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Dottrina |
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L’affidamento nei confronti della P.A. di Avv Furian Elisa
Il tema del
legittimo affidamento di un privato nei confronti dell’azione, posta in essere da parte della Pubblica Amministrazione, ha
subito un’evidente evoluzione all’interno del nostro ordinamento,
grazie alla fondamentale opera della giurisprudenza sovranazionale.
Capire se il
privato possa o meno fare affidamento
sull’azione della P.A. è di fondamentale importanza, soprattutto ai fini
risarcitori, nel caso in cui tale affidamento venga deluso.
Il principio del
legittimo affidamento rappresenta l’interesse alla tutela di chi confida
in una certa situazione che si è definita nella realtà giuridica. Affinché tale
condizione possa ottenere tutela è necessario che
origini dall’atteggiamento altrui.
Si tratta di una
tematica che trova punti di contatto con quella, da
sempre discussa in giurisprudenza,
dell’apparenza del diritto. In altri termini, spesso si pone il problema
di capire se si possa accordare tutela a chi fa affidamento su una situazione
che appare conforme al diritto ma che, tuttavia, non lo è.
Non qualsiasi
affidamento, infatti, si può definire legittimo: perché ciò avvenga
è necessario che siano cumulativamente presenti tre elementi.
Il primo è di
natura oggettiva, e consiste nel vantaggio che il terzo consegue dalla
situazione giuridica apparente: tale vantaggio deve essere chiaro ed univoco, e va esercitato attraverso un comportamento
attivo.
In secondo
luogo, occorre che il privato pretenda di difendere un’utilità ottenuta
in buona fede: questo perché l’ordinamento non può accordare tutela ad una situazione giuridica vantaggiosa conseguita, però,
attraverso comportamenti fraudolenti o ingannevoli.
Infine, affinché
l’affidamento possa essere tutelato, è necessario che questo si sia
consolidato nel tempo, ovvero che l’utilità sia
stata conservata per un orizzonte temporale talmente lungo da convincere il
beneficiario della sua stabilità.
Il tema del
legittimo affidamento nei confronti della Pubblica Amministrazione pone la
necessità di contemperare due interessi spesso contrapposti. Da una parte,
quello del privato, che vuole mantenere quel vantaggio che l’azione amministrativa
gli ha garantito; dall’altra parte, quello vantato dalla stessa P.A. alla
realizzazione dei principi di buon andamento ed
imparzialità, a cui deve essere ispirata l’azione amministrativa in base
all’articolo 97 della Costituzione.
In tale tematica, un ruolo fondamentale è stato svolto dalla
giurisprudenza sovranazionale, tanto che oggi il principio del legittimo
affidamento, pur non essendo espressamente contemplato nei trattati
dell’Unione Europea, viene ritenuto un principio cardine del diritto
europeo; in ciò è risultata decisiva l’opera della Corte di Giustizia
(tra le altre Corte di Giustizia,
sentenza
Nel nostro
ordinamento il legittimo affidamento trova origine nella clausola generale di
buona fede. La buona fede è un dovere che impone a qualunque
individuo l’obbligo di comportarsi lealmente nel compimento di atti
giuridicamente rilevanti, in modo da tutelare la posizione del soggetto con cui
si entra in contatto.
Il codice civile
richiama più volte il principio di buona fede: lo fa nell’articolo 1375
con riferimento ai contratti; nell’articolo
Inoltre, secondo
la tesi prevalente, il principio di buona fede troverebbe copertura costituzionale
nell’articolo 2 della Carta fondamentale, nella parte
in cui stabilisce che
La necessità di
tutelare l’affidamento ingenerato dalla propria condotta, costituisce una
delle più importanti applicazioni del principio di buona fede: ne consegue,
pertanto, che il legittimo affidamento non necessita di
copertura legislativa espressa, proprio perché è espressione di uno dei
principi più importanti riconosciuti nel nostro ordinamento.
Una tale
conclusione non è, però, sempre stata così pacifica all’interno del
settore amministrativo. Anzi, la tesi prevalente negava con forza la
possibilità che il privato potesse vantare un legittimo affidamento nei
confronti dell’azione amministrativa che, se disatteso, potesse
garantirgli tutela risarcitoria.
La ragione
principale che conduceva alla negazione del legittimo affidamento del privato,
era la posizione assolutamente sovraordinata della
pubblica amministrazione rispetto al privato stesso.
Si riteneva,
infatti, che
Inoltre, sotto
il profilo della giurisdizione, si faceva fatica ad ammettere un sindacato del Giudice
Ordinario sulla discrezionalità degli atti posti in essere
dalla Pubblica Amministrazione.
Successivamente queste critiche
vennero superate nel momento in cui si ammise che
Quando la
pubblica amministrazione agisce iure privatorum, infatti, si spoglia della discrezionalità
che contraddistingue la sua azione, e si pone allo stesso livello del privato con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo della
responsabilità.
Pertanto, oggi,
è possibile affermare che il privato può vantare una posizione giuridicamente
tutelata di affidamento anche nei confronti dell’azione amministrativa.
Tale principio merita sicuramente protezione in uno Stato di diritto, qual è il
nostro, in cui al cittadino deve essere garantita la possibilità di porre la
sua fiducia nel perdurare di un determinato assetto giuridico vantaggioso
prodotto dalla P.A..
Dopo aver messo in evidenza l’evoluzione giurisprudenziale che
ha portato ad ammettere pacificamente la tutela del legittimo affidamento nei
rapporti tra privati e pubblica amministrazione, occorre adesso soffermarsi
sugli elementi che devono essere presenti affinché possa essere assicurato il
risarcimento.
In primo luogo,
occorre che l’affidamento sia sorto in presenza
di un atto favorevole per il destinatario, in quanto, di fronte ad un atto sfavorevole,
il privato può solo vantare il diritto di agire in sede giurisdizionale per la
sua rimozione. Ciò che è fondamentale sottolineare, è
il fatto che il legittimo affidamento prescinde dalla legittimità o meno
dell’azione amministrativa: in altri termini, il privato ha diritto al
risarcimento del danno subito anche se, per ipotesi, il provvedimento
amministrativo favorevole fosse fin dall’origine illegittimo perché
contrastante con il paradigma normativo previsto dalla legge.
La ratio che giustifica il risarcimento si
riscontra nel fatto che il privato vede tradita la fiducia riposta nella
situazione giuridica formatasi successivamente
all’azione della P.A. e consolidata nel tempo, indipendentemente da ogni
giudizio relativo alla legittimità del provvedimento.
Il secondo
elemento che deve essere presente è quello soggettivo, ovvero
la buona fede del privato: questo significa che la tutela del legittimo affidamento
non è assoluta, e non opera quando l’affidamento è riconducibile ad una
condotta negligente, imprudente o, addirittura, fraudolenta del cittadino o
dell’operatore economico che entra in contatto con
Ciò significa
che, se la situazione di vantaggio è conseguita dal privato attraverso
l’utilizzo di dichiarazioni false o mendaci oppure per il tramite di
comportamenti posti in essere in malafede, non si può
formare quell’affidamento legittimo che giustifica il risarcimento del
danno subito dal privato in seguito alla rimozione del provvedimento da parte
della P.A.
Infine,
l’ultimo tratto distintivo che rende l’affidamento stabile, è
quello cronologico. L’affidamento diventa pienamente tutelabile solo
quando il vantaggio viene mantenuto per un arco di
tempo tale da convincere il beneficiario della sua stabilità e definitività.
Si evidenzia, in
tal senso, come il legislatore non abbia stabilito espressamente un quantitativo minimo di tempo necessario perché si formi il
legittimo affidamento. Ciò significa che il Giudice dovrà dare rilevanza a
quelle che sono le circostanze del caso concreto, per verificare se il lasso di tempo intercorso sia idoneo a fondare la pretesa
risarcitoria del privato.
In sintesi, è
possibile affermare come l’assetto, raggiunto oggi nel nostro ordinamento,
consenta di stabilire un giusto equilibrio tra la pretesa del privato alla
tutela della fiducia, riposta nella situazione giuridica favorevole originata
dal comportamento della P.A., e quella di quest’ultima alla certezza del diritto
e al buon andamento dell’azione amministrativa.
Tale assetto è
stato recepito da una sentenza del TAR Lazio (Tar
Lazio, Roma, sez. I,
La tutela del
legittimo affidamento può essere accordata, però, soltanto a condizione che
siano state fornite all’interessato rassicurazioni
precise, incondizionate, concordanti nonché provenienti da fonti
autorizzate ed affidabili dell’Amministrazione e che tali rassicurazioni
siano state idonee a generare fondate aspettative nel soggetto cui erano
rivolte.
La più
importante tra le conseguenze derivanti dall’ammissibilità della tutela
del principio di affidamento nei rapporti tra privati
e Pubblica Amministrazione, è stato il riconoscimento della responsabilità di
natura pre-contrattuale della P.A.
Si fa
riferimento alla responsabilità che sorge in forza della violazione delle
regole civilistiche che regolano le trattative precedenti alla conclusione del
contratto. In particolare l’articolo 1337 c.c., che impone
l’obbligo di buona fede nelle trattative, e il 1338 c.c. che prevede la
responsabilità di chi, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una
causa di invalidità del contratto, non ne ha dato
notizia all’altra parte che ha confidato, senza sua colpa, nella validità
dello stesso.
Il campo
privilegiato di applicazione della responsabilità pre-contrattuale della Pubblica
Amministrazione è quello delle gare ad evidenza
pubblica: si fa riferimento a quei moduli procedimentali che
In passato si
riteneva che nelle procedure di evidenza pubblica non potesse formarsi un
legittimo affidamento del privato, in considerazione del fatto che le gare
pubbliche sono rette da norme di natura pubblicistica. Oggi, invece, si ritiene
che, dopo l’aggiudicazione della gara, si forma
un assetto di interessi, favorevole all’aggiudicatario, stabile e
pertanto meritevole di tutela.
Sicuramente,
nessun dubbio si pone nell’ammettere la responsabilità pre-contrattuale
della Pubblica Amministrazione se, a seguito dell’individuazione del
contraente, essa interrompe ingiustificatamente le trattative. In questo caso
la responsabilità sorge poiché
Recentemente, la giurisprudenza ha ritenuto che la
responsabilità pre-contrattuale della Pubblica Amministrazione sorga, oltre che
nel caso di recesso ingiustificato dalle trattative, anche nel caso di
violazione di obblighi specificamente imposti dalla legge: ad esempio, quando
Come in tutte le ipotesi di responsabilità pre-contrattuale (ad
eccezione di quella derivante dalla conclusione di un contratto valido ma
dannoso), il danno risarcibile è limitato al cosiddetto interesse negativo: il
privato avrà diritto ad ottenere un risarcimento pari
alla somma delle spese sostenute per prendere parte alle trattative infruttuose,
e ai mancati guadagni per le occasioni contrattuali perdute.
La giurisprudenza ha affrontato anche l’
ipotesi inversa in cui a subire il danno derivante dalla violazione del
principio di buona fede nelle trattative, non sia il privato, ma la stessa
pubblica amministrazione. Ci si è chiesti se in questo caso la pubblica
amministrazione possa ottenere il risarcimento dei danni ex articoli 1337 e
1338 del codice civile.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha evidenziato
che, sebbene gli articoli 103 e 113 della Costituzione siano formulati con
riferimento alla tutela riconosciuta al privato nelle diverse giurisdizioni, da
ciò non deriva affatto che tali tutele siano attivabili esclusivamente dallo
stesso privato. Ciò significa che anche
Sul punto è recentemente intervenuta
Alla luce di ciò, se la pubblica amministrazione riuscirà a
dimostrare la lesione dell’affidamento riposto nelle trattative con il
privato, avrà diritto al risarcimento dei danni subiti.
Un’altra questione particolarmente dibattuta, sorta
dopo il riconoscimento della tutela del legittimo affidamento rispetto
all’azione amministrativa, è quella che concerne l’individuazione
della giurisdizione, civile o amministrativa, sulla domanda con cui il privato
chiede il risarcimento dei danni da provvedimento favorevole ma illegittimo.
Si fa riferimento all’ipotesi
in cui il privato subisce un danno per aver confidato incolpevolmente sulla
legittimità di un provvedimento amministrativo a lui favorevole,
successivamente annullato in sede giurisdizionale o in autotutela dalla stessa
pubblica amministrazione.
Sul punto si è assistito ad uno
scontro tra due tesi sostenute autorevolmente, da una parte dalla
giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato e, dall’altra, dalla
giurisprudenza ordinaria della Corte di Cassazione.
La tesi tradizionale espressa dalla
giurisprudenza (consacrata nelle storiche ordinanze gemelle della Cassazione
numeri. 6594, 6595 e 6596 del 2011) riteneva che una tale domanda andasse proposta di fronte
al Giudice Ordinario e non a quello Amministrativo. Il punto nevralgico di tale
tesi era costituito dall’affermazione secondo cui, il danno sofferto dal
privato non deriva dal provvedimento amministrativo, ma dal comportamento della
pubblica amministrazione che ha ingenerato un legittimo affidamento in
quest’ultimo, frustrato successivamente dall’annullamento.
In altri termini, il provvedimento non costituisce la fonte
del danno, ma soltanto il mezzo attraverso cui si esplicita
l’azione amministrativa che lede
la legittima aspettativa del privato.
Poiché, come noto, la giurisdizione amministrativa è esclusa
in caso di danno conseguente ad un “mero
comportamento” della pubblica amministrazione, la giurisprudenza civile
prevalente ha da sempre concluso nel senso di radicare la giurisdizione di tali
controversie in capo al Giudice Ordinario.
La tesi in esame sembrava confermare la giurisprudenza
espressa dalla Corte Costituzionale nelle storiche sentenze 204 del 2004 e 161
del 2006 sul tema relativo alla perimetrazione
della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.
Rientrano, invece, nella giurisdizione ordinaria le
controversie che riguardano i “meri comportamenti “ della P.A., quali
sono quelli che deludono il legittimo affidamento del privato in seguito
all’annullamento di un provvedimento favorevole precedentemente
emanato.
Le Sezioni Unite sono state, però, fortemente criticate dalla Giurisprudenza Amministrativa, secondo cui
la tesi in precedenza esposta non può essere accettata perché confonde i piani
dell’interesse leso e della situazione giuridica fatta valere.
Secondo questo orientamento, il
dovere di lealtà e correttezza della pubblica amministrazione (che si sostanzia
nel dovere di non ingenerare falsi affidamenti e di non tradire ragionevoli
aspettative) non è un’autonoma situazione giuridica, ma si differenzia a secondo
del comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione.
Qualora quest’ultima derivi da un’azione in cui
Se, invece,
Sulla questione sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite
della Corte di Cassazione nel 2015 (Cass. SS.UU.,
Con tale pronuncia,
Si è nuovamente evidenziata la diversità tra il contenuto del
diritto che il privato vuol far valere con la sua richiesta e
l’illegittimità del provvedimento emanato.
In altri termini, l’illegittimità del provvedimento
non provoca alcuna lesione al privato fino al momento in cui il provvedimento
stesso non viene annullato dalla pubblica amministrazione
in sede giurisdizionale o in autotutela. Il privato non lamenta, infatti, un
danno da “ingiusto svolgimento dell’azione amministrativa”,
ma dalla lesione del suo diritto all’integrità patrimoniale.
Quest’ultimo ha diritto al risarcimento per i danni
derivanti dalle scelte compiute in conseguenza del legittimo affidamento in cui
è incorso in seguito al provvedimento emanato dalla pubblica amministrazione.
Essendo un diritto soggettivo, quest’ultimo sarà
azionabile, ex articolo 2043 del codice civile, esclusivamente di fronte al Giudice
Ordinario.
Recentemente il Consiglio di Stato con la pronuncia n. 3997
del
Infine, è necessario evidenziare come, se da una parte, il
principio del legittimo affidamento non abbia ancora ottenuto un espresso
riconoscimento legislativo, dall’altra parte, sia innegabile che diverse norme di legge siano ispirate a tale principio.
Si fa, in particolare, riferimento a quelle previste in tema di autotutela
decisoria dalla legge 241 del 1990.
L’autotutela rappresenta il potere della pubblica
amministrazione di riesercitare il potere, attraverso l’emanazione di un
provvedimento di secondo grado, pur di raggiungere il fine pubblico volta per
volta stabilito dalla legge. In questo modo la pubblica amministrazione può
autonomamente ritornare sulle scelte effettuate senza dover necessariamente ricorrere
in sede giurisdizionale.
Naturalmente, questo potere può determinare dei pregiudizi
nei confronti dei privati che hanno fatto affidamento sulla situazione
giuridica determinata del provvedimento di primo grado. Questo è il motivo per
cui la legge impone alla pubblica amministrazione di tenere adeguatamente conto
di questi interessi nel momento in cui riesercita i suoi poteri.
In primo luogo, si può richiamare l’articolo 21 octies,
nella parte in cui afferma che l’annullamento d’ufficio di un
provvedimento amministrativo può avvenire per ragioni di interesse pubblico, ma
solo se esercitato entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati.
Allo stesso modo l’art. 21 quinquies, in
caso di revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ovvero nel caso
di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento
dell’adozione del provvedimento, impone alla pubblica amministrazione di
indennizzare i pregiudizi sofferti dagli interessati in conseguenza
dell’adozione del provvedimento di secondo grado.
Con una recente sentenza del 2017 (la
numero 1364/2017) il Consiglio di Stato
si è pronunciato sulla natura del danno da mancata aggiudicazione di una
procedura di gara, mettendo, anche, in evidenza i presupposti per la
configurabilità della responsabilità precontrattuale della pubblica
amministrazione. Viene ribadito quello che appare essere
l’orientamento ormai pacifico in giurisprudenza, ovvero quello che
ammette che anche la pubblica amministrazione può essere chiamata a risarcire i
danni subiti dal privato per la lesione del suo legittimo affidamento nella
conclusione positiva delle trattative.
Secondo il Consiglio di Stato la responsabilità da mancata
aggiudicazione è riconducibile al paradigma dell’illecito
extracontrattuale previsto dall’articolo 2043 del codice civile. Si
tratta di una problematica riconducibile al tema del risarcimento dei danni da
illegittimità provvedimentale della
pubblica amministrazione.
In altri termini, quando un concorrente subisce un danno
derivante dalla impossibilità di conseguire
un’aggiudicazione che, invece, gli sarebbe spettata, la pubblica
amministrazione dovrà rispondere in base alla disciplina della responsabilità aquiliana. Attraverso questa forma di responsabilità viene risarcito per equivalente l’utile che il
danneggiato avrebbe ricavato dall’esecuzione del contratto di cui è stato
illegittimamente privato.
Il danneggiato, al fine di conseguire il risarcimento, dovrà
dare la prova: a) dell’illegittimità posta in
essere dalla pubblica amministrazione nella fase di gara; b) del fatto che, in
assenza di questa illegittimità, si sarebbe aggiudicato il contratto. Non
dovrà, invece, provare la colpa della pubblica amministrazione come più volte
ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Il Supremo Consesso della Giurisdizione Amministrativa si è
soffermato anche sulla natura della responsabilità precontrattuale in cui può
incorrere la pubblica amministrazione, in violazione degli articoli 1337 e 1338
del codice civile, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del
contratto.
A differenza della responsabilità da mancata aggiudicazione,
nel caso di responsabilità precontrattuale il danneggiato ha l’onere di
dimostrare anche la colpa della pubblica amministrazione, nonché
la lesione del suo legittimo e incolpevole affidamento in ordine alla positiva
conclusione delle trattative pre-negoziali.
Viene richiamata la più recente giurisprudenza del Consiglio di
Stato (Consiglio di Stato 1142 del 2015) secondo cui i presupposti della
responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione consistono
nell’affidamento ingenerato dal comportamento della Stazione Appaltante
sull’esito positivo delle trattative e nell’assenza di una giusta
causa per l’inattesa interruzione delle stesse.
Sotto il profilo dei danni risarcibili si riscontrano
profonde differenze tra le due responsabilità. Mentre per i danni da mancata
aggiudicazione essi sono parametrati
al cosiddetto interesse positivo e consistono nell’utile netto ricavabile
dal contratto, nel caso della responsabilità precontrattuale, i danni sono
limitati all’interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure di
evidenza pubblica nelle spese inutilmente sostenute per parteciparvi e nella
perdita di occasioni di guadagno alternative.
In conclusione, è possibile affermare come oggi, soprattutto
grazie all’intervento della giurisprudenza europea, il principio del
legittimo affidamento costituisca una regola generale
anche nei rapporti tra l’amministrazione ed il privato cittadino.
La sua violazione può essere sindacata sotto il profilo
dell’eccesso di potere da parte del giudice, e
può condurre al risarcimento del privato. Naturalmente ciò non significa che
l’ordinamento tuteli qualsiasi affidamento, ma solo quello legittimo, ovvero quello che si forma in presenza dei requisiti
espressamente stabiliti dalla giurisprudenza (provvedimento favorevole, presenza
della buona fede e elemento cronologico).