Dottrina

 
Convegno A.I.G.A

5 ottobre 2011

 

L’azione di condanna contro l’Amministrazione:prime applicazioni dopo il Codice del Processo Amministrativo

 

 

Il risarcimento danni nel Codice del Processo amministrativo, del dott. Di Benedetto Ugo

 

Sintesi della relazione

 

 

1-     Introduzione: I principi della legge delega

     L’art. 44 della legge 19 giugno 2009, n. 69: principi e criteri direttivi: riordino   delle norme vigenti in materia di giurisdizione e disciplina delle azioni nel processo amministrativo

 

Cons. Stato Ad Plen n. 3 del 2011. Ciò è desumibile dal combinato disposto dell’art. 30, comma 1, che fa riferimento all’azione di condanna senza una tipizzazione dei relativi contenuti (sull’atipicità di detta azione si sofferma la relazione governativa di accompagnamento al codice) e dell’art. 34, comma 1, lett. c), ove si stabilisce che la sentenza di condanna deve prescrivere l’adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio (cfr., già con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio 2009, n. 717).

 

 

 

2-     Il risarcimento dei danni cagionati dalla P.A.: la lesione dei diritti soggettivi e  degli interessi legittimi

Danno patrimoniale e  non patrimoniale

La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e l’acquisizione sanante art 42 bis del T.U. in materia espropriativa

Il danno non patrimoniale ( anche biologico )

CONSIGLIO DI      STATO, SEZ. V - sentenza 28 febbraio 2011 n. 1271 Il ritardo di due anni nella conclusione del procedimento e le già menzionate ripetute e pretestuose richieste, che hanno assunto l’unico scopo di dilazionare (illegittimamente) l’adozione del provvedimento finale, sono elementi che hanno finito per incidere sull’equilibrio psico – fisico del ricorrente, provocando un danno, che va quindi risarcito.

La quantificazione del danno biologico permanente, determinato in sette punti percentuali, va effettuata in via equitativa,

 

Valorizzazione dell’azione risarcitoria

L’art. 34, comma 3, del codice del processo amministrativo- richiamato, nel rito dei contratti pubblici, dall’art. 125, comma 3- , il quale stabilisce che "quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento non risulti più utile per il ricorrente il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori".

 

 

 

3-     Inquadramento della responsabilità in caso di lesioni di interessi legittimi   

 

Tesi prevalente responsabilità aquiliana

Tesi minoritaria responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato (Cass 157 del 2003)

 

Per approfondimenti vedi altresì:

UFFICIO STUDI E DOCUMENTAZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO

Rassegna della giurisprudenza amministrativa e delle sezioni consultive del Consiglio di Stato – ANNO 2008

 

4. La responsabilità della P.a.

 

4.1. La natura della responsabilità della p.a.

La questione della natura della responsabilità della p.a. per i danni causati dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa non sembra essere al centro dell’attenzione della giurisprudenza: a fronte dei contrasti emersi in passato tra le tesi della responsabilità della p.a. come responsabilità (contrattuale) da contatto amministrativo qualificato, della responsabilità precontrattuale quale modello prevalente e della responsabilità speciale (v. rassegna dell’Ufficio studi del 2007), la prevalente giurisprudenza ha continuato ad inquadrare la responsabilità della p.a. all’interno della responsabilità extracontrattuale (Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2008 n. 5124; sez. IV, 29 luglio 2008 n. 3723; sez. VI, 19 giugno 2008 n. 3059; Tar Puglia - Bari, sez. I, 29 settembre 2008 n. 2249; Tar Marche Ancona, sez. I, 16 luglio 2008 n. 835; Cass., sez. I, 22 febbraio 2008 n. 4539).

Il richiamo al modello della responsabilità contrattuale (Cass., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157) è stato definito dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato “un precedente isolato” (Cons. St., ad. plen., 3 dicembre 2008 n. 13).

La responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. costituisce, quindi, il modello prevalente, cui viene ricondotta la maggiore parte delle fattispecie di danni causati dalla p.a. nell’esercizio di attività illegittima; tuttavia, ciò non esclude che in più limitati casi la responsabilità dell’amministrazione possa essere inquadrata in altro modello.

Innanzitutto, in molti casi attinenti all’iter formativo del contratto anche se caratterizzato dall’adozione di procedure di evidenza pubblica, la giurisprudenza richiama il modello della responsabilità precontrattuale, seppur confermando l’inquadramento dello stesso nell’ambito della responsabilità extracontrattuale (Cons. St., sez. V, 10 novembre 2008 n. 5574); la natura precontrattuale della responsabilità viene richiamata soprattutto in presenza di atti di autotutela incidenti su procedure di gara (Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008 n. 1667; Tar Basilicata, sez. I, 23 giugno 2008 n. 300).

Va anche segnalato che la tesi della sussistenza della giurisdizione del g.a. in ipotesi di responsabilità precontrattuale (Cons. St., ad. plen., 5 settembre 2005 n. 6) è stata conferma dalla Cassazione, secondo cui con l’entrata in vigore dell'art. 6, co. 1, l. n. 205/2000 (articolo successivamente abrogato dall'art. 256, d.lgs. n. 163/2006, ma riprodotto in forma pressoché analoga, nell'art. 244, d.lgs. n. 163/2006), è stata configurata una giurisdizione esclusiva in favore del giudice amministrativo anche per l'azione di risarcimento per responsabilità precontrattuale nelle procedure di affidamento di contratti di appalto di lavori, servizi o forniture, da parte di soggetti tenuti nella scelta del contraente all'applicazione della normativa comunitaria o al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica. Tale giurisdizione esclusiva per l'azione di responsabilità precontrattuale non è invece ravvisabile in tema di contratto di compravendita di immobile, in mancanza di una norma specifica che fondi la giurisdizione del g.a. (Cass., sez. un., 12 maggio 2008 n. 11656).

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - 28 ottobre 2010, n. 22021. ai sensi dell’art. 2043 c.c. ai fini del risarcimento danni (al di fuori della materia degli appalti pubblici) occorre la colpa della P.A.

Non basta l’atto illegittimo ma occorre penetrante indagine sulla colpa (o dolo) che sono requisiti essenziali della responsabilità aquiliana (Cass. civ., sez. III,23 febbraio 2010, n. 4326)

In materia di appalti pubblici il profilo dell’accertamento della sussistenza della colpa è destinato a perdere consistenza alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III – 30/9/2010 (causa C-314/2009).

Non è richiesto però un particolar sforzo probatorio per la prova della colpa nell’emanazione di un provvedimento illegittimo, potendosi valorizzare le prove presuntive (Cons. Stato11 gennaio 2010, n. 14; 12 febbraio 2010, n. 785) salvo provare la scusabilità dell’errore ad opera della P.A. convenuta come ad esempio in caso di principi complessi che rendevano arduo individuare l’azione corretta da seguire (Cons. Stato, Ad. Plen. 3 dicembre 2008, n. 13) o come nel caso in cui in primo grado abbia vinto la P.A. e solo in appello abbia vinto il privato (Cons. Stato, 17 ottobre 2008, n. 5100)

 

4-     Le questioni di giurisdizione in materia di risarcimento dei danni

Cenni alla speciale disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici

Art 35 del D, Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e art 7 della legge n. 205 del 2000

Corte Cost 204 del 2004 e 191 del 2006

Art 7 comma 1°, 4° e 5° C.P.A. ;

art 30 comma 2°

Art. 30, comma 6° del C.P.A.

133, comma e, del C.P.A.

    I recenti orientamenti della Cassazione sui residui casi di giurisdizione del G.O. : Cass. Sez. Un. Ordinanze 23 marzo 2011, n. 6594; 6595 e 6596 (cause iniziate anteriormente all’entrata in vigore del codice e, pertanto, poiché la giurisdizione si determina al momento della domanda giudiziaria – le decisioni riguardano il regime ante codice )

 

G.A. e G.O. giurisdizione esclusiva

 

Cassazione civile , sez. un., 23 marzo 2011 , n. 6594

Il privato aveva ottenuto una concessione edilizia ed aveva costruito.

Il Comune accertata l’illegittimità aveva annullato la concessione edilizia e disposto al demolizione di quanto costruito

Il Tar ed il Cds hanno respinto il ricorso perché legittimamente il comune aveva annullato d’ufficio al concessione rilasciata

La parte che invoca la tutela risarcitoria non postula dunque un esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota un comportamento consistito per contro nella emissione di atti favorevoli, poi ritirati per pronunzia giudiziale o in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare.

 

Cassazione civile , sez. un., 23 marzo 2011 , n. 6595

Il comune ha rilasciato una concessione edilizia (annulla dal TAR che ha rilevato che il terreno non aveva capacità edificatoria)

La parte chiede i danni al comune perché il comune ha rilasciato un'errata attestazione di una potenzialità edificatoria in realtà assente e per aver rilasciato al concessione edilizia poi annullata dal TAR

Secondo la cassazione non è contestato l’esercizio o il mancato esercizio del potere ma solo l’affidamento creato rilasciando il provvedimento illegittimo (rilascio permesso costruzione), poi annullato dal G.A.

 

Cassazione civile , sez. un., 23 marzo 2011 , n. 6596

Danno per aver confidato nella legittimità dell’aggiudicazione (annullata dal G.A. perché la vincitrice non aveva presentato una certificazione necessaria)

Secondo la cassazione non è contestato l’esercizio o il mancato esercizio del potere ma solo l’affidamento creato con il rilascio a suo favore del provvedimento illegittimo di aggiudicazione poi annullato dal G.A.

 

Per Cassazione, quindi, non basta che nelle materie di giurisdizione esclusiva, la questione sia attinente alla materia ma è necessario che il danno lamentato sia conseguente al provvedimento amministrativo illegittimo o alla mancata emanazione del provvedimento (diniego) o all’inerzia nell’emanazione del provvedimento

Solo in questi casi vi sarebbe l’esercizio del potere o il mancato esercizio del potere che radica la giurisdizione del G.A.

                   

 

Per approfondimenti della posizione della Cassazione vedi

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE -UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO

Relazione sulla soluzione di questione di particolare importanza

Rel. n. 45 Roma, 17 maggio 2011

Oggetto: GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA - IN GENERE - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Criterio della mera attinenza della controversia ad una materia di giurisdizione esclusiva - Esclusione - Criterio della sussistenza in concreto dell’esercizio di pubblici poteri incidenti sull’oggetto della controversia - Necessità -

 

 

1-     La problematica della cosiddetta pregiudizialità amministrativa

Inquadramento: i precedenti contrasti tra G.A. e G. O.

L’orientamento della Cassazione ed il diniego di giurisdizione

 

Tesi prevalente, in passato del Consiglio di Stato è per la pregiudizialità ( vedi tra tante Ad. Plen., 22.10.2007 n. 12 )

 

La Cassazione, proprio cassando detta sentenza del Cons. Stato, n. 12 del 2007, aveva affermato che “la parte, titolare d'una situazione di interesse legittimo, se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anziché a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo non è quello che l'atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa.
Il principio di diritto che ne discende e che le sezioni unite enunciano in applicazione dell'art. 363 cod. proc. civ. è dunque questo: - "Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento".(
Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili - sentenza 23 dicembre 2008 n. 30254.)

 

 

La disciplina del C.P.A.

 

 

Cons. Stato Ad Plen n. 3 del 2011Reputa, infatti, questo Consiglio che entrambi i principi affermati dal d.lgs. n. 104 del 2010 – quello dell’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e quello dell’operatività di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria – fossero ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore del codice.

5. La mancanza di una pregiudizialità di stretto rito è desumibile dalla ricordata autonomia, sul piano dell’oggetto e dell’effetto, dell’iniziativa impugnatoria rispetto al rimedio risarcitorio, tale da escludere che, per definizione e in astratto, una sentenza che condanni al risarcimento del danno cagionato dal provvedimento si risolva nella caducazione degli effetti dell’atto e, quindi, in una non ammissibile elusione del termine decadenziale, con frustrazione dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici amministrativi perseguita dalla previsione di detto termine.

L’Adunanza, riprendendo le indicazioni già in precedenza fornite, reputa che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, sia ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’ interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 cit.

Risulta così superato il tradizionale indirizzo restrittivo secondo il quale il canone della «diligenza» di cui all'art. 1227, comma 2, imporrebbe il mero obbligo (negativo) del creditore di astenersi da comportamenti volti ad aggravare il danno, mentre esulerebbe dallo spettro degli sforzi esigibili la tenuta di condotte di tipo positivo sostanziantisi in un facere. La giurisprudenza più recente, muovendo dal presupposto che la disposizione in parola non è formula meramente ricognitiva dei principi che governano la causalità giuridica consacrati dall’art. 1223 c.c. ma costituisce autonoma espressione di una regola precettiva che fonda doveri comportamentali del creditore imperniati sul canone dell’ auto-responsabilità, ha, infatti, adottato un’interpretazione estensiva ed evolutiva del comma 2 dell'art. 1227, secondo cui il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dall'aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno).

Tale orientamento si fonda su una lettura dell'art. 1227, comma 2, alla luce delle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, soprattutto, del principio di solidarietà sociale sancito dall'art. 2 Cost. Detto approccio ermeneutico è, quindi, ispirato da una lettura della struttura del rapporto obbligatorio in forza della quale, anche nella fase patologica dell’inadempimento, il creditore, ancorché vittima dell’illecito, è tenuto ad una condotta positiva (cd. controazione) tesa ad evitare o a ridurre il danno.

 

 

La nuova disciplina dell’art. 30comma 3° e 5° del C.P.A.: il ristretto termine di decadenza

la Relazione al codice del processo amministrativo afferma che il termine di centoventi giorni si giustificherebbe "sul presupposto che la previsione di termini decadenziali non è estranea alla tutela risarcitoria, vieppiù a fronte di evidenti esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la pubblica amministrazione".

 

L’azione risarcitoria autonoma ed eventuali conseguenze sulla quantificazione del danno

la questione di costituzionalità pendente (ordinanza TAR SICILIA - PALERMO, SEZ. I - ordinanza 7 settembre 2011 n. 1628 sul termine di decadenza)

 

TAR SICILIA - PALERMO, SEZ. I - ordinanza 7 settembre 2011 n. 1628

In relazione agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, va sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 5, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo) nella parte in cui prevede, per la proposizione di una azione risarcitoria nei confronti della P.A., un termine decadenziale di centoventi giorni dall’avvenuta formazione del giudicato di annullamento (1).

6. La non manifesta infondatezza della questione discende, ad avviso del collegio, dal rilievo della irragionevole compressione – ad opera della disposizione censurata: art. 30, comma 5, cod. proc. amm. - del diritto di difesa in giudizio della parte danneggiata, con violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione.

Il comma 3, prima parte, dell’art. 30 cod. proc. amm. stabilisce che "la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo".

Il successivo comma 5, oggetto specifico del dubbio di legittimità costituzionale con riferimento alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, completa la disciplina estendendo la previsione del medesimo termine decadenziale anche all’ipotesi di azione risarcitoria preceduta dall’impugnazione del provvedimento lesivo, facendo tuttavia decorrere il termine non dalla conoscenza di questo ma dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento.

E’ ampiamente nota la ratio posta alla base dei termini di decadenza previsti in materia di annullamento di atti giuridici emanati da poteri pubblici e da soggetti privati: si tratta dell’esigenza di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici, connessa al rilievo che l’atto pone un assetto di interessi rilevante sul piano superindividuale.

Il bilanciamento fra il diritto degli interessati a sollecitare un sindacato giurisdizionale dell’atto, e l’interesse a definire sollecitamente la relativa vicenda in modo da non esporre ad un arco temporale eccessivamente lungo la sorte della fonte di un rapporto giuridico rilevante per una collettività di soggetti, consente di individuare nella previsione di un termine di impugnazione a pena di decadenza – purché il relativo termine sia ragionevole e non renda eccessivamente difficile l’esercizio del diritto – il soddisfacente punto di equilibrio del sistema.

L’azione risarcitoria, già sul piano strutturale, si pone al di fuori di questa problematica: l’esposizione del debitore, pubblico o privato, alla domanda di risarcimento non incide minimamente sulla dinamica dei rapporti giuridici di cui lo stesso soggetto è titolare, né sulla certezza delle situazioni e posizioni giuridiche correlate, rilevando solo sul piano della reintegrazione patrimoniale dello spostamento di ricchezza conseguente all’illecito.

Nella stessa sistematica del codice del processo amministrativo (art. 7, comma 4) il risarcimento del danno è incluso fra i "diritti patrimoniali consequenziali" all’annullamento del provvedimento lesivo.

Se la discrezionalità legislativa avesse inteso porre un limite temporale all’esercizio dell’azione risarcitoria compatibile con la natura del rimedio, avrebbe potuto ragionevolmente farlo attraverso l’individuazione di un congruo termine prescrizionale (in tesi diverso da quello stabilito dal diritto comune, ove sussista una congrua e ragionevole giustificazione per la differenziazione).

Un ininterrotto e coerente insegnamento, già sul piano istituzionale, chiarisce, infatti, che mentre la prescrizione ha per oggetto un rapporto (azione o diritto sostanziale) che per effetto di essa si estingue, "la decadenza ha per oggetto un atto che per effetto di essa non può più essere compiuto".

La disciplina dell’azione di risarcimento del danno appare dunque ragionevolmente compatibile con la prima, e non anche con la seconda.

 

 

 

 

La controversa disciplina transitoria: l’art 2, allegato delle norme transitorie del C.P.A.

 

Art 41, comma 2°, ultima parte

 

 

 

2-     Il danno da ritardo

       I precedenti giurisprudenziali :

       la nuova disciplina del C.P.A.: art 30, comma 4°.

       Vedi art 2 bis della legge 241 del 1990 (introdotto dalla legge 69 del 2009) – danno da mero ritardo? Indipendentemente dalla spettanza del bene della vita?

 

Ante codice no risarcimento se il provvedimento tardivo è negativo e divenuto inoppugnabile (Cons. Stato Ad. Plen. N. 7 del 2005; Cass. civ., sez. III,23 febbraio 2010, n. 4326)

     

Il danno da ritardato rilascio di un provvedimento favorevole CONSIGLIO DI      STATO, SEZ. V - sentenza 28 febbraio 2011 n. 1271

ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.

Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. "bene della vita", costituito nel caso di specie dalla possibilità di edificare secondo il progetto richiesto in variante.

In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica

Il quantum del danno va provato

Il ritardo di due anni nella conclusione del procedimento e le già menzionate ripetute e pretestuose richieste, che hanno assunto l’unico scopo di dilazionare (illegittimamente) l’adozione del provvedimento finale, sono elementi che hanno finito per incidere sull’equilibrio psico – fisico del ricorrente, provocando un danno, che va quindi risarcito.

La quantificazione del danno biologico permanente, determinato in sette punti percentuali, va effettuata in via equitativa,

 

 

3.1) Consiglio di Stato, sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739

La disciplina del cumulo di domande soggette a riti diversi ai sensi dell’art. 32 del c.p.a.. In particolare il cumulo tra l’azione avverso il silenzio e la domanda risarcitoria per danno da inerzia. La prova del danno da ritardo

 

In conformità con tali principi, l’art. 32 del codice del processo amministrativo ha stabilito che è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, facendo cadere ogni dubbio sull’ammissibilità del cumulo e prevedendo che il cumulo di più domande assoggettate a riti diversi comporta solo l’applicazione del rito ordinario, ad eccezione delle controversie cui si applica il rito abbreviato, che prevalgono in ogni caso sugli altri riti.

Il principio del cumulo delle domande ha poi trovato nello stesso Codice un concreta e speciale attuazione proprio con riferimento ai casi controversi, venuti in passato all’esame della giurisprudenza.

In particolare, l’art. 117, comma 6, del Codice ha previsto che, se l’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.

La disposizione in primo luogo ammette la proponibilità contestuale delle due domande, e, a differenza di quanto previsto per l’impugnazione del provvedimento sopravvenuto, non stabilisce una conversione obbligatoria del rito, ma lascia al giudice il potere di decidere con rito camerale l’azione avverso il silenzio, rinviando al rito ordinario la trattazione della domanda risarcitoria.

Tale disposizione, in parte innovativa su tale ultimo punto, ha codificato quell’orientamento favorevole all’ammissibilità del cumulo di domande, già presente prima dell’entrata in vigore del Codice e, sotto tale profilo, la norma assume una natura interpretativa circa l’ammissibilità del cumulo, che va quindi riconosciuta anche con riferimento ai giudizi già pendenti al momento dell’entrata in vigore del Codice (Cons. Stato, IV, 27 novembre 2010 n. 8251).

Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. "bene della vita", costituito nel caso di specie dalla disponibilità dell’autorizzazione per l’esecuzioni di lavori di realizzazione di un impianto di gestione dei rifiuti.

In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).

Nel caso di specie, non rileva la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. "bene della vita" e della compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio dell’autorizzazione.

Va ricordato che, per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967; VI, 12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute).

 

 

 

3-     Il nuovo regime probatorio nel C.P.A. con particolare riferimento al risarcimento danni da lesione di interessi legittimi

I precedenti giurisprudenziali

L’art 63, comma 1° e 64 comma 1° del C.P.A.

art 30, comma 4°.

Art 124, comma1°

 

 

TAR TOSCANA, SEZ. II - sentenza 18 febbraio 2011 n. 341la domanda di risarcimento dei danni, anche quando la posizione soggettiva vulnerata abbia natura di interesse legittimo, è regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 cod. civ., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Grava, perciò, sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito, ossia l’evento dannoso, la condotta, la colpa, il nesso di causalità (Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797).

Ne discende, in ordine al danno - che la società ricorrente non può sottrarsi all’onere di provarne l’esistenza, soprattutto tenendo conto dell’esiguità del margine di superamento del termine fissato dalla legge, e neppure potendo invocare il c.d. principio acquisitivo, in quanto attinente allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti che costituiscono oggetto di prova.

 

Occorre la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile in primis dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 17/10/2008 n. 5098).

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 3 novembre 2010 n. 7744 la giurisprudenza amministrativa ha affermato che al fine di ottenere il risarcimento per perdita di una chance è necessario che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno e provi, conseguentemente, la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.

 

4-     Il risarcimento dei danni e giudizio di ottemperanza: le novità del C.P.A.

     Art 112, comma 3° del C.P.A ed i danni maturati dopo il passaggio in giudicato

     Art 112, comma 3° del C.P.A ed i danni da mancata o ritardata esecuzione      della sentenza

     Art 112, comma  4° del C.P.A. e la “conversione” del rito

 

 

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 23 novembre 2010 n. 8142

8.- Passando al merito della richiesta si deve in primo luogo ricordare che, per principio condivisibile, in sede di ottemperanza si è sempre ritenuto possibile formulare richiesta di risarcimento solo per i danni verificatisi in seguito alla formazione del giudicato e proprio a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia, mentre il risarcimento dei danni che si riferiscono al periodo precedente al giudicato deve essere richiesto con un giudizio cognitorio da proporsi davanti al giudice di primo grado (cfr. fra le tante: Consiglio Stato, sez. V, 12 dicembre 2009, n. 7800).

Solo con l’entrata in vigore, a far tempo peraltro dal 16 settembre 2010, del nuovo Codice del Processo amministrativo (d. lgs. n. 104 del 2 luglio 2010), è stata ammessa la possibile proposizione, nel giudizio di ottemperanza, di una azione risarcitoria anche per i danni riguardanti periodi precedenti al giudicato (art. 112, comma 4). Tuttavia tale possibilità resta contenuta nei limiti (temporali e sostanziali) dettati dal precedente art. 30 e con la precisazione che, in tal caso, il giudizio si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario.

 

 

 

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