Nesso di causalità ed attività medico - professionale
La sentenza di seguito riportata rappresenta un momento importante in
materia di responsabilità colposa dei medici professionisti, con
riferimento, in particolar modo, all’accertamento del nesso di causalità
nell’attività medico chirurgica. Essa, infatti, segna il passaggio
da un criterio “elastico” di accertamento del nesso eziologico espresso
in termini di “mera” ed “apprezzabile” probabilità, ad un criterio
“rigido” facente leva su un giudizio formulato in termini di “certezza”.
Prima della pronuncia in questione, infatti, stando all’ormai consolidato
orientamento della Suprema Corte, le valutazioni in termini di certezza
o di alta probabilità che presiedono all’accertamento del nesso
causale secondo il criterio offerto dal modello scientifico delle leggi
di copertura, cedevano il passo – in materia di attività medico
chirurgica - a parametri più elastici espressi in termini
di mera probabilità (vedi Diritto penale, giurisprudenza e casi
pratici, Ugo Di Benedetto, Maggioli, Rimini, 1998, pag. 147). La decisione
de qua, invece, ribaltando completamente quello che fino ad ora è
stato un punto fermo nella giurisprudenza di legittimità, esclude
che l’affermazione di responsabilità del medico, sotto il profilo
del nesso causale, possa farsi riposare su un dato meramente statistico,
inammissibilmente sostituito a quello della certezza giuridica.
Come si può notare – e come apparirà ancor più
chiaro dopo l’analisi della sentenza – quello che costituisce un tentativo
di equiparazione del particolare criterio di accertamento del nesso eziologico
in materia di attività medico – chirurgica, ai normali criteri che
presiedono lo stesso accertamento riguardo alla generalità dei comportamenti
umani, finisce col decretare un nuovo squilibrio in chiave di lettura diametralmente
opposta: ai parametri espressi in termini di mera probabilità, infatti,
non si sostituiscono criteri “altamente probabilistici” (ciò che
avrebbe eliminato le differenze ed equiparato i vari modelli di accertamento
del nesso eziologico!), bensì un metro di giudizio fondato sulla
certezza giuridica.(Cosimo Scarpello)
Cass. pen., Sez. IV, 8 gennaio 1999, n.1957 (ud. 1 ottobre 1998).
Pre. Fattori – Est. Malagnino – P.M. Melone (diff.) – Ric. S…..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Verso le ore 18.00 dell’1 aprile 1991 B….
R. veniva accompagnato al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Leonardo di
Salerno perché accusava forti dolori al petto. Il sanitario di turno
S… C….., effettuava l’esame clinico del paziente, somministrava allo stesso
una compressa di Carvasin e disponeva l’esecuzione di un ellettrocardiogramma
che non dava risposta utilizzabile a causa del forte stato di agitazione
del B…...
Stando alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito,
dopo circa un’ora, a seguito del repentino peggioramento delle condizioni,
il B….. veniva trasferito al reparto di rianimazione ove giungeva boccheggiante
e cianotico in stato di coma profondo. Alle ore 19,20 veniva riscontrato
un arresto cardio – circolatorio e, nonostante le terapie del caso, alle
ore 19,45 se ne doveva riscontrare il decesso.
A seguito di ciò, la dottoressa S…… veniva tratta a giudizio
dinnanzi al pretore di Salerno per rispondere del reato di cui all’art.
589 c.p., per aver cagionato la morte del B…… a causa di un intervento
ritardato e, comunque, non pertinente né idoneo.
All’esito del giudizio di primo grado – nel corso del quale venivano
tra l’altro acquisite le relazioni del C.T. nominato dal P.M. e del C.T.
di parte – il pretore ritenne provata la penale responsabilità dell’imputata,
condannandola alla pena di mesi sei di reclusione.
A sostegno di tale decisione ritenne il pretore, in estrema sintesi,
che a fronte dell’allarmante quadro sintomatologico presentato dal B……,
assolutamente carente ed inadeguata era stata la condotta posta in essere
dalla S…… e che da detta carenza ed inadeguatezza doveva ritenersi essere
derivata con estrema probabilità la morte del paziente; e ciò
tanto nell’ipotesi che il decesso fosse da ascriversi, secondo quanto ritenuto
dal C.T. del P.M., ad infarto acuto del miocardio, quanto nell’ipotesi
che la causa mortis – come prospettato invece dal consulente di parte –
fosse da riconoscere in una pancreatite acuta (ipotesi, l’una e l’altra,
formulate per altro sulla sola base delle risultanze documentali, non essendo
stato a suo tempo disposto esame necroscopico).
Infatti, sempre ad avviso del pretore, tanto nell’una quanto nell’altra
di dette ipotesi, qualora fosse stato operato un adeguato e tempestivo
intervento diagnostico e terapeutico, vi sarebbero state <<comunque
delle concrete possibilità di sopravvivenza del paziente>>.
Su impugnazione dell’imputata, con la quale si contestava la ricostruzione
dei fatti e soprattutto l’assenza di un valido accertamento in ordine all’effettiva
causa mortis e, conseguentemente, al nesso di causalità tra la presunta
condotta colposa e l’evento, la corte d’appello – condividendo sostanzialmente
le argomentazioni del giudice di primo grado – respinse il gravame.
Ha proposto, quindi, ricorso per cassazione la difesa dell’imputata,
denunciando:
- in primo luogo, violazione di legge e vizio di motivazione sull’assunto,
in sintesi, che il giudice di appello – adagiandosi pedissequamente sulle
valutazioni già espresse dal pretore – non avrebbe fornito alcuna
valida motivazione né in ordine alla denunciata incertezza della
causa della morte, né in ordine alla mancata indicazione di quella
che avrebbe dovuto essere la terapia da seguire nel caso in questione con
adeguata probabilità di successo; omettendo altresì di considerare,
con riguardo alla condotta colposa addebitata all’imputata – che l’effettuazione
delle più approfondite attività diagnostiche, asseritamente
necessarie a fronte del grave quadro sintomatologico presentato dal B…..
– avrebbero comunque richiesto, come posto in evidenza dal consulente di
parte, tempi tecnici di gran lunga superiori a quelli entro i quali la
patologia in atto – riconosciuta dalla stessa corte di merito come massiva
e fulminante – avrebbe inesorabilmente condotto all’exitus;
(OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE. – (OMISSIS).
Passando, quindi, all’esame del primo motivo di ricorso, ritiene la
Corte che lo stesso sia fondato per quanto di ragione e cioè per
quanto concerne la dimostrazione dell’effettiva sussistenza del nesso di
causalità fra la condotta colposa, attribuita all’imputata, e l’evento
mortale. (OMISSIS).
Al riguardo non appare in realtà decisivo il rilievo critico
formulato dalla difesa in ordine al mancato accertamento della causa clinica
della morte.
Dal punto di vista strettamente tecnico – giuridico, infatti, ai fini
della sussistenza del reato di omicidio colposo, non è sempre necessario
stabilire quale sia stata la causa clinica del decesso, ma è necessario
(e sufficiente) che quest’ultimo possa comunque essere posto in relazione
causale – secondo il noto e non superato criterio della condicio sine qua
non – con la condotta colposa addebitata all’agente.
La fondatezza delle censure proposte dal ricorrente riposa quindi,
ad avviso della Corte, non sulla rilevata oggettiva incertezza – dovuta
anche, come accennato nella premessa in fatto, all’omesso esame necroscopico
– della suddetta causa clinica ma sulla non superata incertezza proprio
in ordine al nesso di causalità tra condotta ed evento.
Risulta, infatti, dal testo dell’impugnata sentenza, ed anche da quello
della sentenza di primo grado, che sostanzialmente i giudici di merito
si sono limitati ad affermare la sussistenza di una mera possibilità
– sia pure definita come concreta – di sopravvivenza del paziente nel caso
in cui non fosse mancato, come invece era mancato, un adeguato e tempestivo
intervento diagnostico e terapeutico.
Al riguardo va ricordato come in diverse pronunce di legittimità
si sia affermato che sarebbe sufficiente in materia di colpa medica, ai
fini dell’affermazione del nesso di causalità tra condotta colposa
ed evento letale, la sussistenza anche soltanto di <<serie ed apprezzabili
possibilità di successo>> di quella che avrebbe dovuto essere la
corretta opera del sanitario, tale, quindi, <<che la vita del paziente
sarebbe stata probabilmente salvata>> (così in particolare, Cass.
IV, 18 ottobre 1990, O…; nello stesso senso, fra le altre: Cass. IV, 12
luglio 1991, S….; Cass. IV, 11 novembre 1994, P….).
Tale condivisibile orientamento – apprezzabile anche sotto il profilo
dell’intento (talvolta dichiarato) della riaffermazione del valore prioritario
ed assoluto della vita umana e della doverosità di ogni comportamento
che valga o possa valere a salvaguardarla, sia pure per brevi periodi –
non implica tuttavia l’obliterazione del fondamentale ed irrinunciabile
principio di diritto, secondo il quale l’affermazione di responsabilità
penale, con conseguente inflizione della pena, non può che riposare
su un giudizio di certezza.
Giudizio di certezza non vuol dire, naturalmente, giudizio fondato
su elementi tali per cui chiunque, esaminandoli, non potrebbe che pervenire
alla stessa conclusione. Quella che occorre, infatti, non è la certezza
oggettiva (per sua natura difficile, se non impossibile a conseguirsi),
ma la certezza processuale, vale a dire la certezza soggettiva del giudice,
basata sul suo libero convincimento e sostenuta da adeguata motivazione
che valga ad escludere l’eventualità che detto convincimento poggi
su basi giuridicamente o logicamente fallaci. Ne deriva che il giudice
ben può pervenire all’affermazione di responsabilità anche
sulla base di considerazioni di natura probabilistica, sempre però
che queste ultime – indipendentemente dal ritenuto grado percentuale di
probabilità – non vengano a costituire il risultato finale della
valutazione da lui operata, come tale assunto a fondamento esclusivo dell’affermazione
di responsabilità, ma rappresentino soltanto il passaggio logico
mediante il quale egli, per esclusione, perviene al giudizio di soggettiva
certezza in ordine alla detta responsabilità, nulla rilevando poi
che detto giudizio possa non essere da tutti condiviso.
Diversamente opinando, a ben vedere, si finirebbe per far riposare
l’affermazione di responsabilità, sotto il profilo del nesso causale,
su un dato meramente statistico, inammissibilmente assunto come sostitutivo
di quello della certezza giuridica. (OMISSIS).
Ciò posto, sembra poi appena il caso di puntualizzare che il
giudizio di certezza deve investire tutti gli elementi costitutivi del
reato e, quindi, tanto l’elemento materiale quanto quello psicologico.
Più specificamente, poi, nell’ambito del primo, quando trattisi
(come nella specie) di reato ad evento (naturalisticamente inteso), deve
investire la condotta, l’evento, ed il nesso di causalità, senza
alcuna possibilità di istituire, nell’ambito di detta generale necessità,
gerarchie di sorta. (OMISSIS).
Conseguentemente l’impugnata sentenza va, sul punto, annullata con
rinvio per nuova decisione alla Corte d’appello di Napoli la quale, pur
in assoluta libertà di valutazione – previa verifica dell’eventuale
operatività della prescrizione, in assenza di eventuali rinunce
e di cause di sospensione non verificabili in questa sede – dovrà
attenersi ai principi di diritto precedentemente illustrati. (Omissis).
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