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5 ottobre 2011 L’azione di condanna
contro l’Amministrazione:prime applicazioni
dopo il Codice del Processo Amministrativo Il risarcimento danni nel
Codice del Processo amministrativo, del dott. Di Benedetto Ugo Sintesi della relazione 1- Introduzione: I principi della legge delega L’art. 44
della legge 19 giugno 2009, n. 69: principi e criteri direttivi:
riordino delle norme vigenti in
materia di giurisdizione e disciplina delle azioni nel processo
amministrativo Cons. Stato Ad Plen n. 3 del 2011. Ciò è desumibile dal combinato disposto
dell’art. 30, comma 1, che fa riferimento
all’azione di condanna senza una tipizzazione dei relativi contenuti
(sull’atipicità di detta azione si sofferma la relazione governativa di
accompagnamento al codice) e dell’art. 34, comma 1, lett. c), ove si
stabilisce che la sentenza di condanna deve prescrivere l’adozione di
misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio (cfr.,
già con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio 2009, n. 717). 2- Il risarcimento dei danni cagionati dalla P.A.: la
lesione dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi Danno patrimoniale e non patrimoniale La giurisprudenza della
Corte Europea dei diritti dell’uomo e l’acquisizione sanante art 42 bis del T.U. in materia espropriativa Il danno non patrimoniale ( anche biologico ) CONSIGLIO
DI
STATO, SEZ. V - sentenza 28 febbraio 2011 n.
1271 Il ritardo di due anni nella conclusione del procedimento e
le già menzionate ripetute e pretestuose richieste, che hanno assunto
l’unico scopo di dilazionare (illegittimamente) l’adozione del
provvedimento finale, sono elementi che hanno finito per incidere
sull’equilibrio psico – fisico del
ricorrente, provocando un danno, che va quindi risarcito. La quantificazione del danno biologico permanente, determinato in sette punti
percentuali, va effettuata in via equitativa, Valorizzazione dell’azione risarcitoria L’art. 34, comma 3, del codice del processo amministrativo-
richiamato, nel rito dei contratti pubblici, dall’art. 125, comma 3- ,
il quale stabilisce che "quando nel corso del giudizio
l’annullamento del provvedimento non risulti più utile per il
ricorrente il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se
sussiste l’interesse a fini risarcitori". 3- Inquadramento della responsabilità in caso di
lesioni di interessi legittimi Tesi prevalente responsabilità aquiliana Tesi minoritaria responsabilità
contrattuale da contatto sociale qualificato (Cass
157 del 2003) Per approfondimenti vedi altresì: UFFICIO STUDI E DOCUMENTAZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO Rassegna della giurisprudenza amministrativa
e delle sezioni consultive del Consiglio di Stato
– ANNO 2008 4.
4.1. La natura della
responsabilità della p.a. La questione della natura della responsabilità della p.a. per i danni
causati dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa
non sembra essere al centro dell’attenzione
della giurisprudenza: a fronte dei contrasti emersi in passato tra le tesi
della responsabilità della p.a. come responsabilità (contrattuale) da contatto
amministrativo qualificato, della responsabilità precontrattuale quale
modello prevalente e della responsabilità speciale (v. rassegna
dell’Ufficio studi del 2007), la prevalente giurisprudenza ha
continuato ad inquadrare la responsabilità della p.a. all’interno della
responsabilità extracontrattuale (Cons. St., sez.
V, 20 ottobre 2008 n. 5124; sez. IV, 29 luglio 2008 n. 3723; sez. VI, 19
giugno 2008 n. 3059; Tar Puglia -
Bari, sez. I, 29 settembre 2008 n. 2249; Tar Marche Ancona, sez. I, 16 luglio 2008 n. 835;
Cass., sez. I, 22 febbraio 2008 n. 4539). Il
richiamo al modello della responsabilità contrattuale (Cass., sez. I,
10 gennaio 2003, n. 157) è stato definito dall’adunanza plenaria del
Consiglio di Stato “un precedente isolato” (Cons.
St., ad. plen., 3 dicembre
2008 n. 13). La responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. costituisce,
quindi, il modello prevalente, cui viene ricondotta
la maggiore parte delle fattispecie di danni causati dalla p.a.
nell’esercizio di attività illegittima; tuttavia, ciò non esclude che
in più limitati casi la responsabilità dell’amministrazione possa
essere inquadrata in altro modello. Innanzitutto, in molti casi attinenti all’iter formativo del
contratto anche se caratterizzato dall’adozione di procedure di
evidenza pubblica, la giurisprudenza richiama il modello della responsabilità
precontrattuale, seppur confermando
l’inquadramento dello stesso nell’ambito della responsabilità
extracontrattuale (Cons. St., sez. V,
10 novembre 2008 n. 5574); la natura precontrattuale della responsabilità viene richiamata soprattutto in presenza di atti di
autotutela incidenti su procedure di gara (Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008 n. 1667; Tar Basilicata, sez. I, 23 giugno 2008 n. 300). Va
anche segnalato che la tesi della sussistenza della giurisdizione del g.a. in ipotesi di
responsabilità precontrattuale (Cons. St., ad. plen., 5 settembre 2005 n. 6) è stata conferma dalla
Cassazione, secondo cui con l’entrata in vigore dell'art. 6, co. CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - 28
ottobre 2010, n. 22021. ai
sensi dell’art. 2043 c.c. ai fini del risarcimento danni (al di fuori
della materia degli appalti pubblici) occorre la
colpa della P.A. Non basta l’atto illegittimo ma occorre penetrante indagine sulla
colpa (o dolo) che sono requisiti essenziali della responsabilità aquiliana (Cass. civ., sez.
III,23 febbraio 2010, n. 4326) In materia di appalti
pubblici il profilo dell’accertamento della sussistenza della colpa è destinato a perdere consistenza alla luce
della recente sentenza della Corte di
Giustizia CE, sez. III – 30/9/2010 (causa C-314/2009). Non è richiesto però un particolar sforzo probatorio per
la prova della colpa nell’emanazione di un provvedimento illegittimo,
potendosi valorizzare le prove presuntive (Cons.
Stato11 gennaio 2010, n. 14; 12 febbraio 2010, n. 785) salvo provare la
scusabilità dell’errore ad opera della P.A.
convenuta come ad esempio in caso di principi complessi che rendevano arduo
individuare l’azione corretta da seguire (Cons. Stato, Ad. Plen. 3 dicembre 2008, n.
13) o come nel caso in cui in primo grado abbia vinto 4- Le questioni di giurisdizione in materia di
risarcimento dei danni Cenni
alla speciale disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici Art
35 del D, Lgs. 31 marzo
1998, n. 80 e art 7 della legge n. 205 del 2000 Corte
Cost 204 del 2004 e 191 del 2006 Art 7 comma 1°, 4° e 5°
C.P.A. ; art 30 comma 2° Art.
30, comma 6° del C.P.A. 133,
comma e, del C.P.A. I recenti orientamenti della Cassazione
sui residui casi di giurisdizione del G.O.
: Cass. Sez. Un. Ordinanze 23 marzo 2011, n. 6594; 6595 e 6596 (cause
iniziate anteriormente all’entrata in vigore del codice e, pertanto,
poiché la giurisdizione si determina al momento della domanda giudiziaria
– le decisioni riguardano il regime ante codice ) G.A. e G.O.
giurisdizione esclusiva Cassazione
civile , sez. un., 23 marzo 2011 , n. 6594 Il privato aveva ottenuto una concessione edilizia ed aveva costruito. Il Comune accertata
l’illegittimità aveva annullato la concessione edilizia e disposto al
demolizione di quanto costruito Il Tar ed il Cds hanno respinto
il ricorso perché legittimamente il comune aveva annullato d’ufficio al
concessione rilasciata La parte che invoca la tutela risarcitoria non postula
dunque un esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con
sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota
un comportamento consistito per contro nella emissione
di atti favorevoli, poi ritirati per pronunzia giudiziale o in autotutela,
atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una
corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare. Cassazione
civile , sez. un., 23 marzo 2011 , n. 6595 Il comune ha rilasciato una concessione edilizia (annulla
dal TAR che ha rilevato che il terreno non aveva capacità edificatoria) La parte chiede i danni al comune perché il comune ha
rilasciato un'errata attestazione di una potenzialità edificatoria in realtà
assente e per aver rilasciato al concessione
edilizia poi annullata dal TAR Secondo la cassazione non è contestato l’esercizio o
il mancato esercizio del potere ma solo l’affidamento creato
rilasciando il provvedimento illegittimo (rilascio permesso costruzione), poi
annullato dal G.A. Cassazione
civile , sez. un., 23 marzo 2011 , n. 6596 Danno per aver confidato nella legittimità
dell’aggiudicazione (annullata dal G.A. perché
la vincitrice non aveva presentato una certificazione necessaria) Secondo la cassazione non è contestato l’esercizio o
il mancato esercizio del potere ma solo l’affidamento creato con il
rilascio a suo favore del provvedimento illegittimo di aggiudicazione poi
annullato dal G.A. Per Cassazione, quindi, non basta che nelle materie di
giurisdizione esclusiva, la questione sia attinente alla materia
ma è necessario che il danno lamentato sia conseguente al provvedimento
amministrativo illegittimo o alla mancata emanazione del provvedimento
(diniego) o all’inerzia nell’emanazione del provvedimento Solo in questi casi vi sarebbe
l’esercizio del potere o il mancato esercizio del potere che radica la
giurisdizione del G.A. Per approfondimenti
della posizione della Cassazione vedi CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO Relazione sulla soluzione
di questione di particolare importanza Rel. n. 45 Roma, 17 maggio 2011 Oggetto: GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA
- IN GENERE - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Criterio
della mera attinenza della controversia ad una
materia di giurisdizione esclusiva - Esclusione - Criterio della sussistenza
in concreto dell’esercizio di pubblici poteri incidenti
sull’oggetto della controversia - Necessità - 1- La problematica della cosiddetta pregiudizialità
amministrativa Inquadramento:
i precedenti contrasti tra G.A. e G. O. L’orientamento
della Cassazione ed il diniego di giurisdizione Tesi
prevalente, in passato del Consiglio di Stato è per la pregiudizialità ( vedi tra tante Ad. Plen., 22.10.2007 n. 12 )
La
disciplina del C.P.A. Cons.
Stato Ad Plen n. 3 del 2011Reputa, infatti,
questo Consiglio che entrambi i principi affermati dal d.lgs. n. 104 del 2010
– quello dell’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e
quello dell’operatività di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio
e azione risarcitoria – fossero ricavabili anche dal quadro normativo
vigente prima dell’entrata in vigore del codice. 5. La mancanza di una
pregiudizialità di stretto rito è desumibile dalla ricordata autonomia, sul
piano dell’oggetto e dell’effetto, dell’iniziativa impugnatoria rispetto al rimedio risarcitorio, tale da
escludere che, per definizione e in astratto, una sentenza che condanni al
risarcimento del danno cagionato dal provvedimento si risolva nella caducazione degli effetti dell’atto e, quindi, in
una non ammissibile elusione del termine decadenziale,
con frustrazione dell’esigenza di certezza dei
rapporti giuridici amministrativi perseguita dalla previsione di detto
termine. L’Adunanza,
riprendendo le indicazioni già in precedenza fornite, reputa che la regola
della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del
provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di
tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, sia
ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’
interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 cit. Risulta così superato il tradizionale
indirizzo restrittivo secondo il quale il canone della «diligenza» di cui
all'art. 1227, comma 2, imporrebbe il mero obbligo (negativo) del creditore
di astenersi da comportamenti volti ad aggravare il danno, mentre esulerebbe
dallo spettro degli sforzi esigibili la tenuta di condotte di tipo positivo sostanziantisi in un facere.
La giurisprudenza più recente, muovendo dal presupposto che la disposizione
in parola non è formula meramente ricognitiva dei principi che governano la causalità giuridica consacrati dall’art. 1223
c.c. ma costituisce autonoma espressione di una regola precettiva
che fonda doveri comportamentali del creditore imperniati sul canone
dell’ auto-responsabilità, ha, infatti, adottato
un’interpretazione estensiva ed evolutiva del comma 2 dell'art. 1227,
secondo cui il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo
(astenersi dall'aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere
quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a
evitare o ridurre il danno). Tale orientamento si
fonda su una lettura dell'art. 1227, comma 2, alla
luce delle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt.
1175 e 1375 c.c. e, soprattutto, del principio di solidarietà sociale sancito
dall'art. 2 Cost. Detto approccio ermeneutico è, quindi, ispirato da una
lettura della struttura del rapporto obbligatorio in forza della quale, anche
nella fase patologica dell’inadempimento, il creditore, ancorché
vittima dell’illecito, è tenuto ad una condotta positiva (cd.
controazione) tesa ad evitare o a ridurre il danno. La
nuova disciplina dell’art. 30comma 3° e 5° del C.P.A.: il ristretto termine di decadenza L’azione
risarcitoria autonoma ed eventuali conseguenze sulla quantificazione del
danno la questione
di costituzionalità pendente (ordinanza TAR SICILIA - PALERMO, SEZ.
I - ordinanza 7 settembre 2011 n. 1628 sul termine di decadenza) TAR SICILIA -
PALERMO, SEZ. I - ordinanza 7
settembre 2011 n. 1628 In
relazione agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, va sollevata questione
di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 5, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del
processo amministrativo) nella parte in cui prevede, per la proposizione di
una azione risarcitoria nei confronti della P.A., un termine decadenziale di centoventi giorni dall’avvenuta
formazione del giudicato di annullamento (1). 6. La non manifesta
infondatezza della questione discende, ad avviso del collegio, dal rilievo della irragionevole compressione – ad opera della
disposizione censurata: art. 30, comma 5, cod. proc. amm.
- del diritto di difesa in giudizio della parte danneggiata, con violazione
degli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione. Il comma 3, prima parte, dell’art. 30 cod. proc. amm. stabilisce che "la domanda di risarcimento per
lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di
centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato
ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da
questo". Il successivo comma 5, oggetto specifico del dubbio di legittimità
costituzionale con riferimento alla fattispecie dedotta nel presente
giudizio, completa la disciplina estendendo la previsione del medesimo
termine decadenziale anche all’ipotesi di
azione risarcitoria preceduta dall’impugnazione del provvedimento
lesivo, facendo tuttavia decorrere il termine non dalla conoscenza di questo
ma dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento. E’ ampiamente
nota la ratio posta alla base dei termini di
decadenza previsti in materia di annullamento di atti giuridici emanati da
poteri pubblici e da soggetti privati: si tratta dell’esigenza di
certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici, connessa al
rilievo che l’atto pone un assetto di interessi
rilevante sul piano superindividuale. Il bilanciamento fra il
diritto degli interessati a sollecitare un sindacato giurisdizionale
dell’atto, e l’interesse a definire sollecitamente la relativa
vicenda in modo da non esporre ad un arco temporale
eccessivamente lungo la sorte della fonte di un rapporto giuridico rilevante
per una collettività di soggetti, consente di individuare nella previsione di
un termine di impugnazione a pena di decadenza – purché il relativo
termine sia ragionevole e non renda eccessivamente difficile
l’esercizio del diritto – il soddisfacente punto di equilibrio
del sistema. L’azione
risarcitoria, già sul piano strutturale, si pone al di fuori di questa
problematica: l’esposizione del debitore, pubblico o privato, alla
domanda di risarcimento non incide minimamente sulla dinamica dei rapporti
giuridici di cui lo stesso soggetto è titolare, né sulla certezza delle
situazioni e posizioni giuridiche correlate, rilevando solo sul piano della
reintegrazione patrimoniale dello spostamento di
ricchezza conseguente all’illecito. Nella stessa
sistematica del codice del processo amministrativo (art. 7, comma 4) il
risarcimento del danno è incluso fra i "diritti patrimoniali
consequenziali" all’annullamento del provvedimento lesivo. Se la discrezionalità
legislativa avesse inteso porre un limite temporale all’esercizio
dell’azione risarcitoria compatibile con la natura del rimedio, avrebbe
potuto ragionevolmente farlo attraverso l’individuazione di un congruo
termine prescrizionale (in tesi diverso da quello stabilito dal diritto
comune, ove sussista una congrua e ragionevole giustificazione per la
differenziazione). Un ininterrotto e
coerente insegnamento, già sul piano istituzionale, chiarisce, infatti, che
mentre la prescrizione ha per oggetto un rapporto (azione o diritto
sostanziale) che per effetto di essa si estingue, "la decadenza ha per
oggetto un atto che per effetto di essa non può più essere compiuto". La
disciplina dell’azione di risarcimento del danno appare dunque
ragionevolmente compatibile con la prima, e non anche con la seconda. La
controversa disciplina transitoria: l’art 2,
allegato delle norme transitorie del C.P.A. Art
41, comma 2°, ultima parte 2- Il danno da ritardo I precedenti giurisprudenziali : la nuova
disciplina del C.P.A.: art 30, comma 4°. Vedi art 2
bis della legge 241 del 1990 (introdotto dalla legge 69 del 2009) –
danno da mero ritardo? Indipendentemente dalla spettanza del bene della vita? Ante codice no risarcimento se il provvedimento tardivo è negativo
e divenuto inoppugnabile (Cons. Stato Ad. Plen. N. 7 del 2005; Cass.
civ., sez. III,23 febbraio 2010, n. 4326) Il danno da ritardato
rilascio di un provvedimento favorevole CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V
- sentenza 28 febbraio 2011 n. 1271 ricorre l’ipotesi in cui il
privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con
cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma
emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato
procedimento. Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. "bene della
vita", costituito nel caso di specie dalla possibilità di edificare
secondo il progetto richiesto in variante. In questi casi la giurisprudenza è pacifica
nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione
ovviamente che tale danno sussista e venga provato)
e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90,
introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria
del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche
amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno
ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa
del termine di conclusione del procedimento. La norma presuppone che anche il tempo è un bene della
vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo
nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una
essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani
finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa
convenienza economica Il quantum del
danno va provato Il ritardo di due anni nella conclusione del procedimento
e le già menzionate ripetute e pretestuose richieste, che hanno assunto
l’unico scopo di dilazionare (illegittimamente) l’adozione del
provvedimento finale, sono elementi che hanno finito per incidere
sull’equilibrio psico – fisico del
ricorrente, provocando un danno, che va quindi risarcito. La quantificazione del danno biologico permanente,
determinato in sette punti percentuali, va effettuata
in via equitativa, 3.1) Consiglio di Stato, sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739 La disciplina del cumulo di domande soggette a riti
diversi ai sensi dell’art. 32 del c.p.a.. In particolare il cumulo tra l’azione
avverso il silenzio e la domanda risarcitoria per danno da inerzia. La prova
del danno da ritardo In conformità con tali principi, l’art. 32 del codice del processo
amministrativo ha stabilito che è sempre possibile nello stesso giudizio il
cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, facendo
cadere ogni dubbio sull’ammissibilità del cumulo e prevedendo che
il cumulo di più domande assoggettate a riti diversi comporta solo
l’applicazione del rito ordinario, ad eccezione delle controversie cui
si applica il rito abbreviato, che prevalgono in ogni caso sugli altri riti. Il principio del cumulo delle domande ha poi trovato nello
stesso Codice un concreta e speciale attuazione
proprio con riferimento ai casi controversi, venuti in passato
all’esame della giurisprudenza. In particolare,
l’art. 117, comma 6, del Codice ha previsto
che, se l’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a
quella avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale
l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la
domanda risarcitoria. La disposizione in primo luogo ammette la proponibilità
contestuale delle due domande, e, a differenza di quanto previsto per
l’impugnazione del provvedimento sopravvenuto, non stabilisce una
conversione obbligatoria del rito, ma lascia al giudice il potere di decidere
con rito camerale l’azione avverso il
silenzio, rinviando al rito ordinario la trattazione della domanda
risarcitoria. Tale disposizione, in parte innovativa su tale ultimo
punto, ha codificato quell’orientamento favorevole
all’ammissibilità del cumulo di domande, già presente prima
dell’entrata in vigore del Codice e, sotto tale profilo, la norma
assume una natura interpretativa circa l’ammissibilità del cumulo, che
va quindi riconosciuta anche con riferimento ai giudizi già pendenti al
momento dell’entrata in vigore del Codice (Cons.
Stato, IV, 27 novembre 2010 n. 8251). Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un
ritardo nell’attribuzione del c.d. "bene della vita",
costituito nel caso di specie dalla disponibilità dell’autorizzazione
per l’esecuzioni di lavori di realizzazione di
un impianto di gestione dei rifiuti. In questi casi la giurisprudenza è pacifica
nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione
ovviamente che tale danno sussista e venga provato)
e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90,
introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria
del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche
amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno
ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa
del termine di conclusione del procedimento. La norma presuppone
che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza
ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque
procedimento, è sempre un costo, dal momento che
il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e
nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento,
condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust.
Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che,
traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno
sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio
non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in
ipotesi negativo). Nel caso di specie, non
rileva la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. "bene della vita" e
della compatibilità dei principi affermati dalla decisione
dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della
legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza
con il (tardivo) rilascio dell’autorizzazione. Va ricordato che, per
ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per
l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio)
dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo
rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il
c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento
dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il
ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del
danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare
circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della
allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi
ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale
norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del
pregiudizio subito, nè può essere invocata una
consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato
assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967; VI,
12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta
d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la
parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie
richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla
stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art.
2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice
l'apporto di cognizioni tecniche non possedute). 3- Il nuovo regime probatorio nel C.P.A. con particolare riferimento al risarcimento
danni da lesione di interessi legittimi I
precedenti giurisprudenziali L’art
63, comma 1° e 64 comma 1° del C.P.A. art 30,
comma 4°. Art
124, comma1° TAR TOSCANA, SEZ. II - sentenza 18 febbraio 2011 n. 341la
domanda di risarcimento dei danni, anche
quando la posizione soggettiva vulnerata abbia natura di interesse
legittimo, è regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art.
2697 cod. civ., in base al quale chi vuol far valere un diritto in
giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Grava,
perciò, sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo,
tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito, ossia l’evento
dannoso, la condotta, la colpa, il nesso di causalità (Cons. Stato, sez. V,
15 settembre 2010, n. 6797). Ne discende, in ordine al danno -
che la società ricorrente non può sottrarsi all’onere di provarne
l’esistenza, soprattutto tenendo conto dell’esiguità del margine
di superamento del termine fissato dalla legge, e neppure potendo invocare il
c.d. principio acquisitivo, in quanto attinente allo svolgimento
dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti che costituiscono oggetto di
prova. Occorre la prova
rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo
che avrebbe conseguito se fosse risultata
aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile in primis
dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di
gara (cfr. Consiglio di Stato, sez. V
– 17/10/2008 n. 5098). CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 3 novembre 2010 n. 7744 la giurisprudenza amministrativa ha affermato che al fine
di ottenere il risarcimento per perdita di una chance è necessario che il
danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate,
la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno e provi,
conseguentemente, la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei
presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla
condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza
immediata e diretta. 4- Il risarcimento dei danni e giudizio di
ottemperanza: le novità del C.P.A. Art 112, comma 3° del C.P.A ed i danni maturati dopo
il passaggio in giudicato Art 112, comma 3° del C.P.A ed i danni da mancata o
ritardata esecuzione della
sentenza Art 112, comma 4° del C.P.A.
e la “conversione” del rito CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 23 novembre 2010 n. 8142 8.- Passando al merito della richiesta si deve in primo
luogo ricordare che, per principio condivisibile, in sede di ottemperanza si
è sempre ritenuto possibile formulare richiesta di risarcimento solo per i
danni verificatisi in seguito alla formazione del giudicato e proprio a causa
del ritardo nella esecuzione della pronuncia, mentre
il risarcimento dei danni che si riferiscono al periodo precedente al
giudicato deve essere richiesto con un giudizio cognitorio da proporsi
davanti al giudice di primo grado (cfr. fra le tante: Consiglio Stato, sez.
V, 12 dicembre 2009, n. 7800). Solo con l’entrata in vigore, a
far tempo peraltro dal 16 settembre 2010, del nuovo Codice del
Processo amministrativo (d. lgs. n. 104 del 2
luglio 2010), è stata ammessa la possibile proposizione, nel giudizio di
ottemperanza, di una azione risarcitoria anche per i danni riguardanti
periodi precedenti al giudicato (art. 112, comma 4). Tuttavia tale
possibilità resta contenuta nei limiti (temporali e sostanziali) dettati dal
precedente art. 30 e con la precisazione che, in tal
caso, il giudizio si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo
ordinario.
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