiziale delle
responsabilità del
reagente, non abbia esteso se non di poco l’applicabilità
dell’istituto e non
sia stata in grado – anche qui se non di poco o punto – di arginare la
discrezionalità del giudice in materia.[145] A mio
avviso il legislatore difficilmente avrebbe potuto riuscire in un
progetto così
ampio perché sbagliate ne erano le motivazioni. Solo un’azione
legislativa
svincolata da esigenze di ricerca del consenso o dal desiderio di
dimostrare il
proprio generoso impegno nel soddisfacimento della domanda collettiva
di
giustizia avrebbe potuto produrre una riforma più logica e
sensata, più vicina
alle proposte già studiate e meditate, adatta ad essere inserita
in un settore
essenziale e contraddittorio come quello delle cause di
giustificazione.
Motivazioni politiche che contemplano come una minaccia la
diversità di culture
o popolazioni diverse dalla nostra, rischiano di far perdere di vista
l’essenziale lato giuridico e tecnico che una norma di diritto penale
deve
possedere. Solo laddove le intenzioni saranno di agire nel rispetto
della
nostra tradizione e storia giuridica e solo quando strumenti di difesa
come
l’articolo 52 saranno utilizzati ed aggiornati per la difesa dei
diritti di
tutti e seguendo logiche giuridiche di uguaglianza e rispetto della
Costituzione, allora i tratti di penna del legislatore saranno in grado
di
condurre il diritto verso una miglior risoluzione dei problemi, anche
di quei
problemi – certo non facili da risolvere – cui il legislatore del 2006
non è
riuscito a rimediare. A ben
vedere il primo difetto da riconoscere alla riforma sta nel fatto che
essa si
discosta dai progetti che le commissioni nominate hanno preparato nel
corso
degli ultimi anni.[146]
Così la nuova formulazione dell’art. 52 non tiene conto nemmeno
dei requisiti
prodotti dalle pronunce giurisprudenziali e che avrebbero dovuto essere
i primi
ad essere introdotti in una qualsiasi riforma, come ad esempio i
riferimenti
all’utilizzo del commodus discessus e
alla produzione non volontaria del pericolo. Questi sono stati i primi
elementi
di cui davvero si sentiva la mancanza nella previsione originaria
dell’art. 52,
tanto che l’orientamento giurisprudenziale in materia è andato
sempre più
consolidandosi.[147]
Ancora, e sempre discostandosi dai progetti di riforma dell’intero
codice, la
novella non è intervenuta modificando
il dispositivo dell’art. 52, ma solo aggiungendo
due commi, che oltretutto non contenevano elementi in grado di
consentire
l’operatività di una difesa legittima, speciale e autonoma
rispetto a quella
generale e canonica, mostrandosi così ben debole nei confronti
di
quell’orientamento atto a limitarne la portata anche attraverso il
richiamo –
inevitabile ormai – degli elementi del primo comma, che dispongono a
loro
vantaggio pure di una larga disamina dei propri limiti e confini
compiuta
nell’arco di settant’anni di vigenza.[148] La riforma
così come formulata a ben vedere pone seri problemi
interpretativi, tanto che
all’interprete è lasciata la difficile posizione se seguire da
un lato la
volontà storica del legislatore – e allora ampliare l’ambito di
operatività del
secondo comma col rischio di veder incorrere nel prossimo futuro la
legge in
una sentenza d’incostituzionalità – oppure se affrontare ogni
aspetto della
novella interpretandolo in senso costituzionalmente orientato evitando
censure
della Corte e nel mentre cercare di salvare dalla rete
dell’interpretazione
restrittiva quel che della nuova norma può essere salvato ed
applicato. La
difficoltà di un’interpretazione conforme alla volontà
del legislatore giunge
inoltre dalla perplessità che reazioni rientranti nell’ambito
del secondo comma
possono essere sì compiute in ambito domiciliare, ma nell’arco
delle ore
diurne. Se uno degli obiettivi della riforma era quello di tutelare il
soggetto
titolare del domicilio dal cosidetto fur
nocturnus, ossia il ladro notturno che nottetempo, compiendo
violazione di
domicilio, si introduce – armato o meno – nell’abitazione, un
ampliamento delle
possibilità di difesa tale da giustificare l’uso di una
presunzione può essere
compreso per le difficili ore notturne, ma non in pieno giorno.
Accettando
pienamente come il domicilio, soprattutto privato, sia sempre
più considerato
il centro della tranquillità e della pace della persona e della
famiglia
intera, si capisce come la riforma abbia speso parte delle proprie
forze per
tutelare proprio gli aggrediti in tali situazioni. Ma quello che di
notte può
essere giustificabile, potrebbe non esserlo nel medesimo domicilio
privato, ma
in pieno giorno. La novella non distingue tra aggressione diurna oppure
notturna permettendo alla presunzione di operare nel medesimo modo in
entrambi
i casi, e la ragionevolezza che impone di considerare in posizione ben
più
ardua – stante la difficoltà visiva e il timore che da sempre
accompagna le ore
notturne – l’aggredito dal fur nocturnus,
si perde nel momento in cui la stessa è chiamata ad operare di
giorno, quando
la visibilità è ottima e la vittima non è colta
nel sonno.[149]
E’
necessario fare bene attenzione al punto in esame, perché il
messaggio
mediatico sbagliato – eccessivo, per meglio dire – si compone anche di
questo
problema, là dove intitola la propria riforma “Modifica
all’art. 52 del codice penale in materia di diritto
all’autotutela in un privato
domicilio”.[150] Ed è per
questo che è possibile notare come sia stato lo stesso
legislatore, attraverso
un uso improprio della lettera della legge, a costringere colui che
è chiamato
ad applicare la norma a studiarne un uso più restrittivo, a
ricercare – ancor
prima che il successo degli obiettivi da tempo dichiarati, ed in parte
apprezzabili – un’opportunità di applicazione in linea con il
resto
dell’ordinamento giuridico, con ciò allontanando da sé le
varie accuse di
stravolgere nell’applicazione pratica gli intenti normativi del
Parlamento.[151] Prendendo
le mosse da tali premesse, si richiamano quelli che erano gli obiettivi
e le
principali ragioni della riforma. Primo obiettivo dichiarato era di
limitare
fortemente l’ambito della discrezionalità del giudice. Le
critiche mosse al
previgente art. 52 c.p. riguardavano il fatto che l’organo
giurisdizionale
godesse del più ampio potere decisionale in merito ad un davvero
ampio spettro
di elementi, vale a dire che tutte le circostanze della situazione e
tutti i
requisiti della disposizione dovevano essere da esso valutati, con
particolare
riguardo alla zona di confine tra necessità della reazione,
proporzione ed
eccesso di difesa. Nel tentativo di limitare il potere di valutazione
del
giudice il legislatore si è mosso introducendo una fattispecie
che cercava di
fondare la propria operatività su alcuni elementi di nuovo
impiego, col
risultato che il giudice – o al limite anche solo il pubblico ministero
all’interno delle proprie indagini – avrebbe dovuto accertare la
semplice presenza di tali elementi e nulla più,
perché a tal punto la proporzione sarebbe stata presunta. Forse
sarebbe stato
preferibile, piuttosto che tentare d’imbrigliare l’autonomia
decisionale del
giudice – e sempre nell’ambito di una riforma parziale – agire in
maniera
diversa sulla proporzione, richiedendone ad esempio una manifesta
violazione,
piuttosto che escluderla del tutto. In tal modo sarebbero stati evitati
alcuni
rischi di denunce d’incostituzionalità ed il timore di
legittimare reazioni
completamente eccessive sarebbe stato dimensionato.[152] Oltre a
questo il richiamo degli elementi della non desistenza, del pericolo di
aggressione, della legittima presenza nel domicilio e della violazione
dello
stesso pongono l’autorità giurisdizionale nella posizione di
verificare la
sussistenza punto per punto dei vari elementi necessari per
l’applicazione del
secondo comma, elementi che – se rispettati in maniera rigorosa ed
abbinati a
quelli ancora vigenti al primo comma – giungeranno a far scriminare
solo
reazioni che anche il primo comma nella sua solitaria esistenza avrebbe
probabilmente scriminato, da qui la lecita affermazione che la riforma
non è
riuscita nel proprio scopo di rendere ben più ampia la difesa
domiciliare.[153] Prendendo
in esame il primo del cosidetto “doppio binario” introdotto dal secondo
comma
del nuovo articolo 52, quello relativo alla difesa
dell’incolumità propria o
altrui, si nota come la difesa con arma
legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo deve sempre rispettare
l’equilibrio di una inevitabilità della reazione e di una sua
non
sostituibilità con altra difesa meno lesiva, ché
altrimenti si legittimerebbe
la causazione di qualunque lesione, dato che il disposto della legge
legittima
sì l’uso dell’arma ma non fa parola alcuna del modo
e della gravità di
utilizzo della stessa.[154]
Perciò il raffronto tra il nuovo art. 52 e il precedente, rivela
come in
materia di aggressione all’incolumità personale non vi siano
ampie differenze
tra la nuova previsione e quella da alcuni tanto criticata. Una volta
rispettati i requisiti base della necessità della difesa,
dell’attualità del
pericolo e della non sostituibilità con altra reazione meno
lesiva – che
limitano fortemente l’inciso riguardante la possibilità di
utilizzo di ogni
mezzo o arma – la difesa possibile per l’aggredito sarà molto
simile in
entrambi i casi, a discapito dell’operatività o meno della
presunzione di
proporzione. Essa sarà in grado di gettare la propria luce
sull’utilizzo
permissivo di armi o altri mezzi idonei, ma sugli stessi vigileranno
gli altri
requisiti da sempre riconosciuti a base dell’istituto della difesa
legittima.[155] Avendo
riguardo invece del cosidetto “secondo binario”, la difesa diretta alla
protezione
dei beni propri o altrui può
integrare l’attivazione della presunzione di proporzionalità
solamente a
seguito della presenza di altri due elementi, la non desistenza ed il
pericolo
d’aggressione. Ma pure l’uso e l’analisi di tali elementi nella
direzione di
una maggiore precisione della norma che riesca a limitare la
discrezionalità
del giudice – ciò che è appunto uno degli obiettivi del
legislatore – non
riesce ad ottenere i risultati sperati. Infatti essi sono sì in
grado di
precisare meglio quando sia possibile difendere i propri beni
sottraendo al
giudice la valutazione della proporzione, ma sono anche di così
difficile
trattazione pratica da richiedere comunque un accertamento probante
l’avvenuta
persistenza nell’azione criminosa e nel mutamento di essa in un
pericolo per
l’incolumità personale. Il requisito della non desistenza ad
esempio – come
specificato al relativo capitolo del presente lavoro – non concede
molto sul
piano della chiarezza, e se per desistenza si suole intendere la
cessazione dell’attività
criminosa e la totale aggressione ai beni, anche il semplice ritorno
sui propri
passi da parte del ladro impedirà all’aggredito di difendersi
usando le armi
sotto la protezione della presunzione in esame. Ma essendo tale momento
di
difficile determinazione, ben potrà l’organo giudicante
intervenire per
accertare se effettivamente il ladro non abbia desistito, tutto
ciò senza però
lasciare l’aggredito privo di una protezione, in quanto l’articolo 52
comma 1
sarà comunque in grado di operare nei limiti di sussistenza dei
propri
requisiti.[156]
Ed anche il pericolo di
aggressione non riesce a garantire una maggiore precisione della norma
e con
ciò limitare l’operato del giudice, in quanto chiama in causa
vari problemi
circa l’attualità del pericolo, dato che pericolo di aggressione
non coincide a
presenza del pericolo stesso. Anche in tale elemento pertanto – per
evitare che
si consideri come l’introduzione nel proprio domicilio, soprattutto di
notte,
porti sempre con sé il rischio di un’aggressione ai legittimi
domiciliati –
sarà necessaria la presenza dell’accertamento giudiziale, il
quale assicuri che
il pericolo d’aggressione non sia stato del tutto ipotetico, con
ciò
richiamando una visuale dello stesso più vicina all’attualità
che non alla prevedibilità.[157] Il secondo
obiettivo del legislatore era quello di ampliare i confini della
legittima
difesa. Estenderla quindi anche nelle sue fondamenta, grazie ad una
diversa
concezione dell’autodifesa. Il titolo della rubrica della nuova legge
chiamante
in causa l’autotutela in un privato
domicilio doveva servire proprio a questo, doveva servire a dimostrare
come la
novella fosse in grado di introdurre una legittimità della
difesa di tutto
l’ordinamento giuridico e non solo del diritto di cui si è
titolari. In realtà
anche questo obiettivo non può dirsi compiuto, perché
troppo limitata è la
possibilità che la riforma concede ai soggetti aggrediti. Nel
nostro
ordinamento – anche a seguito della nuova legge – l’istituto della
legittima
difesa è sempre ancorato alla propria natura di istituto di
eccezionale
applicazione, a requisiti di scelta della reazione meno lesiva per
l’aggressore, alla sentita esigenza di imporre il commodus
discessus a chi si trovi nell’imminenza di un pericolo ed
alla necessaria presenza di un pericolo anche per l’incolumità
personale
qualora ad essere aggreditti siano in un primo momento solo i beni.
Tutto ciò,
sommato al fatto di come il secondo comma non abbia – ripetiamo,
nonostante le
intenzioni del legislatore – introdotto una nuova fattispecie
scriminante del
tutto autonoma rispetto alla previgente legittima difesa, è
chiaro sintomo del
fatto che le fondamenta dell’istituto così come prodotto con il
codice Rocco
non sono state modificate e perché ciò avvenga l’art. 52
dovrebbe essere completamente
trasformato tramite l’introduzione di una nuova – e questa volta
realmente
efficace – autotutela. La terza
ragione che ha mosso il legislatore riguardava la volontà di
evitare a colui
che si sia difeso – ed abbia fatto uso della scriminante – le indagini
volte ad
accertare la situazione concreta e reale, o quantomeno le lunghe
vicissitudini
di un processo. L’obiettivo in questione si sposa con la volontà
di ridurre la
discrezionalità del giudice ampliando allo stesso tempo le
possibilità di reazione.
Colui che verrebbe beneficiato della liceità prodotta dall’art.
52 lo sarebbe
immediatamente, grazie alla maggiore precisione della norma e grazie
alla
presenza della presunzione di proporzionalità. Abbiamo
già visto in precedenza
come tali innovazioni debbano essere sottoposte a limiti per potersi
integrare
con l’operatività del primo comma e del dettato costituzionale,
così da ridurre
le possibilità di aiutare colui che si sia giustamente difeso
nel velocizzare
l’indispensabile accertamento dei fatti. La questione è di
notevole importanza
perché si ricollega alla cronica problematica della lunghezza
dei processi,
tristemente nota nel panorama processuale italiano. Ma di tutti gli
obiettivi
che la riforma mirava a raggiungere, il presente è quello che
più si prestava
all’impossibilità del risultato. Come espresso da varie parti
fin dai lavori
preparatori, la giusta necessità di evitare all’aggredito
difesosi un lungo,
dispendioso e stressante procedimento giudiziario non poteva avere
buona sorte.
Ciò perché l’accertamento dei fatti – anche di quegli
elementi come la non
desistenza ed il pericolo di aggressione – nonostante alcune
possibilità di
maggiore celerità date dal fatto che la proporzione può
essere ora provata solo
in negativo come manifesta sproporzionalità della stessa, non
può essere
eliminato dal riconoscimento della scriminante ex art. 52 c.p., ma
dovrà essere
sempre presente il vaglio dell’autorità giudiziaria in ordine a
tutti i
requisiti che la legittima difesa, oggi come prima della riforma,
ancora
contiene e richiede.[158]
Necessità dei processi che viene mantenuta anche a causa del
complicato regime
probatorio introdotto dalla riforma, per il quale spetterebbe
all’aggredito
dimostrare l’esistenza delle condizioni necessarie per l’applicazione
della
scriminante, ma ad esclusione della proporzione, la qual prova – in
termini
negativi – spetterebbe a causa della relativa presunzione alla pubblica
accusa.[159] A questo
punto, se gli obiettivi che il legislatore si era prefisso non possono
dirsi
compiuti e se la nuova legittima difesa non è atta a scriminare
l’uccisione di
una persona allo scopo di difendere un bene patrimoniale, è
però possibile
affermare che i piccoli risultati da essa prodotti sono in grado di
ampliare
leggermente la difesa dei beni patrimoniali stessi, quando ve ne
ricorrano i
requisiti, ma senza mai consentire la liceità dell’uccisione del
ladro. E’
possibile sostenere che la presunzione di proporzionalità
è in grado di rendere
un po’ più difficili le condanne dei soggetti aggrediti e
reagenti, dato che
per farlo si dovrà ricorrere agli altri requisiti
caratterizzanti l’istituto.[160]
Il
messaggio inviato dai propugnatori della norma – ed indirettamente
anche da
coloro che vi si opponevano – dev’essere utilizzato con molta cura e
buon senso
dalla collettività e da coloro che, più a rischio a causa
della propria
attività commerciale, intendono dotarsi di armi e difendere il
proprio lavoro
utilizzandole, senza credere che l’intervento riformatore abbia
spalancato le
porte verso indiscriminate reazioni.[161] Da questo
punto di vista, si può oggi – e forse persino maggiormente in
futuro al seguito
delle prime sentenze della Corte di Cassazione – sostenere come
l’istituto
della difesa legittima sia ancora saldamente ancorato ai suoi
più importanti
presupposti di necessità della reazione, ai suoi fondamenti di
istituto
eccezionale in deroga al potere statuale di repressione della
criminalità e di
difesa della collettività, ed al valore dei beni contrapposti
così come
gerarchicamente definiti dalla nostra Costituzione. 3. Le prime sentenze
post-riforma I concetti
espressi finora e con i quali si è tentato da un lato di
interpretare e
dall’altro di prevedere quale potrà essere l’orientamento della
giurisprudenza
di fronte alla novella legislativa incontrano una prima conferma nelle
ultime
sentenze della Corte di Cassazione. Tramite l’analisi e lo studio di
esse si
potrà capire se già dal primissimo impatto il nuovo art.
52 c.p. avrà
modificato le basi dell’istituto oppure se anche la giurisprudenza ne
seguirà
il percorso di un parziale ridimensionamento. Due le sentenze del
supremo
collegio prese in esame. La prima di
esse porta la data di qualche mese successiva all’entrata in vigore
della
riforma, si tratta della sentenza n.32382 del 2006, con la quale Ciò è
contenuto all’interno del secondo profilo di censura, al quale La
presunzione di proporzione non riesce pertanto a porsi quale limite
ostativo a
qualunque verifica esterna, ed il solo fatto di aver difeso
l’incolumità
propria o altrui oppure i beni, quando non vi è desistenza e vi
è pericolo
d’aggressione, non implica alcuna immediata non punibilità. Il secondo
provvedimento esaminato porta una data ancora più recente,
quella del 23 marzo
2007, e concerne l’impugnazione di una sentenza della Corte d’assise di
Palermo, la quale ha confermato la condanna a 12 anni e otto mesi di
reclusione
all’imputata, ritenuta colpevole dell’omicidio di un’anziana vicina che
chiedeva
la restituzione di un prestito non sottoposto ad alcun interesse. Al di
là
degli accertamenti di fatto – i quali denotavano come la vicina
assassinata non
avesse perpetrato alcuna violazione di domicilio, non avesse avuto le
possibilità di offendere fisicamente la più giovane in
quanto disarmata, e
fosse nella giusta posizione di chiedere la restituzione del prestito
sul quale
non aveva tenuto alcun comportamento usurario – il profilo giuridico
contenuto
nella pronuncia relativo alla legittima difesa e riguardante
l’applicabilità
della riforma dispone che il diritto a tutelare l’inviolabilità
del domicilio
non possa essere causa sufficiente per invocare l’operatività
della riforma,
dovendosi privilegiare la dimostrazione di un pericolo di attacco alla
persona,
confinando l’autotutela del domicilio in posizione successiva rispetto
all’accertamento degli altri requisiti dell’istituto, “Quest’ultima norma non consente infatti
un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca
fraudolentemente
nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell’ambiente
domestico, alla
propria o altrui incolumità, o quanto meno un “pericolo di
aggressione”. Tale
preliminare rilievo rende superfluo l’esame della questione relativa
alla
configurabilità dell’introduzione mediante inganno per il solo
fatto di aver
suonato non al citofono esterno pertinente all’abitazione, ma alla
porta
interna”.[164]
La
Corte di Cassazione ha in tal modo inteso affermare che la semplice
violazione
di domicilio non configura come applicabile il secondo comma del nuovo
art. 52
– chi si pone contro il diritto per aver violato l’art. 614 c.p. non
per questo
viene caricato dell’accettazione di qualsiasi reazione da parte del
titolare
del domicilio, che deve agire sempre nel rispetto degli altri elementi
qualificanti l’istituto – ed inoltre 4. Il futuro della legittima
difesa Come
conclusione del presente lavoro, un ultimo passo è da compiere.
Dopo aver
analizzato l’art. 52 codice Rocco nella sua totalità, dopo
averne evidenziato
pregi e difetti e aver introdotto, esaminato e commentato la legge n.
59/2006,
lo sguardo volge avanti verso quello che sarà il futuro della
legittima difesa. Non potendo
prevedere con certezza – nonostante le opinioni sopra esposte – quale
sarà il
risultato a lungo termine sulla giurisprudenza dato dalla riforma, e
non
potendo anticipare se la stessa subirà un sindacato da parte
della Corte
Costituzionale, è però cosa utile volgere il proprio
pensiero alla legittima
difesa che potrebbe nascere da un nuovo intervento normativo, e se
sarà in grado
di modificare l’art. 52 nella sua totalità. Già oggi
è al lavoro una nuova
commissione che ha come obiettivo – come le precedenti già
presiedute da
Pagliaro, da Grosso e da Nordio – la riforma completa del codice
penale. Non
essendo infatti stata la legge 59/2006 una legge riformatrice delle
intere
cause di giustificazione e quindi una legge di settore, ma soltanto una
legislazione che ha inserito due commi all’intoccato primo comma art.
52 c.p.,
si può affermare come l’intento riformatore in materia non sia
terminato. Anzi,
è auspicabile che la nuova commissione di riforma riesca a
concludere il
proprio programma e che la riforma complessiva del codice giunga a buon
fine. A)
La generale
importanza della proporzione, la necessità di tutelare le
aggressioni domiciliari
e la rilevanza di paura o timore Ma per
chiedersi cosa realmente possa giovare all’istituto della legittima
difesa, è
necessario volgere brevemente lo sguardo verso altri sistemi penali, di
altri
paesi, per analizzare come essi affrontino la questione, e se
contengano
disposizioni preferibili o meno a quella dell’ordinamento italiano. Il
diritto
comparato diventa in questo modo molto utile in sede di riforma,
perché mette a
disposizione dello studioso una elevatissima quantità di dati e
risultati, di
soluzioni e tecniche giuridiche diverse. Ma l’indubbia utilità
di osservazione
del diritto comparato non significa che la norma da costruire
dovrà essere il
risultato di un saccheggio più o meno accentuato delle diverse
forme
dispositive presenti negli altri paesi, in quanto è altrettanto
indubbio che si
dovrà tener ben presente le prassi dottrinali e
giurisprudenziali e le
caratteristiche processuali e sostanziali del proprio ordinamento, nel
quale la
nuova norma dovrà operare.[166] Una veduta
d’insieme dimostra come due siano le costanti che spesso s’incontrano
nei
sistemi legislativi stranieri. Il primo di essi è che la
proporzione,
espressamente richiamata o meno dalle norme sulle cause di
giustificazione, è
sempre presente in quegli ordinamenti. Talvolta le disposizioni sulla
legittima
difesa non la citano, altre volte la chiamano in causa solo in
determinate
situazioni, altre ancora la escludono in rapporto a particolari
circostanze, ma
essa rimane sempre un principio generale su cui fare affidamento e che
permea
la totalità e l’integrità dell’ordinamento. A
dimostrazione di ciò, lo stesso
legislatore italiano non ha potuto eliminare la proporzione in modo
definitivo,
ma ne ha contemplato piuttosto una presunzione che, implicitamente e
solo
riguardo a certe situazioni domiciliari, la riconosce pur come sempre
presente.
Il suo ruolo fondamentale ed ineliminabile si nota già a partire
da un
ordinamento penale, quello tedesco, che espressamente non la riconosce.
Infatti
pur non richiamandola esplicitamente, essa è comunque utilizzata
dalla
giurisprudenza come limite alle reazioni eccessive, analogamente a
quanto
avviene in modo ancor più rigoroso nell’esperienza spagnola.
Diversamente e
come requisito positivo la proporzione è invece riconosciuta dal
codice penale
svizzero del 1937, il quale la lega all’uso dei “mezzi proporzionati
alle
circostanze”. Opposta è poi la previsione di cui al codice
penale austriaco del
1974, il quale la richiama come limite negativo espresso citando che
“l’azione
tuttavia non è giustificata quando sia evidente che l’aggredito
sia minacciato
solo con un danno modesto e la difesa sia inadeguata, specie per la
gravità del
pregiudizio dell’aggressore necessario per difendersi”, elemento in
negativo
richiamato anche dal codice penale danese e svedese, mentre quello
russo
richiede una mancata manifesta corrispondenza al carattere e al grado
della
pericolosità sociale dell’aggressione. Particolarmente
importante per il nostro
studio è invece l’esperienza francese, in quanto prevede un
sistema simile a
quello introdotto con la novella italiana, completo di presunzione di
proporzione grazie all’art. 122-6 c.p.: “Si presume che abbia agito in
stato di
legittima difesa colui che ha compiuto l’atto: 1° per respingere di
notte un
ingresso in luogo abitato commesso con scasso, violenza o inganno;
2° per
difendersi contro gli autori di un furto o un saccheggio posti in
essere con
violenza”.[167] A fronte di
tale breve disamina si nota come il requisito della proporzione, anche
laddove
non espressamente chiamato in causa, ha comunque modo di esercitare la
propria
funzione di ragionevolezza, di bilanciamento tra beni e di uguaglianza,
grazie
alla giurisprudenza che attraverso il suo uso recupera una vasta gamma
di
limitazioni etico-sociali al diritto di difesa.[168] La seconda
costante riguarda invece la presenza di ipotesi che eliminano
l’illiceità della
reazione o semplicemente la scusano, in relazione a particolari motivi
di paura
ed ansia oppure a causa della difesa del domicilio, soprattutto
notturno. In tal
modo si dà rilievo a quel turbamento tipico della vittima
dell’aggressione, la
quale nel nostro sistema non può far conto della propria
difficoltà a reagire
proporzionatamente a causa di tali effetti
astenici, in quanto essi possono essere fatti valere solamente
nell’ambito
del giudizio valutativo totale dell’organo giurisdizionale sulla
situazione,
indirizzandolo magari ad una condanna per eccesso colposo. Il
riconoscimento
dell’importanza di tali effetti tratterebbe un’ipotesi che la teoria
dell’imputabilità
del nostro ordinamento generalmente non permette, dato che l’art. 90
c.p.
enuncia come “Gli stati emotivi o passionali non escludono né
diminuiscono
l’imputabilità” e A fronte
sia di tali costanti presenze sia di tali affermazioni, è chiaro
come gran
parte della domanda di rinnovazione dell’istituto passi attraverso la
convinzione che devono essere tenuti in considerazione due elementi: da
una
lato la difesa del domicilio in caso di aggressioni notturne,
dall’altro la
paura o il timore che in differente misura non consentono da parte
dell’aggredito una corretta valutazione delle circostanze ed una
proporzionata
reazione.[170] Ed
altrettanto chiare sono le motivazioni per cui essi necessitano, per
poter
essere introdotti nel nostro ordinamento, di una disposizione che
raggiunga il
giusto equilibrio tra difesa del domicilio – e qui torna a manifestarsi
come
fondamentale quella figura del fur
nocturnus che nelle diverse epoche ha sempre contraddistinto la
possibilità
di reazioni più marcate, perché più marcata era la
necessità di difendere il
proprio domicilio e la propria famiglia – tra difesa permeata da paura
o
terrore – e qui risaltano quegli effetti astenici che sempre
accompagnano le
aggressioni – e la necessità di mantenere la legittima difesa
come fondata su
valori etici e morali alti, quali quelli contenuti nella Costituzione e
nella
Convenzione europea dei diritti dell’uomo. B)
Una scelta
di fondo per la nuova legittima difesa Alla scelta
di introdurre nel nostro ordinamento le due eccezioni sopra enunciate,
ossia le
due costanti che con così tanta frequenza troviamo nei vari
ordinamenti
stranieri sia moderni che del passato, si aggiunge un’altra scelta di
fondo.
Essa consiste in un qualcosa di ancor più radicale,
perché in grado di scuotere
l’istituto sin dalle sue basi, e relativa al fondamento giuridico su
cui esso
poggia. Chi vorrà rinnovare ulteriormente la nuova legittima
difesa dovrà
infatti pregiudizalmente accertare – e non potrà esimersi da
questo – se il
nuovo istituto dovrà abbandonare il proprio fondamento di
autodifesa
eccezionalmente consentita in deroga all’uso pubblico della forza,
quando essa
non possa tempestivamente intervenire, per divenire strumento di
stabilizzazione e tutela dell’ordinamento e della collettività
intera. La
legittima difesa come sinora conosciuta inseriva infatti le proprie
radici
nell’ambito dell’eccezionalità della risposta del cittadino. La
coazione e la
difesa con l’uso della forza rimanevano esclusivo compito e
facoltà dello
Stato, attraverso le proprie forze di polizia. Il cittadino aggredito
poteva
perciò contare, nel momento del tempestivo bisogno, su di una
difesa che gli
consentisse di evitare che il pericolo imminente si trasformasse in
danno, ma
non era titolare di alcun diritto di difesa della collettività.
Seguendo la
seconda ipotesi il cittadino che si difende tutelerebbe invece
l’ordinamento
giuridico nella sua integrità, e il messaggio rivolto ai
cittadini così come ai
malviventi sarebbe che egli opera come strumento di giustizia, in
virtù di un
ufficio pubblico del quale dispone la forza reattiva e, soprattutto, le
armi
per porla in essere. Tale ultimo
punto di vista incombe nella maggior parte dei paesi come un simbolo
dell’era
nuova che avanza, nella quale si fa avanti una concezione di matrice neoliberista ove l’iniziativa privata si
estende anche nell’uso della forza, mirando a costituire una regola che
faccia
venir meno l’uso statale della stessa. Di fronte ad una tale situazione
– alla
quale i propugnatori della riforma hanno accennato in più di una
occasione nel
corso dei lavori preparatori – lo Stato verrebbe in gran parte
delegittimato,
finendo per non essere più considerato il centro dei poteri
pubblici e di
tutela dei valori della Costituzione e della collettività.[171] 5. Conclusioni Affrontando
le conclusioni del presente lavoro, è necessario prendere
posizione una volta
di più delle scelte di fondo affermate nel corso della
trattazione, per poter
poi giungere alla descrizione di una nuova legittima difesa in linea
con le
operazioni ermeneutiche sopra esposte. Innanzitutto
sarebbe buona cosa aprire una strada per il rinnovamento dell’istituto
che sia meno connotata politicamente di quella
che ha raggiunto la promulgazione come legge n.59/2006. Lo scontro
operato
nelle aule parlamentari a seguito della presentazione del relativo
disegno di
legge ha manifestato il contenuto politico della proposta esponendosi a
critiche a mio avviso fondate circa il desiderio di soddisfazione della
volontà
popolare e di ricerca del consenso, evitando però nella sostanza
di prendere in
mano le risultanze delle commissioni di riforma del codice penale che
già molto
avevano dibattuto, ed evitando di rinnovare l’istituto in modo ampio e
completo. Proprio da
esse dovrebbe invece muovere una nuova riforma che contenga un nuovo
art. 52
c.p.. Pur nella intrinseca difficoltà di portare a termine una
tale mole di
lavoro e nella laboriosità di concludere il vischioso iter
parlamentare,
soltanto una riforma che nasca come elaborazione completa
dell’ordinamento
potrà segnare il passo ed evolvere il diritto penale in una
direzione univoca e
capace di far fronte ai reali problemi odierni. Altrettanto
corretto pare poi evitare di inserire nel testo di legge riferimenti al
legittimo uso delle armi. E’ preferibile strutturare la disposizione
consentendo margini più ampi all’aggredito ma senza chiamare in
causa alcun uso
di armi da sparo, senza rischiare di instillare nel cittadino l’idea
che
l’ordinamento approvi la detenzione dell’arma – ancorché
concessa dietro rigida
autorizzazione naturalmente – e ne permetta un uso in termini
più estensivi e
marcati. Il messaggio mediatico che altrimenti deriverebbe da una tale
specificazione dei mezzi di reazione conterrebbe in sé l’alto
rischio di favorire
la ricerca delle stesse da parte sia dei cittadini sia dei malviventi
intenzionati a delinquere. Oltre a ciò
mi par strano e incompleto, ora che si è vicini alla conclusione
del lavoro e
nonostante siano già state svolte ampie conclusioni, non
procedere comunque ad
una più precisa ipotesi dell’istituto della legittima difesa,
che sia in grado
di indicare quantomeno una delle strade percorribili per una nuova
formulazione
dell’istituto. Il quale dovrebbe continuare ad essere rubricato “Difesa
legittima”,
e dovrebbe prendere le mosse dall’originale primo comma, mantenuto
nella sua
essenza di norma generale, precisandone un poco gli elementi e
lasciandogli il
compito di porre le basi per il fondamento dell’istituto, le cui radici
possano
così radicarsi nel terreno dell’ordinamento giuridico italiano: 1. Non è punibile chi
commette il fatto per la
necessità di difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo
in atto o
imminente o non ancora concluso di un’offesa ingiusta. In tal modo
si pongono le prime premesse per operare quella scelta di fondo
così importante
che era stata al paragrafo precedente descritta, e relativa al
fondamento
giuridico della scriminante. E’ mia ferma opinione che esso vada
mantenuto
all’interno delle sue caratteristiche di eccezionale strumento di difesa qualora non sia possibile
chiedere l’intervento della forza pubblica, che deve continuare ad
essere la
sola detentrice del potere pubblico di difesa dell’ordinamento
giuridico
violato e della collettività. Scegliendo una strada ad essa
contraria si
legittimerebbe un privato uso della forza ed un incoraggiamento per la
collettività ad armarsi. Inoltre, qualora lo Stato scegliesse di
spogliarsi
almeno parzialmente di una prerogativa che le è sempre stata
propria,
invierebbe un segnale di cedimento che non potrebbe non far pensare
seriamente
al rischio che una tale radicale modifica nell’assetto dei poteri
pubblici dia
il via ad una serie di ulteriori trasformazioni tutte rivolte nella
stessa
direzione. Oltre a
questo si crede andrebbero mantenuti nell’impianto di legge i requisiti
della necessità di difendere – svincolato
però
dal riferimento alla costrizione – quale fondamentale elemento che
è oggi in
grado di arginare le derive eccessivamente lesive introdotte con la
legge
n.59/2006, del pericolo attuale,
coadiuvato da termini in grado di spiegare meglio i limiti cronologici
in cui
esso rileva, eliminando così il rischio di applicazioni
estensive o anticipate
dell’istituto e sancendo la legittimità dell’uso della legittima
difesa fino a
che il danno non si sia definitivamente sedimentato, stante
l’operatività anche
degli altri requisiti, e infine dell’elemento dell’offesa
ingiusta, in quanto idoneo a spiegare i propri effetti nel
significato a suo tempo studiato di azione
non autorizzata da alcuna norma dell’ordinamento. Successivamente
la reazione difensiva dovrebbe essere meglio specificata tramite
l’inserimento
del requisito della proporzione della reazione, della non
sostituibilità della
stessa con altra meno lesiva e del commodus
discessus. 2. La reazione difensiva
dev’essere proporzionata
all’offesa tenuto conto sia dei beni contrapposti, sia dei mezzi
utilizzati,
sia di ogni circostanza della situazione e tale da non poter essere
sostituita
con altra ugualmente efficace e meno lesiva, fino all’utilizzo
dell’allontanamento dal pericolo quando possa essere attuato senza
pregiudizio
né all’onore né ai diritti propri o altrui. Il
requisito della proporzione, come si ha avuto modo di dimostrare
ampiamente nel
corso del presente lavoro, quantunque garante di una
discrezionalità a volte
eccessiva in mano all’organo giurisdizionale, è elemento
fondante la legittima
difesa così come poggiata sulle basi che gli sono state qui
riconosciute. Come
il breve richiamo ai sistemi comparati di diritto penale ha
evidenziato, la
proporzione è presente ed utilizzata anche laddove non
espressamente
richiamata, per cui rimane preferibile non separarsene e lasciare che
svolga il
proprio ruolo di bilanciamento tra beni nel pieno rispetto dei dettami
costituzionali.
Inoltre, il giudice non può essere spogliato di ogni
discrezionalità, ad esso
non può essere tolto l’esame relativo ad
ogni circostanza della situazione reale. E se ciò è
necessario farlo, si
dovrà porre la questione in termini di scusa
e non di piena giustificazione, e si
dovrà limitare l’operato dell’organo giurisdizionale solo di poche situazioni e di quel tanto che basta a
scusare reazioni eccessive prodotte da stati di paura e timore, senza
mai
desistere però dall’esistenza di un pericolo in atto o imminente
– locuzione
che meglio descrive, rispetto a quella di attualità, l’estrema
vicinanza dello
stesso – alla libertà fisica, personale o sessuale. All’opinione
qui esposta si
aggiunge la descrizione degli elementi da introdurre nella valutazione
di
proporzionalità, così come avviene all’art. 14 dello
schema di legge delega per
l’emanazione di un nuovo codice penale, che viene estesa ai beni quanto
ai
mezzi, fino a ricomprendervi ogni circostanza che qualifica in modo
più preciso
la situazione reale nella quale il soggetto aggredito si difende. Coerentemente
poi con quanto affermato nei capitoli precedenti si da ampio spazio e
rilevanza
a quei requisiti che la legislazione previgente non contemplava
espressamente e
che era necessario ricavare tramite interpretazione. La previsione
legilsativa
dovrebbe contenere l’esplicito riferimento all’inevitabilità
della reazione,
quantunque già riconosciuta dalla giurisprudenza, e prevedere
che la scelta
vada orientata nella direzione della condotta meno lesiva per
l’aggressore,
fino a prevedere l’applicabilità del commodus
discessus. Si ritiene sia preferibile non obbligare l’uso dello
stesso a
qualunque caso e possibilità, ma prevederne l’utilizzo qualora
non vengano lesi
diritti oppure l’onore. In tale ultimo caso è bene precisare che
ciò non
significa dare adito alla reazione a qualunque provocazione, ma
semplicemente
si intende evitare che al soggetto aggredito sia imposta sempre e
comunque la
fuga. Proseguendo
nella definizione di una nuova legittima difesa, e procedendo nel non
facile
tentativo di dare concretezza alle operazioni teoriche svolte nel corso
di
questo lavoro, si giunge al riconoscimento di un altro requisito
prodotto
dall’incessante lavoro della giurisprudenza e della dottrina. 3. Il pericolo non dev’essere
colpevolmente o
volontariamente causato dal soggetto aggredito con una propria condotta
precedente. La
causazione non volontaria del pericolo, requisito che l’art. 52 c.p.
non ha mai
espressamente previsto, è di grande importanza nell’economia
della causa di
giustificazione. Esso contiene due aspetti della causazione stessa. Il
primo
riguarda la volontaria e preordinata causazione del pericolo per poter
poi
utilizzare la scriminante in esame a scopi solo apparentemente
difensivi,
mentre il vero obiettivo era fin dal principio quello di ledere il
diritto di
un altro soggetto. Il secondo riguarda invece la causazione del
pericolo non
preordinata allo scopo offensivo. In tal caso si vuole evitare che chi
si ponga
coscientemente in posizione di pericolo usufruisca dell’esimente, per
cui viene
fatta salva la sola causazione incolpevole del pericolo, sulla base di
una
condotta del soggetto poi aggredito del tutto lecita.[172]
Tale soluzione appare preferibile a quella adottata dalle commissioni
di riforma
Grosso e Nordio, le quali limitavano il requisito espresso della
provocazione
al solo caso della preordinazione volontaria, così non
contemplando
espressamente i casi di provocazione semplice, provocazione e rissa,
provocazione e duello. Una volta
giunti al presente punto, a seguito di una disposizione a carattere
prettamente
oggettivo che non modifica i propri rapporti con gli altri due articoli
correlati e relativi all’eccesso colposo e alla difesa putativa,
è necessario
porre un ulteriore elemento di innovazione tenendo finalmente in
considerazione
quelle due costanti che precedentemente sono state considerate tali
nella
maggior parte degli ordinamenti penali, ossia la questione relativa
all’introduzione notturna nel domicilio – a scopo di furto, rapina o
violenza
alle persone – e la questione relativa alla difficoltà della
reazione data da
paura o panico.[173] Con la
seguente ipotesi di introduzione di una scusante
si intende inoltre realizzare le direttive contenute nella delega in
atto al
Governo per la riforma del codice penale, la quale all’art. 15
rubricato “Cause
soggettive di esclusione della responsabilità” cita: “1:
Prevedere come
cause soggettive di esclusione della responsabilità: c)
l’eccesso dai limiti
della legittima difesa per grave turbamento psichico, timore o panico,
in
situazioni oggettive di grave pericolo per la vita, per
l’integrità fisica, per
la libertà personale o per la libertà sessuale di un
soggetto aggredito in
luoghi isolati o chiusi o comunque di minorata difesa”.[174] Non si ritiene
qui necessario separare il precetto dal resto dell’articolo
perché lo si possa
qualificare come scusante e non come causa di giustificazione, dato che
diverso
è l’inciso è scusato, il quale
richiama una causa soggettiva di esclusione di responsabilità. 4. E’ scusato chi, per paura o
panico, in caso di
aggressione notturna e di pericolo in atto o imminente per
l’incolumità fisica,
personale o sessuale, eccede i limiti di cui ai commi precedenti. In tal modo
si è giunti alla vera innovazione dell’istituto, si è
giunti al passaggio
cruciale sul quale vengono addossate le responsabilità di far
fronte alle
richieste di ammodernamento e maggior possibilità di difesa che
l’istituto ha
ricevuto, introducendo una disposizione che contempli una scusante
dai contorni limitati, che tenga conto dello stato
soggettivo di paura o panico ma che non li consideri come totalmente
estranei
dal resto dei requisiti dell’aggressione, soprattutto dal pericolo
attuale. La
previsione scusante dovrà essere inevitabilmente riduttiva,
stante il carattere
d’eccezionalità che ancora riveste l’istituto, e dovrà
altrettanto
necessariamente essere vincolata alla necessità di una difesa,
in quanto
applicabile solo in presenza di un pericolo ai beni
dell’incolumità fisica,
personale o sessuale, lasciando all’art. 59 la disciplina della
putatività. In
tal modo potranno essere scusate con maggior facilità le
aggressioni notturne
all’interno di un domicilio, purché non esclusivamente rivolte
contro beni
patrimoniali. Potranno altresì essere scusate reazioni violente
ed eccessive
poste in essere di notte per strada, ma dovrà anche qui essere
presente un
pericolo per l’incolumità di cui sopra. In sostanza
la norma non legittima qualunque reazione dell’aggredito, non legittima
qualunque ambito putativo di reazione, che continuerà ad essere
regolato dal
relativo articolo, e non permetterà reazioni indiscriminate
senza che un
pericolo sia concretamente posto in essere, ma permetterà –
laddove sia
presente un pericolo notturno per l’incolumità fisica, personale
o sessuale –
di reagire tenendo conto dello stato d’animo di paura o panico del
soggetto
aggredito e delle difficoltà di aggressione notturna sia dentro
che fuori il
domicilio, così da tenere in ben più ampia considerazione
le due problematiche
costanti di cui sopra. Una tale previsione manterrebbe poi
correttamente la
difesa eccessiva e scusata dell’aggredito colto da timore o panico in
ambito
notturno nell’alveo di una obiettiva illiceità, rimarrà
costante quel fondo di
antigiuridicità che permea di disvalore qualunque condotta
sussumibile in un
fatto di reato e, perciò, potrà dar vita – qualora
ciò non sia impedito dal
requisito ivi espresso della non causazione colpevole o volontaria del
pericolo
– ad una risposta in legittima difesa del primo aggressore.[175] Un tale
tipo di difesa permetterebbe di non citare l’uso di armi, di non
lanciare
perciò messaggi mediatici sbagliati, come invece disposizioni
come quella
contenuta nella legge n. 59/2006 ed anche nel progetto Nordio –
ricordando la
disposizione inserita nell’art. 31 relativo all’uso legittimo delle
armi –
hanno fatto, aprendo così al rischio di un ampio desiderio di
detenzione di
un’arma e gettando sulla collettività l’ombra di un ragionamento
per il quale
l’ordinamento giuridico sarebbe maggiormente orientato a legittimare
condotte
reattive con armi da fuoco. Per queste motivazioni si pensa non debbano
essere
accolti i pensieri che l’autore Viganò Francesco dall’alto della
sua autorità
espone in una propria opera, nella quale inserisce anche un progetto di
art. 52
c.p.[176]
L’autore in parola espone i propri dubbi circa la convenienza di
utilizzare una
disposizione con efficacia scusante, in quanto ciò attuerebbe
una sostanziale impunità del reagente, col
rischio di lanciare – agli occhi della collettività, non rotta
agli
approfondimenti giuridici – un messaggio di liceità della
reazione eccessiva,
col rischio di giungere a scusare perfino eccessi dolosi, ed un
incentivo a
porre in essere simili reazioni. A fronte di ciò mi sembra
opportuno notare come
la scusante da introdurre potrebbe sì incorrere in tali
difficoltà, ma per
evitarlo essa dovrebbe essere ben legata alla presenza di situazioni
particolari come l’ambito notturno, del quale è caratteristica
quasi
inscindibile la paura o il panico, e soprattutto alla presenza di un
pericolo
in atto o imminente per l’incolumità fisica, personale o
sessuale, che
garantirebbe l’applicabilità della previsione da un utilizzo
della stessa
eccessivamente ampio e in particolare la garantirebbe dagli attacchi a
beni
patrimoniali, che continuerebbero ad essere regolati dai commi
precedenti. La
soluzione in parola non intende infatti porsi come risoluzione del
problema di
qualsiasi eccesso, in particolare di quello doloso, ma solo di
quell’eccesso
che colpisce nelle situazioni indicate e a causa di paura o panico, sia
esso
colpevole o incolpevole. Mentre chi reagisce correttamente
prefigurandosi una
condotta eccessiva e portandola poi in atto, al di fuori di un
turbamento
psichico riconducibile a paura o panico rilevabile dal giudice e al di
fuori di
un pericolo come sopra descritto, non potrebbe essere nemmeno scusato,
in
quanto la presenza del pericolo è condizione necessaria
dell’operatività della
scusante, la quale non si pone come strumento di impunità, ma
solo come
sollievo da pena per chi abbia subito un grave turbamento psichico –
non
determinato da rabbia o vendetta – al momento della reazione. La
reazione a
fronte di pericolo di lesione ai beni patrimoniali ed in caso di
qualsiasi
altra aggressione diurna sarebbe ancora regolata dalla causa di
giustificazione
della legittima difesa, e qui la particolarità introdotta dal
Viganò nel
progetto da lui ipotizzato potrebbe accorrere in aiuto per non giungere
nel
caso ad una condanna per fatto doloso sentita come troppo rigida dalla
collettività. Egli propone una disposizione che limita
fortemente – fino a tre
quarti – quella normalmente prevista per il reato compiuto, così
da limitare la
punibilità del reagente che abbia lesionato in modo eccessivo
l’aggressore. Secondo
un calcolo delle attenuanti che chiama in causa anche la necessaria
scelta del
rito adatto, pure in caso di omicidio si giungerebbe ad una condanna
inferiore
ai tre anni. Secondo l’autore in tal modo si sottolineerebbe la
riprovazione
del fatto da parte dell’ordinamento e si giungerebbe comunque ad una
pena molto
ridotta. Ma lasciare che un tale tipo di disposizione costituisca
l’unica
eccezione alla legittima difesa ordinaria sembra non sia sufficiente ad
affrontare le due costanti di cui sopra. Inoltre il messaggio che si
darebbe,
cioè quello di una reazione dolosa eccessiva sempre
ridotta, mi pare richiami un uso dell’istituto estremamente
equitativo ed in grado di far perdere di vista il fondamento dello
stesso. Nel quadro
proposto nel presente lavoro, il giudice sarà comunque chiamato
ad accertare i
presupposti di funzionamento dell’istituto, dovrà esaminare gli
elementi della
situazione e non vi sarà alcuna presunzione operante, né
il rischio di vedere
legittimata l’uccisione del semplice ladro. La legittima difesa non
subirà
mutamenti di enorme respiro e non vedrà modificata la propria
impostazione di
base. Non verranno legittimati usi impropri di armi o presunzioni di
alcun
genere, il giudizio di base rimarrà saldamente ancorato ai
classici presupposti
dell’offesa e della difesa ed il giudice non subirà una
menomazione della
propria discrezionalità nel constatare le circostanze della
situazione, ma sarà
meglio definito l’ambito di giustificazione
da un lato e di scusa dall’altro. Al termine
di un lungo percorso incominciato con la promulgazione del codice
penale del
1930, dopo aver analizzato più di settant’anni di prassi
dottrinali e
giurisprudenziali in materia, dopo aver scoperto e commentato la
riforma
consistente nella legge n.59 del 2006, si è tentato anche, sulla
base dei
risultati raggiunti, di affrontare un difficile obiettivo, quello di
definire
le qualità e le caratteristiche di una legittima difesa del
prossimo futuro,
una legittima difesa che tragga la propria forza dagli orientamenti
consolidati
ma che accolga nel proprio seno un tentativo di soluzione delle
principali
problematiche sentite anche nella quasi totalità degli
ordinamenti stranieri.
Una legittima difesa che sia rispettosa della Costituzione del nostro
paese e
che rispetti il valore della persona riconosciuto dalla Convenzione
europea dei
diritti dell’uomo. In un tal quadro la proposta qui presentata si
affianca alle
altre esposte da importanti autori, le quali a volte differentemente a
volte
similmente tutte cercano di far fronte ai medesimi problemi, pur con
l’utilizzo
di differenti strumenti. L’istituto
della legittima difesa attende oggi le ulteriori risultanze concrete
della
giurisprudenza a fronte della riforma, attende il lavoro della
commissione di
riforma del codice penale da poco formata e guidata dall’Avv. Giuliano
Pisapia. Attende che
la propria natura di istituto naturale, di legge insita nell’uomo, di
cosciente
difesa della propria persona e dei propri diritti continui ad essere
attuata
all’interno di un ordinamento civile e progredito, lontano da
pericolose
ideologie violente e falsamente ugualitarie, e nel pieno rispetto dei
valori
sanciti dalla nostra Costituzione. [1]
Pezzella V., Autotutela (armata) del
cittadino, la cronaca fa oscillare il confine, in Diritto
e Giustizia, 2004, fasc. 32, 65; Padovani T., Un
modello di equilibrio normativo minato da
ambiguità e incertezze, in Guida al
diritto, 2006, XIII, 52; Zaina C.A., La
nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 249; Musco E., in Diritto
e Giustizia on line, 20.4.2004;
Flora G., Brevi riflessioni sulla recente
modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero”
significato
della norma, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2006, 460. [2]
Dalia
A., in M@G City, 23.4.2004,
quotidiano telematico dell’Università Cattolica di Milano; Zaina
C.A., La nuova legittima difesa, cit., 10. [3]
Intini A., Legittima difesa, rischi di
sproporzione. Quel generico “pericolo di aggressione”, in Diritto e giustizia, 2005, fasc. 34,
111. [4] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2018, 2030 s. [5] Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 59. [6] Per l’analisi delle questioni riguardanti i singoli punti si rinvia alle relative trattazioni nella prima parte del presente lavoro. [7]
Per
la documentazione relativa si rinvia infra
ai lavori preparatori la legge n° 59/2006. [8] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 1394. [9] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 461 s.; Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 833. [10] Grosso C.F., La “necessità” e la “proporzione”: elementi essenziali della difesa legittima, in I diritti dell’uomo, cronache e battaglie, 2004, fasc. II, 69. [11] Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 59. [12] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 1377; Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 52. [13] Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 59. [14]
Né la borsa né la vita, in Panorama, 29 aprile 2004, 64 ss. [15]
Cadoppi A., <Si
nox furtum>,
cit., 1397 s. [16]
Intini A., Legittima difesa, rischi di
sproporzione, cit., 111. [17]
Mantovani F., Legittima difesa comune e
legittima difesa speciale, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 433 s.; Viganò F., Spunti, cit., 2033. [18]
Mantovani F., Legittima difesa comune,
cit., 432 s. [19]
Mantovani F., Legittima difesa comune,
cit., 448. [20]
Lo
Monte E., Osservazioni sulle annunciate
modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi:
ebbene sì
“giù le mani dal codice Rocco”, in Critica
del diritto, 2005, I, 17; Grosso C.F., La
“necessità” e la “proporzione”, cit., 69; Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass.
pen., 2006, 3067. [21]
Padovani
T., Una introduzione al progetto di parte
generale della commissione Nordio, in Cass.
pen., 2005, 2843. [22] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2003. [23]
Sito
Internet: www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/art_pagliaro.htm [24] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 280. [25] Pierdonati M., La proporzione nella difesa legittima: il “momento” e la “base” del giudizio, in Indice penale, 2003, I, nota a pagina 623. [26]
Magri R., Legittima difesa:
proporzionalità tra difesa e offesa, in www.unibg.it,
sito dell’Università di Bergamo; Zaina C.A., La
nuova legittima difesa, cit., 280. [27]
Pierdonati M., La proporzione nella difesa legittima,
cit., nota a pagina 623. [28] Sito Internet del Ministero della Giustizia: http://www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/comm-grosso3-art.htm#t6 [29] Sito Internet: Relazione Grosso – Siciliano – Silvestri in tema di cause di giustificazione: http://www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/5-cause_giustif.htm [30]
Zaina
C.A., La nuova legittima difesa, cit.,
281 s.; Magri R., Legittima difesa,
cit. sito Internet. [31] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 282; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, nota a pagina 1410. [32] Grosso C.F., Voce Legittima difesa in Enciclopedia del diritto, vol. XXIV, 32. [33] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 282 s.; Viganò F., Spunti, cit., 2064. [34] Grosso C.F., Il requisito della produzione non volontaria del pericolo nello stato di necessità e nella legittima difesa in Studi in onore di Francesco Antolisei, vol. II, Giuffrè, Milano, 1965, 63 s. [35]
Sito
Internet della relazione speciale della sotto-commissione Grosso,
Siciliano,
Silvestri sulle cause di giustificazione:
http://www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/5-cause_giustif.htm [36]
Relazione del “ progetto di codice penale
della commissione Nordio”, in Cass.
pen., 2005, 244. [37] Relazione del “ progetto di codice penale della commissione Nordio”, cit., 255. [38] Padovani T., Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida al diritto, 2006, XIII, 55. [39] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 284; Lo Monte E., Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù le mani dal codice Rocco”, in Critica del diritto, 2005, I, 23 s. [40] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 285. [41]
Lo
Monte E., Osservazioni, cit., 25. [42] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 1408; Lo Monte E., Osservazioni, cit., 27. [43]
Pagliaro A., Il reato nel progetto della
commissione Nordio, in Cass. pen.,
2005, 14; Gargani A., Il diritto di
autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59),
in Studium Iuris, 2006, 966. [44]
Padovani T., Una introduzione al progetto,
cit., 2852; Lo Monte E., Osservazioni,
cit., 27. [45]
Marra G., Legittima difesa: troppa
discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 95. [46] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2007 s. [47]
Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2006,
190; Mantovani F., Legittima difesa
comune e legittima difesa speciale, in Riv.
it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 433. [48] Relazione al D.d.l. n. 1899. [49] Intervento del relatore On. Guido Giuseppe Rossi del 28 novembre 2005. [50] Intervento del sen. Gubetti del 19 ottobre 2004. [51] Vedi cap. V di questo lavoro, relativo al requisito della proporzione. [52] Gargani A., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 960 s. [53] Giunta F., Nuovi e vecchi orizzonti per la legittima difesa, in Critica del diritto, 2005, 298; Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 837. [54] Viganò F., Spunti, cit., 2018; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 1049. [55] Militello V., La proporzione, cit., 833. [56] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 190. [57] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 257; Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, la cronaca fa oscillare il confine, in Diritto e Giustizia, 2004, fasc. 32, 57, 65. [58] Cass., n. 20727/2003. [59] Cass., sez. II, 7.7.2004 – 24.9.2004, n. 37960. [60] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 192; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 961. [61]
Cadoppi
A., <Si
nox furtum faxit>,
cit., 1396; Viganò F., Sulla “nuova” legittima
difesa, cit.,
193 s.; Mantovani F., Legittima difesa
comune e legittima difesa speciale, in Riv.
it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 434. [62] Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass. pen., 2006, 3069. [63] Intervento dell’on. Anna Finocchiaro del 23 gennaio 2006. [64] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 296. [65] Intervento dell’on. Perrotta del 25 novembre 2005. [66] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 198. [67] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 199. [68] Intervento del sen. Danieli. [69] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., nota a pagina 200, nota a pagina 231. [70] Interventi del sen. Fassone e sen. Brutti (Ds) del 23 gennaio 2006; Intervento dell’on. Zaccaria (Margherita) del 23 gennaio 2006; Interventi degli on. Pisapia, Soda (Ds) e Fanfani (margherita) del 24 gennaio 2006. [71] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 202; Militello V., La proporzione, cit., 858. [72] Art. 614 c.p.: 1. Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni. 2. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto ad escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. […]. [73]
Mantovani F., Legittima difesa comune,
cit., 435 s.; Cipolla P., Modifica ex l.
n. 59 del 2006 all’art.52 c.p. in materia di diritto all’autotutela in
un
privato domicilio, in Giurisprudenza
di merito, 2006, VI, 1372; Zaina C.A., La
nuova legittima difesa, cit., 274 s.; Gargani A., Il
diritto di autotutela, cit., 968; Siciliano D., Il
pericolo d’aggressione: la legittima
difesa al Senato, in Studium Iuris,
2005, 1120. [74] Cass. pen., sez. V, 26.10.1983, Logiudice, in Giustizia it., 1984, II, c. 462 s., c. 463 [75]
Cass. pen., sez. VI, 10.1.1985, Bassi, in Giust.
pen., 1986, II, c.34. [76]
Pisa
P., La legittima difesa tra Far West ed
Europa, in Diritto penale e processo, 2004, II,
798. [77] Forte G., I nuovi confini, cit., nota a p. 3075. [78] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 968; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 205. [79] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436; Flora G., Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 464; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 205. [80] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 969. [81] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 205; Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 53. [82] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 464; Cipolla P., Modifica, cit., 1372. [83] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436 s.; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 206; Cipolla P., Modifica, cit., 1372. [84] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 464; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 969. [85] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 270 s. [86] Forte G., I nuovi confini, cit., 3076; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 207. [87] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 465. [88] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 970; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 437; Intini A., Legittima difesa, rischi di sproporzione. Quel generico “pericolo di aggressione”, in Diritto e giustizia, 2005, fasc. 34, 112; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 208; Padovani T., Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida al diritto, 2006, XIII, 54. [89] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 971. [90] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., nota a p. 209. [91] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 438. [92]
Gargani A., Il diritto di autotutela,
cit., 972; Padovani T., Un modello di
equilibrio, cit., 56; Flora G., Brevi
riflessioni, cit., 466; Siciliano D., Il
pericolo d’aggressione, cit., 1120. [93] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 210 s. [94] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 209. [95] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 973; Marra G., Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 97; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077. [96] Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 56; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 213; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 438; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 973; Militello V., La proporzione, cit., 852. [97] Intini A., Legittima difesa, rischi di sproporzione, cit., 112. [98] Lo Monte E., Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù le mani dal codice Rocco”, in Critica del diritto, 2005, I, 23; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 217. [99] Intervento del sen. Ziccone del 6 ottobre 2004. [100] Assemblea del Senato, seduta del 6.10.2004, res. sten. n. 668, 21 s. [101] Intervento del sen. Bobbio del 6 Luglio 2005. [102] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 221 s.; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436. [103] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 224. [104] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 463. [105] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 961; Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 52; Cipolla P., Modifica, cit., 1374. [106] Militello V., La proporzione, cit., 838. [107] Marra G., Legittima difesa, cit., 96; Mantovani F., Diritto penale, cit., 441; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Flora G., Brevi riflessioni, cit., 465; Cipolla P., Modifica, cit., 1374. [108] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 434 s.; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 192 s. [109] Gargani A., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 961. [110] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 202 s.; Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 858 s.; Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass. pen., 2006, 3077; Flora G., Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 462 s. [111] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203. [112] Padovani T., Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida al diritto, 2006, XIII, 52, 55; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 965; Per il progetto Nordio, vedi cap. X par. 4 del presente lavoro. [113] Militello V., La proporzione, cit., 856 s.; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Mantovani F., Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 439. [114] Marra G., Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 96. [115] Militello V., La proporzione, cit., 859; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203. [116] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 462, 465; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 202 s.; Militello V., La proporzione, cit., 858; Cipolla P., Modifica ex l. n. 59 del 2006 all’art.52 c.p. in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio, in Giurisprudenza di merito, 2006, VI, 1371; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 964; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 436. [117] Militello V., La proporzione, cit., 858; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 445 s.; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203. [118] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077. [119] Cass. pen., sez.
I, 10.5.2005, n. 17637. [120] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Cipolla P., Modifica, cit., 1371; Amato G., Non c’è il temuto “strappo” nel sistema, in Guida al diritto, 2006, XIII, 61; Marra G., Legittima difesa, cit., 98. [121] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 443; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 438. [122] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077. [123] Marra G., Legittima difesa, cit., 98; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 974; Militello V., La proporzione, cit., 857; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 216; Giunta F., Nuovi e vecchi orizzonti per la legittima difesa, in Critica del diritto, 2005, 299. [124] Militello V., La proporzione, cit., 856 s.; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 444. [125] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 445. [126] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077 s. [127] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 444; Amato G., Non c’è il temuto, cit., 60 s. [128]
Mantovani F., Legittima difesa comune,
cit., 443; Cadoppi A., La legittima
difesa domiciliare (c.d. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e
poco
arrosto, in Diritto penale e processo,
2006, IV, 438. Vedi supra par. 3. [129]
Questione pregiudiziale per motivi di costituzionalità, sito
internet www.camera.it. [130] Vedi cap. V, par. 5 del presente lavoro. [131]
Dolcini E., La riforma della legittima
difesa: leggi “sacrosante” e sacro valore della vita umana, in Diritto penale e processo, 2006, IV,
433; Gargani A., Il diritto di autotutela,
cit., 975; Mantovani F., Legittima difesa
comune, cit., 443; Militello V., La
proporzione, cit., 862; Viganò F., Sulla
“nuova” legittima difesa, cit., 214 s. [132] Siciliano D., Il pericolo d’aggressione: la legittima difesa al Senato, in Studium Iuris, 2005, 1119; Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 56; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 293 s. [133] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 463; Siciliano D., Il pericolo d’aggressione, cit., 1121; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 440; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 975; Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2037 s. [134] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 214, nota a pag. 215; Viganò F., Spunti, cit., 2042; Militello V., La proporzione, cit., 861; Cipolla P., Modifica, cit., 1374; Siciliano D., Il pericolo d’aggressione, cit., 1122. [135] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 463. [136]
Militello V., La proporzione, cit.,
860, 862; Viganò F., Sulla “nuova”
legittima difesa, cit., 206, 218; Cadoppi A., La
legittima difesa domiciliare, cit., 438; Marra G., Legittima
difesa, cit., 96; Vicari A., La rinnovata legittima
difesa. I ragionevoli
dubbi dell’uomo di strada, in Rivista
di polizia, 2006, 374 s.; Forte G., I
nuovi confini, cit., 3076. [137] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 295. [138] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 269. [139] Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 828. [140] Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass. pen., 2006, 3066; Lo Monte E., Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù le mani dal codice Rocco”, in Critica del diritto, 2005, I, 15, 18; Mantovani F., Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 433. [141] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 230; Dolcini E., La riforma della legittima difesa: leggi “sacrosante” e sacro valore della vita umana, in Diritto penale e processo, 2006, IV, 440; Flora G., Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 463; Gargani A., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 975; Cipolla P., Modifica ex l. n. 59 del 2006 all’art.52 c.p. in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio, in Giurisprudenza di merito, 2006, VI, 274. [142] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 433; Forte G., I nuovi confini, cit., 3067. [143] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 230 s. [144] Dolcini E., La riforma, cit., 433; Marra G., Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 95; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 265; Militello V., La proporzione, cit., 850; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 975. [145] Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare (c.d. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e poco arrosto, in Diritto penale e processo, 2006, IV, 440; Forte G., I nuovi confini, cit., 3078; Marra G., Legittima difesa, cit., 97; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 225 s.; Amato G., Non c’è il temuto “strappo” nel sistema, in Guida al diritto, 2006, XIII, 61; Cipolla P., Modifica, cit., 1373 s.; Vicari A., La rinnovata legittima difesa. I ragionevoli dubbi dell’uomo di strada, in Rivista di polizia, 2006, 380 s. [146] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 296 s. [147] Cipolla P., Modifica, cit., 1374. [148] Militello V., La proporzione, cit., 826. [149] Militello V., La proporzione, cit., 850 s. [150]
Cremonesi L., Quella legittima difesa
stile Far West. Cittadino-sceriffo in casa e in azienda, in Diritto e Giustizia, 2005, fasc. XXX,
107; Zaina C.A., La nuova legittima
difesa, cit., 250 s. [151] Militello V., La proporzione, cit., 861; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 228 s.; Forte G., I nuovi confini, cit., 3066. [152] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 437 s. [153] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 227; Marra G., Legittima difesa, cit., 98; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 439. [154] Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 438. [155] Marra G., Legittima difesa, cit., 96; Cipolla P., Modifica, cit., 1373. [156] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 219. [157] Militello V., La proporzione, cit., 853; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 219; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 440; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 975; Marra G., Legittima difesa, cit., 97; Amato G., Non c’è il temuto, cit., 60. [158] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 228; Marra G., Legittima difesa, cit., 98; Cipolla P., Modifica, cit., 1373. [159] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 974. [160] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 445. [161] Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 440; Cipolla P., Modifica, cit., 1375. [162]
Zaina C. A., nota a sentenza Cass. pen., sez. IV, 29.9.2006, n. 32282,
sito
internet www.altalex.com. [163] Cass. pen., sez. IV,
29.9.2006, n. 32282. [164] Cass. pen., sez. I, 23.3.2007, n.
12466. [165]
Zaina C. A., nota a sentenza Cass. pen., sez. I, 23.3.2007, n. 12466,
sito
internet www.altalex.com. [166] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2021 s.; [167] Per una disamina comparatistica cfr: Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 299 s.; Militello V., La proporzione, cit., 841 s. [168] Viganò F., Spunti, cit., nota a pag. 2021; Pisa P., La legittima difesa tra Far West ed Europa, in Diritto penale e processo, 2004, II, 798. [169]
Cass., sez. I, 27.1.1998, n. 967, Giordano, in Cass. pen.,
1999, 156. [170] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 1401. [171] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, 199 s. [172] Viganò F., Spunti, cit., 2070 s. [173] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 1401. [174] Schema di disegno di legge recante delega legislativa [175] Viganò F., Spunti, cit., 2070 s. [176] Viganò F., Spunti, cit., 2058 s.; 2062 s. |
|