La
giurisdizione del giudice ordinario
LUGLIO 2009
di
Andrea cremona Avvocato del Foro di Piacenza
sommario:
1) I limiti esterni alla giurisdizione dell’A.G.O.; 1.1) Criteri di
riparto della giurisdizione; 1.2) Questioni di interesse legittimo affidate eccezionalmente
all’A.G.O.; 2) I limiti interni alla giurisdizione dell’A.G.O.;
2.1) Tendenze evolutive; 2.2) Le controversie in materia di iscrizione in
albi professionali; 3) Azioni ammissibili nei confronti della pubblica
amministrazione; 3.1) Azioni possessorie; 3.2) Azioni possessorie ed
espropriazione per pubblico interesse; 3.3) Aspetti particolari; 3.4) Azioni
quasi possessorie; 3.5) Provvedimenti di urgenza; 4) La disapplicazione degli
atti amministrativi da parte del giudice civile; 4.1) configurazione
dell’istituto.
1.I limiti esterni alla giurisdizione del
giudice ordinario.
L’attuale sistema di giustizia
amministrativa affida la giurisdizione nelle cause contro la PA, sia ai giudici ordinari
sia ai giudici amministrativi, pariordinati e paralleli ai primi. Le ragioni
di una tale differenziazione risiedono nella diversità di natura giuridica
delle situazioni soggettive che i cittadini possono vantare verso
l’amministrazione.
L’art. 2 legge n° 2248 all. E del
1865 attribuisce all’A.G.O. la
giurisdizione sui diritti civili o politici , cioè su diritti soggettivi
riconosciuti da norme di diritto privato o di diritto pubblico. L’art. 3 del R. D. n° 5992 del 1889
attribuisce, invece, all’ A.G.A.
la giurisdizione su interessi di
individui od enti, attualmente conosciuti come interessi legittimi.
Il sistema brevemente descritto venne
riconosciuto e rafforzato dalla stessa Costituzione. L’art. 24 assicura
la tutela giurisdizionale di tutti i diritti soggettivi soggettivi ed
interessi legittimi senza riservare alla PA alcuna posizione di favore e
l’art. 113 impone che nei confronti di ogni atto amministrativo sia
offerta tutela, senza alcuna limitazione od esclusione, demandando alla legge
la potestà di individuare l’autorità giurisdizionale competente ad
annullare gli atti amministrativi. L’art. 103 prevede che gli organi di
giustizia amministrativa possano, in particolari materie, conoscere di
diritti soggettivi e l’art. 125 prevede l’istituzione, pienamente
attuata solo dalla legge n° 1034 del 6/12/71, di organi di giustizia
amministrativa di primo grado presso ogni Regione. Infine l’art. 111
ammette il ricorso in Cassazione per violazione di legge nei confronti delle
sentenze di primo grado dei giudici amministrativi, mentre contro quelle del
Consiglio di Stato ciò è consentito per i soli motivi inerenti alla
giurisdizione.
Il sistema di giustizia amministrativa
che è stato brevemente delineato è spesso indicato con il termine doppio binario di giurisdizione,
infatti l’operazione preliminare necessaria alla tutela giurisdizionale
delle posizioni giuridiche del privato nei confronti della PA è quella di
individuare il giudice competente a conoscere della controversia.
1.1 I criteri di riparto della giurisdizione
Uno dei primi criteri di riparto della
giurisdizione è noto con il nome di teoria
della prospettazione. Senza dubbio influenzata dal tenore letterale
dell’art. 2 L.A.C.
(legge n°2248 all. E 1865 abolitrice del contenzioso amministrativo), la
teoria in esame sostiene che quando il privato faccia questione di diritti soggettivi, la giurisdizione spetta
al giudice ordinario; quando invece, sulla base delle affermazioni
dell’istante, risulti che la posizione giuridica azionata è di
interesse legittimo, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo.
Attualmente si tratta di una tesi
superata. La posizione oggi prevalente in dottrina ed in giurisprudenza fonda
il riparto di giurisdizione non sulla prospettazione del ricorrente, ma sulla
effettiva natura giuridica della situazione soggettiva di cui lo stesso è
titolare.
Una volta chiarito ciò, tuttavia, i
problemi non sembrano terminati. Infatti numerose teorie si sono succedute
nel tempo, al fine di stabilire quando ci si trovi in presenza di un diritto soggettivo
o di un interesse legittimo (per un esame approfondito della complessa
problematica cfr. cap. Criteri differenziali fra interesse legittimo e
diritto soggettivo).
Ai fini della presente indagine è utile
limitarsi ad analizzare il criterio di riparto che si è recentemente
affermato in giurisprudenza, fondato sui concetti di carenza di potere e
cattivo uso di potere. La carenza di
potere allude alle ipotesi nelle quali la PA agisce in assenza di una norma di legge che
la autorizzi ad incidere sulle posizioni giuridiche dei privati. In tali
evenienze non si realizza l’affievolimento del diritto soggettivo ad
interesse legittimo: gli atti eventualmente emanati sono da considerarsi
nulli e, dunque, non produttivi di effetti. La giurisdizione compete al
giudice ordinario.
Quando invece la PA esercita un potere che la
legge le ha attribuito, violando le regole che ne disciplinano
l’esercizio, si verte in un’ipotesi di cattivo uso di potere. Gli atti emanati non saranno nulli, ma
semplicemente illegittimi e, come tali, ugualmente efficaci ed idonei ad
affievolire i diritti del privato con i quali interferiscono. In tal caso la
giurisdizione compete al giudice amministrativo.
Recentemente le posizioni testè
riferite sono state oggetto di una profonda rivisitazione ad opera della
giurisprudenza della Cassazione. Si è sostenuto, infatti, che la PA è in carenza di potere sia
laddove, in astratto, questo non
esista - come quando venga erroneamente esercitata una competenza non
prevista dalla legge - sia allorchè il potere stesso debba considerarsi
inesistente nel caso concreto, a causa
del fatto che l’Autorità procedente non ha rispettato i presupposti e
le condizioni poste dalla legge per l’esercizio del potere stesso
(Cass. Civ. Sez. Un. 17/6/88 n° 4116).
La giurisprudenza amministrativa,
invece, è fortemente critica riguardo alla distinzione di cui sopra; essa
sostiene infatti che “una volta verificato che il potere è stato
attribuito e che il provvedimento ne è espressione, ogni eventuale violazione
di regole dell’ordinamento costituisce violazione di legge, la quale,
come è noto, costituisce un vizio di legittimità dell’atto
autoritativo, che per sua natura incide su interessi legittimi” (C.d.S.
sez. IV 30/11/92 n°990).
Uno dei terreni in cui le sopra
riferite teorie si sono confrontate in modo più acceso era costituito dal
riparto di giurisdizione in materia espropriativa, ed in particolare dalla
tutela avverso la dichiarazione di pubblica utilità mancante dei termini per
l’inizio ed il compimento dell’opera pubblica. Per i giudici
amministrativi si tratterebbe di un’ipotesi di illegittimità, mentre
per la Cassazione
la dichiarazione in questione deve considerarsi nulla e, quindi, lesiva di un
diritto soggettivo (Cass. Civ. Sez. Un. 17/6/88 n° 4116 cit.). Secondo i
primi, dunque, la giurisdizione sarebbe spettata al giudice amministrativo,
mentre opposta era la soluzione sostenuta dai secondi.
Oggi la problematica è superata
dall’intervento del legislatore: in forza dell’art. 34 del
decreto legislativo N. 80 del 1998, come sostituito dall'art. 7 della legge
n. 205 del 2000, sono oggi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie aventi per oggetto gli atti, i
provvedimenti e i comportamenti della pubblica amministrazione e dei soggetti
alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia. Specifica inoltre
la norma in argomento che la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti
dell’uso del territorio.
La giurisprudenza ha avuto modo
di chiarire che le norme di cui agli art. 80, 81, 106 d.P.R. n. 616 del 1977
e la Carta
costituzionale (art. 42 e 117) distinguono la materia urbanistica e quella
delle espropriazioni, operando così una netta distinzione fra i due concetti.
L’espropriazione, tuttavia, in sè considerata non è una materia, nè un
settore dell'urbanistica, ma uno strumento di cui la p.a. si avvale per
l'esercizio della funzione amministrativa, funzionale alla realizzazione
dell'interesse pubblico e, quindi, anche dell'assetto urbanistico riprodotto
nei piani regolatori. Ne risulta la concentrazione delle controversie presso
un unico giudice, salvo che le stesse vertano in tema di indennità
espropriative, che espressamente il terzo comma dell’art. 34 del
decreto legislativo N. 80 del 1998
ha lasciato affidate al giudice ordinario (Cons.
Stato, Sez.VI, 10/10/2002, n. 5443).
1.2 Questioni di interesse legittimo affidate
eccezionalmente all’ A.G.O.
Occorre inoltre precisare che il
giudice ordinario, in determinate materie tassativamente indicate dalla
legge, ha potestà giurisdizionale anche in materia di interessi legittimi,
talvolta con eccezionali poteri di intervento caducatorio e modificatorio
sull’atto amministrativo. Ciò
non è in contrasto con il dettato dell’art. 113 Cost., che affida al
legislatore la scelta di quale giudice possa essere in grado di annullare gli
atti amministrativi.
Il caso più importante è previsto dalla
legge n° 689 del 1981 che disciplina il giudizio di opposizione al Giudice
contro le ordinanze ingiunzione con le quali la PA commina sanzioni di carattere
amministrativo. Si tratta di una giurisdizione in unico grado, in quanto la sentenza del Giudice
non è appellabile, ma solo ricorribile in Cassazione per violazione di legge,
salvo diversa disposizione di legge.
I poteri attribuiti al Giudice sono
molto ampi: egli può annullare l’ordinanza ingiunzione per motivi di
legittimità, allorchè ricorrano vizi di forma, di procedura e di competenza,
ai sensi degli artt. 22 e seguenti
della legge n°689 del 1981. Può inoltre modificare la stessa in
relazione alla misura della pena irrogata ed alla sua proporzionalità
rispetto al fatto commesso, ingerendosi nelle scelte di merito della PA.
Secondo la giurisprudenza, inoltre, il giudice può conoscere incidentalmente
del provvedimento presupposto dell’ordinanza ingiunzione e, qualora lo
ravvisi illegitimo, può disapplicarlo. Si è sostenuto che nel procedimento di
opposizione avverso ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria
per esercizio della caccia senza regolare autorizzazione, deve riconoscersi
al giudice ordinario - munito di competenza giurisdizionale a tutela del
diritto soggettivo dell'opponente di non essere sottoposto al pagamento di
somme all'infuori dei casi espressamente previsti - il potere di sindacare
incidentalmente ai fini della disapplicazione gli atti amministrativi che
costituiscono il presupposto di quella ordinanza, quali il regolamento
deliberato dal Comitato provinciale della caccia. Tale sindacato può
ritenersi precluso per la mancata previa impugnazione, innanzi al giudice
amministrativo, dell'atto presupposto, ove la relativa potenzialità lesiva si
sia attualizzata solo con l'adozione dell'atto presupponente che chiude la
sequenza procedimentale (Cass. civ., Sez.un., 29/04/2003, n.6627). A ciò si
aggiunge la titolarità di poteri istruttori ufficiosi che consentono di
disporre ogni mezzo di prova che si ritenga idoneo all’accertamento
della sussistenza del fatto, nonchè di eventuali circostanze aggravanti od
attenuanti o di cause di giustificazione, ai sensi dell’art. 24 della
legge n°689 del 1981. Il giudice inoltre ha il potere - dovere di esaminare
l'intero rapporto, con cognizione che non è limitata alla verifica della
legittimità formale dell'atto, ma si estende - nell'ambito delle deduzioni
delle parti - all'esame completo del merito della pretesa fatta valere con
l'ingiunzione, per stabilire se essa sia fondata o no e se lo sia in tutto o
in parte, e in tale cognizione rientra anche la determinazione dell'entità
della sanzione, secondo i criteri stabiliti dall'art. 11 della legge, con
apprezzamento discrezionale insindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici (.Cass. civ.,
Sez.I, 16/04/2003, n.6020).
Ulteriori casi di giurisdizione del
giudice ordinario su interessi legittimi sono altresì presenti in varie leggi
speciali. Di rilievo sono i reclami alla Corte d’Appello di Roma contro
le sanzioni del Ministro del Tesoro,
conseguenti alle violazioni della legge bancaria, previsti dalla legge n°385
del 1993; importanti sono i ricorsi al Tribunale da parte delle imprese di
assicurazione contro le sanzioni comminate dal Ministro dell’Industria,
previsti dalla legge n° 449 del 1959; da segnalare,inoltre, i ricorsi al
Tribunale avverso le sanzioni disciplinari irrogate dal Consiglio nazionale
dell’Ordine dei Giornalisti, previsti dalla lege n°69 del 1963.
Parte della dottrina, inoltre, ritiene
che altri casi di giurisdizione del giudice ordinario, estesa agli interessi
legittimi, siano costituiti dai giudizi in tema di iscrizioni agli albi
professionali. La giurisprudenza, tuttavia, ha sempre affermato la presenza,
in tali ipotesi, di diritti soggettivi (Cass. Civ. Sez. Un. 7/10/83 n°5837; C.d.S. sez.VI 7/8/87
n°555).
2.
I limiti interni alla giurisdizione dell’A.G.O.
Una volta accertata la presenza di
diritti soggettivi e la conseguente giurisdizione del giudice ordinario, occorre stabilire il
complesso di poteri che la legge riserva a quest’ultimo, all’interno
della sfera di potestà giurisdizionale riconosciutagli.
L’art. 4 L.A.C. afferma che il G.O.
conosce degli effetti dell’atto solo in relazione all’oggetto del
giudizio, inibendo allo stesso la possibilità di adottare statuizioni su atti
amministrativi che assumano efficacia erga
omnes. Inoltre il medesimo articolo vieta al G.O. di revocare o di
modificare gli atti della PA, riservando a quest’ultima tali
operazioni, in sede di osservanza del
“giudicato dei Tribunali, per quanto riguarda il caso
deciso”.
L’opinione più risalente, sulla
base della convinzione che l’articolo esaminato fosse stato dettato non
solo a tutela dei privati, ma anche a garanzia della sfera di potestà
amministrativa spettante alla PA, giunse a sostenere che il giudice ordinario
non potesse emettere sentenze di condanna ad un facere specifico nei confronti di questa, né sentenza costitutive incidenti su atti
amministrativi, in quanto ciò avrebbe comportato un’invasione della
sfera di attribuzioni riservata dalla legge all’amministrazione. Erano
invece pacificamente considerate ammissibili sentenze di carattere
dichiarativo e di condanna al pagamento di somme di denaro, fra cui
spiccavano le condanne al risarcimento dei danni causati dalla PA. Deve
aggiungersi una limitata possibilità di condanna ad un facere, riconosciuta nei casi in cui questo fosse stato
fungibile: ne veniva incaricato un terzo a spese dell’amministrazione,
che veniva condannata al pagamento della relativa somma.
2.1. Tendenze evolutive
L’orientemento evidenziato sopra
ha tuttavia ceduto il passo ad una diversa impostazione che nel corso del
tempo si è affermata in giurisprudenza. La tendenza di fondo è quella di
ritenere operante il complesso di limiti di cui all’art. 4 L.A.C. solo in presenza di
sfere di potere pubblicistico. Il quadro delle azioni e delle sentenze
ammissibili nei confronti della PA sembra dunque sensibilmente ampliato. Più
precisamente è stato ritenuto che i limiti di cui all’art. 4 L.A.C. non operano:
a) nei casi di attività svolta dalla PA iure privatorum (Cass. Civ. Sez. Un.
5/7/74 n°1945) e nei casi di attività negoziale (Cass. Civ. Sez. Un. 21/6/75
n°2486), dato che, in simili fattispecie, l’amministrazione opera su di
un piano di parità rispetto ai privati;
b) nei casi di attività amministrativa
lesiva di diritti costituzionalmente garantiti
ed isuscettibili di affievolimento, quali il diritto alla salute ed
all’ambiente salubre: come si è detto, infatti, è da escludere che
l’amministrazione possa considerarsi dotata del potere di incidere
autoritativamente su tali posizioni giuridiche (Cass. Civ. Sez. Un. 20/2/92 n°2092);
c) nei casi di attività materiale svolta sine titulo o di atti che, pur se
qualificabili formalmente e sostanzialmente come amministrativi, siano stati
emessi in totale carenza di potere e, quindi, siano da considerarsi
inesistenti o nulli (Cass. Civ. Sez. Un. 23/6/89 n°2994).
Sulla base di quanto osservato, dunque,
ciò che è inibito al giudice ordinario non deve essere ricercato in base ad
aprioristiche massime generali. Occorre tenere invece presente la realtà
concreta e riconoscere la piena operatività dei limiti di cui all’art. 4 L.A.C. ogni volta che la pronunzia richiesta al
giudice sia idonea ad interferire con aree di potere funzionale: in simili
fattispecie si realizzerebbe un’inammissibile sostituzione
dell’autorità giudiziaria nella cura e gestione dell’interesse
pubblico e, pertanto, l’ordinamento esige che il giudice si limiti ad
emettere sentenze di carattere dichiarativo e di condanna al pagamento di
somme di denaro. Nelle ipotesi di cui ai punti a), b) e c), invece, ogni
genere di sentenza e di azione è ammissibile, poichè la
PA non agisce in veste autoritativa, oppure agisce al di
fuori dei casi in cui l’ordinamento attribuisce autoritatività ai sui
atti, non determinandosi alcuna
invasione di sfere di potere pubblicistico riservato.
Accanto alla rilevanti aperture della
giurisprudenza, è importante segnalare il significativo intervento del
legislatore, che, con la legge n°146 del 1990, ha modificato
l’art. 28 dello Statuto del lavoratori, attribuendo al giudice
ordinario importanti poteri di condanna
della PA a tenere comportamenti implicanti un facere specifico ed infungibile (cfr. cap. “La tutela
sindacale nel pubblico impiego).
Sul versante delle sentenze di
carattere costitutivo incidenti su atti amministrativi, a fronte della loro
generale inammissibilità, devono registrarsi ipotesi eccezionali in cui il
giudice può annullare atti amministrativi: ciò è consentito in materia
matrimoniale (artt. 117 e seguenti
cod. civ.), di stato civile (art.454 cod. civ.), in materia
elettorale, di passaporti, di edilizia residenziale pubblica e di ordinamento
della professione di giornalista.
2.2. Le controversie in materia
di iscrizione negli albi professionali.
Nulla cambia rispetto al
precedente capitolo
3. Azioni ammissibili nei coinfronti della pubblica amministrazione.
L’evoluzione giurisprudenziale
che ha interessato l’art. 4
L.A.C. ha portato ad un notevole ampliamento delle
azioni esperibili nei confronti della PA, non solo per quanto concerne il
processo di cognizione, ma anche con riferimento ai giudizi di natura
cautelare od a cognizione sommaria. In generale possiamo affermare che i
nuovi traguardi raggiunti hanno evidenziato una serie di ipotesi nelle quali
sarebbe possibile esperire nei confronti della PA azioni tradizionalmente
ritenute non proponibili.
3.1.
Azioni possessorie.
In conseguenza del fatto che le azioni
possessorie tendono ad una sentenza che comporta la condanna ad un facere specifico ed infungibile a
carico della PA, la giurisprudenza tradizionale le ha sempre ritenute
inammissibili. L’esito del giudizio possessorio può infatti terminare
con una condanna al rilascio del bene del quale si è conseguito
clandestinamente o violentemente il possesso.
Recentemente tuttavia la giurisprudenza
ha mutato indirizzo: le azioni in esame sono state ritenute ammissibili nei
casi in cui la PA
si sia impossessata di un bene iure
privatorum, oppure con attività di carattere materiale, posta in essere sine titulo, oppure, infine, con atti
adottati in carenza di potere e, quindi, inesistenti (Cass. civ., Sez. Un.,
17/04/2003, n.6189; Cass. Civ. Sez. Un.
23/6/89 n°2994 cit.; Cass. Civ. Sez. Un. 13/4/88 n° 2914; Pret. Monza
28/2/87).
3.2. Azioni possessorie ed espropriazione per pubblico
interesse
Il problema dell’esperibilità
della tutela possessoria avverso la
PA si è posto con particolare intensità nell’ambito
delle controversie in materia espropriativa. Ferme restando le conclusioni
cui si è pervenuti sopra, occorre coordinare queste ultime con i principi che
la giurisprudenza ha elaborato in tema di occupazione appropriativa o sine titulo e con le recenti modifiche
introdotte in tema di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
materia di urbanistica ed espropriazione per pubblica utilità.
In generale, prima delle modifiche
introdotte con dell’art. 34 del decreto legislativo N. 80 del 1998,
come sostituito dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000, si riteneva che ove la PA avesse espropriato
l’immobile privato sine titulo
o con atti adottati in carenza di potere, era concesso al privato di
ricorrere al G.O. in sede possessoria. Si sosteneva, tuttavia, che siccome la PA diventa proprietaria a
titolo originario dell’immobile abusivamente occupato, allorchè sia
realizzata su questo una trasformazione irreversibile, conseguente alla
destinazione del fondo alla costruzione di un’opera pubblica (Cass.
Civ. Sez. Un. 26/2/83 n°1464; Cass. Civ. Sez. Un. 25/11/92 n°12546),
l’azione possessoria poteva essere validamente esperita solo
nell’arco di tempo che intercorreva fra l’occupazione abusiva e
l’inizio della trasformazione del fondo. Realizzata quest’ultima,
infatti, il terreno passa in proprietà della PA ed il privato non può agire
né in possessorio, né in petitorio, residuandogli la sola azione risarcitoria
(Cass. Civ. Sez. Un. 1/3/89 n°1136).
Con la richiamata modifica legislativa
oggi tale problema si pone in modo parzialmente diverso sia quanto alla
giurisdizione sia quanto al complesso dei poteri del giudice nei confronti
dell’amministrazione.
Sotto il primo profilo si afferma che,
in base all'art. 34 del decreto legislativo N. 80 del 1998, come sostituito
dall'art. 7 della legge N. 205 del 2000, sono devolute alla giurisdizione
amministrativa esclusiva in materia urbanistica le controversie riguardanti
gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti in materia di occupazione ed
espropriazione, nozione a cui è riconducibile la controversia volta
all'accertamento dell'irreversibile trasformazione dei terreni di proprietà
privata a seguito della realizzazione di un’opera pubblica ed alla
consequenziale pretesa risarcitoria da quantificare secondo i criteri del
comma 7 bis dell'art. 5 bis d.l. 11 luglio 1992 n. 333, come convertito in
legge dalla l. 8 agosto 1992 n. 359 (T.A.R. Toscana, Sez. I, 09/09/2002,
n.1889).
Per quanto concerne il secondo
aspetto, si sostiene che l’azione possessoria appartiene oggi alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di
espropriazione per pubblica utilità. Essa giurisdizione non si limita al
giudizio di annullamento del provvedimento amministrativo, ma si estende al
sindacato sul rapporto tra privato ed amministrazione nella sua portata più
ampia, comprensivo anche dei comportamenti materiali nei quali si risolve la
c.d. occupazione acquisitiva (Cons. Stato, Sez.IV, 09/07/2002, n. 3819). In
sede di giurisdizione esclusiva, infatti, il giudice amministrativo conosce
tanto di diritti quanto di interessi legittimi ed i poteri di cui dispone
sono per molti versi parificabili a quelli che la giurisprudenza riconosceva
un tempo al giudice ordinario (per un esame approfondito della problematica
si veda il cap. “La giurisdizione esclusiva”).
3.3. (segue) aspetti particolari.
Un aspetto che merita approfondimento
riguarda l’esercizio dell’azione possessoria nelle liti fra
privati, quando la controversia si riferisca al possesso di beni pubblici. A
norma dell’art. 1145, 2° comma cod. civ. “....nei rapporti fra
privati è concessa l’azione di spoglio rispetto ai beni appartenenti al
pubblico demanio ed ai beni delle province e dei comuni soggetti al regime
dei beni del demanio pubblico”. Per la lettura di tale norma occorre
chiarire che il 1°comma dell’articolo in esame afferma che il possesso
è senza effetto se ha ad oggetto cose di cui non si può acquistare la
proprietà, fra cui figurano i beni del demanio pubblico e del patrimonio
indisponibile. Ciò significa che il possesso è privo di effetti ai fini
dell’usucapione, e non anche che tale situazione di fatto sia priva di
rilevanza ad altri fini. In particolare le esigenze di pace e di tranquillità
sociale che inducono il legislatore a tutelare il possesso, come situazione
di fatto, sono state salvaguardate anche nei casi in cui il possesso sia
esercitato su beni pubblici, proprio accordando l’azione di spoglio al
possessore.
Si può pertanto affermare che il
possesso di un bene pubblico da parte di un privato resta privo di rilevanza
nei confronti della PA, sia nel senso che tale situazione di fatto non
porterà mai all’usucapione del bene, sia nel senso che il privato non
potrà validamente opporre la sua situazione possessoria alla PA, che intenda
servirsi del bene o ristabilire sullo stesso una forma di signoria. Al
contrario, nei rapporti interprivati, il possesso torna ad assumere rilevanza
ed a essere tutelato attraverso l’azione di spoglio ed anche di manutenzione,
nel caso in cui si tratti di facoltà che possono formare oggetto di
concessione da parte della PA (Cass. 11/11/91 n°12022). Deve inoltre
affermarsi la giurisdizione del G.O. nelle controversie fra privati
concernenti il possesso di beni pubblici, a causa della totale assenza di
posizioni autoritative in capo alle parti (Cass. Civ. Sez. Un. 20/1/93
n°650).
Altra questione di notevole rilevanza
pratica concerne l’esperibilità dell’azione possessoria nei
confronti dei concessionari della PA, considerati longa manus della stessa. In linea di massima, data la
riferibilità degli atti di questi ultimi all’autorità concedente, per
lungo tempo si è ritenuto che la
tutela possessoria nei loro confronti incontrasse le medesime difficoltà che
si ravvisavano nei confronti della PA. E’ stato tuttavia evidenziato
che, allorquando il concessionario agisca in via di mero fatto ed al di fuori
di qualunque provvedimento amministrativo, l’attività posta in essere
non è riferibile alla PA, ma integra gli estremi di un operato che in nulla
si differenzia rispetto al comune agire privato: di conseguenza deve, in tali
casi, ammettersi l’esperibilità delle normali azioni possessorie (Cass.
Civ. Sez. Un. 13/4/88 n°2914 cit.; Cass. Civ. Sez. Un. 19/1/91 n°517; Trib.
Cuneo 25/1/93).
3.4.
Azioni quasi possessorie.
Le medesime ragioni che fungevano da
ostacolo all’ammissibilità delle azioni possessorie contro la PA,
finivano per opporsi alla proponibilità contro la stessa delle azioni quasi
possessorie. Queste ultime possono infatti concludersi con
un’inibitoria al compimento di un’opera, oppure con un ordine di
adozione di determinate cautele nella realizzazione della stessa,
risolvendosi in condanne ad un facere
specifico ed infungibile. Sulla scorta dell’evoluzione giurisprudenziale
più volte richiamata, tuttavia, devono segnalarsi alcune pronunzie
attualmente favorevoli alla loro esperibilità, allorquando si contesti non la
realizzazione dell’opera, ma le modalità di esecuzione della stessa in
violazione delle regole di prudenza e delle norme tecniche poste a
salvaguardia dei diritti altrui (Cass. Civ. Sez. Un. 9/6/86 n°4566).
3.5. Provvedimenti
di urgenza.
Anche a proposito dei provvedimenti ex
art. 700 cod. proc. civ. valgono le osservazioni sopra effettuate circa il
mutamento giurisprudenziale che ne ha consentito, a determinate condizioni,
l’adozione nei confronti della PA. Essi possono consistere in pronunzie
di qualsiasi contenuto, che viene volta per volta individuato dal giudice, in
relazione alle esigenze del caso concreto e perciò sono altresì noti come
provvedimenti cautelari atipici. Talvolta essi sono finalizzati a rimuovere
situazioni lesive di diritti, ed allora perseguono scopi di carattere
conservativo. Altre volte, invece, tendono a garantire, nelle more del
giudizio, alcune utilità in capo al ricorrente, rivestendo una funzione
acquisitiva. In definitiva essi si risolvono in pronunzie di condanna ad un facere specifico ed infungibile,
oppure in statuizioni di carattere costitutivo e da ciò deriva
l’esigenza di un loro coordinamento con i noti limiti di cui
all’art. 4 L.A.C.
Per ormai consolidato indirizzo
giurisprudenziale, i limiti in questione non operano nei casi di attività
posta in essere dalla PA iure
privatorum o sine titulo,
oppure nelle ipotesi di carenza di potere (cfr. Cap. e giurisprudenza ivi citata). In tali ipotesi, quindi, non sorgono ostacoli
all’utilizzo del rimedio ex art. 700 cod. proc. civ. nei confronti
della pubblica autorità. Rimane invece precluso il loro utilizzo allorchè ciò
possa determinare una incisione sull’efficacia di atti amministrativi,
oppure ogni volta che si determini il risultato di imporre alla PA
comportamenti nell’ambito della sfera di potere pubblicistico ad essa
riservato dall’ordinamento, oppure, infine, laddove il giudice si
sostituisca all’amministrazione nella cura di interessi ad essa
pertinenti (Corte cost. 19/12/86 n°283; Cass. Civ. Sez. Un. 25/11/82 n°6363).
Deve inoltre segnalarsi un importante
orientamento giurisprudenziale tendente ad ammettere il ricorso in via
d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. a tutela di diritti
costituzionalmente garantiti, data l’assenza, di fronte ai medesimi di
potere autoritativo e discrezionale in capo alla PA. E’ stato ad
esempio ordinato alla stessa di fornire gratuitamente ad un paziente un
medicinale indispensabile e costoso, ancorchè non compreso nel prontuario
farmaceutico (Pret. Genova 12/1/89), dato il rilievo costituzionale del
diritto alla salute e l’assenza di potere autoritativo nei confronti
dello stesso. Con riferimento al diritto all’insegnamento, dato lo
stretto legame di quest’ultimo con il diritto alla salute, più volte
evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, è stato ordinato alla PA di
nominare un insegnante di sostegno per assicurare ad un alunno, portatore di
handicap, la frequenza scolastica durante il normale orario di lezione (Pret.
Pontedera 11/4/89).
4.
La disapplicazione degli atti amministrativi da parte del giudice civile.
Come vecchio capitolo
4.1.
Configurazione dell’istituto.
Come vecchio capitolo
Bibliografia essenziale
Sandulli: “Manuale
di diritto amministrativo” Napoli 1989;
Galli: “Corso di
diritto amministrativo” Padova 1994;
Giannini: “Diritto
amministrativo” Milano 1988;
Virga: “Diritto amministrativo”
Milano 1992;
Nigro: “Giustizia
amministrativa” Bologna 1983;
Annunziata: “Per
una rilettura dell’art. 4 L.A.C.” in Foro amm. 1991, II, 1879;
Fulcinti:
“Dell’azione possessoria e della tutela del possesso nei
confronti della PA” in Foro amm. 1990,I, 1958;
Antoniucci:
“L’art. 700 cod. proc. civ. ed il giudice amministrativo”
in Foro amm. 1981, I, 1060;
Verrienti:
“Commento all’art. 4 L.A.C.” in Commentario alle leggi di
giustizia amministrativa, Padova 1992
Santoriello:
“Nuove considerazioni in tema di riparto della giurisdizione” in
Giust. civ. 1992, I,2729;
Corasaniti: “I
diritti fondamentali ed il riparto di giurisdizione” in Foro amm. 1981,
II, 2178;
Roselli: “La
disapplicazione dell’atto amministrativo nella giurisprudenza” in
Giur. it. 1986, I, 1, 703;
Galassi:
“L’istituto della disapplicazione nell’attuale contesto
giuridico” in i T.A.R. 1977, II, 89;
Scotto: “Brevi
osservazioni sulla disapplicazione dell’atto amministrativo” in i
T.A.R. 1990, II, 183.
Giurisprudenza
Corte cost. 11/7/91 n°333 in Giur. cost.
1991, I, 2646;
Corte cost. 27/4/93 n°199 in Rep Giur. cost.
1993, I, 154;
Corte
cost. 19/12/86 n°283 in Foro it. 1988, I,774;
Cass. Civ. Sez. Un. 17/9/77
n°3992 in Foro it. 1977, I,2393;
Cass. Civ. Sez. Un. 10/12/93
n°12157 in Dir. giur. agr. 1994, 410;
Cass. Civ. Sez. Un. 13/ 4/88 n°2914 in Giust. civ. 1989,
I, 177;
Cass. Civ. Sez. Un. 26/ 2/83 n°1464 in Riv. amm. 1983,
III, 337;
Cass. Civ. Sez. Un. 25/11/92 n° 12546 in Corr. giur.
1993, 330;
Cass. Civ. Sez. Un. 1/3/89 n°1136 in Foro it. 1989, Rep.
voce “possesso”, n°21;
Cass. Civ. Sez. Un. 4/8/89 n°3599 in Foro it. 1990, I,
552;
Cass. Civ. Sez. Un. 9/6/86 n° 4566 in Foro it. 1988, I,
2383;
Cass. Civ. Sez. Un. 20/1/93 n° 650 in Foro it. 1993, I,
2573;
Cass. Civ. Sez. Un. 14/3/91 n°2715 in Riv. amm. 1991, II,
3020;
Cass. civ. 22/10/84 n°5363 in Foro it. 1985,
I, 171;
Cass. Civ. Sez. Un.
17/6/88 n°4116 ;
Cass. Civ. Sez. Un.
9/6/89 n°2773 in Foro it. 1990, I, 605;
Cass. Civ. Sez. Un. 7/10/83 n°5837 in Foro amm. 1983, I,
840;
Cass. Civ. Sez. Un.
5/7/74 n°1945 in Foro it. 1974, I, 3365;
Cass. Civ. Sez. Un. 21/6/75 n° 2486 in Foro it. 1975, I,
1639;
Cass. Civ. Sez. Un. 23/6/89 n°2994 in Foro it. 1990, I,
153;
Cass. 16/6/83 n°4143 in Rep. Giur. it. 1983, voce
“Competenza e giurisdizione”, n°95;
Cass.
2/10/75 n°3099 in Foro it. 1976, I, 720;
Cass.
17/11/84 n°5841 in Foro it. 1985, I, 131;
Cass.
16/10/85 n°5093 in Giur. it. 1986, I, 1, 704;
Cass.
9/1/89 n°340 in Foro it. 89, II, 297.
Cons. Stato, Sez.VI, 10/10/2002, n.5443 in Foro Amm. CDS, 2002, 2545
Cons. Stato, Sez.IV, 09/07/2002, n. 3819 in Foro Amm. CDS, 2002, f. 7
C.d.S. sez IV 30/11/92 n°990 in Giust. civ. 1993, I, 2555;
C.d.S. sez VI 7/8/87 n°555 in Foro amm. 1987, I, 1816
C.d.S. Ad. pl. 1/6/83 n°14 in
Riv. giur. ed. 1983, I, 645
T.A.R. Toscana, Sez. I,
09/09/2002, n.1889 in Foro Amm. TAR, 2002
Trib. Trento 13/3/78 in Giust.
civ., I, 2104;
Trib. Cuneo 25/1/93 in Riv. giur. ed. 1993, I, 568;
Pret. Monza 23/2/87 in Giur.
mer. 1989, III, 735;
Pret. Genova 12/1/89 in Foro
it. 1989, I, 1767;
Pret. Pontedera 11/4/89 in Foro
it. 1989, I, 3501;
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