Dottrina

Strumenti di tutela esperibili dall'appaltatore avverso il rifiuto di collaudo nell'ambito dell'appalto pubblico

Avv. Francesco Tassone del Foro di Modena

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Nell’ambito della fase esecutiva dell’appalto pubblico si colloca, quale atto necessario, il procedimento di collaudo.
Infatti, ai sensi del regolamento di contabilità generale dello Stato, tutti i lavori e le forniture eseguite in appalto sono soggetti, salvo speciali disposizioni contrarie, a collaudo parziale, ossia in corso d’opera, o finale nei modi stabiliti da singoli regolamenti (art. 121 r.d. 23.5.1924, n. 827), cui compete la determinazione delle procedure di collaudo (art. 123 reg. n. 827 del 1924).
Il collaudo può concludersi con un giudizio negativo circa l’accettabilità dell’opera o della fornitura in conseguenza delle difformità o dei vizi riscontrati in essa. 
In tal caso la commissione di collaudo non rilascerà il certificato di collaudo e farà le sue proposte all’amministrazione.
Qualora questa condivida il giudizio negativo del collaudatore, si ha rifiuto dell’opera o della fornitura.
Nei casi che motivano lo scioglimento anticipato del contratto ed il conseguente provvedimento di risoluzione a richiesta dell’amministrazione, quest’ultima procede con ogni possibile urgenza all’esecuzione in danno del contraente per procurarsi i beni o continuare i servizi oggetto del contratto risolto.
L’amministrazione, cioè, affida a terzi i lavori, le forniture, per la parte non ancora eseguita, o la prosecuzione di servizi con procedura rapida ed in danno dell’impresa.
All’impresa inadempiente è addebitata la maggior spesa sostenuta in eccedenza rispetto a quella prevista per il contratto risolto, che viene prelevata dal deposito cauzionale e, ove questo non sia sufficiente, da eventuali crediti dell’impresa, senza pregiudizio dei diritti dell’amministrazione su altri beni dell’impresa stessa.
Tuttavia, la determinazione dell’amministrazione relativa al rifiuto dell’opera o della fornitura è una soluzione molto grave che dev’essere adottata in casi estremi.
L’art. 102, lett. a), del reg. 25 maggio 1895 (riferito ai lavori pubblici ma estensibile per analogia anche alle pubbliche forniture) la ricollega all’ipotesi che l’opera sia “assolutamente inaccettabile”.
Anche la formulazione dell’art. 1668 cod. civ. autorizza il committente alla risoluzione del contratto solo quando le difformità o i vizi dell’opera siano tali da renderla “del tutto inadatta alla sua destinazione”.
Il rifuto di accettazione dell’opera o della fornitura da parte dell’amministrazione non vincola l’aggiudicatario, il quale ha diritto di dimostrare che l’opera o la fornitura è invece accettabile perchè conforme alle pattuizioni contrattuali ed alle regole dell’arte, ovvero che il rifiuto è misura sproporzionata, essendo sufficiente o la riparazione dei difetti o la riduzione del prezzo.
La determinazione del collaudatore e dell’amministrazione, concernendo in tal caso l’esattezza di un adempimento contrattuale è pienamente censurabile.
Avverso di essa, l’aggiudicatario usufruisce integralmente della tutela giurisdizionale ed il giudice ordinario può spiegare la pienezza dei suoi poteri di controllo e di sindacato, trattandosi di materia relativa a diritti soggettivi perfetti derivanti da contratto.
Può quindi formularsi una prima conclusione: e cioè che tutti gli atti dell’amministrazione relativi al collaudo dei materiali acquistati, in quanto attinenti alla fase di esecuzione del contratto e, in particolare, all’adempimento di obbligazioni contrattuali, pur essendo atti amministrativi, vanno qualificati e valutati secondo i principi enunciati dalle leggi civili, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario o del collegio arbitrale, a seconda dei casi.
Ciò premesso, è importante stabilire se sussista un diritto soggettivo dell’aggiudicatario di ottenere l’accettazione di materiali che non siano perfettamente corrispondenti a quelli pattuiti.
Soccorre sul punto la normativa prevista dal codice civile.
E’ principio generale che nei contratti a prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie esattamente le sue obbligazioni, l’altro può, a sua scelta, chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno (art. 1453 cod. civ.); ma l’eventuale inesattezza non costituisce comunque giusta causa di risoluzione se abbia “scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra” parte (art. 1455 cod. civ.)
In quest’ottica, il venditore è tenuto a garantire “che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore” (art. 1490 cod. civ.); e solo qualora tale immunità non sussista il compratore può domandare la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo (art. 1492 e 1522 cod. civ.).
Pertanto, in base ai principi del codice civile, le cui norme (pur se non cogenti) non possono essere derogate da norme regolamentari, il sistema è il seguente: 1) vizi lievi della cosa o dell’opera, che, non incidendo sull’interesse pratico del destinatario della prestazione, non lo legittimano a chiedere nè la risoluzione per inadempimento nè il risarcimento del danno ma solo l’eventuale riduzione del prezzo; 2) vizi gravi, che incidendo realmente su tale interesse, conferiscono detta legittimazione.
In conclusione, ove sussistano difformità, il problema che si pone al giudice (o al collegio arbitrale) consiste nel determinare, eventualmente sulla base di apposita consulenza tecnica, se lo scarto qualitativo del materiale fornito si mantenga o meno entro i normali limiti di tolleranza.
In caso affermativo, il giudice non può non dichiarare che il rifiuto dell’amministrazione di accettare la prestazione costituisce un vero e proprio inadempimento di obbligazioni contrattuali, salvo il diritto di quest’ultima di ottenere un’equa riduzione del prezzo qualora risulti che la prestazione ad essa fornita abbia un valore o un’utilità minori di quelli risultanti all’atto della stipulazione del contratto.
Inoltre, è appena il caso di rilevare che, avendo il capitolato speciale d'appalto natura negoziale ed essendo ormai unanimemente ammessa l'applicabilità degli art. 1341 e 1342 cod. civ. anche alla pubblica amministrazione, la clausola che legittima l'amministrazione a risolvere unilateralmente il contratto riveste carattere vessatorio e necessita, pertanto, della doppia approvazione per iscritto.
Con riferimento agli appalti pubblici di lavori, la materia è stata, da ultimo,  ridisciplinata dagli artt. 197 e segg. del dpr 554/1999 (regolamento di attuazione della legge Merloni ter), i quali, fra l’altro, prevedono che: “riscontrandosi nella visita di collaudo difetti o mancanze riguardo all’esecuzione dei lavori, tali da rendere il lavoro assolutamente inaccettabile – stabilisce il comma 1° dell’art. 197 del sopracitato dpr – l’organo di collaudo rifiuta l’emissione del certificato di collaudo e procede a termini dell’art. 202”, e cioè, considerando i lavori non collaudabili, informa la stazione appaltante, tramite il responsabile del procedimento e mediante la trasmissione del processo verbale, nonché delle relazioni contenenti le proposte dei provvedimenti di cui all’art. 195 del suddetto dpr, valuta se, a suo parere, l’impresa è da considerarsi negligente o in mala fede.
Se, invece, i difetti e le mancanze rilevati in sede di collaudo siano di scarsa entità, e quindi non tali da determinare i sopra descritti provvedimenti, nonché risolvibili in tempi brevi, l’organo di collaudo prescrive le lavorazioni da eseguire, assegna un termine all’appaltatore e si riserva di rilasciare il certificato di collaudo solo allorquando risulti, previa apposita dichiarazione del direttore dei lavori, confermata dal responsabile del procedimento, che l’appaltatore abbia completamente e regolarmente eseguito le prescritte lavorazioni.
Il 3° comma del suddetto art. 197 prevede, inoltre, l’ipotesi di difetti o mancanze che non pregiudicano la stabilità dell’opera e la regolarità del servizio cui l’intervento è strumentale, stabilendo che, in tal caso, l’organo di collaudo determina, nell’emissione del certificato di collaudo, la somma che deve detrarsi dal credito dell’appaltatore in conseguenza dei difetti riscontrati.
Infine, l’art. 198 disciplina l’ipotesi in cui, in sede di collaudo, siano riscontrate lavorazioni meritevoli di collaudo ma non preventivamente autorizzate, affermando che, in tal caso, l’organo di collaudo sospende il rilascio del certificato di collaudo e ne riferisce al responsabile del procedimento, il quale informa l’ente appaltante per gli opportuni provvedimenti. 
 
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