Atti giudiziari

Schema di atto di appello in materia penale redatto dall'Avv. Cosimo Scarpello del Foro di Brindisi

Premessa in fatto
Tizio e Caio, al termine di una banale lite condominiale, vengono alle mani procurandosi lesioni reciproche.
Nel corso del relativo procedimento penale, Caio definisce la propria posizione processuale attraverso la procedura ex art. 444 c.p.p. (patteggiamento), mentre Tizio decide di resistere in giudizio. Durante l’istruttoria dibattimentale, vengono esaminati Caio e Sempronio, rispettivamente in qualità di imputato di reato connesso ai sensi dell’art. 210 c.p.p., e di testimone oculare. Il primo afferma di essere stato solo una vittima di un’aggressione da parte dell’imputato e di aver riportato, sull’avambraccio destro, varie ecchimosi regolarmente documentate attraverso un certificato redatto dal proprio medico specializzato in neurologia; il secondo – al contrario – dichiara di aver notato Caio intento a colpire Tizio, e questi, limitarsi a difendersi. Il contenuto della testimonianza di Sempronio – il quale, durante l’accaduto, si trovava ad una distanza di circa 15-18 metri dai due contendenti- veniva poi confermato dallo stesso imputato durante il relativo esame.
Al termine dell’istruttoria dibattimentale, il Pretore di X, ritiene Tizio colpevole del reato di lesioni personali e lo condanna alla pena di giustizia.
Dalla motivazione, poi, si evince che, a determinare il convincimento del giudice, sono stati sia il certificato medico prodotto da Caio ed attestante le varie ecchimosi da questi riportate all’avambraccio, sia la ritenuta inattendibilità del contenuto della deposizione di un teste – nella fattispecie Sempronio – il quale, trovandosi al momento dei fatti ad una distanza (15-18 metri) ritenuta dall’organo giudicante troppo elevata per permettere una lucida visione degli eventi, poteva aver assistito – sempre a parere dello stesso giudice – soltanto ad una parte della colluttazione (1).
Al contrario, piena attendibilità viene attribuita alle dichiarazioni di Caio.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto di appello avverso la sentenza del Pretore di X.
 
 
 

Atto di appello
Alla Cancelleria della
Pretura di X

Per la (2)
CORTE DI APPELLO DI Y (3)

Il sottoscritto Tizio, nato a …., il giorno …….., residente a ……., via ……, n. …., unitamente al proprio difensore di fiducia, avv. Candidato (4)

DICHIARA
DI PROPORRE APPELLO
Avverso la sentenza del Pretore di X, del giorno ….., depositata in Cancelleria il ……(n. …. Reg. Sent., e n. …., R.G. Pretura) con la quale Tizio veniva condannato alla pena di giustizia, (5)
ENUNCIA (6)
I seguenti punti, cui si riferisce l’impugnazione, riservandosi espressamente motivi nuovi ai sensi di legge
- ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa;
- ritenuta univocità ed efficienza probatoria della certificazione medica prodotta dalla persona offesa;
- ritenuta parzialità della ricostruzione oculare operata dal teste Sempronio
CHIEDE (7)
La riforma della sentenza impugnata e l’assoluzione perché il fatto non sussiste, quantomeno con la formula di cui all’art. 530 comma 2 c.p.p.
PROSPETTA (8)
Il seguente
MOTIVO: erronea valutazione delle prove sotto molteplici profili.
L’imputato doveva essere assolto perché il fatto non sussiste.
La sentenza impugnata è affetta da contraddizioni ed incongruenze logiche che caratterizzano, sin dall’inizio, l’iter argomentativo seguito dal giudice: soprattutto emergono “pesi e misure” diversi nella valutazione dei vari apporti probatori, di non immediata comprensione, spia evidente di come il giudice abbia fatto ricorso ad una valutazione intuitiva dei protagonisti assai più che ad una calibrata ricostruzione dei fatti.
Da un lato il Pretore ha attribuito piena efficacia probatoria alle dichiarazioni della persona offesa (si badi, escussa ai sensi dell’art. 210 c.p.p.), mentre, dall’altro, ha mostrato di non tenere nella stessa considerazione le dichiarazioni dell’unico teste oculare (estraneo alle parti in contesa e al conflitto di interessi processuale).
Inoltre le motivazioni con le quali tali ultime dichiarazioni vengono disattese nel loro contenuto probatorio, paiono tutt’altro che univoche e congruenti.
Non v’è chi non veda, infatti, come la scelta di ricondurre la presenza di ecchimosi sull’avambraccio della parte lesa, escludendo (peraltro immotivatamente, come vedremo tra breve) altre possibili soluzioni interpretative dell’accaduto, sia del tutto arbitraria.
Oltretutto le presunte ecchimosi non risultano nemmeno certificate da una struttura medica pubblica, essendo Caio ricorso ad un medico, specializzato in neurologia, privatamente incaricato (9).
Ora, i dubbi della difesa trovano sostegno nel fatto che simili ecchimosi sull’avambraccio, che, nella decisione impugnata si farebbero discendere con grado di certezza da presunti colpi violenti sferrati intenzionalmente dall’imputato, in realtà possono essere cagionate, con pari grado di probabilità, dal movimento dello stesso soggetto diretto a colpire il proprio avversario. Ed è proprio questa la chiave di lettura che, alla luce di una differente valutazione di alcune incontrovertibili risultanze processuali, il giudice avrebbe dovuto adottare e che avrebbe condotto lo stesso ad una decisione diametralmente opposta a quella impugnata.
L’unico testimone oculare, ha più volte sostenuto, durante l’esame dibattimentale, di aver assistito alla aggressione e di aver visto solo Caio colpire l’imputato.
Il Pretore, disattendendo tali dichiarazioni, ha ritenuto probabile(!) che il teste non avesse assistito a tutto il litigio(?), ma soltanto ad una parte di esso senza peraltro fornire alcuna motivazione a fondamento di tale convincimento e senza avvedersi, al tempo stesso, della stessa inverosimiglianza di una colluttazione, con lesioni reciproche, che si svolga in due tempi rigidamente distinti: in una prima fase sarebbe stato solo Tizio a colpire Caio mentre nel secondo ‘round’ – al contrario – solo Caio avrebbe percosso Tizio. Il teste Sempronio – a sua volta – in tale artificiosa, frammentata, ed improbabile ricostruzione si sarebbe avveduto soltanto della seconda fase e non della prima.
Ma non è tutto: l’attendibilità dello stesso teste viene messa in discussione sulla base dell’argomento, sviluppato in sentenza, che questi si trovasse ad una distanza di circa m. 15-18 dall’accaduto, distanza ritenuta dal Pretore troppo elevata per permettere una adeguata e lucida visione degli eventi.
Appare ragionevole, al contrario, ritenere che, in assenza di specifiche patologie visive, tale distanza (corrispondente press’a poco alla lunghezza di una normale camera da letto!) è più che sufficiente per fornire ad un uomo di medie capacità visive, una visione assolutamente lucida di quanto gli si prospetti davanti.
Per converso, la sentenza, così poco generosa nei confronti dell’unico teste oculare, assume acriticamente la veridicità delle dichiarazioni della parte la cui obiettività, a ragion di diritto, sarebbe dovuta sottostare a rigoroso vaglio e riscontrata “ab extrinseco” per la doverosa cautela probatoria riconnessa alla duplice qualifica di “persona offesa” e di “imputato di reato connesso” ex art. 210 c.p.p. (10).
Invero, nel caso di specie non si trattava – soltanto – di tener conto dell’orientamento giurisprudenziale che impone, ai fini della valutazione della deposizione della parte lesa, una rigorosa indagine circa la sua attendibilità (vedi, da ultimo, in tal senso Cass. pen. Sez. III, 16 nov. 1998 n. 13686, in Guida al diritto del Sole 24 ore, dossier mensile n. 2, febbr. 1999, pag. 107, s.m.; Cass. pen. Sez. IV, 10 dic. 1998, ID), ma, ben più significativamente, occorreva tener presente la circostanza che la vicenda è caratterizzata dal fatto che Caio, prima ancora che parte lesa, è un imputato di reato connesso e come tale non aveva alcun obbligo di dire la verità.
Ora non si può escludere, anzi è altamente probabile, che Caio – dopo essersi indotto a patteggiare la pena ex art. 444 c.p.p. in relazione alle lesioni prodotte sulla persona di Tizio – non nutrisse nei confronti di quest’ultimo ‘buoni sentimenti’ e che abbia ravvisato in una dichiarazione accusatoria (non incriminabile di falsità) nei confronti di Tizio l’occasione per consumare una piccola ritorsione ai danni del suo denunciante. Ciò era veramente sufficiente per indurlo a non avvalersi della facoltà di non rispondere.
Non è un caso che il codice di rito (si veda l’art. 192, comma 3, del c.p.p.) stabilisca una limitazione della libertà di convincimento del giudice, vietando l’attribuzione del valore di prova autosufficiente alla dichiarazione dell’imputato in procedimento connesso o collegato. Analogamente alla chiamata in correità, la dichiarazione del soggetto ex art. 210 c.p.p. deve essere accompagnata da ‘altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità’, dato che essa proviene da soggetto coinvolto, in grado maggiore o minore, nel fatto per cui si procede, onde è ragionevole il dubbio sull’assoluto disinteresse del chiamante.
Ora – questo è il punto – tali ulteriori elementi di prova non sono indicati in sentenza, anzi – a dire il vero – non esistono.
Luogo e data (11)
                                                                                                                      Avv. Candidato
                                                                                                                            (firma)
                               
                                                                                                                        Tizio
                                                                                                                       (firma) 

(1) Poiché Sempronio, nel corso della sua deposizione, aveva sostenuto di essersi accorto di ciò che accadeva a litigio ormai in corso, il Pretore ha ritenuto altamente probabile che lo stesso abbia assistito soltanto alla fase in cui Caio appariva essere l’aggressore e che non abbia visto tutto quello che – sempre secondo il convincimento dell’organo giudicante – era accaduto prima e cioè l’aggressione di Tizio nei confronti di Caio.
(2) A norma dell’art. 582, primo comma, c.p.p., “salvo che la legge disponga altrimenti, l’atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato” 
(3) L’art. 596 c.p.p. dispone: “sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale, dal pretore e dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura decide la corte di appello.
Sull’appello proposto contro le sentenze della corte di assise decide la corte di assise di appello.
Salvo quanto previsto dall’art. 428, sull’appello contro le sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale, decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello, a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale o della corte di assise”.
(4) L’imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di procuratore speciale nominato anche prima della emissione del provvedimento.
Può inoltre proporre impugnazione il difensore dell’imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine. (si veda l’art. 571 c.p.p.). 
(5) L’impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso (art. 581 c.p.p., primo comma).
(6) Con l’atto di impugnazione devono poi essere enunciati i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione (art. 581 lett. a);
(7) le richieste (art. 581 lett. b);
(8) i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
(9) Le ecchimosi riportate da Caio sul proprio avambraccio, infatti, risultano certificate non da una struttura pubblica, bensì dal proprio medico di fiducia peraltro specializzato in neurologia (branca della medicina non proprio attinente al tipo di patologia in questione).
(10) La norma generale di cui all’art. 192 c.p.p. in tema di valutazione della prova, impone al giudice una valutazione più rigorosa per ciò che concerne le dichiarazioni rese dai soggetti ex. art. 210 c.p.p.: essa, infatti, impone all’organo giudicante di valutare tali dichiarazioni unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità. Sul punto la giurisprudenza è stata sempre costante ed univoca: al contrario di quanto avviene in merito alla valutazione delle dichiarazioni del testimone ex. artt. 194 e ss., per le quali vige il generale principio della libertà di valutazione della prova da parte del giudice – il quale potrà attribuire liberamente piena efficacia probatoria alla deposizione del teste senza la necessità di altri tipi di riscontri, ma col solo limite stabilito dal primo e dal secondo comma dell’art. 192 - , l’efficacia probante della dichiarazione di un soggetto ex. art. 210 è subordinata, a ragion di diritto, ad una serie di riscontri intrinseci ed estrinseci diretti a valutare da un lato, la credibilità dell’autore di dette dichiarazioni, dall’altro l’attendibilità del loro contenuto.
(11) I termini per proporre impugnazione sono quelli previsti dall’art. 585 c.p.p..
 

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