Atti giudiziari |
Schema di atto di appello in materia penale redatto dall'Avv. Cosimo Scarpello del Foro di Brindisi Premessa in fatto
Atto di appello
CORTE DI APPELLO DI Y (3) Il sottoscritto Tizio, nato a …., il giorno …….., residente a ……., via ……, n. …., unitamente al proprio difensore di fiducia, avv. Candidato (4) DI PROPORRE APPELLO - ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa; - ritenuta univocità ed efficienza probatoria della certificazione medica prodotta dalla persona offesa; - ritenuta parzialità della ricostruzione oculare operata dal teste Sempronio MOTIVO: erronea valutazione delle prove sotto molteplici profili. L’imputato doveva essere assolto perché il fatto non sussiste. La sentenza impugnata è affetta da contraddizioni ed incongruenze logiche che caratterizzano, sin dall’inizio, l’iter argomentativo seguito dal giudice: soprattutto emergono “pesi e misure” diversi nella valutazione dei vari apporti probatori, di non immediata comprensione, spia evidente di come il giudice abbia fatto ricorso ad una valutazione intuitiva dei protagonisti assai più che ad una calibrata ricostruzione dei fatti. Da un lato il Pretore ha attribuito piena efficacia probatoria alle dichiarazioni della persona offesa (si badi, escussa ai sensi dell’art. 210 c.p.p.), mentre, dall’altro, ha mostrato di non tenere nella stessa considerazione le dichiarazioni dell’unico teste oculare (estraneo alle parti in contesa e al conflitto di interessi processuale). Inoltre le motivazioni con le quali tali ultime dichiarazioni vengono disattese nel loro contenuto probatorio, paiono tutt’altro che univoche e congruenti. Non v’è chi non veda, infatti, come la scelta di ricondurre la presenza di ecchimosi sull’avambraccio della parte lesa, escludendo (peraltro immotivatamente, come vedremo tra breve) altre possibili soluzioni interpretative dell’accaduto, sia del tutto arbitraria. Oltretutto le presunte ecchimosi non risultano nemmeno certificate da una struttura medica pubblica, essendo Caio ricorso ad un medico, specializzato in neurologia, privatamente incaricato (9). Ora, i dubbi della difesa trovano sostegno nel fatto che simili ecchimosi sull’avambraccio, che, nella decisione impugnata si farebbero discendere con grado di certezza da presunti colpi violenti sferrati intenzionalmente dall’imputato, in realtà possono essere cagionate, con pari grado di probabilità, dal movimento dello stesso soggetto diretto a colpire il proprio avversario. Ed è proprio questa la chiave di lettura che, alla luce di una differente valutazione di alcune incontrovertibili risultanze processuali, il giudice avrebbe dovuto adottare e che avrebbe condotto lo stesso ad una decisione diametralmente opposta a quella impugnata. L’unico testimone oculare, ha più volte sostenuto, durante l’esame dibattimentale, di aver assistito alla aggressione e di aver visto solo Caio colpire l’imputato. Il Pretore, disattendendo tali dichiarazioni, ha ritenuto probabile(!) che il teste non avesse assistito a tutto il litigio(?), ma soltanto ad una parte di esso senza peraltro fornire alcuna motivazione a fondamento di tale convincimento e senza avvedersi, al tempo stesso, della stessa inverosimiglianza di una colluttazione, con lesioni reciproche, che si svolga in due tempi rigidamente distinti: in una prima fase sarebbe stato solo Tizio a colpire Caio mentre nel secondo ‘round’ – al contrario – solo Caio avrebbe percosso Tizio. Il teste Sempronio – a sua volta – in tale artificiosa, frammentata, ed improbabile ricostruzione si sarebbe avveduto soltanto della seconda fase e non della prima. Ma non è tutto: l’attendibilità dello stesso teste viene messa in discussione sulla base dell’argomento, sviluppato in sentenza, che questi si trovasse ad una distanza di circa m. 15-18 dall’accaduto, distanza ritenuta dal Pretore troppo elevata per permettere una adeguata e lucida visione degli eventi. Appare ragionevole, al contrario, ritenere che, in assenza di specifiche patologie visive, tale distanza (corrispondente press’a poco alla lunghezza di una normale camera da letto!) è più che sufficiente per fornire ad un uomo di medie capacità visive, una visione assolutamente lucida di quanto gli si prospetti davanti. Per converso, la sentenza, così poco generosa nei confronti dell’unico teste oculare, assume acriticamente la veridicità delle dichiarazioni della parte la cui obiettività, a ragion di diritto, sarebbe dovuta sottostare a rigoroso vaglio e riscontrata “ab extrinseco” per la doverosa cautela probatoria riconnessa alla duplice qualifica di “persona offesa” e di “imputato di reato connesso” ex art. 210 c.p.p. (10). Invero, nel caso di specie non si trattava – soltanto – di tener conto dell’orientamento giurisprudenziale che impone, ai fini della valutazione della deposizione della parte lesa, una rigorosa indagine circa la sua attendibilità (vedi, da ultimo, in tal senso Cass. pen. Sez. III, 16 nov. 1998 n. 13686, in Guida al diritto del Sole 24 ore, dossier mensile n. 2, febbr. 1999, pag. 107, s.m.; Cass. pen. Sez. IV, 10 dic. 1998, ID), ma, ben più significativamente, occorreva tener presente la circostanza che la vicenda è caratterizzata dal fatto che Caio, prima ancora che parte lesa, è un imputato di reato connesso e come tale non aveva alcun obbligo di dire la verità. Ora non si può escludere, anzi è altamente probabile, che Caio – dopo essersi indotto a patteggiare la pena ex art. 444 c.p.p. in relazione alle lesioni prodotte sulla persona di Tizio – non nutrisse nei confronti di quest’ultimo ‘buoni sentimenti’ e che abbia ravvisato in una dichiarazione accusatoria (non incriminabile di falsità) nei confronti di Tizio l’occasione per consumare una piccola ritorsione ai danni del suo denunciante. Ciò era veramente sufficiente per indurlo a non avvalersi della facoltà di non rispondere. Non è un caso che il codice di rito (si veda l’art. 192, comma 3, del c.p.p.) stabilisca una limitazione della libertà di convincimento del giudice, vietando l’attribuzione del valore di prova autosufficiente alla dichiarazione dell’imputato in procedimento connesso o collegato. Analogamente alla chiamata in correità, la dichiarazione del soggetto ex art. 210 c.p.p. deve essere accompagnata da ‘altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità’, dato che essa proviene da soggetto coinvolto, in grado maggiore o minore, nel fatto per cui si procede, onde è ragionevole il dubbio sull’assoluto disinteresse del chiamante. Ora – questo è il punto – tali ulteriori elementi di prova non sono indicati in sentenza, anzi – a dire il vero – non esistono. Luogo e data (11) Avv. Candidato (firma) Tizio (firma) (1) Poiché Sempronio, nel corso della sua deposizione, aveva
sostenuto di essersi accorto di ciò che accadeva a litigio ormai
in corso, il Pretore ha ritenuto altamente probabile che lo stesso abbia
assistito soltanto alla fase in cui Caio appariva essere l’aggressore e
che non abbia visto tutto quello che – sempre secondo il convincimento
dell’organo giudicante – era accaduto prima e cioè l’aggressione
di Tizio nei confronti di Caio.
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