L’attività imprenditoriale delle società a prevalente
capitale pubblico locale al di fuori del territorio degli enti soci.( nota
alla sentenza TAR Emilia-Romagna, sez. Parma, 2 maggio 2002, n. 240).
da <<Il Foro amministrativo-TAR>>, fascicolo n. 5, anno 2002
Giuseppe Caia
1. La sentenza annotata si riferisce ad una fattispecie intercorsa nella
vigenza di quelle norme generali in materia di servizi pubblici locali
che sono ora modificate e integrate ad opera dell’art. 35 della legge 28
dicembre 2001, n. 448 (finanziaria 2002).
Tuttavia, la decisione – anche per l’equilibrio e la misura che
la contraddistinguono – presenta egualmente un interesse non marginale.
Infatti, le nuove norme in materia di servizi pubblici locali mantengono
per quelli <<privi di rilevanza industriale>> sostanzialmente inalterata
la sistematica dei modelli di gestione (ivi compresa la società
partecipata dagli enti locali) quali contemplati dalla previgente disciplina;
inoltre, alcuni degli elementi propri delle società a prevalente
capitale pubblico locale, previste dall’art. 22, comma 3°, lett. e)
della legge 8 giugno 1990, n. 142 [e poi riprese nel testo – ormai non
più vigente – di art. 113, lett. e) del d.lgs. 18 agosto 2000, n.
267], conservano validità transitoria, ed in relazione a quanto
le leggi regionali potranno disporre, anche per i servizi pubblici locali
<<di rilevanza industriale>>. Ecco perché i principi e criteri
ribaditi nella sentenza possono essere utili anche per l’applicazione delle
nuove norme, oltre che per la definizione di questioni pregresse.
Nelle disposizioni introdotte con l’art. 35 della legge n. 448
del 2001 si distingue, dunque, tra servizi pubblici locali <<di rilevanza
industriale>> (art. cit., comma 1°) e servizi <<privi di rilevanza
industriale>> (art. cit., comma 15°), ma la legge non specifica in
cosa essi – rispettivamente – consistano, rinviando per la identificazione
dei primi al regolamento di esecuzione ed attuazione (art. cit., comma
16°)( ).
Invero, si può notare che, pur essendo la prima categoria
quella più rilevante sul piano economico, la categoria residuale
dei servizi <<privi di rilevanza industriale>> sarà assai
estesa ricomprendendo tutti quelli sociali, culturali e del tempo libero
ma anche quelli di carattere imprenditoriale e però “non industriali”.
Per i servizi <<di rilevanza industriale>> viene introdotto
un regime gestionale ove, al termine del periodo transitorio (esattamente
<<di transizione>>: art. 35, comma 2° della legge n. 448), non
si annovera più la società a prevalente capitale pubblico
locale quale specifica e distinta forma di gestione utilizzabile.
A proposito dell’altra categoria di servizi pubblici, tale figura
permane - ancorché meno rigorosamente definita - perché la
normativa recita di possibile gestione con affidamento diretto a <<società
di capitali, costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal codice
civile>> [nuovo testo dell’art. 113-bis, comma 1°, lett. c) del d.lgs.
n. 267 del 2000]. Peraltro, anche se questa norma non precisa nulla al
riguardo, dovrà trattarsi di società che gli enti locali
controllano maggioritariamente, altrimenti essi non potrebbero pretendere
di affidare direttamente la gestione del servizio pubblico ad un soggetto
che è sostanzialmente terzo ( ).
Prima della modifica introdotta con l’art. 35 della legge n.
448 del 2001, l’art. 113, lett. e) del d.lgs. n. 267 del 2000, l’art. 113,
lett. e) del d.lgs. n. 267 del 2000 recitava di gestione dei servizi pubblici
locali <<a mezzo di società per azioni o a responsabilità
limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate
dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione
alla natura o all’ambito territoriale del servizio la partecipazione di
più soggetti pubblici o privati>>.
La decisione in commento approfondisce il tema del <<vincolo
funzionale, in pratica di scopo, alla nascita e all’operatività>>
di una società siffatta.
Nel caso di specie si trattava – appunto – di una società
a prevalente capitale pubblico locale per la quale era controversa la possibilità
di svolgere servizi pubblici presso un ente locale non partecipante alla
società stessa.
Non è chiaro se l’attività da svolgere si sostanziasse
in un vero e proprio servizio pubblico o piuttosto in un servizio alla
Pubblica amministrazione ( ). La sentenza annotata parla di <<gestione
di un servizio pubblico>>, anche se nella descrizione in fatto richiama
un <<appalto di servizio di vigilanza e manutenzione della rete idrica
e dell’impianto di depurazione>>, ma può darsi che per i contenuti
del disciplinare del rapporto – e nonostante le denominazioni impiegate
– si trattasse effettivamente della integrale gestione degli impianti per
la fornitura di acqua potabile agli utenti e per il trattamento delle acque
reflue (e cioè di un servizio pubblico in senso proprio per il quale
si ha una tariffa che costituisce il corrispettivo dovuto dagli utenti)
( ).
Comunque, anche se non fosse venuto in questione un servizio
pubblico ma un appalto di servizi le conclusioni non sarebbero state differenti.
La sentenza annotata non motiva l’impossibilità della società
a prevalente capitale pubblico locale a svolgere un’attività presso
un Comune non socio in ragione di una presunta non corrispondenza con l’elenco
legislativo dei modelli di gestione dei servizi pubblici locali (cfr. il
vecchio testo dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000) bensì con
riferimento ad un <<vincolo funzionale ... all’operatività
gestionale della società stessa>> che si traduce in <<limitazioni
... sul piano dell’ambito territoriale dell’attività che [la società]
può assumere e svolgere>>. Pertanto, in questa ricostruzione
risulta inammissibile qualunque attività meramente imprenditoriale
(di servizio pubblico o meno) svolta da una società a prevalente
capitale pubblico locale al di fuori del territorio degli enti locali soci.
2. La sentenza qui commentata afferma che i principi elaborati
dalla giurisprudenza amministrativa a proposito del <<vincolo funzionale>>
all’azione delle aziende speciali debbono valere anche per le società
a prevalente capitale pubblico locale; tale vincolo viene inteso come necessità
della permanente sussistenza di un collegamento (sarebbe meglio dire coerenza)
funzionale tra il servizio eccedente l’ambito locale e le esigenze della
collettività i cui interessi sono rappresentati dall’ente locale
che ha costituito o partecipa alla società. Ed in effetti, tanto
le prime che le seconde sono forme di gestione diretta dei servizi pubblici
locali ( ), per modo che – pur tenendosi conto della loro differente natura
giuridica – non si può ritenere del tutto inapplicabile un criterio
basato proprio sulla funzione (rectius, compito) che ha determinato la
costituzione della forma di gestione diretta e per il cui espletamento
tale forma di gestione è destinata ad operare.
Peraltro, l’affermazione di un <<vincolo funzionale>> per
la società a prevalente capitale pubblico locale non può
significare che essa possa dirsi caratterizzata da una capacità
negoziale circoscritta; significa piuttosto che <<il vincolo funzionale
va dimensionato di volta in volta valutandone gli effetti, nel senso che
occorre verificare concretamente se l’impegno extraterritoriale eventualmente
distolga e in che rilevanza risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni
di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione all’impegno profuso
e agli eventuali rischi finanziari corsi) per la collettività di
riferimento>> ( ). In questo modo il <<vincolo funzionale opera
in termini residuali, entrando in giuoco solo quando vi sia una distrazione
di risorse e mezzi che sia effettivamente apprezzabile e che realisticamente
possa apportare pregiudizio alla collettività di riferimento>> (
).
Nella recente giurisprudenza amministrativa si sono dunque compiuti
notevoli passi avanti rispetto alla ricostruzione nella quale, per prima,
si era affermato il c.d. divieto di attività extraterritoriale gravante
sulle forme di gestione diretta di un servizio pubblico locale. Ci si riferisce
a Cons. Stato, sez. I, 18 dicembre 1968, n. 3587/68 che, probabilmente
basandosi sulla allora comunemente ravvisata natura di azienda-organo delle
aziende speciali di cui al t.u. 15 ottobre 1925, n. 2578, individuava una
<<delimitazione tra la sfera di azione>> di ciascuno degli enti territoriali
<<che non è soltanto funzionale ... ma è anche delimitazione
tra enti della stessa natura, in quanto ciascuno di essi può agire
soltanto, in ciò esaurendosi la propria legittimazione al riguardo,
rispetto ad un determinato territorio>> per modo che <<il ricorso
all’attrezzatura e all’attività di un’azienda municipalizzata già
operante in un Comune vicino non è consentita ... in quanto trova
un ostacolo insormontabile nel rilievo che il territorio circoscrive gli
interessi ai quali possono provvedere gli enti pubblici, e quindi i loro
organi, interessi che devono essere quelli propri della comunità
amministrata>>.
Questa concezione non è più attuale anche perché
l’ordinamento amministrativo ha registrato l’introduzione di sempre nuove
forme di collaborazione tra enti locali, tra le quali quella di cui all’art.
5 del d.P.R. 4 ottobre 1986, n. 902: <<Il comune può deliberare
... l’estensione dell’attività della propria azienda di servizi
al territorio di altri enti locali, previa intesa con i medesimi, sulla
base di preventivi di impianto e d’esercizio formulati dall’azienda stessa.
// Con lo stesso atto deliberativo è approvato lo schema di convenzione
per la disciplina del servizio e per la regolazione dei conseguenti rapporti
aconomico-finanziari, fermo restando che nessun onere aggiuntivo dovrà
gravare sull’ente gestore del servizio>>.
Sul profilo della integrazione funzionale, che si può
realizzare attraverso una convenzione tra enti locali (avente tra i propri
oggetti l’attività della forma di gestione c.d. diretta anche presso
un Comune non socio), si tornerà più avanti. Ora si deve,
per quanto di ragione, completare il discorso sul tema considerato nella
sentenza in commento, che è quello dell’attività di una società
a prevalente capitale pubblico locale, presso un Comune non socio, al di
fuori di un modello organizzativo e procedimentale che possa far registrare
un collegamento funzionale consacrato in apposito atto di cooperazione
tra gli enti locali interessati.
3. Il tema è dunque quello dell’iniziativa puramente imprenditoriale
di una società a prevalente capitale pubblico locale, in concorrenza
con altri imprenditori, che aspirano alla gestione del servizio presso
l’ente locale che deve procedere al relativo affidamento o concessione.
Poiché l’ente locale in questione non è socio nella società
di cui trattasi, essa non può far valere alcun carattere differenziale
che legittimi un affidamento diretto e quindi partecipa alla gara per l’assegnazione
del servizio pubblico. Questa metodologia può essere considerata
rispettosa dei principi comunitari e nazionali di concorrenza e non potrebbe
essere altrimenti perché tra l’ente locale non socio e la società
non esiste alcun nesso organizzativo o di strumentalità-funzionalità,
il quale possa giustificare un’assegnazione con modalità diverse
dalla gara ad evidenza pubblica.
Tuttavia, ad avviso del giudice amministrativo, ciò è
necessario ma non sufficiente, perché esso ragiona evidentemente
anche con riguardo al sistema. Nonostante l’argomento principale della
motivazione si riferisca al vincolo funzionale ed alle esigenze della collettività
stanziata sul territorio dell’ente che ha costituito o partecipa alla società,
vi è una ulteriore ragione sottesa e solamente accennata: il giudice
amministrativo considera che queste iniziative, per così dire, puramente
imprenditoriali rappresentano una modalità di azione aggiuntiva
per un soggetto che già beneficia di affidamenti diretti presso
gli enti locali soci. Poiché siffatte società sono caratterizzate
dall’assegnazione diretta dei servizi pubblici presso gli enti locali soci,
esse dispongono di un vantaggio competitivo, perché avendo tale
base economica possono più agevolmente concorrere presso gli enti
locali non soci per l’ottenimento di altri spazi gestionali. Questa linea
di ragionamento traspare dal testo della sentenza in esame, così
come da altre intervenute sul medesimo argomento ( ); vi si legge che il
rispetto del <<vincolo funzionale>> si impone per la salvaguardia
degli interessi della collettività degli enti locali soci, <<tanto
più considerando che al modulo privatistico della società
per azioni continuano in effetti a corrispondere, in questo periodo di
transizione legislativa, connotati tipicamente pubblicistici (basti pensare
alle facilitazioni e ai privilegi che le società miste locali ancora
incontrano nell’affidamento del servizio e nell’accesso ai finanziamenti),
che confermano il permanere della natura speciale e “ibrida” di questa
figura societaria>>.
Come si può notare, quest’ultimo argomento non è affatto
rafforzativo del criterio di <<vincolo teleologico>> o <<funzionale>>
perché le attività da svolgere presso gli enti locali non
soci sono del medesimo tenore ed oggetto di quelle svolte presso gli enti
locali di riferimento e la loro aggiuntiva acquisizione può produrre
economie di scala e vantaggi di introiti economici. Il fatto è,
come già anticipato, che il giudice amministrativo tiene presente
il sistema; il suo ragionamento, solo accennato, è il seguente:
se una società non si sottomette alla concorrenza presso l’ente
locale di riferimento, perché lì ottiene affidamenti diretti,
allora essa non può pretendere di partecipare senza limitazioni
a gare assieme ad altri imprenditori che sono invece esclusi dal territorio
degli enti locali soci della società. Si tratta di un ragionamento
di sistema che è stato fatto proprio dal legislatore nell’art. 35
della legge n. 448 del 2001 per la parte in cui circa i servizi pubblici
<<di rilevanza industriale>> non contempla più i moduli di
affidamento diretto, ma solo (e per tutti gli aspiranti gestori del servizio)
l’assegnazione del servizio previa gara anche presso l’ente locale che
pure dispone di una società controllata maggioritariamente (sul
tema v. più avanti); e che prevede altresì: <<E’ vietata
ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico
servizio in ordine al regime tributario, nonché alla concessione
da chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del
servizio>> (comma 10).
4. Come si è anticipato, la sentenza parla di difetto di <<legittimazione>>
per il caso di specie e non già di difetto di capacità giuridica.
L’impiego della diversa locuzione è importante, anche se chi scrive
è ben conscio dei dubbi che – sul piano generale – sussistono in
dottrina a proposito dell’utilità del concetto di legittimazione
in senso sostanziale( ). L’importanza della terminologia, utilizzata nella
motivazione della sentenza, deriva dal fatto che mentre la capacità
giuridica può essere vista come una qualità del soggetto
in sé, mancando la quale non si ha il valido compimento di determinati
atti astrattamente considerati, la legittimazione si intende come una posizione
specifica del soggetto rispetto alla materia del singolo, concreto negozio
dispositivo( ).
Non si può dunque predicare una incapacità astratta
ed a tutti gli effetti delle società a prevalente capitale pubblico
locale a svolgere attività imprenditoriali al di fuori del territorio
degli enti locali soci ed in assenza di appositi strumenti di collegamento
tra enti locali ma solo una incompatibilità, da valutare <<di
volta in volta>>( ), preordinata ad evitare che si verifichi un conflitto
di interessi rispetto alla collettività di riferimento, perché
l’ordinamento amministrativo presuppone che vi sia sempre la rispondenza
dell’azione della società a prevalente capitale pubblico locale
- quanto meno in parte - alle esigenze della collettività stanziata
sul territorio dell’ente locale che la ha costituita.
E’ tutto questo che si esprime nel concetto di <<vincolo
funzionale>> e perciò può essere utile parlare, seppure con
un rilievo prevalentemente descrittivo, di difetto di <<legittimazione>>
e non già di <<limitata capacità negoziale>>, <<capacità
negoziale circoscritta>>, <<genetica limitazione legislativa dei
fini attribuiti>>( ). Infatti, nel nostro ordinamento manca un criterio
base che consenta una delimitazione della capacità (giuridica) della
persona giuridica come effetto della natura delle sue funzioni o
compiti e delle peculiarità inerenti alla sua costituzione. E, del
resto, per gli stessi enti pubblici il territorio può rappresentare
un limite all’esercizio delle potestà pubblicistiche ma non per
la capacità di diritto privato o per le attività ed operazioni
materiali. Si tratta di osservazioni fin troppo ovvie ma che è bene
riprendere, perché potrebbero esservi tentativi di costruire o giustificare
una capacità giuridica limitata (dallo scopo) delle società
a prevalente capitale pubblico locale, sulla falsariga della capacità
speciale intra vires dell’esperienza anglosassone.
5. Invero, se l’attività al di fuori del territorio dell’ente
locale di riferimento non è tale da modificare sostanzialmente la
“missione” per la quale la società stessa venne costituita, se cioè
tale attività è coerente per misura e per oggetto ( ) con
l’espletamento dei servizi per la collettività di cui l’ente locale
socio è figura esponenziale, non dovrebbero neppure esservi controindicazioni
di convenienza economica e dunque contrasti di interessi. Le economie di
scala e l’ampliamento delle attività, se ben gestite, possono tradursi
in risparmi e benefici per la stessa collettività di riferimento.
Non si può poi sottacere che sono importanti i contenuti
delle clausole statutarie delle società di cui trattasi e delle
stesse delibere con le quali i Consigli degli enti locali hanno deciso
di costituire o partecipare a tali società. Se lo statuto
sociale contempla espressamente come evento normale lo svolgimento di attività
anche al di fuori del territorio degli enti soci, si può dire che
– nell’approvare con delibera consiliare tale statuto - l’ente locale ha
valutato come rispondente agli interessi pubblici anche questo tipo di
attività, fermo restando lo scopo primario consistente nell’esercizio
dei servizi pubblici degli enti soci. Con ciò non si vuole dire
che siffatte clausole statutarie siano, di per sé, dirimenti per
la soluzione della problematica ( ); piuttosto, la presenza di tali clausole
nello statuto della società può rivelarsi utile per verificare
il rispetto o meno del <<vincolo funzionale>>( ).
Se si condividono le considerazioni svolte, il suddetto <<vincolo
funzionale>> può essere un adeguato criterio di misura per valutare
l’attività delle società a prevalente capitale pubblico locale
al di fuori del territorio degli enti locali soci.
6. Di fronte alle perduranti incertezze che avevano contraddistinto
il tema in oggetto, il legislatore ha ritenuto di intervenire sia nelle
discipline di settore che nella nuova disciplina generale dei servizi pubblici
locali. Mi riferisco all’art. 18, comma 2°, lett. a) del d.lgs. 19
novembre 1997, n. 422 come modificato dal d.lgs. 20 settembre 1999, n.
400 (relativo al servizio di trasporto pubblico locale), all’art. 15, comma
10° del d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (relativo al servizio pubblico
di distribuzione di gas naturale) ed all’art. 35, comma 2°, terzo periodo
della legge n. 448 del 2001 già sopra considerato (relativo ai servizi
pubblici locali con rilevanza industriale).
Tutte queste disposizioni, seppure con modalità e condizioni
differenti, consentono ora alle società a prevalente capitale pubblico
locale operanti alla data di entrata in vigore delle disposizioni stesse
di assumere iniziative anche al di fuori del territorio degli enti locali
soci.
Per i servizi pubblici di rilevanza industriale appena indicati,
il legislatore ha fatto pertanto venire meno la rilevanza di ogni <<vincolo
funzionale>> o <<teleologico al soddisfacimento dei bisogni della
collettività locale>>. Questo si spiega con la ormai prossima transizione
al nuovo regime nel quale il carattere di società a prevalente capitale
pubblico locale non costituirà più requisito differenziale
neppure presso gli enti locali soci (relativamente ai quali – sempre per
tali servizi pubblici – non saranno possibili affidamenti diretti, dovendosi
invece procedere alla individuazione del gestore esperendo gare con procedure
ad evidenza pubblica: così il nuovo testo di art. 113, comma 5°
del d.lgs. n. 267 del 2000). E tale transizione al nuovo regime risulta
non lontana nel tempo: tutti gli affidamenti e le concessioni rilasciati
con procedure diverse dall’evidenza pubblica avranno – per disposto di
legge (art. 35, comma 2° della legge n. 448 del 2001) – una anticipata
cessazione.
Si può anzi notare che il riconoscimento legislativo all’azione
c.d. extraterritoriale delle società qui considerate risulta particolarmente
limitato, perché, decorso il periodo minimo riconosciuto dalla legge
per il passaggio dal vecchio al nuovo regime (ed a nulla rilevando il legittimo
ottenimento di proroghe ex art. 35, comma 3° cit., rispetto alla scadenza
anticipata), per tali società sarà ad esempio applicabile
un condizionamento che gli imprenditori privati non incontrano: <<A
far data dal termine di cui al primo periodo, è comunque vietato
alle società di capitali in cui la partecipazione pubblica è
superiore al 50 per cento, se ancora affidatarie dirette, di partecipare
ad attività imprenditoriali al di fuori del proprio territorio>>
(art. 35, comma 2°, terzo periodo della legge n. 448 del 2001)( );
norma che si applica in generale, dove non esistono discipline di settore.
Inoltre, nella disciplina a regime dei servizi pubblici locali
con rilevanza industriale gli aspiranti gestori, oltre a doversi tutti
sottomettere a procedure di gara per l’assegnazione del servizio, ne saranno
esclusi se affidatari diretti di altri servizi pubblici locali e non potranno
più giovarsi di trattamenti fiscali e agevolazioni differenziate
(cfr. il nuovo testo di art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 ai comma 6°
e 10°).
Per queste ragioni, a proposito dei servizi pubblici locali <<di
rilevanza industriale>> le problematiche sul tema in oggetto (originate
anche dalla pregressa, indubbia differenziazione tra società a prevalente
capitale pubblico locale e normali concessionari terzi) sono destinate
a venire meno.
7. Al contrario, la questione del <<vincolo funzionale>>
continuerà a porsi per l’azione presso enti non soci delle società
costituite o partecipate dagli enti locali per la gestione di servizi pubblici
<<privi di rilevanza industriale>>; queste società previste
dall’art. 113 bis, comma 1°, lett. c) del d.lgs. n. 267 del 2000 corrispondono,
infatti, al modello della società a prevalente capitale pubblico
locale di cui all’art. 22, comma 3°, lett. e) della legge n. 142 del
1990 e sono dunque passibili di affidamento diretto dei servizi presso
gli enti locali soci.
8. La problematica è stata esaminata nelle considerazioni
fin qui svolte e nella sentenza in commento con riguardo ad ipotesi in
cui l’assunzione dei servizi pubblici locali presso enti locali non soci
avviene all’esito di procedure selettive di gara quale iniziativa imprenditoriale,
rispetto – cioè – a fattispecie nelle quali l’attività della
società a prevalente capitale pubblico locale viene posta in essere
in assenza di un modello organizzativo di cooperazione tra gli enti locali
interessati (quelli che partecipano alla società e quelli che se
ne avvalgono senza essere soci).
Si deve ora considerare che, se l’attività di una società
a prevalente capitale pubblico locale viene equiparata a quella di un’azienda
speciale per ritenere necessario il rispetto del <<vincolo funzionale>>,
allora dovrebbero essere ritenuti specularmente applicabili i modelli di
coordinamento tra enti locali del tipo di quelli considerati dal soprariprodotto
art. 5 del d.P.R. n. 902 del 1986. La norma cui fare riferimento oggi sarebbe,
peraltro, l’art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 (<<Al fine di svolgere
in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono
stipulare tra loro apposite convenzioni>>: art. cit. comma 1°).
Una siffatta possibilità sembra nettamente riconosciuta
dalla giurisprudenza che ritiene applicabili anche alle società
a prevalente capitale pubblico locale i criteri elaborati dalla giurisprudenza
amministrativa a proposito dell’azione c.d. extraterritoriale delle aziende
speciali ( ). Il tema non è esaminato nella sentenza qui commentata,
perché la fattispecie come già detto era differente; tuttavia,
le conclusioni cui la sentenza perviene risultano compatibili anche con
l’ipotesi alla quale ora si sta accennando.
Ovviamente, la praticabilità dell’ipotesi è subordinata
alla persistente ammissibilità di un affidamento diretto di servizi
pubblici locali. Ciò si può verificare oggi solo per quelli
<<privi di rilevanza industriale>> e per gli altri nel limite del
periodo di transizione e subordinatamente ad una previsione di legge regionale.
Per i servizi <<di rilevanza industriale>> la regola valida
a proposito di ogni nuovo affidamento è quella della gara (cfr.
ancora il nuovo testo di art. 113, comma 6° del d.lgs. n. 267 del 2000),
mentre l’affidamento diretto ad una società di enti locali limitrofi
sulla base di una convenzione intercomunale e di ragioni di integrazione
funzionale non è neppure previsto per il superamento delle attuali
gestioni in economia con aggregazione di esse alla società partecipata
da altri enti locali viciniori. Si potrebbe però trattare di un’ipotesi
utile per superare, durante il periodo di transizione (e limitatamente
ad esso), la frammentazione delle gestioni esistenti, tutte le volte in
cui la legislazione contempla la gestione dei servizi pubblici per ambiti
territoriali ottimali sovracomunali( ). Un siffatto modulo organizzativo
di aggregazione gestionale per <<integrazione funzionale>> potrebbe
essere – ad esempio – applicato nelle fattispecie normative considerate
dall’art. 35, comma 6° della legge n. 448 del 2001. Si tratterebbe,
come già detto, di una soluzione da praticare limitatamente alla
durata del periodo di transizione rispetto alla futura piena vigenza del
nuovo (soprarichiamato) regime dei servizi pubblici locali <<di
rilevanza industriale>>.
Nel caso dei servizi pubblici <<privi di rilevanza industriale>>
il modulo della convenzione tra enti locali, avente per oggetto l’avvalimento
della società da parte di un Comune non socio, potrebbe essere,
invece, un riferimento stabile, perché qui l’istituto dell’affidamento
diretto è ancora ammesso (cfr. il nuovo art. 113 bis del d.lgs.
n. 267 del 2000). Dovrebbero però sussistere rigorosi elementi di
<<integrazione funzionale>> tra i due esercizi, integrazione che
si può verificare quando lo svolgimento del servizio pubblico in
ciascuno di essi è connesso o necessariamente collegato (di modo
che vengono contestualmente, ed in maniera coordinata, ad essere soddisfatte
le esigenza delle popolazioni interessate: quella servita “extraterritorialmente”
e quella che dispone della società controllata dal proprio ente
locale). Invero, può essere più semplice che il nuovo ente
locale aderisca alla società già costituita dall’altro o
dagli altri enti locali, mantenendo così il modello di gestione
nello schema indicato dall’art. 113 bis, comma 1°, lett. c) del d.lgs.
n. 267 del 2000; ma potrebbe essere utile, talora e senza eccessi, applicare
il modulo convenzionale di cui all’art. 30 del medesimo testo unico con
avvalimento di una forma(figura soggettiva) di gestione diretta di un ente
locale parte della convenzione( ).
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